Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 2 aprile 2020, n. 2238.
La massima estrapolata:
La ristrutturazione edilizia per demolizione e ricostruzione presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole ricostruire, non essendo di per sé sufficiente dimostrare che un immobile in parte poi crollato o demolito è esistente, essendo invece necessario provare anche l’esatta consistenza dell’immobile preesistente.
Sentenza|2 aprile 2020| n. 2238
Data udienza 20 febbraio 2020
Tag – parola chiave: Permesso di costruire – Revoca – Falsa rappresentazione situazione quo ante – Ricavati maggiori volumi edificabili – Demolizione
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4435 del 2015, proposto dal signor Vi. Lo., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Pe., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, Piazzale (…);
contro
S & D Co. Ed. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Bi. An. Pa., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Al. Pl. in Roma, via (…);
nei confronti
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, non costituito in giudizio;
Dr. Ho. Im. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Bi. An. Pa., elettivamente domiciliata presso la Segreteria del Consiglio di Stato, in Roma, piazza (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Sezione Terza n. 231/2015, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di S & D Co. Ed. S.r.l. e di Dr. Ho. Im. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 febbraio 2020 il Cons. Alessandro Verrico e uditi per le parti l’avvocato Gi. Pe., su delega dell’avvocato Ma. Pe., e l’avvocato Bice An. Pa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. In data 11 maggio 2006 veniva rilasciato dal Comune di (omissis) il permesso di costruire n. 55/06 in favore del signor Vi. Lo. per la “ricostruzione condizionata” dell’immobile di sua proprietà, sito in Gravina di Puglia nella “Zona di salvaguardia” A2 del Piano Particolareggiato (P.P.) e identificato al catasto al fg. (omissis) p.lle (omissis) (omissis) sub (omissis) secondo le disposizioni di cui all’art. 8, lett. h) delle NTA del P.P. del Comune di (omissis) in ossequio alla tavola di progetto n. 15.
1.1. Con l’ordinanza n. 128 del 7 luglio 2006, il dirigente dell’U.T.C. del Comune di (omissis) ordinava l’immediata sospensione dei lavori oggetto del permesso n. 55/06 e, con la successiva ordinanza n. 183 del 28 agosto 2006, ne disponeva la definitiva revoca, con la demolizione di quanto costruito, sul presupposto che l’istante avrebbe falsamente rappresentato la situazione quo ante, onde ricavarne volumi edificabili.
2. Il signor Lo. proponeva ricorso (R.G. n. 1660/2006) avverso l’annullamento d’ufficio del citato permesso di costruire, che veniva tuttavia respinto dal T.a.r. Puglia, sede di Bari, con la sentenza n. 371/08, sul duplice presupposto che l’istante intendeva riedificare volumi, che, seppure esistiti nel passato, non lo erano alla data dell’istanza di rilascio del permesso per costruire e che i locali interrati non possono essere ricostruiti fuori terra.
2.1. Con appello al Consiglio di Stato (sez. IV, R.G. n. 3995/08) il signor Lo. impugnava la citata sentenza n. 371/2008.
3. In data 29 ottobre 2010, a seguito di istanza di riesame del signor Lo. presentata il 21 ottobre 2010 e di sopralluogo del servizio tecnico comunale effettuato in data 16 giugno 2010, il Comune adottava la determinazione n. 205 avente ad oggetto la stipula di un accordo integrativo, in base al quale veniva rilasciato in favore del signor Lo. il permesso per costruire n. 89/2010 dell’11 gennaio 2011, a fronte della rinuncia da parte dello stesso a coltivare l’appello interposto avverso la citata sentenza del T.a.r. n. 371/08.
4. Con ricorso dinanzi al T.a.r. Puglia (R.G. n. 539/2011), la s.r.l. S. & D. Co. Ed., proprietaria di alcuni locali di un fabbricato sito in via (omissis) su un lotto adiacente alle particelle (omissis) e (omissis) identificate in catasto al foglio (omissis) di proprietà del signor Vi. Lo., impugnava il citato permesso di costruire n. 89/2010 a quest’ultimo rilasciato dal Comune di (omissis), nonché l’accordo integrativo del 26 novembre 2010 e la determina dirigenziale n. 205/2010.
