Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 14 aprile 2020, n. 2405.
La massima estrapolata:
Nel processo amministrativo le associazioni ambientalistiche hanno titolo ad impugnare qualsiasi atto amministrativo, ma la specialità della loro legittimazione a ricorrere, condizionata a monte dagli scopi da esse perseguiti, consente loro unicamente la deduzione di censure funzionali al soddisfacimento di interessi ambientali e impedisce invece la proposizione di doglianze relative a violazioni di altra natura, le quali solo in via strumentale ed indiretta – e non in ragione della violazione dell’assetto normativo di tutela dell’ambiente – potrebbero semmai determinare un effetto utile ai fini della salvaguardia dei valori ambientali.
Sentenza 14 aprile 2020, n. 2405
Data udienza 5 dicembre 2019
Tag – parola chiave: Processo amministrativo – Legittimazione ad impugnare – Associazioni ambientalistiche – Condizioni – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5361 del 2018, proposto dalla Fa. Am. ME. – Mo. Ec. Eu., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Pa. de Ca., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
contro
il signor Ra. Ga., rappresentato e difeso dagli avvocati Fr. Mo. e Sa. Di Cu., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Sa. Di Cu. in Roma, via (…);
nei confronti
il Comune (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Sa. Cr., con domicilio eletto presso Ca. De Vi. in Roma, via (…);
ed altri non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione Prima, n. 986 del 21 giugno 2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio con appello incidentale del Comune di (omissis);
Visto l’atto di costituzione in giudizio del signor Ra. Ga.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2019 il Cons. Roberto Caponigro e uditi per le parti gli avvocati Pa. de Ca., Sa. Di Cu. e Sa. Cr.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il signor Ra. Ga., in qualità di promittente acquirente, ha chiesto il rilascio del permesso di costruire per la “realizzazione di un fabbricato residenziale e commerciale e di un fabbricato commerciale in attuazione del PUA di rimodulazione urbanistica del Comprensorio A1”
Il Comune di (omissis), con provvedimento n. 37 del 16 giugno 2015, ha negato il rilascio del permesso di costruire.
Il T.a.r. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, Sezione Prima, con la sentenza n. 986 del 21 giugno 2018, ha accolto il ricorso R.G. n. 2338 del 2015 proposto dal signor Ra. Ga. e, per l’effetto, ha annullato, nei termini di cui in motivazione, il provvedimento di diniego.
La detta sentenza ha dichiarato inammissibile per carenza di legittimazione l’intervento ad opponendum spiegato dalla Fa. Am. ME..
Il Movimento Ecologista ha proposto il presente appello, firmato digitalmente dal solo avvocato Pa. de Ca., premettendo, in fatto, che le aree inedificate per cui è causa ricadono, ai sensi della tavola 9 di PRG di “individuazione delle zone [territoriali] omogenee”, in zona territoriale omogenea “C11-C12 Serroni” ed hanno, alla luce della tavola 6-ter di PRG denominata “zonizzazione e rete viaria”, destinazione urbanistica inedificabile a standards urbanistici e rete viaria.
In diritto, l’Associazione ha censurato la declaratoria di inammissibilità del proprio intervento per violazione dell’art. 28 c.p.a. ed ha articolato i seguenti motivi di impugnativa:
Violazione del principio ne eat iudex ultra petita partium. Omessa applicazione, in violazione del principio iura novit curia, delle norme tecniche di attuazione del PRG vigente dal 30 marzo 1972 e del Piano Urbanistico Attuativo (allora) vigente dal 9 maggio 2007 (variato in data 14 maggio 2012 e mai impugnato in via incidentale) e dei criteri dimensionali della zona omogenea “C11-C12 Serroni”. Erronea applicazione del ricorso all’istituto della monetizzazione. Violazione e falsa applicazione del D.M. 1444/68 e dell’art. 23 -bis del dPR 380/2001.
Omessa declaratoria di improcedibilità del ricorso di primo grado per sopravvenuta decadenza del piano urbanistico attuativo approvato in data 9 maggio 2007 e comunque infondatezza del ricorso di primo grado anche perché il Piano Urbanistico Attuativo è inefficace laddove viola palesemente il PRG del 30 marzo 1972.
Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio proponendo appello incidentale, articolato nei seguenti motivi:
Error in iudicando. Errata applicazione delle norme del vigente P.R.G. e con gli obiettivi del PUA. Non conformità e compatibilità dell’intervento al PUA vigente.
