Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 5 giugno 2020, n. 3587.
La massima estrapolata:
L’art. 31 t.u. nell’individuare i soggetti colpiti dalle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell’abuso, considera quale soggetto passivo dell’ordine di demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta. Pertanto, affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell’ordine di demolizione, non occorre stabilire se egli sia responsabile dell’abuso, poiché la stessa disposizione si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all’esecuzione dell’ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento di una qualche sua responsabilità.
Sentenza 5 giugno 2020, n. 3587
Data udienza 28 maggio 2020
Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Ordine di demolizione – Soggetti colpiti da misure repressive – Art. 31 tu edilizia – Soggetto passivo – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 38 e 60 cod. proc. amm.
sul ricorso numero di registro generale 1064 del 2020, proposto da
Vi. Af. e Fi. Ca., rappresentati e difesi dall’avvocato Ma. La., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Roma Capitale, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda Bis n. 10753/2019, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Cons. Francesco De Luca nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2020 svoltasi, ai sensi dell’art. 84 comma 5, del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.”;
1. Con determinazione dirigenziale n. CS/65499/2018 del 21 giugno 2018 Roma Capitale ha ingiunto agli odierni appellanti, in qualità di comproprietari non responsabili, la rimozione o la demolizione di opere abusive risalenti al momento dell’edificazione, realizzate in Roma, via Costanzo Guglielmi – ricadente in zona Città della trasformazione, Ambiti a pianificazione particolareggiata definita, Strumenti di attuazione zona O (Recupero Urbanistico), Piano Particolareggiato di esecuzione del nucleo n. 13 Montespaccato del vigente PRG -, tradottesi nel cambio di destinazione d’uso da locali tecnici/servizi (destinati “a lavatoio, stenditoio stamponato coperto, locale per alloggio serbatoio solare e batterie fotovoltaiche”) a destinazione residenziale, in difformità essenziale rispetto ai tioli autorizzatori rilasciati.
2. Con ricorso dinnanzi al Tar Lazio, Roma, gli odierni appellanti hanno impugnato il provvedimento comunale n. CS/65499/2018 cit., chiedendone l’annullamento, previa sospensione dell’esecuzione.
Nella ricostruzione dei fatti di causa, i ricorrenti hanno allegato di avere acquistato come prima casa dalla società costruttrice, nello stato di diritto e di fatto in cui si trovava, l’appartamento oggetto dell’ordinanza comunale, ricevendo dall’alienante la garanzia in ordine all’assenza di opere di trasformazione o mutamento che avrebbero richiesto il rilascio di ulteriori provvedimenti edilizi.
Il provvedimento comunale, ordinando il ripristino o la demolizione delle opere abusive nei confronti dei comproprietari non responsabili, secondo la prospettazione dei ricorrenti, avrebbe dovuto ritenersi illegittimo “per eccesso di potere e contraddittorietà della P.A. nella emanazione del provvedimento opposto per l’omessa indicazione e conseguente notificazione della Determina al responsabile dell’abuso”, nonché “per eccesso di potere e contraddittorietà della P.A. nella previsione della consequenzialità nell’applicazione di sanzioni in caso di inottemperanza all’ingiunzione di demolizione”.
Alla stregua di quanto censurato in ricorso, la posizione del proprietario non responsabile avrebbe dovuto ritenersi neutra rispetto alle sanzioni (previste dal d.P.R. n. 380 del 2001) “e, segnatamente, rispetto all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime sulla quale insiste il bene, quando risulti, in modo inequivocabile, la completa estraneità del proprietario stesso al compimento dell’opera abusiva o che (ma non è il caso di specie), essendone venuto a conoscenza, si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento” (pag. 3 ricorso); l’acquisizione gratuita dell’area, in particolare, avrebbe dovuto ritenersi una sanzione autonoma conseguente all’inottemperanza dell’ingiunzione, gravante soltanto sul responsabile dell’abuso, non potendo incidere sulla sfera giuridica del proprietario non responsabile.
Il provvedimento impugnato avrebbe, dunque, dovuto ritenersi illegittimo, “perché da una parte non indica chi sia il responsabile dell’abuso obbligato alla rimozione; dall’altra è pure illegittima perché, nonostante i coniugi Af. vengano sempre identificati come proprietari non responsabili dell’abuso, considera l’ordinanza di acquisizione quale atto meramente consequenziale rispetto all’omesso ripristino entro 90 gg dalla notifica dell’ingiunzione” (pag. 4 ricorso).
