Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 4 febbraio 2020, n. 904.
La massima estrapolata:
La sanatoria di cui all’art. 38 del T.U. Edilizia è equiparata al rilascio di un permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 dello stesso T.U. e quindi deve ritenersi soggetta alla regola della cd doppia conformità.
Sentenza 4 febbraio 2020, n. 904
Data udienza 16 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8134 del 2013, proposto da Da. Ci., rappresentato e difeso dall’avvocato Le. Pa., con domicilio eletto presso lo studio Ce. Sa. in Roma, largo (…);
contro
De Ge. An. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Ro. Pr., con domicilio eletto presso lo studio Giuliano Bologna in Roma, via (…);
ed altri non costituito in giudizio;
nei confronti
Comune di Benevento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Eu. Ca., con domicilio eletto presso lo studio Antonio D’Aloia in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Terza n. 03799/2013, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Benevento ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2020 il Cons. Roberto Proietti e uditi per le parti l’avvocato Ma. Ba. su delega dell’avv. Le. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso RG. n. 6410/2009, proposto dinanzi al TAR per la Campania, An. De Ge., in proprio e quale genitore esercente la potestà sui figli minori De Ge. Walter e De Ge. Laura, in quanto, rispettivamente, usufruttuario e nudi proprietari di immobili confinanti con il terreno del controinteressato Da. Ci., hanno chiesto l’annullamento del permesso di costruire n. 593/2006, dell’autorizzazione unica n. 21/2006, nonché della DIA in variante (prot. n. 3879/2007) rilasciati al Ci. dal Comune di Benevento, per la costruzione di un opificio per la produzione e la commercializzazione di tende da sole ed altro, con annessi uffici e servizi, in località (omissis).
Con un primo atto di motivi aggiunti, i ricorrenti hanno impugnato anche il permesso di costruire “in variante” n. 1631/2010 e mediante un secondo ricorso per motivi aggiunti hanno chiesto l’annullamento del permesso di costruire n. 2114/2012, concesso ai sensi dell’articolo 38 del D.P.R. n. 380/2001.
Con sentenza n. 3799/2013, il TAR per la Campania ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso introduttivo del giudizio e i primi motivi aggiunti, in quanto i titoli edilizi con essi contestati sono stati sostituiti dal permesso di costruire n. 2114/2012, mentre ha accolto il ricorso recante i secondi motivi aggiunti, annullando proprio tale ultimo permesso di costruire.
Avverso tale sentenza, Ci. Da. ha proposto appello (rubricato al n. R.G. 8134/2013) dinanzi al Consiglio di Stato, deducendo, con un unico motivo di ricorso, l’erroneità delle sentenza impugnata in relazione al corretto inquadramento della natura dell’attività da espletarsi nell’immobile oggetto del permesso di costruire n. 2114/2012 e alle caratteristiche dell’edificio medesimo.
Gli appellati, An. De Ge., in proprio e quale genitore esercente la potestà sul figlio minore De Ge. Wa. e La. De Ge., costituitisi in giudizio, hanno controdedotto alle censure proposte dall’appellante, chiedendo il rigetto dell’appello.
Il Comune di Benevento, costituitosi in giudizio, ha sostenuto le ragioni della parte appellante, chiedendo l’accoglimento dell’appello.
Con ordinanza n. 4713/2013, è stata respinta l’istanza cautelare proposta dall’appellante.
All’udienza del 16 gennaio 2020 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
1. Il Collegio rileva, preliminarmente, che il Comune di Benevento ha rilasciato alla Ditta Ci. il permesso di costruire n. 593/2006 ed il provvedimento unico SUAP n. 21/2006 per la costruzione di un opificio – da destinare alla produzione e alla commercializzazione di tende da sole ed altro, con annessi uffici e servizi, in località (omissis) – da realizzarsi nel fondo di proprietà dell’odierno appellante, individuato alle particelle (omissis), (omissis) e (omissis) del foglio n. (omissis) del catasto terreni, della consistenza rispettivamente, di 2310 mq., 2630 mq e 60 mq..
