Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 9 gennaio 2020, n. 179
La massima estrapolata:
Nel caso di formazione del silenzio rigetto, l’interessato non può fondatamente dedurre il vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione e la controversia portata all’esame del giudice amministrativo non ha per oggetto la verifica della legittimità dell’atto impugnato, bensì la verifica sul se, in base a quanto risulta dal fascicolo della domanda di sanatoria, e sulla base dei motivi di ricorso da questi dedotti, la domanda fosse suscettibile di essere accolta oppure no, e nel primo caso annullare l’atto tacito di rigetto; l’annullamento dell’atto tacito di rigetto, però, non equivale all’accoglimento ipso iure della istanza proposta.
Sentenza 9 gennaio 2020, n. 179
Data udienza 26 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8901 del 2013, proposto dal Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ra. Ga. e Gi. Sa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ga., in Roma, via (…);
contro
la s.r.l. Pl., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Al. Ca., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Id. Le., in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del TAR Calabria, sede di Catanzaro, sezione I, 25 marzo 2013, n. 335, che ha pronunciato sul ricorso n. 1432/2011 R.G., proposto per l’annullamento del provvedimento tacito di rigetto formatosi sull’istanza di accertamento di conformità presentata dalla s.r.l. Pl. il 17 giugno 2011, quanto alla sanatoria di opere in variante eseguite sull’edificio di proprietà situato in località (omissis), su terreno distinto al catasto al foglio (omissis), particelle (omissis), (omissis) e (omissis), opere consistenti nell’eliminazione del piano interrato e della rampa esterna di collegamento, nonché nella sostituzione dell’originario tetto a forma circolare con un tetto a doppia falda;
e per la condanna dell’amministrazione intimata al risarcimento del danno.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della s.r.l. Pl.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 26 novembre 2019 il Cons. Francesco Gambato Spisani e uditi per le parti l’avvocato Cl., in dichiarata delega dell’avvocato Ra. Ga., e l’avvocato D’A., in dichiarata delega dell’avvocato Lu. Al. Ca.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La società appellata ha avviato a Pi. Ca., in località (omissis), su terreno distinto al catasto al foglio 8, particelle 1, 2 e 45, la costruzione di un capannone destinato a struttura commerciale, inizialmente sulla base di un permesso di costruire 22 novembre 2002, n. 220. In corso d’opera (e, secondo la deduzione di parte, a causa di una cd sorpresa geologica, ovvero al ritrovamento nel sottosuolo di una sacca di terreno non solido), ha però deciso una serie di modifiche al progetto originario, ovvero l’eliminazione del piano interrato e della rampa di accesso esterna, nonché la sostituzione della struttura di cemento armato ordinario a getto con una di cemento armato precompresso, il tutto oggetto di una denuncia di inizio attività – DIA in variante 26 settembre 2005, prot. n. 17524.
2. Dopo la presentazione della DIA, il Comune ha emanato due provvedimenti inibitori, annullati dal TAR per la Calabria, sede di Catanzaro, sez. II 11 giugno 2007, n. 801; successivamente all’annullamento, quindi, la società ha avviato i lavori e nel corso di essi ha deciso di realizzare una modifica ulteriore, relativa alla sagoma del tetto, che è stato realizzato con una struttura in legno lamellare a doppia falda, sostitutiva di quella di forma circolare progettata in origine, il tutto a sua volta oggetto di una DIA in variante 25 marzo 2009. prot. n. 7088.
3. A seguito di un sequestro dell’immobile, disposto dalla autorità giudiziaria, la società si determinava a chiedere per le opere eseguite in variante un accertamento di conformità ai sensi dell’art. 36 del T.U. 6 giugno 2001, n. 380, e presentava al Comune la relativa domanda il giorno 17 giugno 2011, senza ottenere risposta (doc. 5 in I grado ricorrente appellata, copia domanda con relazione tecnica, ove vi è la cronistoria dei fatti).
