Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 2 luglio 2020, n. 4273.
La massima estrapolata:
La fattispecie del del c.d. “silenzio-inadempimento” riguarda le ipotesi in cui, di fronte alla formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato, costituente atto iniziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l’emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, l’Amministrazione, titolare della relativa competenza, omette di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge; di conseguenza, l’omissione dell’adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussisteva un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell’adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico; presupposto per l’azione avverso il silenzio è, dunque, l’esistenza di uno specifico obbligo (e non di una generica facoltà o di una mera potestà ) in capo all’amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente.
Sentenza 2 luglio 2020, n. 4273
Data udienza 11 giugno 2020
Tag – parola chiave: Attività amministrativa – Silenzio significativo – Silenzio-inadempimento – Configurazione – Ipotesi
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6723 del 2019, proposto da
Istituto di Vigilanza La To. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato An. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Salerno, Questura di Napoli, in persona dei rispettivi rappresentanti legali pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania sezione staccata di Salerno Sezione Prima n. 01253/2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno, della Questura di Salerno e della Questura di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza del giorno 11 giugno 2020 il Cons. Giovanni Tulumello e uditi per le parti gli avvocati presenti secondo la legge come da delega in atti (ai sensi dell’art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, e dell’art. 4, comma 1, del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28).
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. L’Istituto di Vigilanza La To. S.r.l. ha impugnato davanti al T.A.R. Campania, sede di Salerno, il provvedimento del Questore di Salerno prot. in uscita n. 0033464 del 7.6.2018, con il quale sono state modificate le modalità di esecuzione del servizio di vigilanza saltuaria di zona qualora l’attività venga svolta in Napoli e provincia.
Il ricorso di primo grado era altresì rivolto avverso il “silenzio serbato dal Questore di Salerno in relazione all’interpello proposto dall’Istituto ricorrente, datato 27.6.18, inoltrato a mezzo pec in pari data, avente n. prot. 93/18, col quale si è richiesto se poteva ritenersi compatibile con le modifiche apportate al regolamento l’organizzazione di turni di servizio e pattugliamento svolti nel territorio di Napoli e Provincia da due gg.pp.gg. a bordo di due veicoli diversi che effettuano contestualmente e contemporaneamente il servizio”.
2. La sentenza appellata (T.A.R. Salerno n. 1253/2019, pubblicata il 10 luglio 2019) ha rigettato tutte le censure di legittimità proposte dalla società odierna appellante, osservando:
– l’insussistenza dei vizi procedimentali dedotti;
– che il provvedimento impugnato “ha modificato il regolamento predisposto dal medesimo Istituto, introducendo, in conformità a quanto stabilito dal Questore di Napoli, alcune prescrizioni integrative con riguardo al servizio di “vigilanza saltuaria in zona”, da svolgersi nell’area metropolitana di Napoli. In particolare, ha stabilito che tale servizio sia svolto da due guardie particolari giurate, anziché da una sola guardia come previsto dal regolamento predisposto dall’Istituto”;
– che “Il potere del Ministro dell’Interno di determinare le caratteristiche ed i requisiti minimi di cui all’art. 257 r.d. 635/40 è stato esercitato con il decreto ministeriale del 1° dicembre 2010, n. 557/PAS/10971.10089.D(1)Reg. Tale ultima disposizione legislativa (poi integrata dalla dettagliata disciplina sugli istituti di vigilanza privata recata dal regolamento di cui al D.M. 269/2010) attribuisce senza dubbio all’autorità provinciale di pubblica sicurezza un’ampia discrezionalità ed un largo margine di azione in ordine alle misure da imporre a salvaguardia del pubblico interesse”;
– che “il D.M. n. 269/2010 individua i “requisiti minimi” dei servizi di vigilanza privata, senza tuttavia precludere che detti requisiti minimi possano essere integrati dal Questore, qualora ciò si renda necessario ovvero semplicemente opportuno in relazione al tasso di criminalità e/o alla presenza di organizzazioni criminali sul territorio”;
– che le censure di difetto di motivazione in relazione alla necessità della modifica sono smentite dalla “nota pervenuta dalla Questura di Napoli, volta sostanzialmente ad uniformare le modalità di svolgimento del servizio di vigilanza da parte degli istituti aventi sede nella Provincia di Salerno, ma operanti anche nell’area metropolitana partenopea”;
– che la misura disposta non appare eccessiva e sproporzionata, come dedotto dalla società ricorrente, rispetto all’esigenza da fronteggiare, sicché “l’adottata modifica regolamentare, lungi dal comportare un’indebita lesione dell’autonomia d’impresa, non solo ha inteso uniformare le modalità di svolgimento del servizio fra tutti gli istituti operanti nella medesima Provincia, ma anche inteso imporre una ragionevoli regola di prudenza in ordine alle dotazioni di uomini e mezzi rapportate alle peculiari esigenze di ordine pubblico come valutate dalla questura competente e non diversamente ovviabili in ragione della configurazione geografica delle aree metropolitane interessate”;
– quanto al silenzio, che “alcun obbligo sussisteva in capo all’amministrazione resistente di riscontare la richiesta formulata dal ricorrente istituto onde verificare l’adeguatezza delle misure da esso proposte in alternativa rispetto a quelle oggetto della imposta modifica regolamentare, atteso che il ricorso avente ad oggetto l’impugnazione del silenzio formatosi sulla diffida a modificare un regolamento è inammissibile, stante la mancanza di un obbligo di provvedere in capo all’intimata amministrazione, rientrando la modifica di atti normativi nella piena discrezionalità dell’Amministrazione”.