3. Roma Capitale si è costituita in giudizio, al fine di resistere al ricorso.
4. Il Tar ha rigettato il ricorso, rilevando:
– preliminarmente, che l’ordinanza di demolizione andava indirizzata anche al Soggetto responsabile dell’abuso edilizio e che, in caso di inottemperanza alla stessa, l’Amministrazione non avrebbe potuto procedere all’acquisizione dell’opera e dell’area di sedime in danno dei ricorrenti, quali proprietari non responsabili dell’abuso medesimo, ex artt.31 del D.P.R n. 380 del 2001 e 15 della L.R. n. 15 del 2008;
– in ogni caso, che il provvedimento impugnato si traduceva in una misura di carattere oggettivo e ripristinatorio, con onere di esecuzione incombente sui proprietari, quali soggetti che dispongono materialmente del bene e dunque del potere in concreto di ripristinare lo stato preesistente.
5. I ricorrenti hanno proposto appello, censurando l’erroneità della decisione assunta dal Tar, per: “1- Violazione e errata applicazione di legge -art. 29 TUE- in merito all’omessa notificazione al responsabile dell’abuso della Determina Dirigenziale impugnata; contraddittorietà per la dichiarata completezza del contraddittorio e dell’istruttoria; 2- Errata equiparazione ex artt. 29 e 31 TUE tra responsabile dell’abuso e proprietario incolpevole ai fini dell’irrogazione delle sanzioni pecuniarie e per le spese in danno per il caso di demolizione; 3- Errata applicazione di legge in merito al combinato disposto degli artt. 29 e 31 TUE per violazione del principio di sussidiarietà tra responsabile dell’abuso ed acquirente incolpevole”.
Le parti appellanti hanno, altresì, proposto un’istanza di sospensione “dell’esecuzione dell’atto impugnato”, deducendo la sussistenza, altresì, di un pregiudizio grave e irreparabile, derivante dalla demolizione dell’edificio di proprietà .
6. La causa è stata trattenuta in decisione alla camera di consiglio del 25 maggio 2020.
7. La causa può essere decisa con sentenza in forma semplificata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 38 c.p.a., 60 c.p.a. e 84, comma 5, D.L. 17 marzo 2020, n. 18 conv. in L. 24 aprile 2020, n. 27, secondo cui “Successivamente al 15 aprile 2020 e fino al 31 luglio 2020, in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati, ferma restando la possibilità di definizione del giudizio ai sensi dell’articolo 60 del codice del processo amministrativo, omesso ogni avviso”.
8. Le parti appellanti, premesso che, nelle more, Roma Capitale con determinazioni notificate il 21 ottobre 2019 (n. CS/102130/2019) e il 9 dicembre 2019 (n. CS/102121/2019) ha ingiunto la demolizione d’ufficio e la sanzione di Euro 2.000,00, contestano l’erroneità della sentenza di primo grado, per avere il Tar escluso che l’omessa notificazione del provvedimento di demolizione nei confronti del responsabile dell’abuso non determinasse l’illegittimità della relativa determina comunale, assunta nei soli confronti dei comproprietari non responsabili.
Difatti, la mancata notificazione della determina di demolizione anche al responsabile dell’abuso, in violazione degli artt. 29 e 31 DPR n. 380/01, da un lato, avrebbe impedito la valida costituzione del contraddittorio, dall’altro, esporrebbe il proprietario non responsabile alle sanzioni pecuniarie e alle spese per l’esecuzione in danno per la demolizione, mandando quindi indenne il responsabile dell’abuso.
Anche questo Consiglio avrebbe ritenuto che l’autore dell’abuso edilizio sia tenuto alle spese per l’esecuzione in danno in caso di demolizione delle opere realizzate, salvo che dimostri di non essere responsabile dell’abuso; nonché che il proprietario non responsabile sia titolare di situazioni giuridiche passive di tipo sussidiario, consistenti in un pati (non potendosi opporre alla demolizione di quanto abusivamente realizzato) ed in obblighi di collaborazione attiva al fine del ripristino.
