Consiglio di Stato, Sentenza|25 febbraio 2021| n. 1624.
L’articolo 42 bis Dpr n. 327/2001 (inserito dall’articolo 34 Dl 6 luglio 2011, n. 98) attribuisce esclusivamente a un provvedimento espresso della Pa il potere di valutare se restituire il bene appartenente al privato, e utilizzato senza titolo, previa remissione in pristino, o disporne l’acquisizione (al patrimonio indisponibile), e disciplina la misura dell’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale conseguente alla eventuale perdita definitiva del bene. Il Ga. – anche in sede d’appello – può convertire la domanda a suo tempo proposta dal proprietario (ante novella del 2011), esaminando quella che è attualmente proponibile ai sensi dall’articolo 42 bis, cioè quella volta ad ottenere che sia emanato un provvedimento, con cui si disponga o la sua acquisizione al patrimonio indisponibile o la sua restituzione al proprietario.
Sentenza|25 febbraio 2021| n. 1624
Data udienza 22 dicembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Titoli edilizi – SCIA – Esercizio dei poteri di verifica – Richiesta di attivazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4339 del 2015, proposto dai signori Ma. Gr. Iz. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Em. Pa. Sa., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. De Pa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ra. De Lu. Ta. in Roma, piazza (…);
nei confronti
della Cooperativa Sa. 95 S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, Sede di Napoli Sezione quinta, n. 949 del 9 febbraio 2015 (R.G. n. 7460/2003).
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatrice nell’udienza pubblica del giorno 22 dicembre 2020 il consigliere Emanuela Loria;
Udito per gli appellanti l’avvocato Em. Pa. Sa., che partecipa alla discussione orale ai sensi dell’art. 25 d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La presente vicenda ha ad oggetto la domanda di accertamento del diritto al risarcimento del danno, proposta dagli odierni appellanti, in qualità di eredi dell’originario proprietario di un terreno riportato nel catasto del Comune intimato al foglio (omissis), particelle (omissis), ricompreso all’interno della perimetrazione del Piano di Zona per l’edilizia economica e popolare approvato con deliberazione del presidente della Giunta della Regione Campania n. 1628 del 12 giugno 1978.
1.1. Di seguito si enucleano i principali passaggi in punto di fatto della vicenda amministrativa:
a) con il decreto sindacale del 1° luglio 1984, è stata disposta l’occupazione temporanea d’urgenza, a favore della Cooperativa Sa. ’95 a r.l., del terreno sopra indicato per la durata di quattro anni;
b) in data 11 luglio 1984 è avvenuta la presa di possesso (decreto sindacale del 1° giugno 1984);
c) l’occupazione è stata prorogata per tre volte con proroghe disposte ex lege ai sensi d.l. n. 90 del 1984, convertito in l. n. 42 del 1985 (per un anno), ai sensi della l. n. 470 del 1988 (per biennio), ai sensi della l. n. 158 del 1991 (per un ulteriore biennio), per cui si è giunti a nove anni di occupazione legittima fino all’11 luglio 1993;
d) la dichiarazione di pubblica utilità, disposta con l’approvazione del Piano di zona risalente al 1978, è decaduta nel 1996 (per termine di diciotto anni previsto dalla l. 1150/1942, dall’art. 38 della l. n. 865/1971 e dall’art. 51 della l. n. 457/1978);
2. Con la sentenza n. 2038/2001 del 19 ottobre – 25 novembre 2002, il Tribunale di Nola – presso cui la causa era riassunta dagli appellanti con atto di citazione notificato il 28 marzo 1998, a seguito del passaggio di competenze dal Tribunale di Napoli a quello nolano ai sensi della legge n. 125 del 1992 – ha rigettato la domanda, poiché ha qualificato come indennitaria la natura della pretesa e, conseguentemente, l’ha dichiarata improcedibile, in ragione della mancata adozione del decreto di espropriazione; tuttavia il Tribunale ha riconosciuto la sua efficacia interruttiva della decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni per l’illecita occupazione dell’area di proprietà degli attori.
3. Con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Campania, Sede di Napoli, gli appellanti hanno chiesto che fosse dichiarata l’illiceità della perdurante occupazione e del comportamento degli intimati, in quanto rimasti nel possesso delle aree anche dopo la scadenza del termine del periodo di legittima occupazione e per la irreversibile trasformazione dell’area occupata e quindi per la condanna dei due resistenti all’integrale ristoro dei danni subiti in misura parametrata al valore venale dei beni alla natura edificabile dei terreni.
