L’amministrazione può tener conto delle risultanze emerse nel procedimento penale anche se si sia concluso con il proscioglimento dell’imputato

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 23 marzo 2020, n. 2041.

La massima estrapolata:

In sede disciplinare, l’amministrazione può legittimamente tener conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alla luce del principio di economicità del procedimento, ma a condizione che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare;
ciò, peraltro, può valere anche nel caso in cui il processo penale si sia concluso con il proscioglimento dell’imputato, a fortiori se determinato dall’estinzione del reato per prescrizione, atteso che “uno stesso comportamento del militare mentre, in sede penale, può essere valutato in maniera tale da giustificare una sentenza di proscioglimento, in sede disciplinare, può essere, viceversa, qualificato dall’Amministrazione competente come illecito disciplinare.

Sentenza 23 marzo 2020, n. 2041

Data udienza 5 marzo 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8599 del 2017, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Mi. Ca., An. Fe. e Fr. Ma., con domicilio eletto presso lo studio Fr. Ma. in Roma, piazza (…);
contro
il Ministero dell’economia e delle finanze e la Guardia di finanza, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, con domicilio ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Guardia di Finanza;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 marzo 2020 il consigliere Alessandro Verrico e uditi per le parti l’avvocato Fr. Ma. e l’avvocato dello Stato Vi. Ce.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. per il Piemonte (R.G. n. -OMISSIS-), l’odierno appellante, appuntato scelto della Guardia di finanza, impugnava la determina dirigenziale prot. n. 30175/15 in data 3 febbraio 2015, con la quale il Comando interregionale nord occidentale della Guardia di finanza, a seguito di condanna penale, aveva disposto nei suoi confronti la rimozione dal grado e lo aveva posto a disposizione del Centro documentale competente come semplice soldato, a decorrere dal 22 aprile 2008.
2. Il T.a.r. Piemonte, dopo aver respinto la domanda cautelare con l’ordinanza n. -OMISSIS-, con la sentenza n. -OMISSIS- ha respinto il ricorso e ha compensato tra le parti le spese del giudizio. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che:
a) non vi sia stata violazione del principio di proporzionalità della sanzione, in quanto un comportamento quale quello tenuto dal ricorrente (uso, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti) riveste una oggettiva gravità se posto in essere da un appartenente alle Forze dell’Ordine e considerato inoltre che il ricorrente non ha smentito i fatti, tra cui l’uso di cocaina per un periodo continuato di circa due mesi e mezzo o tre, con una frequenza settimanale;
b) un comportamento quale quello tenuto dal ricorrente incide negativamente sull’immagine del Corpo, poiché, indipendentemente dalla diffusione all’esterno della notizia, i fatti sono idonei a generare, all’interno ed all’esterno dell’ambiente di lavoro, un clima di sfiducia e sospetto su tutto il Corpo.
3. Il ricorrente originario ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente accoglimento integrale del ricorso di primo grado. In particolare, l’appellante ha sostenuto le seguenti censure in tal modo rubricate:
i) “Invalidità e/o inesistenza e/o nullità e/o annullabilità e/o inefficacia e/o revocabilità della sentenza impugnata. Vizio di motivazione per omessa pronuncia sui vizi del provvedimento impugnato dedotti nel ricorso giurisdizionale di primo grado e, segnatamente, sulla illegittimità e/o invalidità e/o annullabilità ex art. 21 octies, legge 7 agosto 1990, n. 241, sull’eccesso di potere nell’accezione di difetto di istruttoria, sulla manifesta irragionevolezza della valutazione dei fatti aventi incidenza sulla valutazione conclusiva, sulla violazione di legge per assenza di motivazione (l. 241/1990 e/o D.P.R. 461/2001) e sulla violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità “;
ii) “Invalidità e/o inesistenza e/o nullità e/o annullabilità e/o inefficacia e/o revocabilità della sentenza impugnata. Vizio di motivazione e violazione di legge per non avere ritenuto illegittimo e, per l’effetto, annullabile un provvedimento amministrativo affetto da eccesso di potere nell’accezione di difetto di istruttoria, manifesta irragionevolezza della valutazione dei fatti tali da incidere sulla valutazione conclusiva, violazione dei principi di diritto in tema di ragionevolezza e proporzionalità della sanzione ed idoneità dei fatti ad arrecare un danno all’immagine dell’amministrazione”.
3.1. Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze e della Guardia di Finanza, i quali con nota depositata in data 3 febbraio 2020 si sono opposti all’appello e ne hanno chiesto il rigetto.
