Consiglio di Stato, Sentenza|29 dicembre 2020| n. 8484.
E’ illegittimo l’atto di delimitazione di aree demaniali nel quale l’amministrazione ha inteso ricomprendere nell’ambito del demanio portuale anche opere e compendi che non afferiscono alle opere portuali in senso proprio, bensì all’industrializzazione di un’area contigua al porto.
Sentenza|29 dicembre 2020| n. 8484
Data udienza 10 dicembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Demanio pubblico – Demanio portuale – Delimitazione – Opere e compendi che non afferiscono alle opere portuali – Inclusione – Illegittimità
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 10082 del 2016, proposto da
Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Settentrionale, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
Sc. & C. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Ca., Fr. Pa., Ro. Ri., con domicilio eletto presso l’avvocato Fr. Pa. in Roma, via (…);
Ne. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Ca. e Fr. Pa., con domicilio eletto presso l’avvocato Fr. Pa. in Roma, via (…);
Ma. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Vi. Ca. e Va. Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Comune di Livorno ed altri non costituiti in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana Sezione Prima n. 894/2016, resa tra le parti, concernente operatività del regolamento gestione dei servizi di pulizia e raccolta rifiuti da terra e da mare da fornire a titolo oneroso all’utenza portuale;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Sc. & C. s.r.l. ed altri;
Visto l’appello incidentale proposto dalla Ne. s.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2020, tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25, comma 1, del d.-l. 18 ottobre 2020, n. 137 il Cons. Raffaele Prosperi, nessuno comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La s.r.l. Sc., attiva nel porto di Livorno nella movimentazione del carico delle navi e nel deposito delle merci e nel deposito a magazzino o a piazzale delle merci movimentate ed avente a disposizione nello stesso porto aree demaniali in concessione per oltre sessantamila metri quadri, nonché aree private per ulteriori trentamila metri quadri, quale impresa terminalista, premetteva di essere stata soggetta sino al 30 giugno 2014 al pagamento della TARI nei confronti del Comune di Livorno ed impugnava dinanzi al Tribunale amministrativo per la Toscana l’ordinanza n. 14 del 18 giugno 2014, con cui il Presidente dell’Autorità portuale di Livorno aveva reso operativo il regolamento per la gestione in ambito portuale dei servizi di pulizia e raccolta dei rifiuti da terra e da mare, e ne chiedeva l’annullamento sulla scorta di quattro motivi in diritto. L’impugnativa investiva anche la deliberazione n. 10 del 23 aprile precedente, con cui l’Autorità ha approvato il regolamento suddetto.
Si costituivano in giudizio l’Autorità procedente, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e l’Azienda Ambientale Pubblici Servizi della Città di Livorno (A.AM.P.S.), affidataria in associazione con altre imprese, del servizio di pulizia e raccolta dei rifiuti all’interno del porto di Livorno.
Con atto depositato il 22 gennaio 2016, interveniva ad adiuvandum la Te. Da. To. (T.D.) s.r.l., esercente nello scalo marittimo livornese l’attività di terminalista per contenitori e, in misura minore, per merci varie.
Con la sentenza 24 maggio 2016 n. 894 il Tribunale amministrativo riteneva tardiva l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Autorità in relazione a detto intervento, ma riteneva lo stesso in ogni caso inammissibile per assenza di legittimazione ad intervenire, data l’evidente posizione di cointeressato della T.D. s.r.l., autonomo e distinto operatore portuale destinatario dell’applicazione del regolamento impugnato.
La sentenza stimava altresì infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dall’Autorità portuale per mancata impugnazione della delibera n. 21 del 16 ottobre 2012, di approvazione del regolamento per la gestione dei servizi di pulizia e raccolta dei rifiuti in ambito portuale, quale atto presupposto dei provvedimenti impugnati: il “Regolamento per la gestione in ambito portuale dei servizi di pulizia e raccolta rifiuti da terra e da mare, da fornire a titolo oneroso all’utenza portuale”, approvato dall’Autorità portuale, era stato modificato con successiva delibera n. 10/2014, e, nella versione così modificata, è stato reso operativo dall’ordinanza presidenziale n. 14/2014; poiché il pregiudizio lamentato derivava dalla versione aggiornata, solo a seguito dell’ordinanza n. 14/2014 era maturato un interesse all’annullamento.