In relazione alla quantificazione del valore venale dei terreni, essi hanno richiamato un’altra sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 1874/2002, pronunciata con riguardo ai terreni limitrofi.
4. Con la sentenza impugnata n. 949 del 9 febbraio 2015, l’adito T.A.R. ha accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Cooperativa Sa. (costituita in prime cure), giacché ha ritenuto che il diritto al risarcimento del danno si fosse prescritto nel termine di cinque anni ai sensi dell’art. 2947, primo comma, c.c.: dal momento del termine dell’occupazione legittima (1993) in cui il fatto si è verificato al 2003 (anno di proposizione del ricorso), sarebbe maturato il periodo di prescrizione del diritto al risarcimento degli appellanti con la consequenziale sua estinzione.
Il giudice di primo grado ha compensato le spese di giudizio.
5. Avverso la sentenza di primo grado i proprietari hanno proposto appello, formulando due motivi (oltre al terzo motivo relativo alle spese di lite), con i quali, sostanzialmente, richiamano la giurisprudenza CEDU sulla natura di illecito permanente dell’occupazione sine titulo e chiedono il risarcimento del danno, sia di quello derivante dalla perdita del godimento dell’area di proprietà dall’anno 1993 (data di scadenza della legittima occupazione) fino alla data di proposizione della domanda di risarcimento del danno (coincidente con la data di proposizione del ricorso), sia di quello derivante da perdita della titolarità dell’area di loro proprietà, da ragguagliarsi al suo valore alla data di proposizione della domanda stessa.
Gli interessati richiamano l’applicazione dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001.
6. Con memoria depositata il 2 luglio 2015, si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), che ha insistito per la conferma della sentenza di primo grado, poiché sarebbe fondata l’eccezione di prescrizione accolta dal primo giudice.
7. Con il decreto presidenziale n. 502 del 25 maggio 2015, è stata accolta l’istanza con la quale la parte appellante ha richiesto la concessione di un termine perentorio per rinnovare l’impugnazione o, comunque, per essere autorizzata ad integrare il contraddittorio nei confronti della parte intimata Cooperativa Sa. 95 S.r.l.
8. Con l’ordinanza presidenziale n. 109 del 30 gennaio 2020, è stato chiesto al Comune di (omissis) di depositare una relazione sui fatti di causa, specificando se vi sono state sopravvenienze, dopo l’emanazione del decreto della sezione n. 502 del 2015.
9. Con deposito del 5 marzo 2020 gli appellanti hanno dichiarato di avere interesse alla definizione del giudizio.
10. Con memoria del 4 dicembre 2020 gli appellanti, previo riepi della controversia e del pregresso iter giudiziale, hanno richiamato e riportato ampi stralci della sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 2 del 20 gennaio 2020 in relazione alla inconfigurabilità nell’ordinamento dell’istituto della rinuncia abdicativa in relazione alla giurisprudenza eurounitaria e costituzionale e hanno invocato l’applicazione dell’art 42 bis del d.P.R. 327 del 2001.
Inoltre, a pagina 12 della memoria hanno “manifestato la volontà di integrare e modificare la domanda formulata adeguandola al mutato quadro giurisprudenziale con la richiesta di condanna degli appellati alla restituzione dell’area de qua agitur illecitamente e perdurantemente occupata, previ sua bonifica e suo ripristino nello stato e nelle condizioni preesistenti, ed al ristoro dei danni subiti e subendi per effetto della sua perdurante ed illecita occupazione a far data dall’11/7/1993.”
Essi hanno quindi chiesto l’indennizzo previsto dall’art. 42 bis, commi 1 e 5, del d.P.R. n. 327 del 2001 nell’ipotesi in cui il Comune propenda per l’applicazione dell’art. 42 bis del T.U.E., in quanto l’area di loro proprietà è stata utilizzata per finalità di edilizia residenziale pubblica, deducendo che indennizzo si dovrebbe determinare sulla base della sua natura edificatoria, essendo ricompresa nella perimetrazione del Piano di Zona e la Corte d’Appello di Napoli si è già espressa sul valore delle aree limitrofe, anch’esse destinate alla realizzazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, con la sentenza n. 1874/2002 e con la successiva sentenza n. 759/2013.
11. Con istanza depositata il 14 dicembre 2020, gli appellanti hanno chiesto di poter discutere la causa in videoconferenza ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176.
12. Alla pubblica udienza del 22 dicembre, uditi gli avvocati istanti da remoto come da verbale d’udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.
