Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 7 agosto 2020, n. 4974.
La massima estrapolata:
La disciplina del PAI costituisce, ai sensi dell’art. 65 del d.lgs. n. 152/2006, un “piano territoriale di settore”, nonché uno “strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato”. Stessa valenza hanno i piani stralcio di distretto per l’assetto idrogeologico, la cui adozione, a norma dell’art. 67 del d.lgs. n. 152/2006, avviene, nelle more dell’approvazione dei piani di bacino, con la finalità di individuare, tra l’altro, le “aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime”. Le disposizioni dei Piani stralcio di distretto per l’assetto idrogeologico, contenenti misure applicabili in via d’urgenza per fronteggiare situazioni di rischio idrogeologico nelle more dell’intervento ordinario, in quanto assimilabili a quelle dei Piani di bacino ai sensi degli art. 65, comma 4, e 67, comma 1, d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni, gli enti ed i soggetti privati, ove lo stesso Piano le qualifichi espressamente come tali, e prevalgono, in tale ipotesi, sugli strumenti urbanistico-edilizi eventualmente già adottati (
Sentenza 7 agosto 2020, n. 4974
Data udienza 28 maggio 2020
Tag – parola chiave: Acqua e inquinamento idrico – Assetto idrogeologico – Disciplina del PAI – Artt. 65 e 67 d.lgs. n. 152/2006 – Finalità – Carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni, gli enti e i privati – Prevalenza sugli strumenti urbanistico-edlizi eventualmente già adottati
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello numero di registro generale 6326 del 2019, proposto dai signori Ma. Pa., ed altri, rappresentati e difesi dagli avvocati Ga. Pa., ed altri, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
nei confronti
la Bi. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, e il signor Fr. Ha., non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte, sede di Torino, Sezione seconda, n. 494 del 26 aprile 2019, resa tra le parti, concernente la deliberazione della Giunta comunale di (omissis) n. 17 del 6 febbraio 2018 di esclusione del progetto di lottizzazione presentato dalla società Bi. dal procedimento di valutazione ambientale strategica, nonché le relative deliberazioni sulla monetizzazione di standard.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 maggio 2020, svoltasi in video conferenza, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito dalla legge n. 27 del 2020, il consigliere Nicola D’Angelo;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. I signori Ma. Pa., Giuseppe Marzorati, Raffaele Fujani e Patrizia Menegon – in qualità di proprietari, nella frazione Ripa del Comune di (omissis), di alcune unità immobiliari residenziali confinanti con un’area, sulla quale godono anche di servitù di passaggio pedonale e carraio, individuata nel piano regolatore comunale con la sigla “RS/C-2 (“Area di espansione residenziale e turistica”), di proprietà della società Bi. e soggetta a piano esecutivo convenzionato – hanno impugnato, anche con motivi aggiunti, dinanzi al T.a.r. per il Piemonte i seguenti atti:
– la deliberazione della Giunta del Comune di (omissis) n. 17 del 6 febbraio 2018 avente ad oggetto la verifica di assoggettabilità alla VAS, ex art. 12 del d.lgs. n. 152/2006, della proposta di piano esecutivo convenzionato della società Bi. e di signori Fr. Ha. e Ma. Gi. relativo alla suddetta area;
– la deliberazione del Consiglio comunale n. 5 del 1° marzo 2018, di approvazione del medesimo piano e di monetizzazione degli standard urbanistici non reperiti;
– la deliberazione n. 13 del 23 aprile 2018 con la quale il Consiglio comunale ha rettificato la precedente delibera n. 5 del 1° marzo 2018 e determinato di richiedere, in aggiunta a quanto previsto dai proponenti, l’ulteriore monetizzazione delle aree a standard, ex art. 21, comma 4-bis, della legge regionale del Piemonte 5 dicembre 1977;
– la deliberazione della Giunta comunale n. 39 del 26 aprile 2018 avente ad oggetto la “Convalida e ratifica della deliberazione del consiglio comunale n. 5/2018 e della successiva deliberazione del consiglio comunale n. 13 del 23.04.2018”.
1.1. In sostanza, hanno contestato gli atti con i quali l’Amministrazione comunale si è pronunciata favorevolmente sulla proposta di piano esecutivo convenzionato (di seguito PEC) presentata dalla società Bi. s.r.l. e dai signori Fr. Ha. e Ma. Gi. per l’edificazione sulla predetta area RS/C-2 di sei unità immobiliari ad uso residenziale, escludendo l’assoggettamento a VAS del progetto di PEC, nonché la monetizzazione di parte degli standard urbanistici non reperiti dai proponenti.