La sentenza riteneva che non vi era luogo per dichiarare la richiesta estromissione dal giudizio dell’azienda municipalizzata A.AM.P.S.: l’evocazione in giudizio di quest’ultima A.AM.P.S. non era accompagnata ad una domanda nei suoi confronti, per cui si trattava con tutta evidenza di una mera denuntiatio litis, in qualità di soggetto tenuto all’applicazione della tariffa del servizio di pulizia e raccolta dei rifiuti e non del riconoscimento della qualità di parte in causa.
Nel merito, con il primo motivo di ricorso la Sc. s.r.l. sosteneva che l’Autorità portuale sarebbe stata priva del potere esercitato con i provvedimenti impugnati, avuto riguardo alla riserva di legge contenuta nell’art. 23 Cost. incombente al Comune in virtù dell’art. 198 d.lgs. n. 152 del 1996.
Con il secondo motivo, sostanzialmente subordinato, la ricorrente sosteneva che le competenze dell’Autorità portuale non avrebbero potuto estendersi alle aree private non incluse nella circoscrizione dell’ente.
Con il terzo motivo la Sc. s.r.l. deduceva la violazione del principio “chi inquina paga”, visto che il regolamento impugnato assoggettava al calcolo della tariffa del servizio ogni superficie riferibile all’attività degli operatori, senza distinguere fra aree produttive e aree improduttive di rifiuti, tra queste le aree adibite al transito, alla manovra e alla sosta.
Con il quarto motivo la ricorrente contestava l’art. 22 del regolamento impugnato per aver recepito la tabella 4 a) allegata al d.P.R. n. 158 del 1999, ai fini dell’attribuzione agli operatori portuali dei coefficienti di produzione dei rifiuti rilevanti per il calcolo della tariffa.
La tabella, richiamata dalla legge n. 147 del 2013 per il calcolo presuntivo della sola parte variabile della TARI, sarebbe stata illegittimamente recepita dall’Autorità portuale per il calcolo dell’intera tariffa del servizio di raccolta dei rifiuti, senza dimenticare che detta tabella non comprendeva la categoria degli operatori portuali.
Il Tribunale amministrativo con la qui appellata sentenza esaminava congiuntamente le censure ed assumeva che l’attività di gestione dei rifiuti in ambito portuale rientrava nella competenza dell’Autorità Portuale, tenuta per legge ad attivare il relativo servizio. Questo dunque sfuggiva alla competenza dei Comuni, i quali di conseguenza erano privi di poteri impositivi della tassa sui rifiuti. Ciò risultava dall’art. 198 del d.lgs. n. 152 del 2006 – (quanto alle attribuzioni dei Comuni – dagli artt. 6, comma 1 lett. c) e 6, comma 7, della l. l. 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) sui compiti di affidamento e controllo in ordine ai servizi di interesse generale rimessi alle Autorità Portuali nei limiti della circoscrizione territoriale di ogni autorità portuale.
Tali competenze erano state fatte espressamente salve dall’art. 21, comma 8, del d.lgs. n. 22 del 1997 sulle funzioni dei Comuni in materia di rifiuti urbani. L’avvenuta abrogazione di tale art. 21 aveva trovato nell’art. 198 del d.lgs. n. 152 del 2006 la previsione che comportava la mancata abrogazione dell’art. 6, comma 1, lett. c) l. n. 84 del 1994 e dall’art. 1 d.m. 14 novembre 1994, norme speciali che consentivano la permanenza della citata riserva in favore delle Autorità portuali all’interno delle rispettive circoscrizioni territoriali.
Ana significato doveva desumersi dall’art. 208 d.lgs. n. 152 del 2006, grazie al rinvio da questo operato alle specifiche disposizioni della l. n. 84 del 1994 e dell’art. 208, comma 14, d.lgs. n. 182 del 2003 sul controllo e l’autorizzazione delle operazioni di carico, scarico, trasbordo, deposito e maneggio di rifiuti in aree portuali, ferme restando le competenze della Regione quanto all’autorizzazione degli impianti portuali di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi ai sensi dell’art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 182 del 2003.
Perciò da un lato sussistevano le competenze regionali relative agli impianti di raccolta dei rifiuti prodotti dalle navi e, dall’altro, una competenza generale delle Autorità portuali nella gestione dei rifiuti prodotti all’interno dell’area portuale, da ritenersi estesa ai profili tariffari-impositivi in virtù dell’espresso riferimento al titolo oneroso dell’offerta dei servizi di interesse generale da parte delle Autorità, ad opera dell’art. 6, comma 1, lett. c) l. n. 84 del 1994, risultando con ciò soddisfatta la riserva di legge prevista dall’art. 23 Cost..