13. L’appello è fondato e va accolto nei termini di cui alla motivazione che segue: in riforma della sentenza di primo grado, quindi, il ricorso di primo grado va accolto, nei termini precisati nella parte motiva della presente decisione.
14. Come emerge da quanto sopra riportato, né il Comune di (omissis) né la Cooperativa Sa. hanno provveduto a espropriare o ad acquisire la proprietà delle aree in questione nel termine fissato dalla dichiarazione di pubblica utilità (decaduta il 12 giugno 1996 dopo una serie di proroghe ex lege e a seguito della scadenza del termine di efficacia del Piano di Zona ai sensi dell’art. 9 della l. n. 1150 del 1942, dell’art. 38 della L. n. 865 del 1971 e dell’art. 51 della L. n. 457 del 1978).
15. Dopo essersi rivolti alla giurisdizione ordinaria, gli appellanti hanno proposto ricorso al T.A.R. per la Campania per ottenere la condanna degli intimati al risarcimento del danno derivante dalla perdita della proprietà .
15.1. Il TAR adito, con sentenza n. 949 del 2015, ha dichiarato il ricorso inammissibile, poiché ha accolto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Cooperativa Sa. e ha quindi ritenuto la domanda risarcitoria tardivamente instaurata.
15.2. Gli appellanti hanno impugnato la sentenza di prime cure e, con un primo motivo, ne hanno chiesto la riforma per il suo manifesto contrasto con i principi affermati dalla CEDU e recepiti nell’ordinamento giuridico statale, per cui non è più configurabile l’istituto di origine giurisprudenziale dell’occupazione acquisitiva, sicché l’occupazione di un’area di proprietà privata, se protratta oltre il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, si configura come un peculiare illecito a carattere permanente, come tale non soggetto a prescrizione.
15.3. Il rilievo è corretto e ha natura assorbente, per cui va disposto l’accoglimento dell’appello, con la riforma della sentenza impugnata: il terreno in questione non è mai stato ritualmente espropriato, sicché la sua occupazione individuata dal giudice di primo grado, quale fatto lesivo, si è ininterrottamente protratta, determinando il verificarsi di un fatto illecito permanente rispetto al quale il termine di estinzione del diritto non comincia a decorrere, perpetuandosi e rinnovandosi ogni giorno il fatto lesivo del diritto, per cui nessuna prescrizione può essere maturata.
16. Tutte le questioni oggetto della controversia devono invero essere risolte alla luce delle sentenze dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nn. 2 e 4 del 2020, ciò che comporta, una volta rilevata come sopra la fondatezza del gravame, l’ingresso in giudizio della domanda giudiziale così come riformulata dall’appellante nella memoria depositata il 4 dicembre 2020.
17. L’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, inserito dall’art. 34 del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito dalla l. 15 luglio 2011, n. 111, al comma 1 prevede che, “Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene”.
La novella del 2011 attribuisce esclusivamente a un provvedimento espresso della pubblica amministrazione il potere di valutare se restituire il bene appartenente al privato e utilizzato senza titolo, previa remissione in pristino, o disporne l’acquisizione (al patrimonio indisponibile), e disciplina la misura dell’indennizzo per il pregiudizio patrimoniale conseguente alla eventuale perdita definitiva del bene.
18. Non osta all’applicazione dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 il fatto che la domanda di restituzione non sia stata espressamente formulata nell’atto di appello, giacché – come si è sopra rilevato – gli stessi appellanti, nella memoria del 4 dicembre 2020, hanno chiaramente manifestato la volontà di integrare e modificare la domanda formulata adeguandola al mutato quadro giurisprudenziale, con la richiesta di applicazione delle tecniche di tutela previste dal medesimo art. 42 bis.
18.1. La sentenza n. 2 del 2020 dell’Adunanza plenaria ha chiarito che “l’ordinamento processuale amministrativo offre un adeguato strumentario per evitare, nel corso del giudizio, che le domande proposte in primo grado, congruenti con quello che allora appariva il vigente quadro normativo e l’orientamento giurisprudenziale di riferimento assurto a diritto vivente, siano di ostacolo alla formulazione di istanze di tutela adeguate al diverso contesto normativo e giurisprudenziale vigente al momento della decisione della causa in appello, quali la conversione della domanda ove ne ricorrano le condizioni, la rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell’art. 37 Cod. proc. amm. o l’invito alla precisazione della domanda in relazione al definito quadro giurisprudenziale, in tutti i casi previa sottoposizione della relativa questione processuale, in ipotesi rilevata d’ufficio, al contraddittorio delle parti ex art. 73, comma 3, Cod. proc. amm., a garanzia del diritto di difesa di tutte le parti processuali”.
