L’assunzione del vincitore di concorso pubblico

Consiglio di Stato, Sentenza|1 febbraio 2021| n. 908.

L’assunzione del vincitore di concorso pubblico non costituisce un obbligo per l’amministrazione datrice di lavoro, in quanto, se nelle more del completamento del procedimento concorsuale sopravvengono circostanze preclusive di natura normativa (blocco generalizzato delle assunzioni), organizzativa (riordino delle dotazioni organiche), o anche solo finanziaria (difetto di copertura), l’amministrazione può paralizzare, o anche annullare, il procedimento stesso, salvo il sindacato giurisdizionale sulla congruità e la correttezza delle scelte operate

Sentenza|1 febbraio 2021| n. 908

Data udienza 22 dicembre 2020

Integrale

Tag – parola chiave: Ministero della giustizia – Personale di ruolo delle pubbliche amministrazioni – Procedura di mobilità esterna – Diniego all’assunzione all’esito di selezione per la mobilità – Obbligo di provvedere sull’istanza di parte – Silenzio inadempimento – Vincitore di concorso – Interesse legittimo – Atti formali degli organi competenti – Avallo dell’Amministrazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1228 del 2014, proposto dal signor Ca. Am., rappresentato e difeso dall’avvocato Fa. Pe., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…),
contro
la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ro. Pa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…),
il Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (…),
il Commissario ad acta dottor Cl. Sa. non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 2938/2013, resa tra le parti, concernente il diniego di assunzione all’esito di procedura di mobilità esterna riservato al personale di ruolo delle pubbliche amministrazioni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Campania e del Ministero della Giustizia;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le note di udienza dell’Avvocatura Generale dello Stato ai sensi e agli effetti dell’art. 4, comma 1, del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con modificazioni dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, come richiamato dall’art. 25, comma 1, del d.l. 18 ottobre 2020, n. 137;
Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137 e l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 22 dicembre 2020, in collegamento da remoto in videoconferenza, il Cons. Antonella Manzione.
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con l’odierno appello il signor Ca. Am., dipendente del Ministero della giustizia con la qualifica di cancelliere, in servizio presso il Tribunale di S. Maria Capua Vetere e già in comando presso il Consiglio regionale della Campania, impugna la sentenza del T.A.R. per la Campania, sez. IV, n. 2938 del 5 giugno 2013, che ha respinto il suo ricorso, qualificato come “reclamo” ai sensi dell’art. 114, comma 6, c.p.a., per l’annullamento del diniego all’assunzione all’esito di selezione per la mobilità oppostagli dal Commissario ad acta nominato con sentenza n. 1355 del 2012 dal medesimo Tribunale. Con la decisione da ultimo richiamata, infatti, era stata affermata la illegittimità del silenzio serbato dal Consiglio regionale della Campania e dal Ministero della giustizia sulle diffide a provvedere dell’8 giugno 2011 e del 15 settembre 2011, in merito alla sua richiesta di assunzione all’esito di procedura selettiva per il reclutamento di personale in mobilità, con priorità riconosciuta a quello già in comando o fuori ruolo ai sensi dell’art. 30, comma 2 bis del d.lgs. n. 165/2001 e della circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica del 26 aprile 2006. Nello specifico, il Tribunale adito riteneva corretto aver individuato nella normativa sopravvenuta, che ha posto limiti alle facoltà assunzionali, l’ostacolo giuridico al perfezionamento della procedura, risalente ad oltre due anni prima, non avendo la sentenza n. 1355 del 2012 riconosciuto il diritto al perfezionamento del rapporto, ma solo l’illegittimità dell’inerzia serbata dalla pubblica amministrazione a fronte delle richieste di parte.
2. Il signor Am. contesta la richiamata sentenza con un unico articolato motivo, distinto in due parti. In primo luogo, il provvedimento del Commissario sarebbe sorretto da una motivazione solo apparente, in quanto sostanzialmente reiterativa di quella già opposta dalla Regione e contestata dal T.A.R. nella sentenza n. 1355 del 2012. Né sarebbe corretto il richiamo al ritardo nel rilascio del prescritto nulla osta da parte dell’Amministrazione di provenienza, avendo comunque il Ministero della giustizia alla fine dato il suo avallo in data 12 agosto 2011 (motivo sub A). Esso inoltre sarebbe del tutto carente di motivazione, sì da dover essere considerato addirittura nullo ai sensi dell’art. 21 septies della l. n. 241 del 1990.Nessun effetto “paralizzante”, infatti, potrebbe essere attribuito alla normativa sopravvenuta a fronte di un giudicato che aveva accertato il diritto del ricorrente all’assunzione (motivo sub B).
3. Si è costituita in giudizio la Regione Campania con atto di stile, per chiedere la reiezione dell’appello e la conferma della sentenza impugnata. Si è costituito altresì il Ministero della giustizia, sottolineando la propria estraneità al contenzioso, avendo rilasciato il prescritto nulla osta. Ha eccepito altresì la tardività dell’appello in quanto notificato il 20 gennaio 2014 avverso una sentenza pubblicata in data 5 giugno 2013. Con successive note del 17 dicembre 2020 ha chiesto infine di decidere allo stato degli atti, pretermettendo la discussione orale.
4. Alla pubblica udienza del 22 dicembre 2020, svoltasi con modalità da remoto ai sensi dell’art. 25, comma 2, del decreto legge n. 137 del 28 ottobre 2020, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