4. Con la sentenza indicata in epigrafe, il TAR ha accolto il ricorso proposto dall’interessata contro il silenzio rigetto così formatosi; in proposito, a seguito di un approfondimento istruttorio, con il quale ha acquisito una relazione tecnica dell’Ufficio comunale competente, il TAR ha rilevato che la modifica della forma del tetto non aveva comportato la modifica degli standar urbanistici o della sagoma o della altezza e che l’eliminazione del piano interrato, come intervento riduttivo, non rilevava sotto il profilo urbanistico; di conseguenza, il TAR ha annullato il tacito rigetto, ha dato atto di non poter statuire su un eventuale diritto della parte a conseguire la sanatoria, dati i margini di discrezionalità in proposito, ferma la necessità di tener conto di quanto affermato nella relazione; ha invece respinto per mancanza di prova del danno la domanda risarcitoria.
5. Il Comune ha proposto impugnazione contro questa sentenza, con appello che contiene un unico motivo di violazione ovvero falsa applicazione dell’art. 36 T.U. 380/2001, ove sostiene che l’accertamento di conformità sarebbe stata legittimamente denegato, perché, come emergerebbe da una relazione di perizia contestualmente prodotta (doc. 2 appellante) e redatta a cura dell’Autorità giudiziaria penale, la zona sarebbe soggetta a gravissimo rischio di esondazione (appello, p. 14 in fine), preclusivo dell’accertamento di conformità richiesto.
6. La società appellata si è difesa con atto 8 maggio 2014 e memoria 23 ottobre 2019, in cui ha chiesto che l’appello sia respinto; con memoria 5 novembre 2019, il Comune ha ribadito le proprie ragioni.
7. All’udienza pubblica del giorno 26 novembre 2019, la Sezione ha trattenuto la causa in decisione.
8. L’appello, nell’unico motivo proposto, è infondato e va respinto.
8.1 Va preliminarmente inquadrata in modo corretto la fattispecie: nel caso in esame, la società appellata ha impugnato, e il TAR ha annullato, un provvedimento tacito di rigetto, ovvero il rigetto che consegue per espresso disposto dell’art. 36 T.U. 380/2001 sull’istanza di accertamento di conformità, nel quale sono state trasfuse, con modificazioni lessicali, le disposizioni dell’art. 13 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, cui si riferisce la giurisprudenza dopo citata.
Nel caso di silenzio rigetto, non è emesso un atto formale e l’atto tacito è il risultato di una finzione (determinata dalla legge), attraverso la quale – da un lato – si verifica la sua inoppugnabilità (col relativo stabile assetto di interessi) se è impugnato tempestivamente e – dall’altro lato – l’interessato può proporre il ricorso (al TAR o al Presidente della Repubblica) per ottenere tutela nell’ambito della giurisdizione generale di legittimità .
In dipendenza da ciò, l’impugnazione di tale atto tacito segue, secondo la giurisprudenza, regole particolari, nel senso che il difetto di motivazione è ‘elemento costitutivò di ciò che si impugna – né potrebbe essere diversamente, perché un atto tacito è per ipotesi privo di motivazione- e quindi ciò che si fa valere non può essere il vizio relativo, ma è il “contenuto tacito di rigetto” (cfr. C.d.S. Sez. V, 11 febbraio 2003, n. 706; 6 settembre 1999, n. 1015).
In altri termini, nel caso di formazione del silenzio rigetto, l’interessato non può fondatamente dedurre il vizio di eccesso di potere per difetto di motivazione e la controversia portata all’esame del giudice amministrativo – contrariamente a quanto ordinariamente si verifica nel caso di impugnazione di un atto espresso – non ha per oggetto la verifica della legittimità dell’atto impugnato (nei limiti dei vizi dedotti col ricorso), bensì la verifica sul se, in base a quanto risulta dal fascicolo della domanda di sanatoria, e sulla base dei motivi di ricorso da questi dedotti, la domanda fosse suscettibile di essere accolta oppure no, e nel primo caso annullare l’atto tacito di rigetto. L’annullamento dell’atto tacito di rigetto però, come correttamente evidenziato dal TAR, non equivale all’accoglimento ipso iure della istanza proposta ai sensi dell’art. 36 del testo unico sull’edilizia, né comporta che l’atto di accertamento di conformità debba essere senz’altro rilasciato.