1.2. Avverso i predetti provvedimenti, i ricorrenti hanno articolato sedici motivi di ricorso, di cui i primi quindici riferiti alla delibera di giunta n. 17/2018 e alla decisione dell’Amministrazione di non assoggettare a VAS il progetto di PEC, il sedicesimo, invece, riferito ai provvedimenti consiliari concernenti la monetizzazione degli standard urbanistici.
1.3. Successivamente, con motivi aggiunti, hanno impugnato la deliberazione della giunta comunale di (omissis) n. 39/2018 con cui sono state convalidate e ratificate, per ragioni di competenza, le due deliberazioni concernenti la monetizzazione degli standard.
2. Il T.a.r., con la sentenza indicata in epigrafe:
a) ha respinto l’eccezione di carenza di interesse ad agire dei ricorrenti, formulata dal Comune di (omissis) e dalla società Bi. (tale capo non è stato impugnato);
b) ha accolto l’eccezione di inammissibilità dei motivi uno, due, tre, quattro, sei, sette e undici del ricorso introduttivo in quanto meramente reiterativi di doglianze già formulate in un pregresso contenzioso, deciso con la sentenza dello stesso Tribunale n. 230 del 26 febbraio 2016, relativo alle delibere approvative delle varianti n. 15, 8 e 12 al PRG che avevano autorizzato, a livello pianificatorio, la lottizzazione;
c) ha dichiarato irricevibili i motivi aggiunti avverso la deliberazione n. 39/2018 in quanto notificati il 26 luglio 2018, cioè oltre il sessantesimo giorno decorrente dall’ultimo giorno di pubblicazione della deliberazione sull’Albo pretorio (27 aprile 2018);
d) ha comunque ritenuto tali motivi aggiunti improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse, al pari del sedicesimo motivo del ricorso principale – tutti incentrati sulla monetizzazione degli standard – alla luce della pubblicazione, nelle more del giudizio, della sentenza del medesimo Tribunale n. 446 del 18 aprile 2019 (successivamente passata in giudicato), che ha annullato, su ricorso della società Bi. e con effetti ex tunc, la deliberazione n. 39/2018;
e) ha respinto i motivi cinque, otto, nove, dieci, dodici, tredici e quattordici contenuti nel ricorso introduttivo;
f) ha condannato i ricorrenti a pagare le spese lite in favore degli intimati nella misura di euro 6000 ciascuno.
3. Contro la predetta sentenza hanno quindi proposto appello i signori Ma. Pa., Giuseppe Marzorati, Raffaele Fujani e Patrizia Menegon, relativamente ai seguenti profili di censura.
3.1. Violazione dell’art. 41, comma 2, del c.p.a.
3.1.1. La sentenza impugnata, nell’accogliere l’eccezione di irricevibilità per tardività dei motivi aggiunti perché notificati oltre il termine decadenziale di sessanta giorni, non avrebbe considerato che la delibera di Giunta n. 39/2018 andava individualmente notificata ai ricorrenti in quanto titolari di un diritto di servitù di passaggio sulle aree interessate dalla stessa delibera.
3.2. Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Omessa pronuncia del giudice di primo grado su censure e motivi di impugnazione.
3.2.1. Il Tar nella sentenza impugnata ha affermato che: “i motivi aggiunti sono pure improcedibili per sopravvenuta carenza di interesse. Essi, infatti, attengono alla delibera di giunta n. 39/2018 con cui sono state convalidate/ratificate le due delibere di consiglio comunale nn. 5/2018 e 13/2018 relative alla proposta di Bi. di monetizzazione degli standard urbanistici afferenti il PEC. Tali provvedimenti sono stati, però, annullati da questo TAR con la sentenza n. 446 del 18 aprile 2019, resa sul ricorso R.G. 432/2018 proposto da Bi. e trattato e deciso alla medesima udienza del 13 marzo 2018, congiuntamente al presente ricorso. Ne consegue che allo stato i ricorrenti, anche a voler prescindere dalla tardività delle proprie doglianze, non hanno più interesse ad insistere per l’annullamento di atti che questo TAR ha già annullato, sia pure per motivi diversi da quelli dedotti dalla ricorrente”. Secondo gli appellanti, tale conclusione sarebbe errata, essendo, come riconosciuto dallo stesso Tribunale, in parte diverse le ragioni dell’impugnazione. L’ommessa pronuncia sugli stessi motivi avrebbe dunque determinato una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
3.3. Violazione e omessa applicazione degli articoli 64, commi 2 e 3, 66 e 67 del c.p.a. – Carenza di istruttoria processuale.