Siffatti obblighi, tuttavia, avrebbero un fondamento diverso rispetto al corrispondente obbligo posto a carico dei responsabili dell’abuso, sicché la cooperazione alla rimozione all’abuso non potrebbe “tradursi in una corresponsabilità o in una posizione di garanzia a favore dei responsabili dell’illecito quando si tratti di agire materialmente sull’immobile o di dover corrispondere una somma di danaro in aggiunta o in sostituzione della demolizione a titolo di sanzione pecuniaria e/o di risarcimento del danno derivato dalla demolizione” (pag. 9 appello).
9. L’appello è infondato.
9.1 Preliminarmente, giova delimitare l’oggetto del presente giudizio.
Le ricorrenti hanno impugnato in primo grado, chiedendone l’annullamento, la “Determina Dirigenziale prot. n. CS/65499/2018 del 21/06/2018 notificata a mezzo posta il 28 gennaio 2018”; parimenti, nel ricorrere dinnanzi a questo Consiglio, gli appellanti hanno chiesto, nel merito, che, in riforma della sentenza impugnata, venga accolta l’impugnazione, e, per l’effetto, venga dichiarata “la nullità e la illegittimità della determinazione dirigenziale n. CS/65499/2018 del 21/06/2018”.
Pertanto, non rientrano nell’oggetto del presente giudizio i provvedimenti assunti da Roma Capitale, notificati il 21 ottobre 2019 (n. CS/102130/2019) e il 9 dicembre 2019 (n. CS/102121/2019) – aventi ad oggetto la demolizione d’ufficio delle opere abusive e l’applicazione di una sanzione pecuniaria per Euro 2.000,00 -, trattandosi di atti non investiti della domanda proposta dalle parti appellanti.
Peraltro, si è in presenza di provvedimenti successivi alla pubblicazione sentenza impugnata, che, pertanto, non avrebbero potuto comunque essere compresi nel thema decidendum del giudizio di appello, suscettibile di essere ampliato rispetto all’oggetto del giudizio di primo grado soltanto “qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati” (art. 104, comma 3, c.p.a.) e, pertanto, soltanto per la deduzione di nuove censure contro i medesimi atti già impugnati in prime cure (cfr. Consiglio di Giustizia Amministrativa, 4 gennaio 2019, n. 4, secondo cui “La previsione codicistica vigente ammette, pertanto, i motivi aggiunti in grado d’appello al solo fine di consentire di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado (evenienza nella quale non ci si trova tanto in presenza di una “domanda nuova”, quando di un’articolazione addizionale della domanda già proposta in primo grado), e non anche nella diversa ipotesi in cui con essi si intendano impugnare nuovi atti sopravvenuti alla sentenza di prime cure…”).
Non rientra nell’oggetto del presente giudizio neanche la legittimità dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale – in caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione – dell’immobile interessato dalle opere abusive, tenuto conto che, da un lato, la stessa Amministrazione comunale ha negato che nella specie possa prodursi l’effetto acquisitivo in danno degli appellanti (nota prot. CS/44012 del 19.4.2019 prodotta in primo grado in data 22 maggio 2019), dall’altro, il Tar ha rilevato che “l’Amministrazione non potrà procedere all’acquisizione dell’opera e dell’area di sedime in danno dei ricorrenti, quali proprietari non responsabili dell’abuso medesimo, ex artt.31 del D.P.R n. 380 del 2001 e 15 della L.R. n. 15 del 2008”; capo di sentenza idoneo a produrre un effetto conformativo nei confronti dell’Amministrazione, non censurato nel presente giudizio.
La questione dedotta nell’atto di appello concerne, dunque, la legittimità di un’ordinanza di demolizione, emessa e notificata nei confronti del solo proprietario, senza l’intimazione del responsabile dell’abuso: difatti, a giudizio delle parti appellanti, l’ordine di demolizione emesso nei soli confronti del proprietario, in assenza di ingiunzione al responsabile dell’abuso, sarebbe illegittimo e comunque dovrebbe applicarsi il principio di sussidiarietà tra autore dell’abuso e proprietario non responsabile, tale per cui il proprietario incolpevole potrebbe essere destinatario dell’ordine di demolizione “solo per il caso di inadempimento del responsabile ed in via sussidiaria” (pag. 8 appello).
9.2 Nel caso di specie, come emergente dalla determina di demolizione, gli odierni appellanti hanno ricevuto la notificazione del provvedimento comunale in qualità di comproprietari non responsabili, in relazione ad abusi risalenti al momento dell’edificazione dell’unità immobiliare, che soltanto successivamente alla sua realizzazione è stata acquistata dai ricorrenti con atto del 17.2.2014 (allegato 2 al ricorso in primo grado).