4.1. Il T.a.r. Puglia, sede di Bari, Sezione III, dopo aver accolto l’istanza cautelare con l’ordinanza n. 185/2014 (che ha trovato conferma nell’ordinanza n. 3033/2014 del Consiglio di Stato), con la sentenza n. 231/2015 accoglieva il ricorso e condannava il Comune di (omissis) e il controinteressato signor Lo. al pagamento delle spese del giudizio. Il Tribunale, in particolare:
a) riteneva infondata l’eccezione di difetto di legittimazione attiva della ricorrente, in quanto essa, proprietaria di alcuni locali siti nel fabbricato in parte aderente e in parte prospiciente all’opera per cui è causa, e della quale lamentava la distanza inferiore a quella legale, vantava una posizione differenziata e suscettibile di essere lesa dal provvedimento impugnato;
b) riteneva infondata l’eccezione di tardività dell’impugnazione degli atti presupposti (determinazione dirigenziale e accordo integrativo) per difetto di prova del momento di conoscenza di essi da parte della ricorrente;
c) nel merito rilevava che il controinteressato aveva riprodotto la volumetria della pagliera, già inesistente quando lo stesso acquistò l’immobile, e di un pollaio, che risultava crollato alla data dell’istanza di rilascio del primo permesso per costruire n. 55/06;
d) osservava altresì che il Comune, a fronte di un giudicato di rigetto avverso l’impugnazione dell’annullamento del permesso per costruire (T.A.R. Puglia, sentenza n. 371/08) e di un parere (reso in data 11 febbraio 2010 dal legale consultato dal Comune) che aveva dichiarato non essere mutata la situazione con esso accertata, avrebbe dovuto con adeguata e puntuale motivazione dire per quali fatti la situazione oggetto di riesame poteva dirsi mutata, al punto da smentire le risultanze catastali, l’atto di compravendita e le fotografie aeree;
e) al contrario, tanto la determinazione dirigenziale quanto il permesso impugnato presentavano sul punto una motivazione generica;
f) concludeva affermando che “il provvedimento impugnato è una mera rinnovazione del precedente permesso per costruire, viziata nella motivazione la cui finalità dichiarata, emergente dall’accordo integrativo, è riconducibile più all’opportunità … di chiudere il contenzioso pendente, che non provvedere nell’esercizio di un’attività vincolata, qual è il rilascio del permesso per costruire alla gestione del territorio urbano”.
5. Il signor Lo. Vi. ha proposto appello, per ottenere la riforma della sentenza impugnata e il conseguente rigetto integrale del ricorso originario. In particolare, l’appellante ha sostenuto le seguenti censure in tal modo rubricate:
i) “Carenza di legittimazione attiva dei ricorrenti in primo grado”;
ii) “Mancata impugnazione degli atti presupposti”;
iii) “Violazione di legge; difetto di istruttoria, carenza di motivazione, erroneo apprezzamento dei presupposti di fatto e di diritto”;
iv) “Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato”.
5.1. Si sono costituite in giudizio le società a responsabilità limitata S.& D. Co. Ed. e Dr. Ho. Im., le quali, depositando memoria difensiva, in via preliminare hanno eccepito l’inammissibilità dell’appello in quanto meramente ripropositivo delle deduzioni formulate in primo grado e, nel merito, si sono opposte all’appello e ne hanno chiesto l’integrale rigetto.
5.2. Con ulteriori memorie le parti hanno rispettivamente replicato alle avverse deduzioni, insistendo nelle censure dedotte.