3.3.1. Lamentano i ricorrenti che il Tar avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta di acquisizione degli atti e dei provvedimenti amministrativi relativi alla controversia, in particolare del fascicolo istruttorio comunale annesso alle impugnate deliberazioni.
3.4. Violazione dell’art. 11, comma 3, e dell’art. 12 del d.lgs. n. 152/2006 (TU ambiente) – Eccesso di potere per macroscopica erroneità, illogicità e contraddittorietà e difetto assoluto di istruttoria e di motivazione.
3.4.1. Il punto 8 della sentenza impugnata ha affermato che “in relazione a tale profilo, oggetto dei primi quindici motivi di ricorso, va notato che gran parte delle censure ripropongono pedissequamente argomentazioni già proposte dagli stessi ricorrenti con precedenti gravami avverso gli atti di pianificazione presupposti, e già disattese da questo TAR con la citata sentenza n. 230/2016. Si tratta di censure che il collegio reputa inammissibili per violazione del principio del ne bis in idem, in accoglimento dell’eccezione formulata dalle difese delle parti resistenti, e che comunque sono infondate alla luce delle stesse argomentazioni già svolte dalla Sezione della citata sentenza”. Tale affermazione, secondo gli appellanti, sarebbe errata. Il principio del ne bis in idem non troverebbe applicazioni nel caso di specie tenuto conto che la sentenza citata dal Tar non è passata in giudicato, essendo stata appellata con ricorso n. r.g. n. 5186/2016. Inoltre, nel ricorso introduttivo del giudizio è stata dedotta la violazione dell’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006 con riferimento alla deliberazione della Giunta comunale n. 17 del 6 febbraio 2018, avente ad oggetto la verifica di assoggettabilità alla VAS ex art. 12 dello stesso decreto legislativo della proposta di piano esecutivo convenzionato di libera iniziativa.
3.5. Violazione dell’art. 11, comma 3, e dell’art. 12 del d.lgs. n. 152/2006 – Eccesso di potere per macroscopica erroneità, illogicità e contraddittorietà e difetto assoluto di istruttoria e di motivazione
3.5.1. Con il secondo motivo del ricorso in primo grado, gli appellanti hanno contestato che la trasformazione urbanistica dell’area per finalità edificatorie è avvenuta nel mentre si svolgeva il procedimento penale nel quale all’udienza avanti il G.I.P. del Tribunale di Verbania, il progettista della cd. “variante n. 15” al piano regolatore del Comune di (omissis) patteggiava la pena per il reato di falsità ideologica (sentenza n. 342/2013 del Tribunale di Verbania) perché in qualità di tecnico incaricato dal Comune alla redazione della stessa variante, aveva attestato falsamente nella relazione di progetto che le aree interessate non si trovavano in zona vincolata ex lege. Il Tar tuttavia ha erroneamente considerato la censura inammissibile per violazione del principio del ne bis in idem, trattandosi di motivo già dedotto dai ricorrenti avverso gli atti presupposti e già confutato dallo stesso Tribunale nella citata sentenza n. 230 del 2016. Secondo parte appellante, invece, la violazione del principio del ne bis in idem non sussisterebbe in quanto la censura è stata posta avverso atti diversi rispetto a quelli interessati dalla predetta sentenza.
3.6. Violazione dell’art. 11, comma 3, e dell’art. 12 del d.lgs. n. 152/2006 – Violazione del principio di precauzione.
3.6.1. Con il terzo motivo del ricorso di primo grado è stato dedotto che dalla consultazione degli enti competenti (Regione Piemonte, Provincia del Verbano Cusio Ossola, Soprintendenza Archeologica delle Belle Arti e del Paesaggio, A.R.P.A. e A.S.L.) sono emerse “gravi carenze in ordine alla pericolosità geomorfologica ed idraulica dell’area oggetto di richiesta e pertanto viene evidenziata la necessità di eseguire un’appropriata indagine per colmare tale lacuna”. Al contrario l’Organo Tecnico Comunale, nel trattare degli aspetti relativi alla pericolosità geomorfologica ed idraulica, non ha considerato tali rilievi, nonché la previsione dell’art. 9, comma 2, del Piano stralcio per l’assetto idrogeologico (di seguito PAI) relativo alla zona, che ha contrassegnato l’area con la sigla “Ee” – “Area con pericolosità molto elevata o elevata non perimetrata (Ee)”, nell’ambito delle aree, peraltro, soggette ad “Esondazioni e dissesti morfologici di carattere torrentizio”.