La parte appellata ha eccepito l’inammissibilità dell’appello proposto dalla Fare Ambiente per difetto di legittimazione e, comunque, perché l’Associazione non avrebbe censurato l’applicazione alla fattispecie dell’art. 26 L.R. Campania n. 16 del 2004; ha altresì eccepito l’inammissibilità dell’appello proposto dal Comune di (omissis), che non conterrebbe specifiche censure contro i capi della sentenza gravata.
Nel merito, l’appellato ha contestato la fondatezza delle censure proposte concludendo per il rigetto del gravame.
Le parti hanno depositato altre memorie a sostegno delle rispettive difese.
All’udienza pubblica del 5 dicembre 2019, la causa è stata trattenuta per la decisione.
2. Le eccezioni di inammissibilità degli appelli proposti dalla Fa. Am. ME. e dal Comune di (omissis) sono infondate.
2.1. La sentenza di primo grado ha rappresentato che:
“La costante giurisprudenza ha riconosciuto alle associazioni ambientaliste la legittimazione ad impugnare atti amministrativi ritenuti illegittimi e lesivi degli interessi sostanziali degli associati, incidenti sull’ambiente, per profili relativi a questi ultimi aspetti: quindi non solo il provvedimento impugnato deve avere una diretta e immediata rilevanza ambientale, ma devono essere dedotte censure che concernono l’assetto normativo di tutela dell’ambiente o la violazione di norme poste a salvaguardia dell’ambiente. Ciò porta ad escludere la possibilità per una associazione ambientale, già titolare di una legittimazione ex lege per la tutela dell’ambiente, di poter fare valere profili di illegittimità degli atti impugnati che non attengano appunto al profilo ambientale (cfr.; Cons. St., sez. IV, 9 ottobre 2002, n. 5365; 14 aprile 2011, n. 2329).
Va dunque richiamato il consolidato principio per cui le associazioni ambientalistiche hanno sì titolo ad impugnare qualsiasi atto amministrativo, ma la specialità della loro legittimazione a ricorrere, condizionata a monte dagli scopi da esse perseguiti, consente loro unicamente la deduzione di censure funzionali al soddisfacimento di interessi ambientali e impedisce invece la proposizione di doglianze relative a violazioni di altra natura, le quali solo in via strumentale ed indiretta – e non in ragione della violazione dell’assetto normativo di tutela dell’ambiente – potrebbero semmai determinare un effetto utile ai fini della salvaguardia dei valori ambientali (v. Cons. giust. amm. Reg. Sic. 16 ottobre 2012 n. 933).
Pertanto, i profili di gravame devono essere attinenti alla sfera di interesse ambientale dell’associazione e, come tali, devono essere intesi al conseguimento di una utilità “direttamente rapportata” alla posizione legittimante (v. TAR Liguria, Sez. I, 29 giugno 2012 n. 905).
Da tanto discende il difetto di legittimazione dell’intervenuta associazione poiché quest’ultima, da un lato, non ha dedotto alcunchè in ordine al possibile impatto del contestato progetto edilizio sul patrimonio culturale ed ambientale e, dall’altro, ha sollevato dei profili di illegittimità del predetto intervento che, riguardando unicamente l’asserita violazione di norme generali urbanistiche ovvero di attuazione tecnica, potevano, come tali, essere fatti valere dai soli proprietari interessati dall’eventuale trasformazione dell’area in questione”.
Le doglianze formulate in proposito dall’appellante, volte a contestare la declaratoria di inammissibilità dell’intervento ad opponendum proposto in primo grado e rilevanti anche ai fini di affermare la legittimazione della Fare Ambiente alla proposizione dell’appello, sono fondate.
L’art. 28, comma 2, c.p.a. prevede che chiunque non sia parte del giudizio e non sia decaduto dall’esercizio delle relative azioni, ma via abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e il grado in cui il giudizio si trova.
L’art. 102, comma 2, c.p.a. dispone che l’interventore può proporre appello solo se titolare di una posizione giuridica autonoma.
L’esegesi di tale ultima norma postula che siano distinte le ipotesi di intervento ad adiuvandum da quelle di intervento ad opponendum spiegate in primo grado.
