Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 31 agosto 2020, n. 5315.
La massima estrapolata:
L’acquiescenza ad un provvedimento amministrativo sussiste solo nel caso in cui ci si trovi in presenza di atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, posti liberamente in essere dal destinatario dell’atto, che dimostrino la chiara ed incondizionata volontà dello stesso di accettarne gli effetti e l’operatività.
Sentenza 31 agosto 2020, n. 5315
Data udienza 7 luglio 2020
Tag – parola chiave: Provvedimento amministrativo – Acquiescenza – Configurabilità – Ipotesi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6801 del 2010, proposto dal Ministero della difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…),
contro
la signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Orazio Abbamonte e Michele Dulvi Corcione, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Or. Ab. in Roma, via (…),
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’erogazione di trattamento forfettario di missione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della signora -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 7 luglio 2020, il Cons. Carla Ciuffetti, dati per presenti i difensori delle parti, ai sensi dell’articolo 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito in legge 24 aprile 2020, n. 27;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La vicenda che occupa riguarda la richiesta dell’odierna parte appellata di poter fruire, ai fini della partecipazione ad un corso fuori sede, di un trattamento forfettario di missione, data l’esigenza di procurarsi un alloggio che le consentisse l’accudimento del figlio, di un anno di età, durante i mesi di durata del corso. Autorizzato tale trattamento di missione con atto dell’Amministrazione, in data 31 luglio 2009, l’interessata aveva preso in locazione un appartamento. In seguito, la medesima Amministrazione, con determinazione in data 20 novembre 2009, comunicava all’interessata la revisione della precedente determinazione, avendo individuato una soluzione alloggiativa meno onerosa rispetto alla corresponsione di detto trattamento integrato, presso la quale l’interessata avrebbe dovuto recarsi. Quest’ultima rispondeva a tale comunicazione manifestando disponibilità alla nuova soluzione, ma con la precisazione che si dovessero intendere a carico dell’Amministrazione le spese contrattuali per il recesso senza preavviso dal contratto di locazione. L’Amministrazione ribadiva che l’appellata avrebbe dovuto trasferirsi nella struttura prevista dalla nuova soluzione alloggiativa. La medesima appellata, con atto in data 28 novembre 2009 – evidenziata la necessità di disporre di un alloggio idoneo alla cura del bambino, necessità cui la soluzione individuata dall’Amministrazione non rispondeva -, chiedeva all’odierna parte appellante di annullare l’atto in data 20 novembre 2009. L’Amministrazione replicava, con atto in data 7 dicembre 2009, confermando la scelta alloggiativa già comunicata.
2. Pertanto, l’interessata impugnava davanti al Tar gli atti dell’Amministrazione in data 20 novembre 2009 e 7 dicembre 2009, censurando la contraddittorietà tra l’autorizzazione del trattamento forfettario di missione e l’atto di revisione di tale autorizzazione, essendo fra l’altro quest’ultimo privo di adeguata motivazione in merito “al superamento dell’affidamento ingenerato”.
3. Il Tar ha accolto il ricorso, dopo aver rilevato che il provvedimento di autorizzazione del trattamento integrato di missione aveva “un ampio supporto motivazionale”, che aveva ingenerato un “consistente” affidamento della ricorrente. Tale supporto motivazionale, incentrato sulla ratio dell’art. 14 del d.P.R. n. 171/2007, che non consente l’invio del personale con figli minori di tre anni in missione fuori sede senza il consenso dell’interessato, era sostanziato dalla “particolare importanza del bene da tutelare (‘cura e serenità del bambino e della famiglia militarè )” e dalla “salvaguardia dei diversi interessi coinvolti nella fattispecie”, questioni delle quali la determinazione in data 20 novembre 2009 non dava alcun conto, risultando incentrata solo sull’opportunità di pervenire ad una soluzione alloggiativa atta a ridurre gli oneri economici a carico dell’Amministrazione.
4. Con il presente appello, l’Amministrazione ha preliminarmente riproposto l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado, già presentata dinanzi al Tar, che su di essa non si era pronunciato, deducendo l’acquiescenza “che la ricorrente ha – di fatto – prestato al provvedimento di modifica del regime di missione” per la dichiarata volontà di “dare esecuzione all’ordine nei termini comunicatile”. Inoltre, l’Amministrazione ha evidenziato che, dopo l’autorizzazione del trattamento forfettario di missione rilasciata all’interessata, erano pervenute ulteriori richieste da parte di altri soggetti interessati: poiché il loro accoglimento sarebbe stato troppo oneroso, l’Amministrazione aveva individuato una nuova soluzione alloggiativa, resa nota all’interessata con la determinazione in data 20 novembre 2009, che coniugava il principio di economicità e di buon andamento dell’azione amministrativa con le esigenze di cura del minore. Perciò, erroneamente il primo giudice avrebbe ravvisato una contraddittorietà tra l’atto di autorizzazione del trattamento forfettario di missione e la successiva determinazione di revisione del medesimo. Poiché la determinazione in data 20 novembre 2009 era riconducibile al principio di autotutela e consentiva di alloggiare il minore senza alcun peggioramento rispetto alla precedente sistemazione, non poteva ritenersi leso l’affidamento dell’interessata e non potevano imputarsi all’Amministrazione le scelte con cui la stessa interessata – cui era nota l’eventualità che la durata della missione potesse essere modificata a seconda delle prioritarie esigenze della Forza Armata di appartenenza – aveva ritenuto di assumere obbligazioni di natura civilistica.