Come ha chiarito più volte questo Consiglio, nei casi in cui la legge prevede ipotesi di silenzio significativo (con disposizioni di natura eccezionale e pertanto insuscettibili di applicazione analogica) e l’Amministrazione entro il termine previsto dalla legge provveda espressamente, l’eventuale annullamento dell’atto tempestivo (per qualsiasi ragione esso sia disposto) non determina la formazione del silenzio significativo e la produzione dei relativi effetti, ma comporta che l’Amministrazione deve rinnovare il procedimento e concluderlo con un atto espresso (per il rilievo del principio di legalità, per l’esame delle conseguenze dell’annullamento di un atto, quando la legge preveda una ipotesi di silenzio, cfr. Sez. V, 8 luglio 1995, n. 1034, § 9.1.1.; 13 luglio 1994, n. 750; 31 marzo 1994, n. 242; 30 marzo 1994, n. 194).
Applicando tale principio al caso di specie, si deve rilevare come il Comune – a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale dell’atto tacito di rigetto, già disposto dal TAR – è tenuto a pronunciarsi sulla originaria domanda con un provvedimento espresso, che sarà vincolato nel contenuto solo per quanto emerso nel giudizio di impugnazione (nel senso che ovviamente deve tenere conto delle statuizioni del giudice amministrativo), ma per tutto il resto dipenderà dagli esiti dell’istruttoria che comunque il Comune è tenuto a svolgere, sulla verifica di tutti i requisiti necessari per l’accoglimento dell’istanza.
8.2. Ciò significa, in altri termini, che l’oggetto del giudizio sul tacito rigetto è delimitato dalla domanda del privato, attraverso il filtro dei motivi di impugnazione che questi abbia ritenuto di dedurre.
Di contro, l’amministrazione che intenda far valere circostanze ulteriori, non deducibili né dal contenuto della domanda stessa, che avrebbero a suo avviso portato ad un diniego espresso, ben può emanare – già nel corso del giudizio di impugnazione proposto avverso l’atto tacito di rigetto dell’istanza – un provvedimento espresso di diniego, che superi quello tacito, adottato all’esito di una corretta e completa istruttoria (e impugnabile a sua volta dal privato, se ancora reiettivo della istanza).
8.4 Si pone in linea di principio la questione sul se l’amministrazione possa far valere le stesse circostanze, che potrebbe porre a fondamento di un diniego espresso, semplicemente introducendole come proprie difese nel giudizio di impugnazione del silenzio rifiuto già pendente.
L’esame di tale questione sarebbe necessario nel presente giudizio, qualora fossero state dedotte circostanze oggettivamente accertate e preclusive della spettanza dell’atto di accertamento di conformità, ma nella specie non rileva, poiché l’appello ha richiamato circostanze soltanto ipotizzate, magari anche in base a seri indizi, ma non pienamente accertate.
8.5 Pertanto, il motivo di appello dedotto dal Comune – incentrato sulla sussistenza di un rischio idrogeologico – è infondato, per due ordini di ragioni, l’una sostanziale, che deriva da quanto si è appena esposto, e l’altra di carattere processuale, nei termini di cui si dirà .
8.6 Sotto il profilo sostanziale, il Comune è venuto a conoscenza di una relazione tecnica, predisposta dai consulenti della locale Procura della Repubblica nel corso di un’indagine sulla configurabilità di illeciti penali nell’operato della società ricorrente appellata.