La giurisprudenza amministrativa ha interpretato la norma nel senso che il soggetto interveniente ad adiuvandum nel giudizio di primo grado non è legittimato a proporre appello in via principale e autonoma, salvo che non abbia un proprio interesse direttamente riferibile alla sua posizione, come nel caso in cui sia stata negata la legittimazione all’intervento o sia stata emessa nei suoi confronti la condanna alle spese giudiziali (cfr Cassazione Civile, Sezioni Unite, ordinanza 29 novembre 2019, n. 31266, che richiama Cons. Stato n. 3409/2018; id. 22 febbraio 2016, n. 724; id. 13 febbraio 2017 n. 614; 6 agosto 2013 n. 4121).
Analogamente, per la giurisprudenza consolidata della Corte di Cassazione (cfr Cassazione Civile, Sezioni unite, ordinanza 29 novembre 2019, n. 31266, che richiama, tra le altre, Cass. Sez. U. n. 5992 del 17/04/2012; seguita da Cass. n. 16930 del 08/07/2013 e, di recente, Cass. n. 2818 del 06/02/2018) “l’interventore adesivo non ha un’autonoma legittimazione ad impugnare (salvo che l’impugnazione sia limitata alle questioni specificamente attinenti la qualificazione dell’intervento o la condanna alle spese imposte a suo carico), sicché la sua impugnazione è inammissibile, laddove la parte adiuvata non abbia esercitato il proprio diritto di proporre impugnazione ovvero abbia fatto acquiescenza alla decisione ad essa sfavorevole; inoltre, esso non vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione di affermazioni pregiudizievoli contenute nella sentenza favorevole, qualora svolte in via incidentale e sprovviste della forza vincolante del giudicato”.
Tali ragioni, invece, non sono presenti ove l’intervento in primo grado sia stato spiegato ad opponendum, nel qual caso – esclusa ontologicamente la natura di intervento adesivo dipendente dal ricorso introduttivo (di cui l’interveniente chiede, invece, il rigetto) -, occorre accertare se l’appellante, interventore ad opponendum in primo grado, sia titolare di una posizione giuridica autonoma che lo legittimi alla piena proposizione dell’appello, vale a dire alla formulazione di censure estese alle questioni di merito affrontate nella sentenza appellata e non limitate a contestare l’eventuale declaratoria di inammissibilità o la condanna alle spese del giudizio.
Il Collegio ritiene che, nel caso di specie, tale posizione giuridica autonoma sussista.
La legittimazione ex lege delle associazioni ambientaliste, infatti, può esser riconosciuta non solo nel caso di atti dichiaratamente inerenti la materia ambientale ma anche per gli atti che “incidono sulla qualità della vita in un dato territorio” (cfr Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2011, n. 2329).
La giurisprudenza, che il Collegio condivide, riconosce che gli atti che costituiscono esercizio di pianificazione urbanistica, la localizzazione di opere pubbliche, gli atti autorizzatori di interventi edilizi, nella misura in cui possano comportare danno per l’ambiente, ben possono essere oggetto di impugnazione da parte delle associazioni ambientaliste, in quanto atti estensivamente rientranti nella materia “ambiente”, in relazione alla quale si definisce (e perimetra) la legittimazione delle predette associazioni (cfr Cons. Stato Sez. IV, 19-02-2015, n. 839), attesa “l’ormai pacifica compenetrazione delle problematiche ambientali in quelle urbanistiche” (così Cons. Stato Sez. V, 28-07-2015, n. 3711).
In particolare, la giurisprudenza ha affermato che il potere di pianificazione urbanistica non è funzionale solo all’interesse pubblico all’ordinato sviluppo edilizio del territorio in considerazione delle diverse tipologie di edificazione distinte per finalità (civile abitazione, uffici pubblici, opifici industriali e artigianali, etc.), ma esso è funzionalmente rivolto alla realizzazione contemperata di una pluralità di interessi pubblici, che trovano il proprio fondamento in valori costituzionalmente garantiti.
L’ambiente, pertanto, costituisce inevitabilmente l’oggetto (anche) dell’esercizio di poteri di pianificazione urbanistica e di autorizzazione edilizia; così come, specularmente, l’esercizio dei predetti poteri di pianificazione non può non tenere conto del “valore ambiente”, al fine di preservarlo e renderne compatibile la conservazione con le modalità di esistenza e di attività dei singoli individui, delle comunità, delle attività anche economiche dei medesimi (cfr Cons. Stato, IV, 9 gennaio 2014, n. 36).