Non risulta, invece, che l’Amministrazione abbia notificato l’ordinanza di demolizione al responsabile dell’abuso, né, a fortiori, emerge un inadempimento del responsabile dell’abuso rispetto all’eventuale ordine di demolizione impartito dall’ente resistente.
In subiecta materia, questo Consiglio ha evidenziato che “l’art. 31 t.u., nell’individuare i soggetti colpiti dalle misure repressive nel proprietario e nel responsabile dell’abuso, considera quale soggetto passivo dell’ordine di demolizione il soggetto che ha il potere di rimuovere concretamente l’abuso, potere che compete indubbiamente al proprietario, anche se non responsabile in via diretta. Pertanto, affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell’ordine di demolizione, non occorre stabilire se egli sia responsabile dell’abuso, poiché la stessa disposizione si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all’esecuzione dell’ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento di una qualche sua responsabilità (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 luglio 2017, n. 3789; sez. IV, 19 ottobre 2017 n. 4837)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 19 aprile 2018, n. 2364).
Ai sensi dell’art. 31, comma 2, D.P.R. n. 380/01, in particolare, la legittimazione passiva in relazione all’ordine di demolizione deve essere riconosciuta in via autonoma in capo al proprietario e al responsabile dell’illecito edilizio, non potendo ritenersi che l’omessa notificazione del provvedimento ingiuntivo nei confronti del responsabile dell’abuso osti all’adozione del medesimo ordine (di demolizione) a carico del proprietario non responsabile.
Difatti:
– avuto riguardo al dato letterale, l’art. 31, comma 2, D.P.R. n. 380 cit. prevede che la demolizione o la rimozione deve essere ordinata “al proprietario e al responsabile dell’abuso”, ponendo i due soggetti sul medesimo piano, entrambi passivamente legittimati, in via principale, all’esecuzione delle misure ripristinatorie ingiunte dall’Amministrazione comunale; il dato positivo non consente, dunque, di configurare rapporti di dipendenza tra la posizione del proprietario e la posizione del responsabile dell’abuso – tali per cui al primo possa essere validamente impartito l’ordine di demolizione soltanto in via sussidiaria rispetto al secondo – bensì imputa in capo ad entrambi i soggetti un’autonoma legittimazione a ricevere ed eseguire il provvedimento ingiuntivo;
– anche l’interpretazione teleologica depone per l’autonomia, sul piano dei rapporti amministrativi con l’ente comunale procedente, delle posizioni del responsabile dell’abuso e del proprietario, tenuto conto che la sanzione demolitoria non assume una finalità punitiva, non presupponendo l’accertamento della responsabilità dell’illecito, ma soltanto l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia.
In particolare, l’ordine di demolizione, atteggiandosi quale sanzione reale e tendendo, sotto un profilo oggettivo, a ripristinare il regolare sviluppo ed assetto del territorio, deve essere emessa nei confronti di chi sia titolare di un collegamento qualificato con il bene, idoneo a permettere un intervento sulla res funzionale alla concreta rimozione dell’abuso; siffatto collegamento può certamente essere riscontrato anche in capo al proprietario, pure se non responsabile in via diretta, a condizione che sia nella disponibilità del bene abusivo e, quindi, possa concretamente attivarsi per il ripristino dello stato dei luoghi.
Pertanto, “affinché il proprietario di una costruzione abusiva possa essere destinatario dell’ordine di demolizione, non occorre stabilire se egli sia responsabile dell’abuso, poiché la stessa disposizione si limita a prevedere la legittimazione passiva del proprietario non responsabile all’esecuzione dell’ordine di demolizione, senza richiedere l’effettivo accertamento di una qualche sua responsabilità ” (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 13 gennaio 2020, n. 300 e Consiglio di Stato, sez. II, 12 settembre 2019, n. 6147)
Al riguardo, deve, inoltre, rilevarsi che, quando questo Consiglio ha qualificato la posizione del proprietario in termini sussidiari, non ha inteso escludere la legittimità di un ordine di demolizione emesso nei confronti del proprietario non responsabile in assenza di analoga ingiunzione rivolta al responsabile dell’abuso, bensì ha precisato la necessità di una verifica volta ad accertare non soltanto la mera titolarità giuridica del bene abusivo, ma anche la sua disponibilità materiale in capo al proprietario, non potendo ordinarsi la demolizione nei confronti del proprietario non responsabile che sia impossibilitato ad attivarsi concretamente per garantire l’esecuzione del provvedimento ingiuntivo.
