La Soprintendenza non può sottrarsi all’esame della concreta fattispecie sottoposta al suo scrutinio semplicemente evidenziando che le opere non rientrano nella casistica prevista dall’articolo 167, comma 4, lettere a) e c) del decreto legislativo n. 42 del 2004, in quanto avrebbero comportato la realizzazione di volume ex novo, con conseguente incremento della volumetria legittima. La Soprintendenza avrebbe dovuto procedere alla sua valutazione in concreto e postuma di compatibilità paesaggistica.
Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 13 maggio 2016, n. 1945
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4497 del 2013, proposto da:
Lu. Ia., rappresentato e difeso dall’avvocato Fr. Sa. Es., con domicilio eletto presso Ma. La. in Roma, Via (…)
contro
Soprintendenza Beni Architettonici e Paesaggistici e Patrimonio Storico Artistico e Etno. Napoli e Prov., Ministero Per i Beni e Le Attività Culturali, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, 12; Comune di (omissis);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE VII n. 04805/2012, resa tra le parti, concernente parere di non compatibilità paesaggistica
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali e della Soprintendenza;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 aprile 2016 il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Es. e l’avvocato dello Stato An. Fe.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Ia. Lu., proprietario di un immobile ad uso abitativo a (omissis), impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Campania 26 novembre 2012 n. 4805 che ha respinto il ricorso dallo stesso proposto avverso la nota n. 14640 del 2014 della Soprintendenza ai beni archeologici e paesaggistici di Napoli e provincia con cui è stato espresso parere negativo nel procedimento di sanatoria paesaggistica di alcune opere edilizie realizzate sine titulo e di poi oggetto di domanda di sanatoria ai sensi dell’art. 36 d.P.R. n. 380 del 2001 e, ai fini paesaggistici, dell’art. 167 del d.lgs n. 42 del 2004 (recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio).
In particolare, il parere contrario della competente Soprintendente è maturato in relazione alla non modificabilità della falda del tetto, inciso da un abbaìno abusivamente realizzato nonchè dalla natura dell’intervento edilizio, ascrivibile alla categoria della ristrutturazione e non della manutenzione straordinaria.
L’appellante insiste nel reiterare i motivi di primo grado, a suo dire erroneamente disattesi dal giudice di prime cure, evidenziando la natura di vano tecnico riferibile all’abbaìno (di appena 2 mc) realizzato per la migliore illuminazione del sottotetto in occasione della sua riqualificazione edilizia regolarmente denunciata all’autorità comunale.
Insiste pertanto per l’accoglimento, con l’appello, del ricorso di primo grado, con consequenziale annullamento degli atti in quella sede gravati.
L’appellante ha prodotto memoria illustrativa in vista dell’udienza di discussione.
All’udienza pubblica del 28 aprile 2016 il ricorso è stato trattenuto per la sentenza.
2.- L’appello è fondato e va accolto.
3.- La questione centrale da dirimere attiene alla legittimità del provvedimento soprintendentizio gravato in primo grado, col quale l’autorità preposta alla tutela vincolo paesaggistico si è negativamente determinata, nel procedimento di cui all’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, riguardo alla sanatoria paesaggistica di un piccolo intervento edilizio realizzato dal ricorrente nel vano sottotetto.
In particolare, le ragioni del diniego si sono appuntate sulla impossibilità di accordare il provvedimento favorevole a fronte di nuove volumetrie e superfici realizzate dall’odierno appellante nella costruzione di un modesto abbaìno (che si sviluppa su una superficie di circa 4,40 mq ed occupa un volume d’ingombro di circa 2 mc), funzionale a dare luce al vano sottotetto.
4.- Il Collegio è del parere che nei casi, come quello in esame, in cui l’opera nuova rientra nella nozione del vano tecnico, e cioè dello spazio fisico privo di autonomia funzionale ma meramente servente e pertinenziale rispetto ad una costruzione principale, l’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico, chiamata a pronunciarsi in sede di cd sanatoria paesaggistica, debba valutare la compatibilità dell’intervento con i valori paesaggistici espressi dal decreto di vincolo, senza poter opporre in senso ostativo alla stessa ammissibilità di detta valutazione l’intervenuta realizzazione di nuove superfici e nuovi volumi (cfr., in termini, Cons. St.,VI, n. 5932 del 2014).
In linea preliminare, occorre muovere dalla rilevazione del contenuto dell’art. 167 (Ordine di rimessione in pristino o di versamento di indennità pecuniaria) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, il cui comma 4 prevede che l’autorità amministrativa competente accerta la compatibilità paesaggistica, secondo le procedure di cui al comma 5, nei casi indicati (per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica; per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380); il comma 5 consente al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al comma 4 di presentare apposita domanda all’autorità preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilità paesaggistica degli interventi medesimi che, qualora venga accertata, comporta il pagamento di una indennità pecuniaria equivalente al maggiore importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione.
La Soprintendenza non può tuttavia sottrarsi all’esame della concreta fattispecie sottoposta al suo scrutinio semplicemente evidenziando che le opere non rientrano nella casistica prevista dall’articolo 167, comma 4, lettere a) e c) del decreto legislativo n. 42 del 2004, in quanto avrebbero comportato la realizzazione di volume ex novo, con conseguente incremento della volumetria legittima.
Non appare dubitabile in punto di fatto che in termini edilizi ed urbanistici – vale a dire, secondo il linguaggio ed i parametri che, seppure incongruamente rispetto al contesto, usa l’art. 167 – l’abbaìno di cui si controverte sia un volume tecnico, perché servente rispetto al vano sottotetto (avendo la sola funzione di darvi aria e luce).