Sulla base di tale iter argomentativo, in quanto titolari di una propria posizione giuridica, le associazioni ambientaliste legittimate ex lege non solo possono intervenire in primo grado, ma hanno facoltà di proporre appello autonomo, ai sensi dell’art. 102, comma 2, c.p.a., nel contenzioso relativo ad atti di pianificazione urbanistica, di localizzazione di opere pubbliche, di autorizzazione di interventi edilizi, nella misura in cui tali atti possano determinare un pregiudizio per l’ambiente.
Peraltro, considerata la non necessaria correlazione dimensionale tra interessi urbanistici e interessi ambientali, permane sempre la necessità di una valutazione in concreto dell’incidenza del possibile danno all’ambiente e tale valutazione non può che vertere sull’ampiezza dell’intervento, quale elemento di discrimine degli interventi anche incidenti sul piano ambientale.
L’appellante – premesso di essere un’associazione ambientalista riconosciuta ex lege, che promuove, ai sensi degli artt. 1 e 2 dello Statuto, la adozione di misure idonee alla tutela dell’ambiente e contestualmente alla valorizzazione dello stesso, “mediante lo sviluppo ordinato delle potenzialità territoriali” – ha posto in rilievo di essere intervenuta in giudizio al fine di evitare che il privato – consapevole, secondo la prospettazione dell’Associazione, di essere proprietario di aree comunque inedificabili – possa sottrarre alla comunità territoriale di riferimento volumetrie ed aree destinate (o da destinare) dal PRG a standards urbanistici (id est: le “aree di uso pubblico complessive” quale somma delle aree destinate a parcheggi, scuole, attrezzature pubbliche e verde pubbliche nonché “aree per la circolazione e la sosta”) che vanno reperiti e garantiti in via autonoma e all’interno di ciascuna zona territoriale omogenea in cui è diviso il territorio comunale.
Pertanto, deve ritenersi, anche in considerazione della consistenza dell’opera da realizzare, che, nel caso di specie, l’intervento edilizio contestato, sia almeno potenzialmente, in grado di incidere sulla qualità della vita di quel determinato territorio su cui insiste.
Ne consegue, in definitiva, che, così come gli atti autorizzatori di interventi edilizi, nella misura in cui possano comportare danno per l’ambiente, possono essere oggetto di impugnazione da parte delle associazioni ambientaliste riconosciute ex lege, può essere oggetto di appello, da parte di una associazione ambientalista interveniente ad opponendum in primo grado, una sentenza che abbia annullato il provvedimento di diniego del permesso di costruire relativo ad un intervento edilizio incidente sul territorio.
Pertanto, avendo la Fare Ambiente specificato in che modo l’intervento edilizio in oggetto possa pregiudicare la tutela dell’ambiente, intesa in senso ampio, la declaratoria di inammissibilità dell’intervento ad opponendum statuita dal giudice di primo grado non è condivisibile, mentre l’appello è ammissibile, in quanto l’Associazione ambientalista appellante è titolare di una posizione giuridica soggettiva autonoma.
2.2. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità dell’appello proposto dal Comune di (omissis), da qualificarsi come appello incidentale ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.a., in quanto il contenuto del gravame risponde ai requisiti di cui all’art. 101, comma 1, c.p.a.
3. Nel merito, l’appello proposto dalla Fare Ambiente è fondato e va accolto.
Il giudice di primo grado – disattese le censure relative all’ipotizzata formazione del silenzio assenso e alla asserita nullità dell’atto di diniego per elusione della sentenza del T.a.r. per la Campania, Sezione staccata di Salerno, n. 477 del 2015 – ha accolto il ricorso proposto dal signor Ga. in ragione della seguente motivazione:
“il Collegio, all’esito dell’espletata verificazione (vedi relazione depositata in data 4.12.2017), deve concludere per la fondatezza del proposto ricorso, palesandosi evidente il difetto di istruttorio in cui è incorso il preposto ufficio comunale avendo denegato il permesso di costruire senza previamente sottoporre alla competente Giunta Comunale l’elaborato progettuale onde verificare la possibilità di variare l’approvato PUA.