Il progetto originario prevedeva la realizzazione di un unico corpo di fabbrica lungo circa 72 metri, largo 12,5 metri, che si articola per la parte destinata a uffici e servizi (della dimensione di 13,3 m. x 20,80 m.) su 3 livelli di cui uno interrato, per la parte produttiva (12,5 m. x 51,5 m.) su due livelli di cui uno seminterrato. Il tutto per una volumetria complessiva di 6.534 mc..
Il progetto si fondava sui seguenti presupposti: 1) che l’area nella quale ricade il manufatto è collocata per 4.100 mq. in zona artigianale – commerciale e per 900 mq. in fascia di rispetto stradale; 2) che i volumi realizzabili secondo l’indice fondiario applicato, sono pari a 10.250 mc. (4.100 mq. x 2,5 mc./mq).
In data 12.10.2007, la Ditta Ci. ha presentato al Comune una DIA in variante (prot. n. 3879/2007).
A seguito della nota prot. n. 20401/2009 a firma dell’Ing. De Ge. – odierno appellato -, l’Amministrazione comunale ha sospeso la validità del permesso di costruire n. 593/2006 e della DIA in variante del 2007, ordinando la sospensione dei lavori.
Tali titoli edilizi sono stati impugnati dagli originari ricorrenti dinanzi al TAR per la Campania, con ricorso RG. n. 6410/2009.
Successivamente, la Ditta Ci. ha presentato una DIA consistente in una variante riduttiva rispetto al precedente progetto, al fine di eliminare le motivazioni che avevano portato alla sospensione dei titoli autorizzatori e di tenere conto dell’effettiva superficie del fondo che ricadeva in zona artigianale-commerciale.
In data 13 ottobre 2009, l’odierno appellante ha presentato un’istanza affinché la DIA venisse considerata come richiesta di permesso di costruire (nota prot. n. 3725/2009).
In data 15 giugno 2010, è stato rilasciato il permesso di costruire n. 1631 in relazione ad un progetto avente ad oggetto sempre un opificio rettangolare (72,5 m. x 12,5 circa) da adibire alla “produzione e la commercializzazione di tende da sole ed altro, con annessi uffici e servizi”, diviso in due corpi A e B: A (20,5 m. x 13.3 m.) articolato su tre livelli di cui uno completamente interrato e B (51,5 x 12,5), su due livelli di cui uno seminterrato (dotato di un’altezza di 4,5 metri). Alla fine del seminterrato figura nei grafici di progetto una pensilina di notevoli dimensioni, la cui copertura consiste nel solaio del piano terra, utilizzata come da relazione per le “operazioni di carico e scarico” delle merci. Parte delle strutture a servizio del manufatto (il serbatoio GPL, la fossa biologica, la vasca di accumulo e la centrale termica) sono collocate nella zona agricola. Il tutto per una volumetria complessiva di 4.779 mc..
I ricorrenti in primo grado hanno impugnato, con un primo atto di motivi aggiunti, anche il permesso di costruire n. 1631/2010.
Ciò ha indotto l’Amministrazione comunale ad adottare un nuovo provvedimento di sospensione dei lavori (ordinanza n. 153 del 26 ottobre 2010) ed, infine, ad annullare in autotutela il permesso di costruire in questione con provvedimento n. 224 del 3 gennaio 2011.
A fronte di ciò, Ci. Da. ha formulato una richiesta di permesso di costruire “ai sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001 al fine di ripristinare la legittimità degli interventi realizzati in base ai provvedimenti annullati”.
Il Comune di Benevento, in riscontro alla suddetta richiesta, ha rilasciato in data 21 settembre 2012 il permesso di costruire n. 2114, contestato mediante il secondo ricorso per motivi aggiunti proposto dai ricorrenti in primo grado.
