Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 8 ottobre 2020, n. 5970.
La repressione degli illeciti urbanistico edilizi costituisce “attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura demolitoria intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso, in ragione del carattere permanente rinvenibile nell’illecito edilizio e nell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine violato, il quale è prevalente sull’aspirazione del privato al mantenimento dell’opera.
Sentenza 8 ottobre 2020, n. 5970
Data udienza 22 settembre 2020
Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Repressione degli illeciti edilizi – Ordine di demolizione – Attività di repressione – Natura vincolata
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3223 del 2011, proposto da
An. Ma. Ba., ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Fr. Del Cu., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Ri. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Vi., con domicilio eletto presso lo studio Gi. Co. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia Sezione Seconda n. 00096/2011, resa tra le parti, concernente diniego permesso di costruire in sanatoria
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 settembre 2020 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti gli avvocati nessuno è comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sezione Seconda n. 00096/2011, di reiezione dei ricorsi riuniti proposti dai sig.ri An. Ma. Ba., ed altri avverso, rispettivamente, il diniego opposto dal comune di (omissis) sull’istanza volta ad ottenere il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria e la successiva ordinanza di demolizione, aventi ad oggetto alcuni immobili realizzati in assenza di un titolo abilitativo nell’area di loro proprietà, sita in via (omissis).
L’impugnato diniego si fonda(va), fra l’altro, sull’assenza d’autorizzazione paesaggistica, richiesta ai sensi del d.lgs. n. 42/2004, ricadendo gli interventi abusivi nel perimetro del “Parco No. Mi.”.
2. Il TAR, riuniti i ricorsi, li ha respinti, rilevando: quanto al diniego di accertamento di conformità, quali motivi ostativi alla sanatoria, la violazione del divieto d’edificazione in elevazione previsto dagli artt. 4.2.8 e 6 delle N.T.A. del P.R.G. e la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica; quanto alle censure avverso l’ordinanza di demolizione, ha richiamato l’univoco indirizzo giurisprudenziale a mente del quale, una volta accertata la natura abusiva degli interventi edilizi, la sanzione ripristinatoria è atto dovuto.
3. Appellano la sentenza i sig.ri An. Ma. Ba., ed altri. Resiste il comune di (omissis).
4. Alla pubblica udienza del 22.09.2020 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
5. Gli appellanti hanno impugnato esclusivamente il capo di sentenza relativo alla reiezione dei motivi d’impugnazione proposti avverso l’ordinanza di demolizione.
Lamentano l’errore di giudizio in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure nell’omettere di considerare che gli immobili in questione sarebbero stati da sempre utilizzati per l’attività imprenditoriale svolta dai ricorrenti. Ed il Comune, aggiungono gli appellanti, rimasto inerte per lungo tempo, avrebbe di fatto fondato la legittima aspettativa nella stabilità delle opere, con il conseguente onere gravante sull’amministrazione civica di dare conto dell’interesse pubblico attuale alla demolizione di esse.
6. Il motivo è infondato.
I ricorrenti hanno realizzato gli interventi abusivi in zona classificata dal vigente P.R.G., in parte, in “zona OT/P-zona per insediamenti produttivi integrati con funzioni di servizio (zto B)” e, in parte, in “area stradale”. Dette aree ricadono “interamente all’interno del perimetro del Parco No. Mi., e, pertanto, risultano essere aree di interesse paesaggistico sottoposte a tutela ai sensi dell’art. 142, comma 1, lettera f”, d.lgs. 42/2004
Inoltre, come si rileva dal certificato di destinazione urbanistica, le aree sono ricomprese nel perimetro della “fascia di rispetto stradale”.
Le opere abusive hanno un forte impatto edilizio ed incidono pesantemente sul tessuto urbanistico e paesaggistico: esse consistono infatti: in corpi in muratura, rifiniti al civile, posti a confine verso il lato ovest del lotto, aventi le dimensioni di m. 23.50 x 4.50 e m. 8.00 x 5.70 circa ed aventi un’altezza di m. 2.50/3.00 m, con soletta di copertura in c.a. e laterizio ad uso di abitazione ed uffici; in una baracca con struttura in ferro, copertura e tamponamenti in eternit, avente le dimensioni di 12.00 x 4.50 circa ed un’altezza di m. 2.50 x 3.00 m, ad uso magazzino e centrale termica; in un capannone con struttura in ferro, copertura e tamponamenti in ondolux ed eternit di dimensioni m. 8.20 x 8.70 circa ed un’altezza di m. 4.00/5.00 circa; nella formazione di una buca avente le dimensioni di m. 20.00 x 23.00 e di m. 10.00 x 12.00, profondità m. 2.00 con pavimentazione e muri di contenimento in calcestruzzo, coperta con un capannone delle medesime dimensioni avente struttura in ferro, tamponamenti e copertura in ondolux, altezza f.t. di m. 4.00/5.00.
Trattasi, all’evidenza, di un compendio di manufatti abusivi che, per consistenza strutturale e morfologica, alterano l’assetto urbanistico e pregiudicato l’ambiente.
A più forte ragione trova applicazione l’indirizzo giurisprudenziale a mente del quale “la repressione degli illeciti urbanistico edilizi” costituisce “attività strettamente vincolata e non soggetta a termini di decadenza o di prescrizione, potendo la misura demolitoria intervenire in ogni tempo, anche a notevole distanza dall’epoca della commissione dell’abuso, in ragione del carattere permanente rinvenibile nell’illecito edilizio e nell’interesse pubblico al ripristino dell’ordine violato, il quale è prevalente sull’aspirazione del privato al mantenimento dell’opera” (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. II, 12 marzo 2020 n. 1765).
La natura doverosa delle sanzioni edilizie è tale che i provvedimenti sanzionatori sono
sufficientemente motivati con riferimento all’oggettivo riscontro dell’abusività dell’intervento ed alla sicura assoggettabilità di esso al regime dei titoli abilitativi.
In definitiva l’ordine di demolizione di opere edilizie illecitamente eseguite è atto dovuto e rigorosamente vincolato, in ordine al quale non sono richiesti apporti partecipativi del destinatario.
Quanto al rilievo giuridico dell’asserita inerzia del Comune, va rilevato che non sussiste il presupposto di fatto su cui si fonda la censura.
A riguardo è sufficiente ripercorrere diacronicamente le tappe in cui s’è snodato il procedimento sanzionatorio: il carattere abusivo di sei delle nove diverse opere oggetto dell’ordinanza impugnata è stato accertato dal competente personale dell’Ufficio tecnico comunale solo il 7.11.2008; di seguito, senza soluzione di continuità, con atto del 4.12.2008 il Comune ha avviato il procedimento sanzionatorio, conclusosi nel maggio 2010 in ragione dell’avvenuta presentazione della domanda di sanatoria che il Comune ha dovuto esaminare; respinta l’istanza, il Comune hic et inde ha ordinato la demolizione delle opere abusive.
7. Con il secondo motivo gli appellanti si dolgono del capo di sentenza di condanna alle spese di lite.
8. Il motivo è infondato.
La condanna alla rifusione delle spese di lite è conforme al principio generale, di cui agli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c., in forza del quale esse, ordinariamente, seguono la soccombenza.
9. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
10. Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i sig.ri An. Ma. Ba., ed altri, in solido fra loro ed in parti uguali, al pagamento delle spese del presente grado di giudizio in favore del comune di (omissis) che si liquidano in complessivi 4.000,00 (quattromila) euro, oltre diritti ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 settembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Oreste Mario Caputo – Consigliere, Estensore
Antonella Manzione – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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