5. Preliminarmente il Collegio ritiene di dover respingere l’eccezione di tardività dell’appello essendo lo stesso stato notificato l’ultimo giorno utile allo scopo, ovvero il 14 gennaio 2014.
6. Nel merito, esso si palesa infondato.
7. Le due questioni oggetto dell’odierna controversia attengono alla portata del giudicato riveniente dalla sentenza n. 1355 del 2012, con cui si ordinava all’Amministrazione di provvedere sull’istanza della parte volta a sollecitare l’assunzione, nominando altresì il commissario ad acta; nonché, nel merito, agli effetti della normativa sopravvenuta di contingentamento delle possibilità assunzionali degli Enti deficitari sulle aspettative in tal senso vantate da soggetti che avrebbero avuto astrattamente titolo all’immissione in ruolo, in assenza delle stesse.
8. Il Collegio rileva come sia pacifico che affinché possa configurarsi un silenzio inadempimento, quale quello ritenuto sussistente nel caso di specie, occorre che l’amministrazione abbia l’obbligo di provvedere sull’istanza di parte, circostanza incontestabilmente affermata dal primo giudice nella più volte richiamata sentenza n. 1355 del 2012. Vero è che nella motivazione della stessa si afferma anche che “il giudice, nei casi in cui l’Amministrazione non goda di poteri discrezionali, né sia chiamata ad effettuare valutazioni di carattere tecnico – discrezionale, non deve limitarsi ad accertare la perdurante inerzia dell’Amministrazione stessa, ma deve verificare la fondatezza sostanziale dell’istanza”. Salvo poi, correttamente, limitarsi ad accertare “l’obbligo dell’Amministrazione di adottare un provvedimento espresso sull’istanza prodotta in data 8.06.2011 – 15.09.2011”. Il che è quanto in concreto avvenuto da parte del Commissario ad acta, contestualmente nominato, tanto più che alla data della prima diffida la Regione ben avrebbe potuto motivare una reiezione espressa sulla base della mancanza del necessario nulla osta da parte del Ministero della giustizia, sopravvenuto solo in data 12 agosto 2011.
La fondatezza sostanziale dell’istanza, infatti, ovvero il diritto all’assunzione, non risulta affatto affermata nella sentenza de qua, né avrebbe potuto essere diversamente, stante che un simile sindacato presuppone che sia stato anche scrutinato il carattere vincolato o a bassa discrezionalità del provvedimento richiesto, sì da non residuarne adempimenti istruttori riservati alla sfera amministrativa, ovvero, secondo un’espressione cara alla giurisprudenza, di “pronta risolvibilità “.
9. Al contrario, la questione relativa alla posizione giuridica del vincitore di un concorso è sempre stata molto dibattuta in dottrina ed in giurisprudenza.
La giurisprudenza amministrativa ha tuttavia ripetutamente affermato che lo stesso non è titolare di un diritto soggettivo pieno ed incondizionato all’assunzione, ma di un interesse legittimo, in quanto l’assunzione è rimessa a puntuali atti formali degli organi competenti dell’amministrazione (cfr. Cons. St., sez. VI, 1 febbraio 1993, n. 133; sez. V, 19 marzo 2001 n. 1632; id., 18 ottobre 2003 n. 8337). Secondo tale univoco orientamento l’assunzione del vincitore di concorso non costituisce un obbligo per l’amministrazione datrice di lavoro, poiché, se nelle more del completamento del procedimento concorsuale sopravvengono circostanze preclusive di natura normativa (blocco generalizzato delle assunzioni), organizzativa (riordino delle dotazioni organiche), o anche solo finanziaria (difetto di copertura), l’amministrazione può paralizzare, o anche annullare, il procedimento stesso, salvo l’ovvio sindacato giurisdizionale sulla congruità e la correttezza delle scelte operate. Nel nuovo contesto di impiego pubblico contrattualizzato, in base all’interpretazione dei commi 1 e 4 dell’art. 63 del d.lgs. n. 165/01 data dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass., sez. un., 15 maggio 2003, n. 7507; id., 18 ottobre 2005, n. 20107; 4 aprile 2008, n. 8736), una volta esaurita la procedura concorsuale con l’approvazione della graduatoria, tutte le vicende successive (come quelle relative alla mancata assunzione del vincitore) ricadono nella sfera degli atti di gestione e della capacità di diritto privato delle amministrazioni pubbliche e sono conosciute dal giudice ordinario. Secondo l’ormai consolidato indirizzo del giudice di legittimità, la procedura concorsuale è disciplinata dal diritto pubblico con conseguente posizione di interesse legittimo in capo ai partecipanti, ma, una volta che la stessa si sia esaurita, deve, invece, riconoscersi il grado di protezione del diritto soggettivo all’interesse del vincitore a stipulare il contratto individuale di lavoro, correlato all’obbligo dell’amministrazione di prestare il proprio consenso (cfr. Cass., 5 marzo 2003, n. 3252; 16 aprile 2007, n. 8951; sez. un., 20 agosto 2010, n. 18812; id, 23 settembre 2013, n. 21671).