3.2. Con memoria di replica depositata il 13 febbraio 2020 l’appellante ha insistito nelle censure dedotte ed ha eccepito la tardività della produzione documentale effettuata dalla difesa erariale in data 30 gennaio 2020 in asserita violazione del termine perentorio di 40 giorni sancito art. 73 c.p.a.
4. All’udienza del 5 marzo 2020 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
6. In via preliminare, il Collegio:
a) rileva l’infondatezza dell’eccezione di tardività – sollevata dalla difesa appellante con replica del 13 febbraio 2020 – a cagione della produzione documentale effettuata dalla difesa erariale in data 30 gennaio 2020, atteso che essa ha ad oggetto documenti già presenti nel fascicolo d’ufficio, nuovamente prodotti solo per agevolare l’esame della controversia;
b) esamina direttamente i motivi di censura sollevati nel primo grado del giudizio, essendo gli stessi sostanzialmente e criticamente ribaditi nella presente sede di gravame e costituendo il perimetro invalicabile del thema decidendum ex art. 104 c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 5868 del 2015).
7. Preliminarmente all’esame del merito della controversia, il Collegio intende premettere la seguente ricostruzione dei fatti posti alla base della sanzione impugnata:
i) il Tribunale ordinario di Torino, con la sentenza n. 3910 in data 17 settembre 2009, avendo accertato che l’appellante, oltre a tenere contatti con pregiudicati, dediti alla droga e al traffico, assumeva cocaina e acquistava ovuli per fornirli ad altra persona, dichiarava il militare colpevole del reato di cui all’art. 73 del d.P.R. n. 309/90 e lo condannava alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 5.000,00 di multa;
ii) la Corte d’appello di Torino in data 23 maggio 2013 riformava in punto di pena la pronuncia di primo grado, condannando l’appellante a mesi otto di reclusione ed euro 3.000,00 di multa;
iii) in data 2 aprile 2014 la sentenza d’appello veniva confermata dalla Corte di cassazione che giudicava inammissibile il ricorso proposto dal militare;
iv) in data 11 luglio 2014 veniva aperta nei confronti dell’odierno appellante un’inchiesta da parte del Comando regionale, in relazione ai fatti oggetto del procedimento penale;
v) la Commissione di disciplina, in data 4 novembre 2014, pronunciava il giudizio di non meritevolezza a conservare il grado di appuntato scelto;
vi) il Comando interregionale dell’Italia nord occidentale, con il provvedimento prot. n. 30175/15 in data 3 febbraio 2015, disponeva nei suoi confronti la perdita di grado per rimozione, con conseguente messa a disposizione del Centro documentale competente come semplice soldato, a decorrere dal 22 aprile 2008.
7. Ciò premesso, va rilevato che il ricorrente lamenta l’eccesso di potere nell’accezione del difetto di istruttoria, manifesta irragionevolezza della valutazione di fatti tali da incidere sulla valutazione conclusiva e violazione di legge per assenza di motivazione. In particolare, a suo avviso, dovrebbe essere prestata massima attenzione a:
a) la circostanza che il comportamento contestato al ricorrente attenga esclusivamente alla vita personale del medesimo, trattandosi di episodio avvenuto al di fuori del servizio;
b) il notevole lasso temporale intercorso tra i fatti addebitati al ricorrente e l’irrogazione della sanzione di perdita del grado per rimozione (otto anni);
c) il comportamento tenuto dal ricorrente anteriormente e successivamente ai fatti contestati.
I provvedimenti impugnati sarebbero pertanto illegittimi sia sotto il profilo della proporzionalità della sanzione della rimozione di grado che dal punto di vista dell’idoneità dei fatti compiuti ad arrecare un danno all’immagine del Corpo della Guardia di finanza. In particolare:
a) l’assenza di un automatismo della sanzione di perdita del grado per rimozione nei confronti degli appartenenti al Corpo della Guardia di finanza deve essere desunta dalla circostanza per cui, per analoga infrazione commessa da appartenenti alla Polizia di Stato, l’art. 6, c. 3, d.P.R. n. 737/1981 prevede espressamente, quale sanzione, la mera sospensione dal servizio;
b) quanto al pregiudizio all’immagine dell’Amministrazione, diversamente da quanto sostenuto dal primo giudice, il ricorrente deduce che l’episodio contestato al ricorrente, oltre ad essere isolato, ha riguardato esclusivamente la sua vita personale ed è rimasto privo di risonanza mediatica.
9. Le censure, che in quanto strettamente connesse possono essere trattate unitariamente, non sono meritevoli di accoglimento.