6. All’udienza del 20 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.
7. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
8. Il Collegio in ordine alle censure di carattere preliminare osserva che:
a) non è fondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello in quanto meramente ripropositivo delle deduzioni formulate in primo grado, atteso che, premesso che il principio di specificità dei motivi di impugnazione, posto dall’art. 101, comma 1, c.p.a., impone che sia rivolta una critica puntuale alle ragioni poste a fondamento della sentenza impugnata, non essendo sufficiente la mera riproposizione dei motivi contenuti nel ricorso introduttivo (cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 novembre 2018, n. 6464), costituisce jus receptum il principio per cui l’appello è da ritenersi ammissibile se dallo stesso, come nel caso di specie, sia possibile desumere quali siano le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l’impugnazione in contrapposizione a quelle evincibili dalla sentenza impugnata (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 2012, n. 2745), atteso che, se per un verso i vizi risultano scanditi in specifici ordini di censure, per un altro verso gli stessi contengono una diretta critica delle argomentazioni svolte dalla sentenza impugnata sui limitati ordini di motivi accolti;
b) risulta infondata l’eccezione di difetto legittimazione attiva della società ricorrente in primo grado, atteso che dalla documentazione in atti (visura storica dell’Agenzia del territorio e provvedimento di dissequestro del G.I.P. del Tribunale di Bari) si evince che, alla data di proposizione del ricorso di primo grado, l’appellata era proprietaria degli immobili adiacenti al lotto di intervento dell’appellante, sicché la stessa vantava (e vanta) una posizione differenziata e suscettibile di essere lesa dal provvedimento impugnato;
c) altresì priva di pregio è l’eccezione di irricevibilità per tardività del ricorso introduttivo avverso gli atti presupposti, poiché, come rilevato dal primo giudice, non viene fornita prova da parte dell’appellante del momento di piena conoscenza di essi da parte della società ricorrente.
9. Passando all’esame del merito della controversia, si osserva che con la terza censura l’appellante deduce che la rappresentazione dello stato dei luoghi dallo stesso fornita risulterebbe veritiera sin dalla presentazione della prima istanza, rinvenendosi tutti gli elementi per ritenere preesistente un edificio che ricopriva l’intero lotto, sul quale poi procedere ad un intervento di ricostruzione condizionata, mediante la demolizione dei fabbricati e la successiva ricostruzione degli stessi. Invero, in questo senso deporrebbero i seguenti elementi: l’atto di provenienza rogato dal notaio Gi. il 4 marzo 1965 (acquisto da parte del dante causa del signor Lo.), la C.T.U. disposta dal G.I.P., l’art. 8, lett. h) delle N.T.A. del Piano Particolareggiato del Comune di (omissis) e la tavola di progetto n. 15 (aventi entrambi valore precettivo), nonché la produzione fotografica, uno stralcio di mappa catastale, alcune perizie giurate e le dichiarazioni spontanee di alcuni abitanti della zona.
L’appellante deduce, inoltre, che l’art. 8 delle N.T.A. del Piano Particolareggiato consentirebbe la realizzazione di quanto costruito e “la ristrutturazione del Piano terra con sopraelevazione e la semplice sopraelevazione con altezza massima di mt 9,50”.
9.1. Le società appellate, al fine di confutare la tesi dell’appellante, per un verso richiamano i contenuti delle relazioni rese dai consulenti tecnici nell’ambito del procedimento penale relativo al sequestro dell’area oggetto dell’intervento e dell’ordinanza n. 44/2012 del Tribunale del riesame di Bari, per altro verso, citano i passi della sentenza impugnata e della sentenza n. 371/2008 del T.a.r. Puglia, peraltro passata in giudicato, descrittivi degli elementi dimostrativi della falsa rappresentazione dei luoghi posta in essere dall’istante ai fini del rilascio del permesso di costruire n. 55/2006.
Ad ogni modo, ad avviso delle appellate, il permesso di costruire n. 89/2010 violerebbe apertamente l’art. 8 della N.T.A., in quanto consente la realizzazione di un nuovo fabbricato con una volumetria nettamente superiore rispetto a quella assentibile nel centro storico zona A2 (+67%), peraltro nell’assoluta violazione delle norme sul rispetto delle distanze tra le costruzioni.