In sostanza, secondo gli appellanti, il comportamento del Comune sarebbe stato palesemente contraddittorio, perché da una parte con le deliberazioni impugnate, ha escluso la VAS in un area a forte rischio idrogeologico, dall’altra ha impegnato somme ingenti di provenienza statale e regionale per prevenire i pericoli derivanti dal dissesto idrogeologico (cfr. deliberazione della Giunta comunale n. 65 e n. 97 del 2017 di approvazione dello schema del programma triennale dei lavori pubblici 2018 – 2020)
Nonostante l’evidente inadeguatezza dell’istruttoria, il Tar, secondo i ricorrenti, ha erroneamente dichiarato inammissibile la relativa doglianza in quanto già confutata con la sentenza dello stesso Tribunale n. 230 del 2016
3.7. Violazione degli articoli 96 e 97 del Regio Decreto n. 523/1904 (TU sulle opere idrauliche), nonché dell’art. 29, commi 1 e 5, della legge regionale del Piemonte n. 56/1977 – Violazione dell’art. 11, comma 3, e dell’art. 12 del d.lgs. n. 152/2006.
3.7.1. Con il quarto motivo del ricorso di primo grado, gli appellanti hanno contestato che l’area oggetto del PEC, in quanto adiacente al Torrente Anza, imponeva al Comune l’obbligo di una verifica con riguardo alle norme sulle distanze previste nel TU opere idrauliche. Il Tar ha invece erroneamente considerato la censura infondata, ritenendola generica.
3.8. Violazione dell’art. 16 delle NTA del Piano Paesaggistico Regionale adottato con D.G.R. n. 20 – 1442 del 18 maggio 2015 della Regione Piemonte (Territori coperti da foreste e boschi) e delle relative misure di salvaguardia.
3.8.1. Con il quinto motivo del ricorso di primo grado gli appellanti hanno contestato la Relazione dell’Organo Tecnico Comunale nella parte in cui ha trascurato di considerare che l’area del PEC RS/C2 ricade sotto la previsione dell’art. 16 delle NTA del Piano Paesaggistico Regionale adottato con D.G.R. n. 20 – 1442 del 18 maggio 2015 (Territori coperti da foreste e boschi) e le relative misure di salvaguardia. In particolare, ai sensi del comma 11 del citato art. 16 nell’area sarebbe vietata qualunque trasformazione in “habitat di interesse comunitario”. La sentenza impugnata non ha però considerando quanto prospettato nel quinto motivo del ricorso introduttivo ritenendolo in parte inammissibile ed in parte infondato.
3.9. Violazione dell’art. 11, comma 3, e dell’art. 12 del d.lgs. n. 152/2006.
3.9.1. Con il sesto motivo di ricorso, gli appellanti hanno evidenziato che il Presidente del Consiglio dei Ministri, con ordinanza 7 settembre 2011, n. 3964, ha approvato “Interventi urgenti di protezione civile diretti a fronteggiare i danni conseguenti agli eccezionali eventi atmosferici che hanno colpito il territorio della Regione Piemonte nel mese di marzo 2011”. Inoltre, con ordinanza commissariale n. 2/DB14.00/1.2.6./3964 del 14 febbraio 2014 e con altra successiva ordinanza commissariale n. 3/DB14.00/1.2.6./3964 del 17 febbraio 2014 (doc. 26), la Regione Piemonte ha approvato il primo programma stralcio di finanziamento delle opere di competenza regionale conseguenti all’evento calamitoso del mese di marzo 2011. Il suindicato programma, relativamente al territorio del Comune di (omissis), ha evidenziato la necessità di effettuare immediatamente lavori atti a scongiurare pericoli per la pubblica incolumità derivanti da possibili esondazioni del torrente Anza verso l’abitato. Con successiva delibera di Giunta comunale n. 1 del 15 gennaio 2015, il Comune ha approvato i “Lavori di somma urgenza atti a scongiurare pericoli per pubblica incolumità derivanti da possibili esondazioni del Torrente Anza verso l’abitato”. Secondo i ricorrenti, in questo quadro del tutto illegittimamente il PEC RS/C2 è stato escluso dalla fase di valutazione ambientale strategica. Erroneamente, il giudice di primo grado ha invece affermato che “La censura è meramente ripetitiva di argomenti già dedotti e già confutati, sia nella sentenza n. 230/2016 sia nei paragrafi precedenti della presente decisione: l’area prossima al Torrente Anza è diversa da quella oggetto del progetto di PEC, soggetta a diversa perimetrazione e a diversa classificazione sotto il profilo del rischio idrogeologico in quanto ritenuta compatibile con la destinazione residenziale e turistica”.