Invero, l’adempimento istruttorio ha consentito di accertare che
– la proposta progettuale inoltrata con prot. n. 54093 del 14.08.2014, prevedeva la realizzazione di due fabbricati: il primo a destinazione residenziale/commerciale ed il secondo a destinazione commerciale, ricadendo i lotti interessati in zona omogenea classificata dal vigente PRG come di tipo C11 e C12, in cui l’attività edificatoria era subordinata alla preventiva approvazione del piano particolareggiato o della relativa lottizzazione planovolumetrica convenzionata, estesa ad un numero intero di unità di lottizzazione;
– il ricorrente, all’esito della Conferenza dei Servizi tenutasi il 20 marzo 2012, con delibera della Giunta Comunale n. 131/2012, era stato autorizzato allo scambio di volumetrie con Ge. Ca., proprietario della maggior consistenza dell’area ricadente nell’Us 2.01: in particolare, all’U.S.1.01 era stato assegnato un Volume fondiario residenziale pari a 29.750 mc, ma ne erano stati realizzati 26.447,62 mc di residenziale e 3.293,42 mc di volume commerciale;
– con il richiesto permesso, il ricorrente intendeva realizzare quest’ultima volumetria residenziale non espressa, ma assegnata nell’U.S.1.01, trasferendola in un’altra Unità di Suolo, destinata a Superficie Compensativa da cedere al Comune;
– il progetto, quindi, mirava a realizzare uno scambio di volumetrie diversamente destinate in due diverse Unità di Suolo, all’interno dello stesso ambito e della stessa zona omogenea, senza che mutasse il bilancio dei volumi espressi dal PUA approvato;
– il progetto, inoltre, contemplava il trasferimento del volume nell’area individuata quale Superficie Compensativa, nella quale erano previste attrezzature di interesse collettivo annonarie, commerciali compatibili con le attrezzature di zona “F”; trasferimento che tuttavia andava subordinato alla monetizzazione degli standards, e cioè al versamento al Comune di un importo alternativo alla cessione diretta delle aree stesse la cui valutazione competeva alla Giunta Comunale, potendo quest’ultima disporre, in luogo del conferimento, la corresponsione di una somma calcolata sul valore di mercato di aree ricadenti nella stessa zona omogenea, allorquando l’acquisizione della superficie compensativa non fosse ritenuta opportuna dal Comune ovvero non risultasse possibile al privato reperire aree libere nella zona omogenea d’intervento;
– la proposta progettuale del Ga., pur non incidendo né sui caratteri fondamentali del PUA, né sul bilancio, né sui pesi insediativi, contemplando il trasferimento del volume nell’area individuata quale Superficie Compensativa nonché la dislocazione di destinazioni, costituiva una variante al PUA e, come tale, poteva essere assentita solo dopo la preventiva approvazione da parte dell’Organo giuntale.
Tutto ciò acclarato, nonostante il progetto presentato dal ricorrente non potesse essere assentito in via diretta, il preposto ufficio ha emesso l’impugnato diniego senza preventivamente sottoporre la richiesta variante del PUA all’organo giuntale, unico competente a valutare sia la sua possibile adozione, stante anche la comprovata invarianza del bilancio delle volumetrie rispetto al piano già approvato, sia l’opportunità di procedere alla monetizzazione degli standards con riguardo alla superficie compensativa su cui era prevista la realizzazione della volumetria inutilizzata.
È noto, infatti, che l’art. 27, comma 2, LR 16/2004 stabilisce che il PUA è adottato dalla giunta comunale”.
Il Collegio rileva che, in definitiva, il ricorso è stato accolto e, per questo, il giudice di primo grado ha annullato il provvedimento impugnato nei termini di cui in motivazione, con esclusivo riferimento al fatto che “il preposto ufficio ha emesso l’impugnato diniego senza preventivamente sottoporre la richiesta variante del PUA all’organo giuntale”.
La prima doglianza proposta dalla Fare Ambiente, secondo cui la sentenza sarebbe viziata per violazione del principio “ne eat iudex ultra petita partium” è fondata e va accolta e ciò determina l’accoglimento dell’appello.
A tal fine soccorre il richiamo al quinto ed al sesto motivo del ricorso proposto dal signor Ga. in primo grado.