Diversa tuttavia è la relativa impostazione laddove l’assunzione non sia resa possibile da vincoli finanziari normativamente imposti, siccome accaduto nel caso di specie, laddove è sopravvenuta una disciplina che disponeva, per finalità di contenimento della spesa pubblica, il blocco temporaneo delle assunzioni (Cass., n. 8476 del 31 marzo 2017).
10. L’istituto della mobilità, disciplinato dall’art. 30, comma 2 bis del d.lgs. n. 165/2001 (T.U.P.I.), costituisce una species del più ampio genus della mobilità in genere, connotandosi solo per la peculiarità dei soggetti beneficiari, ovvero il personale già in comando o fuori ruolo presso altra amministrazione. La mobilità in genere rappresenta lo strumento cui attingere in via preventiva rispetto al concorso pubblico in quanto razionalizza le risorse imponendone il reperimento nel serbatoio delle disponibilità già in essere. La valorizzazione di forme di passaggio intermedio spesso in grado di conciliare le aspirazioni del dipendente al cambio della sede con quelle dell’Amministrazione a testarne la professionalità, senza sobbarcarsi del relativo onere economico, ha comportato l’inserimento del richiamato comma 2 bis nel corpo dell’art. 30 del T.U.P.I. ad opera del d.l. 31 gennaio 2005, n. 7, convertito, con modificazioni, nella l. 31 marzo 2005, n. 43, più volte modificato.
Il procedimento di mobilità, dunque, concretizzandosi in una sorta di cessione del contratto di lavoro da un’Amministrazione all’altra rende determinante ai fini del perfezionamento -questione peraltro ampiamente controversa, cui si è di recente tentato di dare soluzione per valorizzare le aspirazioni del lavoratore- l’assenso di quella cedente, in mancanza del quale la fattispecie a formazione progressiva non può completarsi.
11. Nel caso di specie, dunque, l’originario “bando” era riferito a 11 posti, all’interno dei quali l’odierno appellante non appare collocarsi. Lo stesso infatti rivendica la fruizione della ulteriore chance assunzionale riveniente dalla decisione dell’Amministrazione di ampliare il serbatoio dei posti da ricoprire con tale modalità, elevandoli a 21, sicché, una volta ricoperti i primi 17, per i quattro residui ha formalizzato una ulteriore graduatoria, approvata con provvedimento del 17 marzo 2009, nella quale egli si colloca al primo posto.
Non è chi non veda, tuttavia, come si sia ben al di fuori del perimetro di una vera e propria procedura concorsuale, caratterizzata dalla partecipazione di soggetti esterni alla pubblica amministrazione e da una ben diversa selettività . Essa si risolve, piuttosto, nella gestione della fase propedeutica a quella concorsuale -il previo esperimento della mobilità, appunto- con modalità trasparenti e in grado di rispettare la par condicio tra gli aspiranti al posto, ovvero, nel caso dei comandati o fuori ruolo già utilizzati nei relativi servizi, alla stabilizzazione di quello in essere.
A ciò deve aggiungersi che condizione determinante perché il meccanismo della mobilità possa concretizzarsi è il preventivo avallo dell’Amministrazione “cedente”, che nel caso di specie si è realizzato, come già ricordato, solo in data 25 agosto 2011, a distanza di oltre due anni dall’approvazione della (seconda) graduatoria di merito della selezione, nonché all’esito della prima diffida di parte.