3.10. Violazione della D.G.R. n. 20 – 1442 del 18 maggio 2015 della Regione Piemonte e dell’art. 11, comma 3, e dell’art. 12 del d.lgs. n. 152/2006 – Violazione dell’art. 13, comma 7, lettera b), della legge regionale del Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56 – Violazione dell’art. 142, comma 1, lett. c) e g) del d.lgs. n. 42/2004 – Violazione dell’art. 3-bis della legge regionale del Piemonte 5 dicembre 1977, n. 56.
3.10.1. In primo grado, con i motivi che vanno dal settimo al quindicesimo, gli appellanti hanno censurato e dedotto, a vario titolo, la violazione delle norme sopra indicate. Il Giudice di prime cure li ha però erroneamente rigettati.
3.10.2. Quanto poi al sedicesimo motivo di ricorso, dichiarato improcedibile, la sentenza impugnata avrebbe dovuto invece entrare nel merito dell’illegittima monetizzazione degli standard. I ricorrenti in via “prudenziale” comunque ribadiscono la contestazione qualora dovessero risorgere, anche solo parzialmente, le deliberazioni impugnate e annullate con la sentenza n. 432/2018 (la destinazione delle risorse, derivanti dalla monetizzazione delle aree a standard del PEC di Ripa, non giustifica il perché non vengano reperite le aree a standard nell’ambito del PEC medesimo).
4. Gli appellanti hanno poi depositati ulteriori documenti e, per ultimo, una memoria il 24 aprile 2020.
5. Le parti intimate non si sono costituite in giudizio.
6. La causa è stata trattenuta in decisione, ai sensi dell’art. 84, commi 5 e 6, del decreto legge n. 18 del 2020, nell’udienza pubblica tenutasi in video conferenza il 28 maggio 2020.
7. L’appello è solo in parte fondato.
8. Preliminarmente, per la definizione del perimetro del presente giudizio, è necessario ricordare sinteticamente i contenuti della recente sentenza di questa Sezione n. 6438 del 26 settembre 2019, con la quale è stata parzialmente riformata la pronuncia del T.a.r. per il Piemonte n. 230 del 2016.
8.1. Quest’ultima sentenza ha infatti deciso una serie di ricorsi proposti dagli odierni appellanti. In particolare, i ricorrenti hanno innanzitutto impugnato la variante n. 15 al PRG, adottata nel giugno del 2010 e definitivamente approvata con deliberazione del Consiglio comunale n. 71 del 22 dicembre 2010, con la quale il Comune di (omissis) provvedeva ad una “riperimetrazione” dell’area RS/C-2 oggetto del PEC, mediante stralcio di una sua parte ed aggregazione di altre porzioni di territorio, in modo da farne rimanere invariata l’estensione complessiva (3890 mq), anche con la finalità rendere alcune aree agricole edificabili, nonché la deliberazione del Consiglio comunale, n. 4 del 29 marzo 2011, con la quale venivano approvate due nuove varianti al piano regolatore, ancora relative all’area RS/C-2 (variante n. 8 e della variante c.d. “in itinere” n. 12, adottate in dichiarato adeguamento al Piano stralcio per l’Assetto Idrogeologico (P.A.I.), approvato dall’Autorità di Bacino il 26 aprile 2001 e poi recepito con DPCM 24 maggio 2001).