Andava nondimeno precisato che la circoscrizione dell’Autorità portuale di Livorno, in forza del d.m. 6 aprile 1994, era costituita “dalle aree demaniali marittime, dalle opere portuali e dagli antistanti spazi acquei, compresi nel tratto di costa che va dalla foce del Calambrone fino al porticciolo Na. Sa., escluso”. Ne derivava la mancata ricomprensione di aree private al suo interno, senza comunque escludere la presenza di un “ambito portuale”, comprensivo anche di aree private che fossero funzionalmente collegate alla attività degli operatori portuali, perciò oggetto del potere di intervento regolativo e pianificatorio dell’Autorità portuale (in particolare dell’art. 4 l. 84 del 1994), in ogni caso dipendenti di un’area portuale in forza della determinazione ministeriale adottata mediante il decreto che delimita la circoscrizione dell’autorità .
Tuttavia, per la sentenza, una tale caratteristica funzionale delle aree di proprietà della ricorrente presso il terminal Magnale non poteva legittimare anche l’esercizio del potere regolamentare-impositivo su ambiti che comunque erano estranei alla formale circoscrizione territoriale dell’Autorità . Il che comportava la nullità parziale del regolamento impugnato, giacché l’incompetenza per territorio si risolveva in incompetenza assoluta, posto che per le aree esterne alla circoscrizione dell’Autorità per la gestione del servizio di raccolta dei rifiuti valeva la regola generale. Sicché il relativo potere impositivo faceva capo al Comune di Livorno, ovvero a un ente appartenente ad altro plesso organizzatorio e amministrativo.
Ne derivava, per la sentenza, che la posizione sostanziale azionata in giudizio non era suscettibile di venire incisa dagli atti impugnati e dunque la controversia esulava dalla giurisdizione amministrativa.
La sentenza poi riteneva infondate le doglianze sull’impossibilità di scomputare dal calcolo della tariffa le superfici oggettivamente improduttive di rifiuti, come quelle adibite a transito, manovra e sosta di autoveicoli, e l’applicazione per il calcolo dell’intera tariffa, della tabella dei coefficienti presuntivi allegata al d.P.R. n. 158 del 1999, la cui funzione era di definire il calcolo della sola parte variabile della tariffa, Inoltre, in considerazione della discrezionalità circa il finanziamento del costo dello smaltimento dei rifiuti urbani, affermata dalla Corte di Giustizia UE rientrare nell’apprezzamento nazionale, non si rilevava un contrasto con il diritto europeo della normativa nazionale che prevedeva una tassa calcolata in base ad una mera stima del volume dei rifiuti generato oppure in base a categorie di utenti determinati secondo la loro rispettiva capacità teorica a produrre rifiuti urbani e non sulla base del quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito.
Spettava dunque al giudice nazionale accertare se in concreto alcuni utenti non fossero gravati di costi manifestamente non commisurati ai volumi o alla natura dei rifiuti da essi producibili.
In relazione a quanto riportato, il Tribunale amministrativo analizzava l’applicazione della normativa nazionale nel Comune di Livorno ed alla stregua delle censure sollevate, concludeva per l’insussistenza delle illegittimità rilevate e per l’assenza di irragionevolezze rispetto al volume presuntivo di rifiuti prodotti. Perciò respingeva in parte il ricorso della Sc. s.r.l. e in parte lo dichiarava inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Con appello al Consiglio di Stato notificato il 23 dicembre 2016, l’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno settentrionale impugnava la sentenza nella parte in cui aveva affermato la sua carenza assoluta di potere in materia di servizi di pulizia e raccolta rifiuti per le aree private, rappresentando il proprio interesse ad un’opposta affermazione; e lamentava la violazione degli artt. 5, 6, 16 e 20 l. 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale), del d.m. 14 novembre 1994 e del d.m. 6 aprile 1994: lamentava che la sentenza avesse da un lato accomunato il concetto di area portuale riunendovi sia la circoscrizione territoriale in senso stretto, sia l’ambito portuale incluse aree private interessate dalle attività connesse e ricomprese dallo stesso piano regolatore portuale nella superficie di cui l’Autorità era competente. La conseguenza, per l’Autorità appellante era che potestà e funzioni dovessero fare capo ad un unico soggetto e non segmentate con il Comune, pena l’illogicità sul riparto delle competenze.
Pertanto l’appellante chiedeva per l’annullamento della sentenza impugnata nella parte in cui aveva dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e chiedeva che venisse rigettato in toto il ricorso introduttivo.