Ricostruita come sopra la cronologia del procedimento, neppure può sostenersi che il comportamento della Regione abbia ingenerato indebite aspettative nell’appellante, stante che nel 2004, quando si è proceduto ad approvare il bando di mobilità, non sussistevano ostacoli all’effettuazione delle previste assunzioni, concretizzatesi invece solo nel 2010, all’esito della contestazione, da parte del Ministero dell’Economia e delle Finanze (30 marzo 2010) del mancato rispetto del patto di stabilità interno per l’anno 2009. All’atto del nulla osta ministeriale, dunque, non sussistevano più i presupposti per l’assunzione, in quanto ope legis bloccata dalle norme sopra richiamate. A diverse conclusioni si sarebbe potuti addivenire ove, al contrario, la Regione avesse procrastinato ad libitum il completamento dell’iter assunzionale, peraltro dopo aver comunicato gli esiti della procedura all’interessato (cfr. sul punto Cass., sez. lavoro, n. 12836 del 2020, che ha ritenuto, ai soli fini risarcitori, violati i principi di buona fede e affidamento in quanto l’Amministrazione aveva inviato al ricorrente la comunicazione relativa alla sua assunzione quando il blocco era stato già disposto).
Come ben precisato nella delibera del Commissario ad acta oggi impugnata la Regione Campania ha sforato il patto di stabilità proprio nell’anno 2009, con ciò ricadendo nel blocco assunzionale generalizzato di cui all’art. 76, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, il cui combinato disposto con l’art. 14, commi 22, 23 e 24 del d.l. n. 78 del 2010, convertito in l. n. 112 del 2010, impone la predisposizione di un Piano di rientro, denominato “Piano di stabilizzazione finanziaria”. A ciò ha fatto seguito l’obbligo normativo di cui all’art. 16, comma 8, del d.l. n. 95 del 2012 di operare ulteriori tagli assunzionali, cui la Regione ha ottemperato prevedendo nella propria legge finanziaria n. 1 del 2012 (art. 23, comma 13) la sospensione di tutte le procedure finanziarie in atto per l’intera durata dell’anno finanziario.
Quanto detto non solo non consente di provvedere nel senso auspicato dal ricorrente, ma addirittura lo vieta, al pari del resto di quanto previsto per tutti coloro che versino nella medesima condizione, ivi compreso l’eventuale vincitore di un concorso pubblico. Quella che l’appellante considera una “pseudo motivazione”, tale da inficiare l’atto al punto da renderlo asseritamente nullo, rappresenta invece un ostacolo giuridico sopravvenuto insormontabile, correttamente esplicitato nell’atto impugnato. Non va dimenticato, infatti, che quello previsto dall’art. 76, comma 4, del d.l. n. 112 del 2008 costituisce un meccanismo di tipo sanzionatorio correlato al mancato rispetto del patto di stabilità interno nell’esercizio precedente, esteso alle assunzioni di personale a qualsiasi titolo, con qualsivoglia tipologia contrattuale, nonché esteso perfino alla possibilità di stipula di contratti di servizio con soggetti privati che si configurino come elusivi della norma. Come ampiamente chiarito in particolare dalla giurisprudenza contabile in sede consultiva (cfr. deliberazione n. 605/2009 della Corte dei conti della Lombardia) la sanzione scatta fin dall’anno in corso quando l’Amministrazione è a conoscenza che non rispetterà il patto fin da subito. La stessa sanzione è inoltre prevista anche in caso di mancato rispetto delle disposizioni sul contenimento della spesa di personale a seguito dell’entrata in vigore del decreto legge 78/2010. A seguito della modifica intervenuta, non possono essere portate a compimento le procedure di assunzione mediante concorso esterno o mobilità – non terminate alla data di entrata in vigore del d.l. n. 112/2008; alle fasi procedimentali ancora in itinere non può infatti non applicarsi lo jus superveniens, salvo il principio della intangibilità delle situazioni giuridiche ormai consolidate.
Pertanto, solo al momento della riattivata possibilità di immettere nuovo personale, laddove la graduatoria sia ancora in corso di validità, può considerarsi “riattivabile” l’aspirazione al bene della vita richiesto dall’interessato; nelle more, la relativa aspirazione non può non considerarsi necessariamente congelata non solo dalle sopravvenienze normative, ma soprattutto dal contesto finanziario dell’Ente di riferimento che ne rende ineludibilmente applicabili le preclusioni.
12. Per quanto sopra detto, l’appello deve essere respinto.
La sostanziale mancanza di attività difensiva da parte delle Amministrazioni intimate determina la compensazione delle spese del grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dalla Sezione Quinta del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020, tenutasi con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Oreste Mario Caputo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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