8.2. Hanno poi impugnato la delibera n. 4 del 2011, insieme agli atti presupposti (tra i quali, la precedente delibera di approvazione della variante n. 15), lamentando in sostanza il contrasto della prevista riperimetrazione dell’area RS/C-2 con le disposizioni del Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI) e la conseguente impossibilità di edificare nell’area medesima, e delibera di Giunta regionale n. 27-2934, del 28 novembre 2011, recante l’approvazione definitiva, da parte della Regione Piemonte, della variante strutturale n. 8 e della variante c.d. in itinere n. 12 al piano regolatore del Comune di (omissis).
8.3. Con successivo ricorso, hanno anche contestato l’autorizzazione paesaggistica n. 2437/AA/2012, del 22 ottobre 2012, rilasciata dal Comune di (omissis) in favore della Bi. per la realizzazione di una recinzione della sua proprietà (coincidente con l’area RS/C-2) e, affiancati da altro ricorrente, impugnato il silenzio serbato dal Comune sulle istanze dell’11 agosto 2014 e 26 settembre 2014 tendenti ad ottenere “l’esecuzione della sentenza ex art. 444 c.p.p. n. 342/13 del 9.10 – 15.10.2013 del Tribunale di Verbania, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari” unitamente all’ana silenzio serbato dalla Regione Piemonte, nonché la delibera del Consiglio comunale di (omissis), n. 42 del 30 settembre 2014, recante, tra l’altro, la “Presa d’atto perimetro urbanistico dell’area individuata in classe RS/C – Aree di espansione residenziale e turistica, contrassegnata con il numero ‘2’”. Con tale ultima deliberazione, in particolare, l’organo consiliare dava atto che, con sua precedente delibera, n. 56 del 29 novembre 2011, erano stati annullati in autotutela, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990, i provvedimenti di adozione e di approvazione della variante parziale n. 15 al PRG, nella parte in cui essi avevano riguardato l’area RS/C-2.
8.4. Il Tar per il Piemonte, dopo aver riunito i suddetti ricorsi, ha dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il gravame contro la delibera del Consiglio comunale n. 71 del 22 dicembre 2010 e degli atti prodromici all’approvazione della variante n. 15. Ha poi respinto le altre impugnazioni.
8.5. Questa Sezione con la sentenza n. 6438 del 2019 ha, come detto, accolto in parte l’appello degli odierni ricorrenti, annullando gli atti presupposti all’adozione del PEC oggetto del presente giudizio (ovvero le varianti n. 8 e 12 al PRG e l’autorizzazione paesaggistica del 22 ottobre 2012).
Con la stessa sentenza è stato dunque assodato che:
– i suddetti atti di pianificazione erano in contrasto con l’art. 9, comma 5, delle NTA del Piano per l’assetto idrogeologico (PAI) relativo al bacino del fiume Po;
– gli stessi atti andavano sottoposti a VAS;
– era illegittima autorizzazione paesaggistica rilasciata, essendo esclusa nella zona RS/C-2 l’edificabilità .
9. Con ulteriore ricorso al Tar per il Piemonte, i signori Ma. Pa., Giuseppe Marzorati, Raffaele Fujani e Patrizia Menegon hanno invece impugnato i successivi atti con cui l’Amministrazione Comunale, pronunciandosi sulla proposta di PEC presentata dalla società Bi. e dai signori Fr. Ha. e Ma. Gi. per l’edificazione sulla predetta area RS/C-2 di sei unità immobiliari ad uso residenziale, ha rispettivamente:
– escluso l’assoggettamento a VAS del progetto di PEC (delibera della giunta comunale n. 17 del 6 febbraio 2018);
– deliberato di monetizzare parte degli standard urbanistici non reperiti dai proponenti sull’area oggetto di PEC, quantificandoli nell’importo complessivo di euro 179.130, di cui 50.330,00 ex art. 38 NTA del PRG ed 128.000 ex art. 21 comma 4-bis della legge regionale del Piemonte n. 56/1977 (delibera consiglio comunale n. 5 del 1° marzo 2018);
– rettificato nel minore importo di euro 105.775 la monetizzazione dovuta ai sensi del citato art. 21, comma 4-bis (delibera consiglio comunale n. 13 del 23 aprile 2018).
9.1. Avverso i predetti provvedimenti, i ricorrenti hanno articolato i gravami sopra descritti esitati con la sentenza oggetto del presente giudizio
10. Nel quadro sopra delineato va dunque esaminato l’appello proposto.
11. Con la prima censura si contesta la sentenza del T.a.r. n. 494/2019 nella parte in cui ha dichiarato irricevibili i motivi aggiunti proposti avverso le delibere di monetizzazione.