9.2. La censura non è fondata.
9.3. Il Collegio, al riguardo, rileva in primo luogo che, per costante giurisprudenza, peraltro già correttamente richiamata dal primo giudice:
a) può parlarsi di ristrutturazione, per demolizione e ricostruzione, al ricorrere di due congiunte condizioni, e cioè se è possibile definire la esatta consistenza (volumetrica e, all’epoca, di sagoma) dell’immobile da ricostruire e se la demolizione dello stesso non sia risalente nel tempo (Cons. Stato, sez. IV, 4 ottobre 2019, n. 6666); invero:
a.1) la ristrutturazione edilizia per demolizione e ricostruzione presuppone come elemento indispensabile la preesistenza del fabbricato nella consistenza e con le caratteristiche planivolumetriche ed architettoniche proprie del manufatto che si vuole ricostruire, non essendo di per sé sufficiente dimostrare che un immobile in parte poi crollato o demolito è esistente, essendo invece necessario provare anche l’esatta consistenza dell’immobile preesistente del quale si chiede la ricostruzione mediante la ricognizione degli elementi strutturali dell’edificio nei suoi connotati essenziali, come identità strutturale, in relazione anche alla sua destinazione (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 5106 del 2016);
a.2) sotto altro profilo, la nozione di ristrutturazione in esame deve essere ancorata a due fasi – quella di demolizione e quella di ricostruzione – che siano temporalmente contestualizzate nell’ambito di un intervento tendenzialmente unitario, nel senso che la ricostruzione deve essere effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della demolizione (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. IV, n. 1177 del 2008).
9.4. Al riguardo, non possono trovare accoglimento le deduzioni di parte appellante in ordine alla veridicità della rappresentazione dello stato dei luoghi dallo stesso fornita sin dalla presentazione della prima istanza, a ciò ostando l’intervenuto passaggio in giudicato, a seguito della rinuncia all’appello R.G. n. 3995/08 da parte del signor Lo., dell’accertamento – di segno contrario – relativo alla falsa rappresentazione dei fatti posta alla base del primo permesso di costruire.
Al riguardo, invero, è sufficiente richiamare le affermazioni del T.a.r. Puglia, sede di Bari, con la sentenza n. 371/2008, in merito alla circostanza che l’area risultava solo parzialmente, e non totalmente, interessata da Co. Ed.zie preesistenti, risultando artefatta la rappresentazione della realtà nel progetto edilizio presentato dal signor Lo. sia per la “pagliera” che per l'”ex pollaio” ed il locale sotterraneo (“La tesi del ricorrente basa soprattutto sulla considerazione che non vi fosse alcuna alterazione dello stato dei luoghi perché erano stati tenuti presenti per l’intervento edilizio di cui è causa volumi non più visibili, quali ad esempio quelli dell’ex pollaio e della sopraelevazione. Essa tesi non è meritevole di accoglimento; invero essi volumi, ove effettivamente preesistiti, appartengono alla memoria, non erano più esistenti al momento della istanza di costruire… Che l’area oggetto del p.d.c. fosse “parzialmente” e non totalmente interessata da Co. Ed.zie preesistenti (come invece rappresentato dall’attuale ricorrente in sede di richiesta del p.d.c.) è in particolare confermato dalla planimetria di progetto del vigente Piano Particolareggiato A2 – Zone di Salvaguardia, dalla aerofotogrammetria del 2004, dall’area “cortile pertinenziale” di cui è cenno nell’atto notarile di acquisto dell’immobile da parte del ricorrente del 13.12.2000, circostanze che di per sé (il che consente di sorvolare sulla contestata “graffatura” dello stralcio catastale) costituiscono fonti documentali di una rappresentazione artefatta della realtà della particella 2951 nel progetto edilizio presentato dal Lo…. quanto alla “pagliera” richiamata dalla parte in uno con “ex pollaio” ai fini di giustificare la cubatura poi sviluppata in progetto, oltre alle aerofotogrammetrie del 2004 che non riportano essa struttura (e quella dell’ex pollaio), giova osservare che lo stesso ricorrente viene a parlare di locale sotterraneo, il che all’evidenza comporta impossibilità di esprimere volumetria ovvero preesistenza edilizia fuori terra.”).