Il progetto assentito con tale ultimo titolo edilizio, secondo quanto illustrato nella relazione tecnica di accompagnamento, prevede la realizzazione sempre di un edificio rettangolare lungo circa 72 metri e largo 12,5 metri che si sviluppa in due corpi: il primo A, su 3 livelli, di cui uno completamente interrato adibito a deposito, il secondo B su due livelli di cui uno seminterrato adibito a parcheggio. In particolare, le due zone interrate, ossia il deposito e l’area di parcheggio, sono separate da un “vuoto tecnico”. Il tutto per una volumetria complessiva di 7.066,07 mc. considerata possibile alla luce dell’applicazione, questa volta, dell’indice fondiario (2.400 mq. x 3,0 mc./mq. = 7.200 mc. di volumetrie realizzabili).
2. Come rappresentato nella precedente parte in fatto, con sentenza n. 3799/2013, il TAR per la Campania ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso introduttivo del giudizio e i primi motivi aggiunti (in quanto i titoli edilizi con essi contestati sono stati sostituiti dal permesso di costruire n. 2114/2012) ed ha accolto il ricorso recante i secondi motivi aggiunti, annullando proprio tale ultimo permesso di costruire.
3. Avverso tale sentenza, l’interessato ha proposto appello contestando, sotto un primo profilo, l’asserita erronea valutazione, da parte del giudice di primo grado, dell’incompatibilità del fabbricato (assentito con permesso di costruire n. 2114/2012) con la destinazione della zona a) del P.R.G. del 1986.
Secondo l’appellante, il giudice di primo grado, pur avendo correttamente rilevato che, in base al P.R.G. del 1986 (come variato nel 1990), la zona a) – ove ricadono 2.400,00 mq. del terreno di proprietà del Ci. – è destinata “ad esclusivo uso commerciale e a servizi”, ha concluso per l’incompatibilità con tale destinazione di insediamenti che “per caratteristiche e dimensioni” non sono artigianali e commerciali.
In sostanza, la sentenza impugnata sarebbe illegittima laddove il giudice di primo grado avrebbe attribuito al fabbricato in questione la destinazione ad uso industriale, valorizzando solo le caratteristiche e le dimensioni dell’immobile.
Sotto altro profilo, l’appellante si duole della sentenza impugnata nella parte in cui il TAR per la Campania ha affermato che “nonostante tutte le modifiche apportate al progetto in corso d’opera (…) non sia mai mutata la natura dell’attività proposta dal Ci. che consiste nella produzione e commercializzazione di tende da sole e altri prodotti”.
Invero, parte appellante sostiene che l’attività ivi svolta è sempre stata qualificata come
artigianale-commerciale e ciò sarebbe dimostrato: a) dal fatto che la Ditta Ci. ha solo requisiti per l’espletamento di un’attività artigianale, essendo iscritta alla CC.I.A.A. di Benevento al n. 16510 dell’Albo Artigiani; b) la Ditta Ci. ha richiesto un finanziamento Artigiancassa, inoperante per le opere industriali.
Pertanto, secondo l’appellante, il giudice di primo grado non si sarebbe avveduto del fatto che il fabbricato (oggetto del permesso di costruire annullato con la decisione impugnata) sarebbe destinato allo svolgimento di un’attività prevalentemente commerciale di prodotti artigianali, solo assemblati in sito. Il progetto allegato all’istanza di permesso di costruire dimostrerebbe la destinazione artigianale e commerciale del fabbricato in parola, in quanto prevede un’area di vendita, un deposito ove si effettua anche l’assemblaggio dei pezzi in funzione della richiesta, un’area a parcheggio e un alloggio nella misura del 10% della volumetria realizzabile.
Inoltre, l’appellante afferma l’erroneità della sentenza impugnata laddove il TAR per la Campania ha così statuito: “Si tratta, dunque, di un’attività che non può definirsi puramente artigianale in quanto fondata sull’impiego di molti macchinari (del resto nella relazione ai fini delle emissioni sonore, allegata all’ultimo progetto, si parla chiaramente di un “ciclo produttivo” il che contrasta con la vocazione prevalentemente commerciale dichiarata)”.
Tale statuizione è contestata in quanto, l’utilizzo di una cucitrice, di un trapano e di un tassellatore non può essere definito come “impiego di molti macchinari”. costituendo questi strumenti il minimum per l’assemblaggio di tende e zanzariere.