Le sentenze dell’Adunanza Plenaria nn. 2 e 4 del 2020, nel precisare l’ambito e la portata applicativa dell’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001, hanno indicato rimedi specifici, desunti anche dal Codice del processo amministrativo, volti proprio a creare le condizioni per la loro applicazione ai contenziosi in corso: sicchè, dal momento che la parte appellante, come visto, si è avvalsa di tali rimedi, i principi emergenti da dette decisioni non possono non trovare piena attuazione nel contenzioso in esame, che solo perché risalente è stato originariamente strutturato secondo schemi incompatibili con l’attuale panorama giurisprudenziale.
Le sentenze dell’Adunanza Plenaria hanno ammesso che, in considerazione delle peculiarità che hanno caratterizzato la prassi e la normativa nazionale, il giudice amministrativo – anche in sede d’appello – può convertire la domanda a suo tempo proposta dal proprietario, esaminando quella che è attualmente proponibile ai sensi dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, cioè quella volta ad ottenere che sia emanato un provvedimento, con cui si disponga o la sua acquisizione al patrimonio indisponibile o la sua restituzione al proprietario.
18.2. Infine, considerate le nuove conclusioni avanzate dagli appellanti e rilevato che vi è stato il contraddittorio sulle stesse, non può ritenersi che vi sia una lesione del diritto di difesa degli appellati (che del resto hanno bene avuto ben modo di difendere il proprio operato sia in primo che in secondo grado) né è riscontrabile alcuna violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.
19. Per tutto quanto precede, nella fattispecie in esame deve trovare applicazione l’art. 42 bis del d.P.R. n. 327 del 2001 e va quindi disposto l’obbligo del Comune di scegliere, nel termine, stimato congruo, di 120 (centoventi) giorni decorrenti dalla notifica o dalla pubblicazione della presente sentenza (salva la rilevanza di obiettive ragioni, che potranno essere valutate in sede giurisdizionale), tra le seguenti opzioni alternative:
– o restituire il terreno occupato (previa riduzione dello stesso nello stato in cui si trovava al momento dell’occupazione) e risarcire il danno cagionato dall’illegittima occupazione (ed in tal caso dovrà essere emanata una relazione alla procura della Corte dei Conti, giustificativa delle ragioni che inducano a una tale spesa);
– o acquisire il bene e liquidare quanto spettante ai sensi e per gli effetti dello stesso art. 42 bis (salva la giurisdizione del giudice civile, per il caso in cui sia contestato l’importo liquidato: Cass. civ., Sez. Un. 24 giugno 2020, n. 12477; 12 giugno 2018, n. 15343; 21 febbraio 2019, n. 5201), con salvezza dei provvedimenti da emanare ai sensi della legge n. 167 del 1962 (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 9 dicembre 2020, n. 7784, § 18, lettera e).
Ritiene il Collegio che non sussistano i presupposti per nominare sin da ora, un commissario ad acta per il caso di inadempimento del Comune all’obbligo di cui sopra nel termine comminato: si riserva, pertanto, di provvedervi se del caso su richiesta dell’interessato, in sede di ottemperanza, con conseguente addebito di spese nei confronti di chi non abbia dato esecuzione alla presente sentenza.
20. Conclusivamente pronunciando, quindi, in accoglimento dell’appello, la sentenza resa in primo grado va annullata e il ricorso di primo grado va accolto nei termini di cui alla motivazione che precede.
21. Alla soccombenza consegue la condanna dell’amministrazione appellata al pagamento delle spese processuali del doppio grado, in favore degli appellanti, spese che appare equo quantificare, a cagione della particolarità e complessità della controversia, in euro quattromila complessivi (euro 4.000/00), oltre oneri accessori, se dovuti; le spese vengono compensate nei riguardi della cooperativa, non costituita nel presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e dispone che sia attivato il procedimento previsto dall’art. 42 bis del testo unico sugli espropri, per l’emanazione del relativo provvedimento finale discrezionale, che si pronunci o per l’acquisizione delle aree o per la loro restituzione.
Condanna il Comune di (omissis) al pagamento, a favore degli appellanti, delle spese di giudizio che liquida in complessivi euro 4.000,00 (quattromila), oltre accessori come legge se dovuti; le compensa quanto alla Cooperativa non costituita.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 28 ottobre 2020 convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Emanuela Loria – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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