In particolare, secondo quanto precisato da Consiglio di Stato, sez. VI, 10 luglio 2017, n. 3391 – pronuncia richiamata a fondamento dell’appello – “In tale contesto si inseriscono, poi, le previsioni degli articoli 31 del DPR n. 380/2001 e dell’articolo 15 della citata legge regionale che prevedono, in caso di lavori abusivi, l’ingiunzione di demolizione al responsabile dell’abuso ed al proprietario.
Orbene, quest’ultimo assume logicamente una responsabilità di tipo “sussidiario”, nel senso cioè che, pur quando egli non sia responsabile dell’abuso, è tenuto a dare esecuzione all’ordine di demolizione solo quando ciò sia per lo stesso materialmente possibile.
Il perseguimento dell’interesse pubblico urbanistico è, invero, interesse pubblico di carattere preminente e, dunque, l’ordinamento vuole che la legalità violata sia ripristinata anche dal proprietario.
Tanto discende anche dalla natura “reale” dell’illecito e della sanzione urbanistica, i quali sono riferibili alla res abusiva e, dunque, il ripristino dell’equilibrio urbanistico violato viene a fare carico anche sul proprietario.
Nulla quaestio nel caso in cui egli sia soggetto connivente, ma nel caso in cui lo stesso non risulti responsabile dell’abuso né sia nella disponibilità e nel possesso del bene, risulta evidente che l’ordine non può produrre effetti nei suoi confronti se non quando egli ne riacquisti la disponibilità e il possesso e, dunque, sia nella materiale possibilità di dare corso all’esecuzione dell’ordine demolitorio”.
Ne deriva, dunque, che la locuzione “sussidiario”, riguardante la responsabilità del proprietario per illeciti edilizi imputabili a terzi, è stata utilizzata nella sentenza n. 3391/17 cit. “nel senso cioè che, pur quando egli non sia responsabile dell’abuso, è tenuto a dare esecuzione all’ordine di demolizione solo quando ciò sia per lo stesso materialmente possibile”; a conferma di come, perché possa essere emessa un’ordinanza di demolizione nei confronti del proprietario non responsabile, occorre soltanto accertare che lo stesso sia nelle condizioni materiali per potere intervenire concretamente sulla res abusiva, onde ripristinare il regolare sviluppo ed assetto del territorio, mediante l’esecuzione dell’ordine comunale. Non può, invece, sostenersi, come ritenuto dagli appellanti, l’illegittimità dell’ordinanza di demolizione in caso di “mancata notifica del provvedimento sanzionatorio dapprima ai responsabili dell’abusi” (pag. 8 appello).
Per l’effetto – ferma rimanendo l’autonoma legittimazione passiva del responsabile dell’abuso (a ricevere l’ordine di demolizione) -, non può ritenersi causa di illegittimità dell’ordinanza di demolizione la sua emissione nei soli confronti del proprietario non responsabile, ove lo stesso sia comunque in condizione di attivarsi tempestivamente per l’esecuzione dell’ingiunzione impartita dall’Amministrazione procedente.
L’autonomia delle posizioni ascrivibili in capo al proprietario e al responsabile, difatti, non consente al primo di denunciare l’illegittimità del provvedimento ingiuntivo emesso nei propri confronti, deducendo vizi afferenti alla posizione del secondo; eventuali inadempienze riscontrabili nei rapporti tra proprietario incolpevole e responsabile dell’illecito dovranno, invece, essere oggetto dei rimedi all’uopo azionabili ai sensi dell’ordinamento civilistico.
Al riguardo, questo Consiglio ha rilevato che “Il nuovo acquirente dell’immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al precedente proprietario e relativi al bene ceduto, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo l’abuso commesso prima della traslazione della proprietà (cfr. Consiglio di Stato, VI, n. 3210 del 2017; V, n. 40 del 2007).
Rimane salva, naturalmente, come il Comune appellato non manca di rilevare, la facoltà di rivalsa del privato sul dante causa.