Infine, l’appellante censura la sentenza di primo grado nella parte in cui è stata ritenuta inconferente, nel caso di specie, l’applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001, atteso che l’ultimo permesso di costruire n. 2114/2012 sarebbe stato rilasciato in violazione della normativa urbanistica al momento vigente.
L’appellante afferma che l’articolo 38 del D.P.R. n. 380/2001 prevede la possibilità per l’Amministrazione di riesaminare, su istanza del privato, il precedente titolo autorizzativo, emendato dai vizi che hanno reso necessario il suo annullamento, onde verificare la possibilità di conservare il manufatto nel rispetto delle norme vigenti. Nel caso di specie, dunque, l’articolo 38 del D.P.R. n. 380/2001 sarebbe stato legittimamente applicato dall’Amministrazione comunale, che ha rilasciato, ai sensi del citato articolo 38, il permesso di costruire n. 2114/2012 solo una volta accertato che, con la nuova proposta progettuale, erano stati rimossi i vizi che avevano comportato l’annullamento del precedente titolo edilizio.
4. Il Collegio ritiene che il ricorso in appello sia infondato e debba essere respinto, per le ragioni che seguono.
4.1. Il P.R.G. del 1986 (da prendere in considerazione nel caso di specie) come modificato con la variante del 1990, avente ad oggetto la razionalizzazione delle aree industriali, riserva una porzione delle stesse ad attrezzature produttive artigianali, commerciali, turistiche e relativi servizi (zone artigianali e commerciali).
La zona destinata ad attività commerciali ed artigianali è stata ulteriormente suddivisa in zona a) e b). In particolare, la zona a) – ove ricadono i 2.400 mq. del terreno del Ci. – è riservata “ad esclusivo uso commerciale ed a servizi” (cfr. NTA della variante al PRG del 1990).
Ciò premesso, il TAR per la Campania ha correttamente ravvisato un vizio di difetto di istruttoria (censurato dalla parte ricorrente in primo grado) nel procedimento amministrativo conclusosi con il rilascio del permesso di costruire n. 2114/2012, posto che dalla documentazione versata in atti non emergono elementi sufficienti ad individuare la natura dell’attività da svolgersi nel fabbricato assentito.
Dall’esame dei documenti depositati in giudizio si evince che il Ci. ha provveduto a rimuovere tutti gli elementi ostativi che avevano, a suo tempo, portato all’annullamento dei precedenti titoli autorizzatori. In particolare: è stato attivato il procedimento previsto dall’articolo 25 del D.lgs. n. 112/98 e succ.; è stato acquisito il parere favorevole del Comando dei Vigili del Fuoco (avente ad oggetto la conformità del progetto al D.M. 27/07/2010 e al D.M.14/05/2004 e ss.mm.ii.); sono state previste aree di parcheggio soddisfacenti gli standards normativi; sono stati realizzati gli impianti funzionali all’edificio; è stato ottenuto il parere sanitario favorevole dell’ASL Benevento 1.
Tuttavia, le suesposte integrazioni documentali e modifiche progettuali non hanno chiarito la natura dell’attività da svolgersi nel fabbricato in oggetto, nonostante questo profilo fosse stato denunciato come assolutamente carente dai ricorrenti di primo grado.
Pertanto, è condivisibile il ragionamento del TAR per la Campania che, in assenza di elementi idonei ad accertare la natura dell’attività da svolgersi, ha ritenuto fondato il difetto di istruttoria, considerato che l’Amministrazione procedente non risulta aver acquisito e adeguatamente valutato tutti gli elementi necessari per giungere alla conclusione che l’intervento richiesto dal Ci. fosse in linea con la destinazione urbanistica della zona.
Infatti, nella nota prot n. 66099/2011 dello Sportello Unico per l’Edilizia, Settore Urbanistica, del Comune di Benevento, datata 14.12.2011, è dato leggere: “Per quanto riguarda la destinazione d’uso dell’edificio la Commissione Edilizia si è già espressa (…) in particolare non si ravvede nella tipologia della destinazione d’uso un processo lavorativo vero e proprio, bensì un assemblaggio di prodotti finiti destinati alla vendita”.