3. Con ricorso in appello notificato il 30 luglio 2019, e depositato il successivo 1° agosto, l’Istituto di Vigilanza La To. ha impugnato la sentenza indicata.
Si sono costituti in giudizio, per resistere al ricorso, le amministrazioni appellate.
Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza dell’11 giugno 2020.
4. Il primo motivo di appello ripropone la tesi per cui le esigenze poste a fondamento del provvedimento impugnato sarebbero state già fronteggiabili con le modalità già consentite dal Regolamento prima della modifica (“la disposizione del Questore si è limitata, in via esclusiva, a prescrivere l’impiego di due guardie particolari giurate, senza aggiungere null’altro, lasciando dunque ai singoli Istituti una certa autonomia nell’organizzare il servizio, tra cui può ampiamente rientrare anche l’utilizzo simultaneo e contemporaneo di due distinte autovetture”).
Il mezzo è infondato.
La censura strumentalizza la mancata previsione (invero implicita) che le due guardie giurate debbano necessariamente operare con la medesima autovettura, sostenendo che se si ammette la possibilità che utilizzino due diverse autovetture il provvedimento sarebbe legittimo, mentre se si impone la contestuale presenza nella medesima autovettura (come da evidente ratio del provvedimento) quest’ultimo sarebbe illegittimo: “che sussista un tale potere non è mai stato messo in discussione; la contestazione era piuttosto diretta non all’incremento del numero di guardie da utilizzare durante lo svolgimento del servizio ma alle modalità operative a parità di impiego di risorse umane”.
La censura si risolve in una critica di merito al contenuto del provvedimento (“l’intervento di due distinte autovetture ben potrebbe garantire quel livello di sicurezza e di reciproco soccorso cui fa riferimento la decisione impugnata; anzi, potrebbe avere una funzione dissuasiva maggiore di quanto potrebbe accadere nel caso si agisca con una sola autovettura”), incompatibile con la natura latamente discrezionale del potere esercitato.
Invero è sufficientemente chiara – oltre che ragionevole, logica e proporzionata – la modifica della previsione regolamentare in esame nella parte in cui prevede, implicitamente ma inequivocamente, la compresenza delle due guardie sulla medesima autovettura, anche a tutela dell’incolumità degli stessi operanti.
Il provvedimento del Questore di Salerno impugnato in primo grado infatti nelle premesse motivatorie chiaramente afferma che a seguito della situazione di allarme sociale in cui versa il territorio della Provincia di Napoli il servizio di vigilanza nell’area è previsto con l’impiego di due unità di personale “per tutelare l’incolumità fisica delle guardie particolari giurate, costantemente esposte al concreto rischio di dover fronteggiare l’azione di malviventi in un contesto territoriale particolarmente difficile quale quello di Napoli e provincia”.
È pertanto evidente che la pretesa di ottemperare alla nuova norma regolamentare mediante la predisposizione di turni di servizio con due agenti su due distinte autovetture fosse, alla luce di tale motivazione, incompatibile con il provvedimento di modifica impugnato, ed inutilmente pretestuosa.
5.Il secondo motivo ripropone la censura di difetto di partecipazione procedimentale respinta in prime cure.
Anche sul punto la sentenza di primo grado merita integrale conferma, dal momento che la natura di atti a contenuto generale dei provvedimenti di cui si discute non imponeva l’adozione delle garanzie partecipative invocate dall’appellante.
6. Il terzo motivo di appello insiste nell’accoglimento della domanda di accertamento della illegittimità del silenzio serbato dall’amministrazione sull'”interpello” della società ricorrente, volto a chiarire le ricadute operative della modifica impugnata (se le due guardie potessero, o meno, operare su due distinte autovetture: modalità invero elusiva della finalità del provvedimento), anche alla luce della mancata partecipazione alla fase endoprocedimentale, il che accrescerebbe l’esigenza di un chiarimento successivo all’adozione del provvedimento.