Opinare diversamente consentirebbe di eludere in modo agevole la normativa edilizia, a danno del territorio e della collettività locale” (Consiglio di Stato, sez. VI, 28 luglio 2017, n. 3789).
L’assenza di responsabilità in ordine alla commissione dell’illecito edilizio deve, invece, essere valutata dall’Amministrazione ai fini dell’irrogazione di altre sanzioni, autonome rispetto alla demolizione, aventi natura afflittiva (e, quindi, non meramente ripristinatoria a carattere reale) e, come tali, non applicabili nei confronti del proprietario non responsabile di alcuna condotta illecita.
Il presente giudizio verte, tuttavia, come osservato supra, esclusivamente sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione, oggetto della domanda di parte, non essendo, invece, comprese nel thema decidendum questioni afferenti all’acquisizione del bene abusivo al patrimonio comunale (nella specie, peraltro, negata dalla stessa Amministrazione resistente) o all’applicazione di sanzioni pecuniarie, nel caso concreto pure assunte da Roma Capitale, ma con provvedimenti successivi alla sentenza di prime cure, non oggetto di espressa impugnazione in giudizio e comunque non censurabili per la prima volta in appello.
9.3 Alla stregua delle considerazioni svolte, emerge l’infondatezza dell’appello.
Nel caso di specie:
– da un lato, le parti appellanti non deducono di essere state nell’impossibilità materiale di intervenire sulla res abusiva, per eseguire la rimozione o la demolizione ingiunta da Roma Capitale, essendosi limitate a lamentare la necessità che l’ordine di demolizione venisse emesso anche nei confronti del responsabile dell’abuso;
– dall’altro, emerge, comunque, che gli appellanti sono titolari della piena proprietà dell’unità immobiliare interessata dall’abuso (cfr. atto di acquisto allegato sub doc. 2 al ricorso in primo grado), ragion per cui deve ritenersi che gli stessi fossero nella disponibilità materiale del bene, ai fini dell’ottemperanza dell’ordine ingiuntivo.
Il provvedimento impugnato in primo grado risulta, pertanto, immune dai vizi di legittimità dedotti dalle parti appellanti, in quanto emesso nei confronti dei comproprietari nella disponibilità materiale del bene, come tali, passivamente legittimati a ricevere l’ordine di demolizione.
Né i ricorrenti possono fondatamente denunciare l’illegittimità della determina censurata dinnanzi al Tar, in ragione della mancata notificazione del medesimo ordine di demolizione nei confronti del responsabile dell’abuso.
Come osservato, ai fini dell’adozione dell’ordine di demolizione, il proprietario e il responsabile dell’illecito sono titolari di posizioni autonome nei confronti dell’Amministrazione comunale, sicché l’uno non può denunciare l’illegittimità del provvedimento ingiuntivo emesso nei propri confronti, deducendo vizi afferenti alla posizione altrui. Pertanto, il proprietario non responsabile non può sottrarsi all’esecuzione dell’ordine di demolizione, invocando la mancata notificazione dello stesso ordine nei confronti del responsabile dell’abuso.
Non può, infine, ritenersi che così statuendo il responsabile dell’abuso “andrebbe sempre indenne da ogni responsabilità potendo continuare a costruire abusivamente sapendo che pagherà sempre l’acquirente incolpevole” (pag. 8 appello).
Come osservato, la responsabilità in ordine alla commissione dell’abuso, benché non possa essere invocata con riguardo all’ordine di demolizione -risultando il proprietario non responsabile passivamente legittimato, in via principale e autonoma, rispetto al relativo provvedimento ripristinatorio-, rileva, tuttavia, sia in ambito civilistico, potendo il proprietario agire nei confronti del responsabile dell’abuso, facendo valere eventuali condotte inadempienti o comunque illecite allo stesso ascrivibili; sia in ambito amministrativo, qualora debba farsi luogo all’applicazione di sanzioni afflittive, implicanti un accertamento di responsabilità ai fini della loro irrogazione.
10. Il rigetto dell’appello e la mancata costituzione in giudizio della parte appellata esimono il Collegio dal pronunciare sulle spese di lite.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Nulla per le spese in ragione della mancata costituzione della parte appellata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 84 comma 6, del D.L. n. 18 del 17 marzo 2020, conv. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, attraverso l’utilizzo di piattaforma “Mi. Te.”, con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Andrea Pannone – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Francesco De Luca – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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