Da ciò si evince, come anche rilevato dal giudice di primo grado, che l’Amministrazione si è limitata ad affermare la natura artigianale-commerciale dell’insediamento produttivo con riferimento alla distribuzione dei locali (tra area commerciale e assemblaggio), senza compiere alcun approfondimento in concreto.
4.2. Alla luce delle considerazioni che precedono, non coglie nel segno il rilievo dell’appellante, secondo cui, nel valutare come industriale l’insediamento produttivo del Ci., il TAR per la Campania avrebbe tenuto conto solo delle dimensioni e delle caratteristiche dell’immobile.
A ben vedere, il ragionamento logico-giuridico seguito dal primo giudice non si basa sulle sole dimensioni e caratteristiche dell’immobile, bensì sul rilievo della carenza di istruttoria che ha inficiato il procedimento amministrativo, laddove ha affermato che: “(…) il difetto di istruttoria nell’indagare la natura dell’attività da svolgere (in un manufatto di notevoli dimensioni che mal si concilia con l’idea di una produzione di tipo artigianale) e dunque il profilo della sua compatibilità urbanistica, si palesa evidente”.
Partendo da tale presupposto, il TAR per la Campania ha constatato il mancato accertamento della compatibilità dell’intervento edilizio in oggetto con lo strumento urbanistico di riferimento, che l’Amministrazione comunale avrebbe dovuto eseguire prima del rilascio del permesso di costruire n. 2114/2012.
4.3. Analogamente, deve essere disattesa la censura dell’appellante volta a contestare la sentenza nella parte in cui il primo giudice ha ritenuto inconferente, nel caso di specie, l’applicazione dell’art. 38 del D.P.R. n. 380/2001.
Ad avviso dell’appellante, il citato articolo 38 sarebbe stato legittimamente applicato dall’Amministrazione comunale che ha rilasciato il permesso di costruire n. 2114/2012 solo una volta accertato che con la nuova proposta progettuale erano stati rimossi i vizi che avevano comportato l’annullamento del precedente titolo edilizio.
Al riguardo, va considerato che l’articolo 38 del D.P.R. n. 380/01 può trovare applicazione al caso di opere realizzate in base ad un titolo edilizio successivamente annullato per vizi sostanziali se emendabili e rimovibili, quale non sarebbe, ad esempio, il caso dell’annullamento del permesso di costruire dipeso da una radicale incompatibilità delle opere assentite con la destinazione di zona (C.d.S., sez. VI, 28 luglio 2017 n. 3795: “la sanatoria di cui all’art. 38 è equiparata al rilascio di un permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell’art. 36 dello stesso T.U. e quindi deve ritenersi soggetta alla regola della cd doppia conformità (sul punto, C.d.S. sez. VI, 27 aprile 2015, n. 2123). Tale requisito manca però in radice ove… l’intervento di cui si tratta risulta in origine incompatibile con la destinazione di zona”).
Nel caso in esame, l’Amministrazione comunale, nel rilasciare, ai sensi dell’articolo 38 del D.P.R. n. 380/01, il permesso di costruire n. 2114/2012, in sostituzione dei precedenti titoli annullati in autotutela, avrebbe dovuto valutare, in concreto, la compatibilità della destinazione di zona con la realizzazione (o meglio, con l’ultimazione) dell’opera, nel rispetto della normativa urbanistica applicabile nella fattispecie.
Come sopra rilevato, infatti, l’articolo 38 del D.P.R. n. 380/01 può trovare applicazione nell’ipotesi di opere realizzate in base ad un titolo edilizio successivamente annullato per vizi sostanziali solo se emendabili e rimovibili, condizioni che difettano nel caso di un intervento edilizio incompatibile con la destinazione di zona.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e che debba essere confermata la sentenza di primo grado appellata.
6. Sussistono gravi ed eccezionali motivi – per la particolare natura della controversia, della vicenda e delle questioni trattate – per compensare le spese di giudizio tra le parti in causa.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
• lo rigetta;
• compensa le spese di giudizio fra le parti in causa;
• ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Roberto Proietti – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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