9.1. Il Collegio precisa in primo luogo che per costante giurisprudenza (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 21 gennaio 2020, n. 484; sez. IV, 15 gennaio 2020, n. 381):
a) “la valutazione in ordine alla gravità dei fatti addebitati in relazione all’applicazione di una sanzione disciplinare, costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, non sindacabile in via generale dal giudice della legittimità, salvo che in ipotesi di eccesso di potere, nelle sue varie forme sintomatiche, quali la manifesta illogicità, la manifesta irragionevolezza, l’evidente sproporzionalità e il travisamento. In particolare, le norme relative al procedimento disciplinare sono necessariamente comprensive di diverse ipotesi e, pertanto, spetta all’Amministrazione, in sede di formazione del provvedimento sanzionatorio, stabilire il rapporto tra l’infrazione e il fatto, il quale assume rilevanza disciplinare in base ad un apprezzamento di larga discrezionalità ” (Cons. Stato, sez. VI, 20 aprile 2017, n. 1858; conf. id., sez. III, 5 giugno 2015, n. 2791; sez. VI, 16 aprile 2015, n. 1968; sez. III, 20 marzo 2015, n. 1537);
b) in sede disciplinare, l’amministrazione può legittimamente tener conto delle risultanze emerse nelle varie fasi del pregresso procedimento penale, sì da evitare ulteriori accertamenti istruttori alla luce del principio di economicità del procedimento, ma a condizione che di tali risultanze sia autonomamente valutata la rilevanza in chiave disciplinare (Cons. Stato, Sez. IV, 10 agosto 2007, n. 4392);
c) ciò, peraltro, può valere anche nel caso in cui il processo penale si sia concluso con il proscioglimento dell’imputato, a fortiori se determinato dall’estinzione del reato per prescrizione, atteso che “uno stesso comportamento del militare mentre, in sede penale, può essere valutato in maniera tale da giustificare una sentenza di proscioglimento, in sede disciplinare, può essere, viceversa, qualificato dall’Amministrazione competente come illecito disciplinare” (Cons. Stato, sez. IV, 26 novembre 2015, n. 5367).
9.2. Ciò premesso in termini generali, il Collegio, in relazione alla fattispecie in esame, rileva che l’Amministrazione nel corso del procedimento disciplinare che ha condotto all’irrogazione dell’impugnata sanzione provvedeva a valutare congruamente i fatti addebitabili al carabiniere, non limitandosi a richiamare le motivazioni del procedimento penale.
Esulano, pertanto, vizi di motivazione ed istruttoria nell’operato amministrativo: il provvedimento, infatti, è stato preceduto da approfondita istruttoria e corredato da congrua, logica e coerente motivazione, come è dimostrato dal fatto che:
a) è stata accertata la condotta denotata da rilevante gravità (acquisto e consumo della sostanza stupefacente), a cui si associa l’ammissione dell’assunzione della sostanza per “tre mesi, due mesi e mezzo tre mesi”;
b) sono stati richiamati, ad ulteriore conferma della commissione di tali fatti, i verbali di udienza redatti nel corso del dibattimento penale e le sentenze n. 1932/2013 della Corte d’appello di Torino e n. 454/2014 della Corte di cassazione, sez. VI penale;
c) sono state esaminate le giustificazioni addotte dal militare in sede di Commissione di disciplina, ritenendole tuttavia non in grado di sminuire le gravi responsabilità ;
d) è stata apprezzata la gravità della condotta, perché contraria ai doveri di correttezza, fedeltà, lealtà e rettitudine assunti con il giuramento prestato, perché ha arrecato disdoro all’immagine e al prestigio del Corpo e perché ha ingenerato dubbi sulla correttezza degli appartenenti ad esso.
9.3. In conclusione, l’Amministrazione, oltre ad utilizzare le risultanze istruttorie della sede penale quali elementi fattuali idonei a supportare il giudizio disciplinare, valutandone la rilevanza in tale diversa prospettiva, analizzava la complessiva condotta tenuta dal carabiniere nell’episodio contestato.
9.4. Risulta assente inoltre il lamentato difetto di proporzionalità della sanzione irrogata, in quanto la natura e la gravità dei fatti addebitabili al militare denotano l’assoluta mancanza dell’etica professionale del senso morale e dell’onore, che devono essere dimostrati dal pubblico dipendente nello svolgimento del servizio d’istituto.