5. Il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e vada respinto.
5.1. Non può ascriversi alla nota in data 20 novembre 2009, con cui l’interessata aveva dichiarato “la volontà a dare esecuzione al successivo ordine di servizio” una valenza di acquiescenza e di tacita rinuncia ad una successiva impugnazione. Come rilevato anche da questa Sezione “l’acquiescenza ad un provvedimento amministrativo sussiste solo nel caso in cui ci si trovi in presenza di atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, posti liberamente in essere dal destinatario dell’atto, che dimostrino la chiara ed incondizionata volontà dello stesso di accettarne gli effetti e l’operatività (cfr., ex multis, Consiglio di Stato, sez. IV, 6 agosto 2013, n. 4140; Consiglio di Stato, sez. V, 27 novembre 2012, n. 5966; id., 25 agosto 2011, n. 4805)” (Cons. Stato, sez. II, 24 giugno 2020, n. 4047). Ebbene, nella fattispecie, la dichiarazione dell’interessata dell’intenzione di dare seguito alla determinazione in data 20 novembre 2009 era stata accompagnata dall’esplicita condizione della presa in carico da parte dell’Amministrazione – che sul punto non si era poi pronunciata -, delle spese conseguenti al recesso senza preavviso dal contratto di locazione. Pertanto, la suddetta dichiarazione non sostanziava alcuna implicita e preventiva rinuncia all’impugnazione della richiamata determinazione, cui deve ritenersi che l’interessata non abbia prestato incondizionata acquiescenza.
5.2. Il Collegio condivide la conclusione del primo giudice in ordine alla contraddittorietà tra l’atto in data 31 luglio 2009, con cui si concedeva il trattamento integrato di missione, e la determinazione in data 20 novembre 2009 di revisione di detto trattamento. Il primo atto evidenziava “il favor legis in favore della maternità, tale da superare anche le problematiche economiche del trattamento di missione”, nonché la sussistenza delle condizioni affinché, “superando ogni oggettiva difficoltà “, l’interessata potesse fruire del regime forfettario di missione. Nel secondo atto non si riscontra alcuna motivazione in ordine alla perdurante coerenza del suddetto favor legis con le nuove condizioni alloggiative cui l’interessata avrebbe dovuto conformarsi, né alcun bilanciamento tra le esigenze di “cura e di serenità del bambino” cui il primo atto si riferiva e le istanze di economicità dell’azione amministrativa richiamate dal secondo atto. Quest’ultimo, in quanto espressione di autotutela, come esplicitamente affermato dalla stessa parte appellante, avrebbe dovuto esser congruamente motivato: sia con riferimento alle esigenze di interesse pubblico sopravvenute rispetto alla precedente autorizzazione del trattamento forfettario di missione; sia con riferimento all’affidamento suscitato nell’interessata in merito al mantenimento di tale trattamento, affidamento che rende rilevante nella fattispecie – a differenza di quanto ritenuto dall’Amministrazione appellante – l’assunzione da parte della medesima interessata delle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione. Invece, la determinazione in data 20 novembre 2009 si limita ad evidenziare la natura eccezionale dell’autorizzazione già rilasciata, in considerazione sia dell’indisponibilità di un alloggio da parte dell’Amministrazione, sia del fatto che “la presenza di un solo caso poteva far ritenere economicamente sostenibile tale decisione da parte dell’Amministrazione”: queste circostanze paiono entrambe non idonee a sostanziare una congrua motivazione della determinazione in data 20 novembre, che risulta adottata solo allo scopo di contenere gli oneri finanziari che sarebbero derivati dalle richieste di altri militari, in mancanza di una tempestiva individuazione da parte dell’Amministrazione, prima dell’inizio del corso di formazione, di idonee soluzioni alloggiative.
Per quanto sopra esposto, l’appello deve essere rigettato e la sentenza impugnata deve essere confermata.
Il regolamento delle spese processuali, liquidate nel dispositivo, segue la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’Amministrazione alla rifusione in favore della parte appellata delle spese del secondo grado del giudizio, liquidate in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00), oltre alle maggiorazioni di legge, se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità della parte appellata.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2020, convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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