In tale relazione (all. 2 all’appello), si sostiene che la struttura per cui è causa non si sarebbe mai potuta assentire, perché, per la sua particolare conformazione, e in particolare a causa dello sbancamento effettuato per costruirla, si viene a trovare nell’area di possibile esondazione della vicina diga di monte Marello, sul fiume (omissis) (relazione citata, in part. p. 3 quarto paragrafo).
La relazione fa presente che tale rischio potrebbe non esser stato considerato, perché il piano di lottizzazione – presupposto al titolo edilizio che ha consentito di costruire l’immobile – sarebbe stato approvato in base a cartografie e studi non adeguatamente aggiornati, senza chiarire se ciò possa esser stato o no intenzionale, e segnala la necessità di approfondimenti (in particolare, p. 14 quarto paragrafo).
8.7 Si tratta all’evidenza di dati di estremo rilievo pratico, che però, allo stato, non hanno ancora avuto alcun riflesso in termini di atti amministrativi, dato che, per quanto risulta agli atti, né il piano di lottizzazione né il permesso di costruire originario sono stati in qualche modo ritirati, né constano ulteriori attività istruttorie dell’autorità comunale.
Si tratta quindi, allo stato, di circostanze non valorizzabili per ritenere infondato il ricorso di primo grado rivolto contro il tacito diniego, salvo quanto si dirà .
8.8 E’ poi di ostacolo a valorizzare tali circostanze in questa sede anche, come si è detto, un dato di carattere processuale, ovvero che si tratta di argomentazioni fatte valere soltanto nel presente grado di appello, e neanche accennate nella relazione del Comune in primo grado sopra citata, anche se la consulenza tecnica è stata depositata il 10 febbraio 2010 presso la Procura, ed è quindi anteriore al ricorso della parte privata.
Pertanto non è possibile tenerne conto in questa sede.
9. Il Collegio peraltro intende puntualizzare che non si tratta affatto di dati in assoluto irrilevanti, poiché di essi il Comune deve tener conto, nei termini che seguono.
9.1 In primo luogo, il Comune, nel riesaminare l’affare, ovvero nel prendere in esame la domanda di sanatoria onde provvedervi con un provvedimento esplicito, dovrà controllare i titoli edilizi ed urbanistici in base ai quali la costruzione è stata originariamente assentita e, ove emerga che essi sono stati illegittimamente rilasciati, in particolare perché lo stato dei luoghi è stato rappresentato in modo difforme dal vero quanto al rischio idrogeologico rappresentato dalla diga, dovrà motivatamente esercitare i propri tipici poteri discrezionali, riguardanti l’esercizio del potere di autotutela, potendo procedere al loro annullamento a termini di legge, tenendo ovviamente conto di ciò ai fini della richiesta sanatoria.
9.2 Inoltre, il Comune ai sensi dell’art. 27 comma 1 T.U. 380/2001 è titolare di un generale potere di vigilanza urbanistico edilizia sul proprio territorio e inoltre – ai sensi dell’art. 54, comma 4, del T.U. 18 agosto 2000, n. 267 – può emanare ordinanze di urgenza a tutela della pubblica incolumità e – qualora effettivamente sussistano le situazioni di pericolo evidenziate con l’appello – può emanare, sulla base di una corretta e completa istruttoria, gli atti contenenti le misure volte ad affrontare le situazioni di pericolo per l’immobile per cui è causa e per le persone che lo occupino, e in caso positivo a prendere i provvedimenti necessari, inclusi lo sgombero e la messa in sicurezza dello stesso.
10. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto e va confermata la sentenza che ha annullato l’impugnato atto tacito di rigetto, con salvezza degli ulteriori atti di esame della originaria istanza.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del secondo grado del giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 8901/2013), lo respinge, nei sensi precisati in motivazione.
Spese compensate del secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere, Estensore
Giovanni Sabbato – Consigliere
Davide Ponte – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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