Consiglio di Stato, Sentenza|16 febbraio 2021| n. 1432.
La presentazione di una nuova istanza ex art. 36, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso e, quindi, non determina l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d’interesse, dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di demolizione, ma comporta, tuttalpiù, un arresto temporaneo dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della domanda di “sanatoria”.
Sentenza|16 febbraio 2021| n. 1432
Data udienza 19 novembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave: Sospensione e demolizione di opere ritenute abusive – Sanabilità – Art. 36, D.P.R. n. 380 del 2001 – Valutazione di sanabilità – Iniziativa esclusiva della parte interessata – Accertamento di conformità urbanistica
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8289 del 2017, proposto dai signori Ma. Bo. ed altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Ag., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, piazza (…);
contro
Comune di (omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato An. Pa., con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Napoli), sezione III, n. 2234/2017, resa tra le parti, concernente sospensione e demolizione di opere ritenute abusive.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 19 novembre 2020 il consigliere Andrea Pannone.
L’udienza si svolge ai sensi dell’art. 4, comma 1, decreto legge 28 del 30 aprile 2020 e dell’art. 25, comma 2, del decreto legge 137 del 28 ottobre 2020 attraverso videoconferenza con l’utilizzo di piattaforma “Microsoft Teams” come previsto della circolare n. 6305 del 13 marzo 2020 del Segretario Generale della Giustizia Amministrativa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
A) La sentenza qui appellata (del Tribunale amministrativo regionale per la Campania, 26 aprile 2017, n. 2234) ha statuito, per quel che qui rileva, quanto segue.
“Bo. An. – nella qualità di proprietario di un lotto di terreno della superficie di mq. 15.000 circa sito nel Comune di (omissis), alla via (omissis), distinto nel catasto rustico al foglio (omissis), particella (omissis) – riferisce, in fatto, che:
– nel 1996 iniziava la realizzazione di un edificio da destinare ad insediamento produttivo, conformemente alle previsioni urbanistiche allora vigenti che erano determinate dalla perimetrazione urbana disposta ai sensi della L. 765/67, come da provvedimento del 22.7.69;
– secondo tale previsione sul lotto di proprietà del ricorrente, ricadente fuori dal perimetro urbano, legittimamente era consentita la realizzazione di una struttura produttiva, peraltro nei limiti dettati per tale tipo di struttura anche dalla L.R.C. n. 17/82, ma, successivamente, avendo il Consiglio Comunale di (omissis) adottato nell’anno 1999 il piano regolatore generale per regolare gli insediamenti abitativi, accertava che il lotto in questione ricadeva in zona B2 (sottozone urbanistiche sature), delimitata con perimetro da assoggettare ai piani di recupero, a sensi della L. 457/78 e, quindi, dava impulso all’opera di recupero, riguadagnando la struttura a suo tempo iniziata e poi abbandonata, come struttura conforme alle previsioni di zona, vale a dire struttura abitativa”.
Il signor A. Bo. impugnava l’ordinanza n. 95 prot. n. 13613 del 19.10.2000, contenente ordine di sospensione e demolizione delle opere eseguite in (omissis), alla via (omissis), traversa (omissis).
L’istanza cautelare veniva accolta con ordinanza n. 953 del 28 febbraio 2001. (omissis).
La sentenza appellata ha poi ritenuto quanto segue: “Il ricorso è infondato.
Con l’unica articolata censura si deduce la violazione di legge (artt. 7 e 13, L. n. 47/85; artt. 3 e ss. L. n. 241/90) la violazione del P.R.G. adottato, oltre all’eccesso di potere (per carenza di istruttoria, mancata ponderazione della situazione contemplata, genericità, carenza di motivazione, erroneità dei presupposti, violazione del principio buon andamento e di imparzialità della P.A., altri aspetti), al riguardo rilevando che il provvedimento impugnato è patentemente viziato.
In particolare, con un primo profilo di censura si deduce che:
– essendo tutt’ora pendente il termine utile per la presentazione dell’istanza in sanatoria, ex art. 13, L n. 47/85, il ricorrente intende avvalersi di tale facoltà concessagli dalla legge ed ha, per l’appunto, in corso di presentazione l’accertamento di conformità ;
– alla luce di tale dato fattuale deve, allora, sicuramente ritenersi che l’ordinanza impugnata vede svanire ogni efficacia sanzionatoria, atteso che costituisce affermazione di consolidata esperienza giurisprudenziale di questo Tribunale che “l’ingiunzione di demolizione di un’opera costruita senza concessione edilizia perde del tutto efficacia con la presentazione della domanda di sanatoria ex art. 13″, atteso che in detta ipotesi l’Amministrazione è prioritariamente chiamata a valutare la concreta e reale sanabilità delle opere sanzionate, anziché esercitare il proprio potere repressivo;
– di conseguenza l’ingiunzione di demolizione gravata, votata a perdere del tutto efficacia, dovrà eventualmente essere rinnovata con l’assegnazione di un nuovo termine per provvedere nella denegata ipotesi che l’accertamento di conformità abbia esito negativo.
Il profilo di censura è infondato.
Deve senz’altro evidenziarsi che – contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti – in presenza di abusi edilizi, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all’autorità comunale, prima di emanare l’ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità ai sensi dell’art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001; tanto si evince chiaramente dagli artt. 27 e 31, del medesimo d.P.R. n. 380, cit. che, in tal caso, obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l’abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità, nonché dallo stesso art. 36, d.P.R. n. 380, cit., che rimette all’esclusiva iniziativa della parte interessata l’attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica ivi disciplinato (Cfr. T.A.R. Latina, (Lazio), sez. I, 08/06/2015, n. 456).
Per pacifica giurisprudenza, l’accertamento di conformità, già previsto e disciplinato dall’art. 13 della L. n. 47 del 1985 ed attualmente riprodotto nell’art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001 è diretto a sanare le opere solo formalmente abusive, in quanto eseguite senza il previo rilascio del titolo ma conformi nella sostanza alla disciplina urbanistica applicabile per l’area su cui sorgono, vigente sia al momento della loro realizzazione che al momento della presentazione dell’istanza di conformità (c.d. doppia conformità ) (questa Sezione, 28 marzo 2017, n. 1711).
Pertanto, la validità e l’efficacia dell’ordine di demolizione non risultano pregiudicate dalla successiva presentazione di un’istanza di accertamento di conformità, posto che nell’impianto normativo non è rinvenibile una previsione dalla quale possa desumersi un tale effetto”.
B) Propone ricorso in appello l’interessato deducendo il seguente motivi così epigrafato:
Error in iudicando, in procedendo – Nullità – Violazione giudicato cautelare – Violazione principio tempus regit actum – Violazione principio tempus regit actionem – Violazione delle norme e dei principi anche di rango comunitario a tutela dell’affidamento e della certezza del diritto – Violazione principio corrispondenza tra chiesto e pronunciato – Difetto di motivazione – Extra-Ultra petizione.
L’appellante sostiene che il giudice di primo grado non poteva rigettare il ricorso perché, in quel medesimo giudizio, il giudice, in sede cautelare, aveva affermato, con ordinanza 28 febbraio 2001, n. 953 che sull’istanza di sanatoria presentata dal dante causa degli attuali appellanti, l’amministrazione dovesse pronunciarsi con provvedimento esplicito, con la conseguenza che quello implicito ravvisato dal TAR è affetto da nullità per violazione di giudicato, che il TAR ha omesso di dichiarare.
C) La tesi dell’appellante non può essere condivisa.
Se fosse vero quanto sostenuto (ossia che il “giudicato cautelare” obbligava il giudice del merito ad attendere l’esplicita pronunzia dell’autorità comunale), il ricorso non poteva essere deciso nel merito, perché quella pronuncia (cautelare) giustificava una pronuncia di sospensione del giudizio o, financo, una pronuncia di estinzione del giudizio.
Ma l’odierno appellante (ricorrente in primo grado), prima del passaggio in decisione del ricorso di primo grado, non ha formulato alcuna istanza in tal senso.
Qui si deve sottolineare che si verte in tema di “accertamento di conformità ” e non di “condono”.
In termini più generali, se fosse vero quanto sostiene l’appellante (ossia che il giudice del merito non possa discostarsi da quanto deciso in sede cautelare), sarebbe del tutto inutile pronunciare qualsiasi sentenza (ove il giudice si sia già espresso in sede cautelare.
Questo Collegio non può che richiamare il precedente della Sezione, n. 1565 del 4 aprile 2017.
“L’affermazione contenuta nella sentenza appellata (secondo la quale l’istanza di permesso di costruire in sanatoria, presentata successivamente all’impugnazione dell’ordinanza di demolizione, produce l’effetto di rendere improcedibile l’impugnazione stessa per sopravvenuto difetto di interesse) non può essere condivisa.
Questo Consiglio ha, al contrario, affermato: “La presentazione di una nuova istanza ex art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante il ” Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia “, non rende inefficace il provvedimento sanzionatorio pregresso e, quindi, non determina l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza d’interesse, dell’impugnazione proposta avverso l’ordinanza di demolizione, ma comporta, tuttalpiù, un arresto temporaneo dell’efficacia della misura repressiva che riacquista la sua efficacia nel caso di rigetto della domanda di “sanatoria” (Consiglio di Stato, sez. VI, 8 aprile 2016, n. 1393).
“I principi affermati in tema di condono edilizio non possono trovare applicazione al caso di specie, in cui il ricorrente ha formulato istanza ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ossia ai sensi di una norma che, prevedendo quella che, sinteticamente, si definisce doppia conformità, limita la valutazione dell’opera sulla base di una disciplina preesistente.
Sostenere, come affermato dalla sentenza impugnata, che, nell’ipotesi di rigetto, esplicito o implicito, dell’istanza di accertamento di conformità, l’amministrazione debba riadottare l’ordinanza di demolizione, equivale al riconoscimento in capo a un soggetto privato, destinatario di un provvedimento sanzionatorio, il potere di paralizzare, attraverso un sostanziale annullamento, quel medesimo provvedimento” (Consiglio di Stato, VI, 6 maggio 2014, n. 2307)”.
Sostenere che la sola presentazione della domanda di accertamento di conformità determina il superamento del provvedimento sanzionatorio innescherebbe un procedimento ricorsivo senza fine perché il soggetto sanzionato potrebbe rinnovare (senza limitazioni di alcun genere) la domanda a seguito della riadozione di quel provvedimento. E ciò in contrasto con i principi dell’ordinamento che impongono l’accertamento delle situazioni giuridiche in via definitiva.
D) Il ricorso in appello va pertanto respinto con compensazione delle spese di giudizio in ragione delle oscillazioni giurisprudenziali.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 novembre 2020 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Bernhard Lageder – Consigliere
Andrea Pannone – Consigliere, Estensore
Alessandro Maggio – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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