Le condotte addebitate all’appellante si pongono invero in totale spregio dei doveri assunti con il giuramento e sono tali da pregiudicare irrimediabilmente il rapporto fiduciario con l’Amministrazione, dovendo al riguardo essere tenuti in considerazione i superiori interessi pubblici, nonché le aspettative riposte dall’Amministrazione e dal consorzio civile in ogni operatore. Del resto, a fronte della gravità dei fatti addebitati non assumono particolare rilievo dirimente i precedenti di carriera dell’interessato, che non inducono a considerare manifestamente sproporzionata o irragionevole la sanzione irrogata.
Peraltro, occorre evidenziare che la giurisprudenza consolidata (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, n. 1086 del 2017) ha più volte affermato i seguenti principi:
– l’ampia discrezionalità dell’Amministrazione militare in punto di individuazione e, eventualmente, dosimetria della sanzione, sindacabile in sede giurisdizionale solo ab externo in casi di manifesta irrazionalità, insostenibile illogicità, palese arbitrarietà ;
– l’assunzione di sostanza stupefacente da parte di un appartenente ad un Corpo di polizia (ad ordinamento sia civile sia militare) dello Stato, come tale preposto, tra l’altro, proprio alla repressione della diffusione e dello spaccio di sostanza stupefacente, costituisce, a prescindere da ogni altra considerazione circa i precedenti di servizio dell’incolpato (nella specie, peraltro, prima facie tutt’altro che eccezionalmente positivi), una condotta frontalmente confliggente con i doveri del ruolo ed oggettivamente incompatibile con la prospettica prosecuzione nel servizio; tanto anche in presenza di un episodio isolato di assunzione di sostanza stupefacente, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (cfr., fra le tante, Cons. Stato, Sez. IV, n. 413 del 2017; Sez. III, n. 3371 del 2011 [quest’ultima relativa a due assunzioni di stupefacente da parte di un appartenente alla P.S. in un ristretto contesto temporale]; Sez. IV, n. 2458 del 2010);
– oltretutto, l’assunzione di sostanza stupefacente passa necessariamente attraverso il contatto con almeno uno spacciatore, ossia con un soggetto colto in flagranza di delitto che, ai sensi dell’art. 380 c.p.p., un militare della Guardia di finanza sarebbe stato ex lege tenuto ad arrestare;
– il rispetto del giuramento è vieppiù cogente – e la relativa violazione ancor più inescusabile – per i militari della Guardia di finanza, chiamati ad essere di esempio, sia fuori che all’interno del Corpo, anche mediante la pratica quotidiana dei valori di rigore morale, di rispetto delle leggi e dei regolamenti interni, di forza caratteriale che permeano, caratterizzano e qualificano il Corpo;
Pertanto, l’analisi dei precedenti giurisprudenziali, che questo Collegio intende condividere, conduce ad affermare che la destituzione è legalmente inflitta in presenza anche di un solo isolato episodio di assunzione di sostanza stupefacente e dunque a fortiori al cospetto di una condotta di acquisto, cessione e consumo dello stupefacente, come verificatosi nella fattispecie.
10. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.
11. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
12. Il Collegio rileva che l’infondatezza del ricorso in appello si fonda su ragioni manifeste in modo da integrare i presupposti applicativi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. secondo l’interpretazione che ne è stata data dalla giurisprudenza di questo Consiglio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 1234 del 2020; Sez. IV, 2205 del 2018; n. 2879 del 2017; 5497 del 2016, cui si rinvia ai sensi dell’art. 88, comma 2, lettera d), c.p.a. anche in ordine alle modalità applicative ed alla determinazione della sanzione), conformemente ai principi elaborati dalla Corte di cassazione (cfr. Sez. VI, n. 11939 del 2017; n. 22150 del 2016).
A tanto consegue il pagamento della sanzione nella misura di Euro 2.000,00.
13. La condanna dell’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a. rileva, infine, anche agli effetti di cui all’art. 2, comma 2-quinquies, lettere a) e d), della legge 24 marzo 2001, nr. 89, come da ultimo modificato dalla legge 28 dicembre 2015, n. 208.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunziando in merito all’appello R.G. n. 8599/2017 in epigrafe, così provvede:
a) respinge l’appello e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;
b) condanna l’appellante alla rifusione delle spese di lite in favore della parte appellata, che liquida nella misura di Euro 5.000,00, oltre accessori come per legge;
c) condanna, altresì, l’appellante, ai sensi dell’art. 26, comma 2, c.p.a., al pagamento della somma di Euro 2.000,00 (duemila) da versare secondo le modalità di cui all’art. 15 disp. att. c.p.a., mandando alla Segreteria per i conseguenti adempimenti;
d) manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 5 marzo 2020, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Daniela Di Carlo – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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