Nel quinto motivo, per quanto di interesse in questa sede, è indicato quanto segue:
“Tralasciate le successive affermazioni l’ufficio poi, asserisce che ‘il progetto allegato all’istanza di permesso di costruire è in palese contrasto con le norme del PUA, in quanto propone una differente utilizzazione delle aree che di fatto, costituisce fattore urbanisticamente rilevante che non può essere assentita con l’ordinario permesso di costruire a meno dell’approvazione di una variante al PUA da parte dell’organo deliberante competentè .
Ciò che salta agli occhi è che, a ben vedere, l’ufficio sembra ritenere che la proposta progettuale è assentibile ma che vi sarebbe bisogno della approvazione di altro organo deliberante.
Se così fosse, naturalmente, il Dirigente avrebbe dovuto concludere l’istruttoria sottoponendo l’istanza all’organo ritenuto competente, istruita secondo i canoni di legge, per poter poi comunicare al proponente l’esito.
In realtà, la proposta (qualificata dall’ufficio in termini di ‘differente utilizzazione delle areè ) costituisce frutto e applicazione della ‘procedura partecipata e concertata di rimodulazione funzionale dei suoli ricadenti all’interno delle US. 2.01 e 2.02, attivato su richiesta dei signori Ga. e Caiazzò, proposta fatta propria dall’assessore all’urbanistica e approvata con la deliberazione n. 131 del 14.05.2012.
Sicché non si può parlare di fattore urbanisticamente rilevante per la semplice ragione che la procedura di rimodulazione è stata accettata e approvata dalla G.M. (il tutto nel perimetro giuridico delineato dall’art. 26 cit.”.
Nel sesto motivo del ricorso, per quanto di interesse in questa sede, è dato leggere:
“Il Dirigente da un lato ammette che la proposta progettuale non incide sui caratteri fondamentali del PUA né sul bilancio. Dall’altro rileva che vi sarebbe bisogno della manifesta volontà della Giunta Municipale, volontà che però non acquisisce. Il Dirigente, anzi, assume il potere di determinarsi in luogo dell’organo che ha appena dichiarato essere competente a determinarsi.
In realtà, come si è visto, la legge Regionale 16/2004 non dispone in tal senso, assumendo che questa tipologia di soluzione non costituisce variante al PUA e, quindi, non è di competenza della G.C.
Per quanto qui interessa, va detto che la delibera richiamata dispone che la monetizzazione è un’opzione riservata alla P.A. in alternativa alla cessione mediante corrispettivo”.
Di talché, in primo grado, il ricorrente non ha censurato la mancata sottoposizione della richiesta variante del PUA all’organo giuntale, avendo sostenuto, nella sostanza, che l’intervento avrebbe potuto essere assentito direttamente con permesso di costruire senza la necessità di una variante al PUA.
In definitiva, poiché l’interessato – nell’ambito dei motivi di ricorso dispiegati nel primo grado del giudizio – non ha censurato la mancata trasmissione degli atti istruttori alla Giunta Comunale, ma, anzi, ha sviluppato le sue difese in senso diametralmente opposto, avendo espressamente e recisamente escluso che potesse ipotizzarsi una qualche competenza della Giunta comunale (col sesto motivo di ricorso ha, infatti, dedotto, come ricordato, che “questa tipologia di soluzione non costituisce variante al PUA e, quindi, non è di competenza della G.C.”), il ricorso di primo grado è stato accolto in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Di conseguenza, l’appello proposto dalla Associazione Fare Ambiente deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado dal signor Ra. Ga..
4. L’accoglimento dell’appello proposto dall’associazione ambientalista determina l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, non potendo la parte più trarre alcuna utilità dall’eventuale accoglimento del gravame, dell’appello incidentale proposto dal Comune di (omissis).
5. Le spese del doppio grado giudizio seguono la soccombenza e, liquidate complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge, sono poste a carico della parte appellata ed a favore della Fare Ambiente; le spese del doppio grado di giudizio, invece, sono compensate nei confronti del Comune di (omissis).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando, così provvede sul ricorso R.G. 5361 del 2018:
– accoglie l’appello proposto dalla Fa. Am. ME. e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado dal signor Ra. Ga.;
– dichiara improcedibile l’appello incidentale proposto dal Comune di (omissis)
Condanna la parte appellata al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate complessivamente in euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre accessori di legge, in favore della Associazione Fa. Am. ME.; compensa le spese del doppio grado di giudizio nei confronti del Comune di (omissis).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Paolo Troiano – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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