Ne consegue che, proprio per il detto rinvio alle categorie evocate dalla disposizione, la Soprintendenza avrebbe dovuto non già dichiarare l’intervento senz’altro non rientrante nelle fattispecie dell’art. 167, bensì procedere alla sua valutazione in concreto e postuma di compatibilità paesaggistica. Sarebbe stato cioè necessario, data la natura di volume tecnico, procedere a un concreto accertamento di compatibilità paesaggistica, con una valutazione effettiva e concreta rispetto ai valori tutelati (cfr. in tali sensi Cons. St., VI, n. 5932 del 2014).
5.- Non può dunque essere condiviso l’assunto dell’Amministrazione fondato su una non condivisibile corrispondenza tra l’ambito urbanistico e quello della tutela paesaggistica in ordine alla nozione di “volume tecnico”, laddove invece l’introduzione legislativa di concetti quali “superfici utili” o “volumi”, in un ambito normativo che attiene solo e soltanto alla tutela del paesaggio non può che aver riferimento, per l’appunto, “a quelle superfici utili o a quei volumi idonei ad apportare una modificazione alla realtà preesistente, tale da arrecare un “vulnus” agli interessi superiori di tutela del paesaggio”.
L’impostazione, che fonda sulla separatezza delle nozioni tecniche di “superfici utili” e “volumi tecnici” a seconda della loro diversa applicazione nel campo urbanistico o in ambito paesaggistico nel quale ogni modificazione alla realtà preesistente determina “di per sé vulnus” agli interessi superiori di tutela del paesaggio, non è suscettibile di condivisione.
In realtà, le nozioni tecniche in questione non sono specificate dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma solo dalle normative sulle costruzioni (in via esemplificativa e non esaustiva, circolare del Ministero dei lavori pubblici 23 luglio 1960, n. 1820; artt. 5 e 6 d.m. 2 agosto 1969; art. 3 d.m. 10 maggio 1977; art. 1 d.m. 26 aprile 1991; art. 6 d.m. 5 agosto 1994), dove la superficie utile (SU) coincide -in estrema sintesi- con l’area abitabile (superficie di pavimento degli alloggi misurata al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre, di eventuali scale interne, di logge e balconi) mentre per superficie accessoria (SA) si intendono le parti dell’edificio destinate ad accessori e servizi (cantine, locali tecnologici, vano ascensore e scale, terrazze, balconi, logge e quant’altro).
A sua volta il volume degli edifici, espresso in metri cubi vuoto per pieno, è costituito dalla sommatoria della superficie delimitata dal perimetro esterno dei vari piani per le relative altezze effettive misurate da pavimento a pavimento del solaio sovrastante; il volume tecnico si riferisce alle opere edilizie a servizio dell’edificio, che hanno una funzione strumentale, anche se necessariamente essenziale, in relazione all’uso della costruzione principale, senza assumere il carattere di vani chiusi utilizzabili a fini abitativi.
Dunque, come già ritenuto da questa Sezione del Consiglio di Stato (Sez. VI, 31 marzo 2014, n. 1512), “la nozione di ‘volume tecnicò, non computabile nella volumetria ai fini in questione, corrisponde a un’opera priva di qualsivoglia autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché è destinata a solo contenere, senza possibilità di alternative e comunque per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali della medesima. In sostanza, si tratta di impianti necessari per l’utilizzo dell’abitazione che non possono essere in alcun modo ubicati all’interno di questa, come possono essere -e sempre in difetto dell’alternativa- quelli connessi alla condotta idrica, termica o all’ascensore e simili, i quali si risolvono in semplici interventi di trasformazione senza generare aumento alcuno di carico territoriale o di impatto visivo”.
Quindi non può essere ipotizzato – nella locuzione “superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente autorizzati” – un’accezione in termini atecnici o eccedenti il loro significato specialistico, per giungere senz’altro alla conclusione di un’astratta preclusione normativa rispetto a una valutazione che va invece ragionevolmente espressa in funzione della essenzialità dell’abbaìno di che trattasi, in modo da porlo in concreta ed effettiva relazione (avuto riguardo anche alle sue modeste dimensioni), ai fini del successivo giudizio di compatabilità paesaggistica, rispetto al contesto paesaggistico tutelato.
Né da ultimo appare condivisibile quanto osservato dal Tar a proposito della mancata allegazione, da parte dell’interessato, di elementi probatori da cui desumere la compatibilità paesaggistica dell’intervento, trattandosi di valutazione riservata all’autorità preposta alla tutela del vincolo, senza possibilità alcuna di inversione dell’onere dimostrativo (in definitiva, è l’Autorità che deve dimostrare l’eventuale incompatibilità dell’intervento edilizio con i valori paesaggistici dei luoghi e non il privato a comprovare in positivo la compatibilità).
6.-Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va accolto e, in riforma della impugnata sentenza ed in accoglimento del ricorso di primo grado, va disposto l’annullamento dell’atto gravato in prime cure.
7.- Quanto alle spese del doppio grado di giudizio, ricorrono giusti motivi per far luogo alla loro compensazione tra le parti, tenuto conto della particolarità della vicenda trattata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe (RG n. 4497/13) lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, annulla il provvedimento in primo grado impugnato.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2016 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere, Estensore
Dante D’Alessio – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Depositata in Segreteria il 13 maggio 2016.
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