Con appello incidentale notificato il 27 febbraio 2017 si costituiva in giudizio la Ne. s.r.l. incorporante della Sc. s.r.l. e deduceva le seguenti censure:
1.Violazione dell’art. 23 della Costituzione, dei principi desumibili dall’art. 1 l. 241 del 1990, degli artt. 198 e 208 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, dell’art. 1 comma 639 e ss. L. 13 dicembre 2013 n. 137.
2. Violazione del principio “chi inquina paga”, dell’art. 238 d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, dell’art. 3 l. 7 agosto 1990 n. 241 e dell’art. 1 commi dal 639 al 647 l. 13 dicembre 2013 n. 137.
3.Violazione dei principi in materia di ragionevolezza dei regolamenti in materia tributaria e della tabella 20 del d.P.R. 27 aprile 2009 n. 158.
La Ne. concludeva per l’accoglimento dell’appello incidentale ed il rigetto dell’appello principale.
Si costituiva in seguito la Ma., s.p.a. in cui si era trasformata la Ne. s.r.l..
All’udienza del 10 dicembre 2020 tenutasi da remoto la causa è passata in decisione.
DIRITTO
L’Autorità di Sistema portuale appellante – assumendo il proprio interesse all’impugnazione di una sentenza parzialmente favorevole in ragione della parziale sottrazione della gestione di tutti i servizi portuale e “retroportuali” all’Autorità a favore delle competenze generali del Comune di Livorno sulle aree non demaniali, benché interessate all’attività di carico e scarico e stivaggio nei magazzini situati al di fuori della circoscrizione – lamenta la violazione di varie previsioni della l. 28 gennaio 1994, n. 84 (Riordino della legislazione in materia portuale) e delle sue norme di esecuzione. Queste disposizioni accomunano la circoscrizione portuale, formalmente intesa, con l’utenza portuale e l’ambito portuale, conferendo all’Autorità un potere generale di perseguimento dell’interesse pubblico sull’insieme delle aree coinvolte dall’attività portuale: e ciò va oltre lo stretto demanio, poiché un’attività di indirizzo, programmazione e coordinamento non sarebbe possibile senza l’esercizio di un potere generale sull’insieme di quanto è connesso con il funzionamento complessivo del porto.
Ritiene il Collegio anzitutto esistente l’interesse ad appellare in capo all’Autorità di sistema portuale, giacché si tratta di sentenza che si pronuncia sulle sue competenze. Nel merito, tuttavia, il l’appello è infondato.
Occorre muovere dalla rilevazione delle norme che, per l’appellante, depongono per la sua competenza in tema di rifiuti nell’intera area interessata dalle operazioni connesse al porto.
Appare preminente considerare al riguardo l’art. 20 (Costituzione delle Autorità di sistema portuale e successione delle società alle organizzazioni portuali), comma 5, prima parte, l. n. 84 del 1994. Tale disposizione recita “Le Autorità di sistema portuale dei porti di cui all’articolo 2, sono costituite dal 1 gennaio 1995 e da tale data assumono tutti i compiti di cui all’articolo 6 e ad esse è trasferita l’amministrazione dei beni del demanio marittimo compresi nella circoscrizione territoriale come individuata ai sensi dell’articolo 6”.
L’art. 6 (Autorità di sistema portuale), comma 13 (poi abrogato dall’art. 2, comma 1, lett. h) d.lgs. 13 dicembre 2017 a far data dal 24 febbraio 2018, ma in vigore al momento dell’ordinanza impugnata, della sentenza di primo grado e della proposizione dell’appello in esame), prevede(va): “All’interno delle circoscrizioni portuali, le AdSP amministrano, in via esclusiva, in forza di quanto previsto dalla presente legge e dal codice della navigazione, le aree e i beni del demanio marittimo,(…)”.
L’art. 6 nella versione oggi vigente – cioè anche senza questa previsione -mantiene sostanzialmente fermo un tale regime circa aree e beni. Infatti il suo comma 4, lett. a), prevede che l’Autorità di Sistema portuale svolge i compiti di ” indirizzo, programmazione, coordinamento, regolazione, promozione e controllo, anche mediante gli uffici territoriali portuali secondo quanto previsto all’articolo 6-bis, comma 1, lettera c), delle operazioni e dei servizi portuali, delle attività autorizzatorie e concessorie di cui agli articoli 16, 17 e 18 e delle altre attività commerciali ed industriali esercitate nei porti e nelle circoscrizioni territoriali” . Lo stesso comma 4, lett. e), afferma poi che all’Autorità spettano i compiti di “amministrazione in via esclusiva delle aree e dei beni del demanio marittimo ricompresi nella propria circoscrizione”.