Anche questa censura appare infondata.
Essa suppone che la domanda non fosse rivolta ad una ulteriore modifica regolamentare (come ritenuto nella sentenza impugnata), bensì a chiarire il significato pratico ed operativo della previsione regolamentare contestata (“Per vero non era questo il tema sottoposto all’attenzione del Tribunale: con l’atto di interpello non è mai stato chiesto di modificare un regolamento, ma è stato semplicemente sollecitata la Questura a far conoscere se in virtù dell’adottato provvedimento era possibile eseguire il servizio (congiuntamente e contemporaneamente) da due guardie giurate su due distinte autovetture”).
Si tratta di un elemento non essenziale, alla luce della infondatezza sul piano sostanziale della pretesa di parte appellante: come ricordato, dalla ratio del provvedimento è implicita la necessità che le due guardie operino contestualmente sulla stessa autovettura, con la conseguenza che il richiesto chiarimento non era necessario, sicché l’ulteriore interpello è meramente strumentale e defatigatorio e come tale ad esso non corrisponde un obbligo giuridico di provvedere da parte dell’amministrazione.
7. Peraltro, la prospettazione ritenuta nel ricorso in appello non sfugge all’ulteriore rilievo che il rimedio di cui agli artt. 31 e 117 cod. proc. amm. non concerne propriamente la mancata adozione di atti interpretativi di precedenti provvedimenti (a contenuto regolamentare).
Per costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, “la fattispecie del del c.d. “silenzio-inadempimento” riguarda le ipotesi in cui, di fronte alla formale richiesta di un provvedimento da parte di un privato, costituente atto iniziale di una procedura amministrativa normativamente prevista per l’emanazione di una determinazione autoritativa su istanza di parte, l’Amministrazione, titolare della relativa competenza, omette di provvedere entro i termini stabiliti dalla legge; di conseguenza, l’omissione dell’adozione del provvedimento finale assume il valore di silenzio-inadempimento (o rifiuto) solo nel caso in cui sussisteva un obbligo giuridico di provvedere, cioè di esercitare una pubblica funzione attribuita normativamente alla competenza dell’organo amministrativo destinatario della richiesta, attivando un procedimento amministrativo in funzione dell’adozione di un atto tipizzato nella sfera autoritativa del diritto pubblico; presupposto per l’azione avverso il silenzio è, dunque, l’esistenza di uno specifico obbligo (e non di una generica facoltà o di una mera potestà ) in capo all’amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo esplicito, volto ad incidere, positivamente o negativamente, sulla posizione giuridica e differenziata del ricorrente” (così, ex multis, IV Sezione, sentenza n. 5417/2019).
I presupposti per l’attivazione del rito sono dunque sia l’esistenza di uno specifico obbligo di provvedere in capo all’amministrazione, sia la natura provvedimentale dell’attività oggetto della sollecitazione: l’azione prevista dagli artt. 31 e 117 del codice del processo amministrativo rappresenta infatti sul piano processuale lo strumento rimediale per la violazione della regola dell’obbligo di agire in via provvedimentale sancita dall’art. 2 della legge n. 241 del 1990.
Secondo la prevalente giurisprudenza di questo Consiglio di Stato il ricorso avverso il silenzio-inadempimento non è esperibile ove volto a sollecitare l’adozione di atti amministrativi generali e a contenuto programmatorio (così, ad esempio, IV Sezione, sentenze n. 7090/2018 e n. 8799/2019): il che porta ad escludere – per evidente identità di oggetto e di ratio: ed anzi considerando a fortiori che l’attività interpretativa è un quid minus rispetto a quella che pone un assetto d’interessi – che possa addivenirsi ad una soluzione opposta per l’ipotesi di sollecitazione interpretativa sul contenuto del regolamento.
In ogni caso, come già ricordato, la precisazione in parola era già implicitamente ma inequivocamente contenuta nella nuova disposizione regolamentare: il che, sul piano sostanziale, prevale su ogni altra considerazione nel senso del rigetto della censura in esame.
8. Il ricorso in appello è pertanto infondato e come tale deve essere respinto.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la regola della soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna la società appellante al pagamento in favore del Ministero dell’Interno delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro tremila/00, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2020, tenutasi mediante collegamento da remoto in videoconferenza (ai sensi dell’art. 84, comma 6, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito dalla legge 24 aprile 2020, n. 27), con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Giovanni Tulumello – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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