9.5. Del resto, è unanime la giurisprudenza nell’affermare che gli effetti del giudicato sostanziale si estendono, anche in caso di rigetto della domanda, a tutte le statuizioni inerenti all’esistenza e alla validità del rapporto dedotto in giudizio, sebbene limitatamente alle statuizioni necessarie ed indispensabili per giungere alla decisione, dovendo pertanto essere esclusa tale efficacia nei confronti delle enunciazioni puramente incidentali (Cass.civ., sez. III, 21 maggio 2007, n. 11672). Pertanto, l’accertamento su un punto di fatto o di diritto costituente la premessa necessaria della decisione divenuta definitiva, quando sia comune ad una causa introdotta posteriormente, preclude il riesame della questione, anche se il giudizio successivo abbia finalità diverse da quelle del primo ed a condizione che i due giudizi abbiano identici elementi costitutivi dell’azione (soggetti, “causa petendi” e “petitum”), secondo l’interpretazione della decisione affidata al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove immune da vizi logici e giuridici (Cass. civ., sez. un., 14 giugno 1995, n. 6689).
9.6. Ciò considerato, il Collegio ritiene condivisibili le argomentazioni del T.a.r. rese in ordine alla necessità di puntuale motivazione nell’esercizio dell’autotutela, dal momento che, come visto, il permesso impugnato in questa sede (n. 89/2010) è stato adottato a conclusione di una sequenza procedimentale che ha registrato, prima, l’annullamento dell’originario permesso di costruire (n. 55/2006), in seguito, la conferma di tale decisione amministrativa da parte del T.a.r. con la sentenza n. 371/2008 e, infine, l’adozione del parere dell’11 febbraio 2010 da parte del legale consultato dal Comune. Ebbene, l’assenza di sopravvenienze fattuali rispetto alla situazione posta a fondamento del primo titolo, come del resto rilevato anche nel citato parere, imponeva all’Amministrazione comunale di apportare una motivazione rafforzata, idonea a superare i convincimenti che avevano condotto al precedente annullamento d’ufficio.
Per converso, la determinazione dirigenziale, che ha preceduto l’accordo integrativo, così come il provvedimento finale di rilascio del nuovo permesso di costruire si limitavano a richiamare il sopralluogo del 16 giugno 2010 e le dichiarazioni e le produzioni dell’istante, senza aggiungere nulla in merito ai relativi contenuti e alle ragioni che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione a preferire tali risultanze a quelle poste a supporto del precedente esercizio del proprio potere di autotutela.
9.7. In conclusione, in ragione di quanto esposto, la censura non può ritenersi fondata.
10. Parimenti infondato è il quarto motivo con cui l’appellante lamenta l’omessa pronuncia del primo giudice in ordine alla richiesta, svolta in primo grado dallo stesso in via subordinata, di condanna del Comune di (omissis) al risarcimento dei danni patiti per il pregiudizio del proprio legittimo affidamento sui tecnici del Comune, sul Piano Particolareggiato e sulle relative tavole aventi valore precettivo. Invero, come rilevato in primo grado, la domanda risarcitoria risulta del tutto priva di allegazione e dimostrazione degli elementi costitutivi della presunta responsabilità del Comune e dei danni asseritamente patiti.
11. In conclusione, in ragione di quanto esposto, l’appello deve essere respinto.
12. Le spese del grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello (R.G. n. 4435/2015), come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento in favore delle società appellate, in solido tra loro, delle spese del grado di giudizio, nella misura complessiva di euro 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 20 febbraio 2020, con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Leonardo Spagnoletti – Consigliere
Francesco Gambato Spisani – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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