In forza di dette previsioni, le competenze amministrative dell’Autorità riguardano le aree del demanio marittimo: che qui sono quelle delimitate dal decreto del Ministro dei trasporti e della navigazione 6 aprile 1994, citato dall’appellante, per cui in forza dell’art. 6, “la circoscrizione territoriale dell’Autorità portuale di Livorno è costituita “dalle aree demaniali marittime, dalle opere portuali e dagli antistanti spazi acquei, compresi nel tratto di costa che va dalla foce del Calambrone fino al porticciolo Na. Sa., escluso”.
Da tale quadro generale, normativo e provvedimentale generale, emerge che bene ha concluso la sentenza qui appellata circa il rapporto tra autorità e territorio di competenza: conclusioni che del resto la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato aveva già trattato (Cons. Stato, VI, 28 gennaio 2014, n. 433), rilevando che nonostante la recente tendenza volta ad ammettere una nozione “funzionale” del concetto di demanialità, è illegittimo l’atto di delimitazione di aree demaniali nel quale l’amministrazione ha inteso ricomprendere nell’ambito del demanio portuale anche opere e compendi che non afferiscono alle opere portuali in senso proprio, bensì all’industrializzazione di un’area contigua al porto..
Invero, gli importanti profili di collegamento logistico e funzionale fra l’infrastruttura portuale in senso proprio e le contigue aree di sviluppo industriale contigue, non necessariamente implicano la necessità di una configurazione di un unicum organico cui si estende la qualificazione di ‘portò, recando con sé il carattere di demanialità dell’822 Cod. civ. e deall’art. 28 del Codice della navigazione.
Qui invece l’Autorità poggia su tali interconnessioni funzionali – che di per sé sono connaturate all’idea stessa di porto commerciale- per includere nel concetto di “porto” anche le aree idonee a soddisfare interessi connessi con l’industria, il commercio e il turismo, in quanto tali riconducibili al novero di “pubblici usi del mare”.
Restano dunque estranei all’ambito di competenza in discussione quelle opere e quei compendi – e a maggior ragione se privati come quelli per cui qui è causa – che per loro originaria natura sono estranei a un siffatto perimetro: infatti non afferiscono le opere portuali in senso proprio. Il che vale, in particolare, per quanto concerne il potere impositivo riguardo alla TARI: la quale dunque permane nelle ordinarie competenze del Comune.
Segue da questo sopra che la ricostruzione giuridica delle competenze del cd. ambito portuale fornita dall’appello dell’Autorità di Sistema non è coerente con il ricordato sistema normativo e non contrasta adeguatamente le conclusioni della sentenza appellata.
L’appello incidentale della Ne. s.r.l., successore incorporante della Sc. ricorrente in primo grado, è improcedibile in quanto sostanzialmente condizionato dalle sorti dell’appello principale.
Va aggiunto per completezza che non si rinvengono problemi di ammissibilità nell’impugnazione iniziale dinanzi al Tribunale amministrativo della Toscana dell’ordinanza n. 14 del 2014 del Presidente dell’allora Autorità Portuale di Livorno, recante il regolamento per la gestione dei servizi di raccolta dei rifiuti da terra e da mare; per di più l’appello incidentale, ove dovesse essere inteso quale appello autonomo avverso la sentenza, sarebbe irricevibile per tardività, posto che la sentenza del Tribunale amministrativo è datata 24 maggio 2016 e l’appello incidentale è stato notificato il 27 febbraio 2017.
Non è stata fatta questione della legittimità di un regolamento inteso in senso normativo come raccolta di norma generali ed astratte, la cui impugnazione sarebbe potuta non essere attuale perché non concretizzata in provvedimenti amministrativi ad hoc: il c.d. regolamento conteneva già di per sé un tariffario per zone come tassa per la gestione dei rifiuti, dunque poneva autonomamente precetti da contestare nel termine di legge.
Per le considerazioni suesposte l’appello principale deve essere respinto, mentre va dichiarato improcedibile l’appello incidentale.
Sussistono le ragioni per compensare le spese tra le parti, vista l’assoluta peculiarità della questione.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, respinge l’appello principale e dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2020 tenuta da remoto secondo quanto stabilito dall’art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Raffaele Prosperi – Consigliere, Estensore
Stefano Fantini – Consigliere
Elena Quadri – Consigliere
Giorgio Manca – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply