Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 28 novembre 2019, n. 8137.
La massima estrapolata:
L’articolo 18, comma 1 , del Dl 67/1997, convertito dalla legge 135/1997, prevede la possibilità per l’Amministrazione statale di rimborsare le spese legali sostenute dal proprio dipendente per la difesa, tra l’altro, nel giudizio penale, come nel caso in esame, solamente in presenza di due presupposti. Il primo, costituito dalla pronuncia di un provvedimento del Giudice che abbia escluso in via definitiva la responsabilità del dipendente; il secondo, se sussiste una connessione tra i fatti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e/o l’assolvimento degli obblighi istituzionali. Se, però, come nel caso di specie, la condotta oggetto di contestazione è stata posta in essere unicamente in occasione dell’attività d’istituto, non sorge alcun interesse legittimo al rimborso.
Sentenza 28 novembre 2019, n. 8137
Data udienza 21 novembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sull’appello n. 5301 del 2017, proposto dal signor-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Do. Fo. e Pi. Si., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Gr. in Roma, piazza (…);
contro
Il Ministero dell’economia e delle finanze e la Guardia di Finanza – Comando generale, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati ex lege in Roma, alla via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per le Marche Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’economia e delle finanze e della Guardia di Finanza – Comando generale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 novembre 2019 il pres. Luigi Maruotti e uditi l’avvocato Pi. Si. e l’avvocato dello Stato Gi. Ba.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
L’appellante, dipendente della Guardia di Finanza, è stato sottoposto ad un processo penale, nel quale è stato imputato per il reato previsto dall’articolo 326 del codice penale (per aver rivelato una notizia destinata a rimanere segreta, riguardante un’giro di controlli nei night club’ che la Guardia di Finanza di -OMISSIS-avrebbe eseguito la sera del 22 ottobre 2010).
Con la sentenza del giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Ascoli Piceno n. 3682 del 2015 (confermata dalla Corte d’appello d’Ancona con la sentenza n. 3582 del 2015), egli è stato assolto, per ‘insussistenza del fattò .
Dopo la conclusione del giudizio penale, in data 23 febbraio 2016 egli ha chiesto alla Amministrazione di appartenenza il rimborso delle spese legali sostenute, ai sensi dell’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997, convertito nella legge n. 135 del 1997.
Con un atto notificato in data 1° settembre 1996, il Comando generale della guardia di finanza ha respinto l’istanza, rilevando che i fatti valutati in sede penale non erano connessi all’espletamento del servizio o con l’assolvimento di compiti istituzionali, in quanto solo casualmente legati allo status di militare della Guardia di finanza.
2. Con il ricorso di primo grado n. -OMISSIS- (proposto al TAR per le Marche), l’interessato ha impugnato il diniego e ne ha chiesto l’annullamento.
3. Il TAR, con la sentenza n. -OMISSIS-, ha respinto il ricorso ed ha compensato le spese del giudizio, rilevando che:
– con la condotta oggetto della contestazione (la rivelazione di un segreto d’ufficio), egli non ha agito nell’interesse della Amministrazione;
– l’assoluzione è stata disposta perché i fatti sono stati solo parzialmente provati, dal momento che è risultato provato il contatto telefonico tra il ricorrente e chi ha ricevuto la notizia, risultando ambigua per il giudice penale la frase ‘occhio staserà .
4. Con l’appello in esame, l’interessato ha chiesto che, in riforma della sentenza impugnata, il ricorso di primo grado sia accolto.
Nel richiamare i principi posti a base dell’art. 18 del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997, e le censure di primo grado, l’appellante ha dedotto che:
– in sede penale, è risultato che presso il locale del signor Fa. (destinatario della telefonata) non sono stati effettuati controlli in data 22 ottobre 2010;
– egli è stato prosciolto ai sensi dell’art. 530, comma 1, del codice di procedura penale;
– la telefonata intercorsa col signor Fa. ha riguardato una attività di prevenzione dei reati;
– il fatto contestato va considerato ‘connesso al servizio svoltò .
5. In data 14 agosto 2017, il Ministero appellato si è costituito in giudizio ed ha chiesto che il gravame sia respinto.
Con una memoria di data 22 ottobre 2019, il Ministero ha articolato le proprie difese ed ha ribadito la domanda di reiezione dell’appello.
6. Ritiene la Sezione che l’appello vada respinto, perché infondato.
7. Per comodità di lettura, va riportato il contenuto dell’art. 18, comma 1, del decreto legge n. 67 del 1997, come convertito nella legge n. 135 del 1997.
“Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità “.
Per i casi in cui sussiste la giurisdizione amministrativa esclusiva, rilevano i principi generali per i quali, in presenza di un potere valutativo dell’Amministrazione, la posizione del dipendente va qualificata come interesse legittimo (pur se è stata talvolta definita come di ‘diritto condizionatò all’accertamento dei relativi presupposti: Cons. Stato, Sez. III, 29 dicembre 2017, n. 6194; Sez. VI, 21 gennaio 2011, n. 1713).
L’art. 18 sopra riportato attribuisce un peculiare potere valutativo all’Amministrazione con riferimento all’an ed al quantum, poiché essa deve verificare se sussistano in concreto i presupposti per disporre il rimborso delle spese di giudizio sostenute dal dipendente, nonché – quando sussistano tali presupposti – se siano congrue le spese di cui sia chiesto il rimborso – con l’ausilio della Avvocatura dello Stato, il cui parere di congruità ha natura obbligatoria e vincolante (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. IV, 8 luglio 2013, n. 3593).
Di per sé il parere – per la sua natura tecnico-discrezionale – non deve attenersi all’importo preteso dal difensore (Cons. Stato, Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/2012), o a quello liquidato dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati per quanto rileva nei rapporti tra il difensore e l’assistito (Cons. Stato, Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. VI, 8 ottobre 2013, n. 4942), ma deve valutare quali siano state le effettive necessità difensive (Cass. Sez. Un., 6 luglio 2015, n. 13861; Cons. Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2019, n. 6736; Sez. II, 31 maggio 2017, n. 1266; Sez. II, 20 ottobre 2011, n. 2054/12) ed è sindacabile in sede di giurisdizione di legittimità per errore di fatto, illogicità, carenza di motivazione, incoerenza, irrazionalità o per violazione delle norme di settore (Cons. Stato, Sez. II, 30 giugno 2015, n. 7722).
Qualora il diniego (totale o parziale) di rimborso risulti illegittimo, il suo annullamento non comporta di per sé l’accertamento della spettanza del beneficio, dovendosi comunque pronunciare sulla questione l’Amministrazione, in sede di emanazione degli atti ulteriori.
8. Per quanto riguarda i presupposti indefettibili per l’applicazione dell’art. 18, si è formata una univoca e convergente giurisprudenza della Corte di Cassazione e di questo Consiglio di Stato.
Tali presupposti sono due:
a) la pronuncia di una sentenza o di un provvedimento del giudice, che abbia escluso definitivamente la responsabilità del dipendente;
b) la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali.
9. Quanto alla pronuncia definitiva sull’esclusione della responsabilità del dipendente, qualora si tratti di una sentenza penale si deve trattare di un accertamento della assenza di responsabilità, anche quando – in assenza di ulteriori specificazioni contenute nell’art. 18 – sia stato applicato l’art. 530, comma 2, del codice di procedura penale (Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Ad. Gen., 29 novembre 2012, n. 20/13; Sez. IV, 21 gennaio 2011, n. 1713, cit.).
L’art. 18, invece, non può essere invocato quando il proscioglimento sia dipeso da una ragione diversa dalla assenza della responsabilità, cioè quando sia stato disposto a seguito dell’estinzione del reato, ad esempio per prescrizione, o quando vi sia stato un proscioglimento per ragioni processuali, quali la mancanza delle condizioni di promovibilità o di procedibilità dell’azione (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Sez. VI, 2005, n. 2041).
10. Oltre alla pronuncia del giudice che espressamente abbia escluso la responsabilità del dipendente, l’art. 18 ha disciplinato un ulteriore presupposto per la spettanza del beneficio, e cioè la sussistenza di una connessione tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali: l’art. 18 si applica a favore del dipendente che abbia agito in nome e per conto, oltre che nell’interesse della Amministrazione (e cioè quando per la condotta oggetto del giudizio sia ravvisabile il’nesso di immedesimazione organicà ).
10.1. Tale connessione sussiste – sia pure in modo peculiare – qualora sia stata contestata al dipendente la violazione dei doveri di istituto e, all’esito del procedimento, il giudice abbia constatato non solo l’assenza della responsabilità, ma che esso sia sorto in esclusiva conseguenza di condotte illecite di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa, oppure qualificabili come un millantato credito (si pensi al funzionario, al dirigente o al magistrato accusato di corruzione, ma in realtà del tutto estraneo ai fatti, perché vittima di una orchestrata attività calunniosa o di un millantato credito emerso dopo l’attivazione del procedimento penale).
Sotto tale profilo, l’art. 18 tutela senz’altro – col rimborso delle spese sostenute – il dipendente statale che sia stato costretto a difendersi, pur innocente, nel corso del procedimento penale nel quale – esclusivamente in ragione del suo status e non per l’aver posto in essere specifici atti – sia stato coinvolto nel procedimento penale perché sostanzialmente vittima di illecite condotte altrui, che per un qualsiasi motivo illecito hanno coinvolto il dipendente, a maggior ragione se è stato designato come vittima proprio quale appartenente alle Istituzioni e per il servizio prestato.
Qualora in tali casi il giudice penale disponga il proscioglimento del dipendente statale, non rileva pertanto la natura attiva od omissiva della condotta oggetto della contestazione, perché ciò che conta è l’accertamento da parte del giudice penale dell’estraneità del dipendente ai fatti contestati, nonché il carattere diffamatorio o calunnioso delle dichiarazioni altrui.
10.2. A parte l’ipotesi del coinvolgimento del dipendente estraneo ai fatti, ma vittima di una illecita condotta altrui, quanto alla ‘connessionè tra i fatti e gli atti oggetto del giudizio e l’espletamento del servizio e l’assolvimento degli obblighi istituzionali, la giurisprudenza ha più volte chiarito che si deve trattare di condotte (estrinsecatesi in atti o comportamenti) che di per sé siano riferibili all’Amministrazione di appartenenza e che, di conseguenza, comportino a questa l’imputazione dei relativi effetti (Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427; Sez. IV, 5 aprile 2017, n. 1568; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190): la condotta oggetto della contestazione deve essere espressione della volontà della Amministrazione di appartenenza e finalizzata all’adempimento dei suoi fini istituzionali.
L’art. 18 è di stretta applicazione e si applica quando il dipendente sia stato coinvolto nel processo per l’aver svolto il proprio lavoro, e cioè quando si sia trattato dello svolgimento dei suoi obblighi istituzionali e vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere ed il compimento dell’atto o del comportamento (e dunque quando l’assolvimento diligente dei compiti specificamente lo richiedeva), e non anche quando la condotta oggetto della contestazione sia stata posta in essere ‘in occasionè dell’attività lavorativa (Cass., 3 gennaio 2008, n. 2; Cons. Stato, Sez. VI, 13 marzo 2017, n. 1154; Sez. III, 8 aprile 2016, n. 1406; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190; Sez. IV, 14 aprile 2000, n. 2242) o quando sia di per sé meritevole di una sanzione disciplinare (Cons. Stato, Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190).
Invece, esso non si applica quando la contestazione in sede penale si sia riferita ad un atto o ad un comportamento, in ipotesi, che:
a) di per sé costituisca una violazione dei doveri d’ufficio (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 giugno 2018, n. 3427);
b) sia stato comunque posto in essere per ragioni personali, sia pure durante e ‘in occasionè dello svolgimento del servizio, e dunque non sia riferibile all’Amministrazione (Cass. civ., Sez. I, 31 gennaio 2019, n. 3026; Sez. lav., 6 luglio 2018, n. 17874; Sez. lav., 3 febbraio 2014, n. 2297; Sez. lav., 30 novembre 2011, n. 25379; Sez. lav., 10 marzo 2011, n. 5718; Cons. Stato, Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1816; Sez. III, 2013, n. 4849; Sez. IV, 26 febbraio 2013, n. 1190), ad esempio, quando la contestazione si sia riferita a una condotta che riguardi la propria vita di relazione, ancorché nell’ambiente di lavoro (Cons. Stato, Sez. V, 2014, n. 6389; Sez. II, 15 maggio 2013, n. 3938/13), o che non sia riconducibile strettamente alla attività istituzionale, quale l’accettazione di un regalo o il coinvolgimento in un alterco con colleghi, ma che all’esito del giudizio non sia stata qualificata come reato.
c) sia potenzialmente idoneo a condurre ad un conflitto con gli interessi dell’Amministrazione (ad esempio quando, malgrado l’assenza di una responsabilità penale, sussistano i presupposti per ravvisare un illecito disciplinare e per attivare il relativo procedimento: cfr. Cons. Stato, Sez. II, 27 agosto 2018, n. 2055; Sez. IV, 4 settembre 2017, n. 4176, cit.; Sez. IV, 2013, n. 1190; Sez. IV, 2012, n. 423).
Infatti, la ratio della regola del rimborso delle spese – per i giudizi conseguenti alle condotte attinenti al servizio – è quella di ‘evitare che il dipendente statale tema di fare il proprio doverè : occorre uno specifico nesso causale tra il fatto contestato e lo svolgimento del dovere d’ufficio (Cons. Stato, Sez. II, 21 novembre 2018, n. 2735; Sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1681) e il rimborso non spetta per il solo fatto che in sede penale vi sia il proscioglimento per un reato proprio (commesso per la qualità di dipendente dello Stato).
10.3. In materia non rilevano di per sé le disposizioni del codice civile sul contratto di mandato, proprio perché l’art. 18 sopra riportato ha indicato i presupposti – sostanziali e procedimentali – indefettibili per la spettanza del rimborso.
11. Tenuto conto dei principi sopra evidenziati, vanno integralmente confermate le statuizioni della sentenza appellata.
Da p. 7 della sentenza penale di primo grado, risulta che:
‘L’impianto accusatorio si fonda proprio su telefonate intercettate ed in particolare su una chiamata, effettuata il 22 ottobre 2010 alle ore 20,29, ricevuta dal collega Ma. Mo. del seguente tenore: “senti, vedi che stasera quelli devono fare qualche night, mi sa tanto, eh?”.
Subito dopo B. avvisa Ma. Fa., titolare del night club D., e gli dice di richiamarlo su un’altra utenza wind
Ora, poiché quest’ultima utenza non era oggetto di intercettazione, nulla si sa del contenuto della conversazione intercorsa tra i due.
Quel che è tuttavia certo è che quella sera né gli uomini della Guardia di finanza, né quelli di altre forze dell’ordine si sono recati presso il locale del Fa. per effettuare controlli di qualsivoglia natura. Anzi, risulta che quel giorno, al contrario di quanto sembrerebbe interpretare dalla chiamata del Mo., non vennero svolti accessi in alcuno night club’.
A p. 8 la sentenza ha rilevato che ‘completamente insufficiente risulta pertanto… la prova in ordine alla condotta materiale del reato contestatò .
La sentenza penale di secondo grado ha in sostanza aderito alla ricostruzione dei fatti, posta a base della sentenza impugnata, ha rilevato che ‘quella sera il night D…. non subiva alcun controllo, indirizzato dai militari verso il night L., posizionato in tutt’altra zonà ed ha concluso nel senso che ‘gli elementi raccolti non sono univoci per ritenere integrato il delitto contestatò .
Ritiene al riguardo il collegio che nella specie non si possa ravvisare (né è stata dedotta) la sussistenza di una condotta illecita di terzi, di natura diffamatoria o calunniosa.
La contestazione in sede penale oggetto della contestazione ha riguardato una condotta del tutto estranea allo svolgimento del lavoro istituzionale e comunque non connessa ‘con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionalà, sicché del tutto legittimamente dapprima il Ministero e poi il TAR hanno escluso l’applicabilità dell’invocato art. 18.
12. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.
La condanna al pagamento delle spese del secondo grado del giudizio segue la soccombenza. Di essa è fatta liquidazione nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta respinge l’appello n. 5301 del 2017 e condanna l’appellante al pagamento di euro tremila in favore delle Amministrazioni appellate, per spese ed onorari del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellante.
Così deciso in Roma, presso la sede del Consiglio di Stato, Palazzo (omissis), nella camera di consiglio del giorno 21 novembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente, Estensore
Oberdan Forlenza – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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