Il motivo è infondato.
I motivi aggiunti sono stati notificati il 26 luglio 2018, quindi oltre il termine decadenziale di sessanta giorni decorrente dall’ultimo giorno di pubblicazione della delibera n. 39/2018 sull’Albo pretorio del comune di Macugnano (27 aprile 2018).
11.1. Non può, infatti, essere condivisa la tesi degli appellanti secondo cui la delibera avrebbe dovuto essergli notificata individualmente, ai sensi dell’art. 41, comma 2, c.p.a., in quanto soggetti direttamente destinatari degli effetti dell’atto. Nella delibera n. 39/2018, invece, i ricorrenti non sono neppure indirettamente menzionati, trattandosi di un provvedimento di monetizzazione degli standard con efficacia diretta solo verso i proponenti del PEC.
12. Con il secondo motivo di appello si censurano, sotto altro profilo, le conclusioni del T.a.r. relativamente ai motivi aggiunti e al sedicesimo motivo del ricorso principale, censure entrambe proposte contro la monetizzazione degli standard. Anche questo profilo di gravame è infondato. Come correttamente rilevato dal T.a.r., le stesse sono improcedibili perché tutte le determinazioni comunali in materia sono state annullate con sentenza dello stesso Tribunale passata in giudicato (n. 446 del 18 aprile 2019). Comunque, in concreto, non è stata fornita la prova della esistenza di un apprezzabile interesse morale o risarcitorio tale da giustificare l’esame degli aspetti di illegittimità di un atto inesistente e improduttivo di effetti perché già annullato ex tunc (e di cui non è stata dimostrata la reiterazione in sede di esecuzione di quel giudicato sollecitata dalla società Bi.).
13. Al pari è infondato il terzo motivo di appello, relativo alle domande istruttorie dei ricorrenti. Il T.a.r. infatti non aveva necessità di esaminare espressamente l’istanza istruttoria in quanto ha implicitamente, ma univocamente ritenuto adeguato il materiale istruttorio acquisito al fascicolo d’ufficio.
13. Sono invece da ritenersi fondati, il quarto, il quinto, il sesto e il nono motivo di appello sotto il profilo della lamentata violazione dell’art. 9 delle NTA del PAI e della mancata sottoposizione a VAS del PEC (profili che sono stati evocati anche nella iniziale censura del ricorso di primo grado).
13.1. Come ha avuto modo di evidenziare la ricordata sentenza di questa Sezione n. 6438/2019, l’art. 9, comma 5, delle NTA al Piano per l’assetto idrogeologico (PAI) stabilisce che le aree classificate come “Ee”, ossia le “aree coinvolgibili dai fenomeni con pericolosità molto elevata”, sono sottoposte a stringenti divieti in ordine agli interventi edilizi consentiti con esclusione, in particolare, della possibilità di nuove edificazioni. La zona oggetto del PEC è inserita proprio nella classe “Ee” e dunque per la stessa non poteva essere prevista una integrazione del regime idrogeologico ad opera del Comune in sede di approvazione dello strumento di attuazione, ma semmai una revisione della relativa specifica disciplina della zona all’esito di una modifica della sovrastante pianificazione urbanistica generale (rectius: variante).
13.2. La predetta sentenza di questa Sezione ha, infatti, sottolineato come la disciplina del PAI costituisca, ai sensi dell’art. 65 del d.lgs. n. 152/2006, un “piano territoriale di settore”, nonché uno “strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione, alla difesa e alla valorizzazione del suolo e alla corretta utilizzazione della acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato”. Stessa valenza hanno i piani stralcio di distretto per l’assetto idrogeologico, la cui adozione, a norma dell’art. 67 del d.lgs. n. 152/2006, avviene, nelle more dell’approvazione dei piani di bacino, con la finalità di individuare, tra l’altro, le “aree a rischio idrogeologico, la perimetrazione delle aree da sottoporre a misure di salvaguardia e la determinazione delle misure medesime”.
La giurisprudenza ha poi chiarito che “Le disposizioni dei Piani stralcio di distretto per l’assetto idrogeologico (c.d. P.A.I.), contenenti misure applicabili in via d’urgenza per fronteggiare situazioni di rischio idrogeologico nelle more dell’intervento ordinario, in quanto assimilabili a quelle dei Piani di bacino ai sensi degli art. 65, comma 4, e 67, comma 1, d.lg. 3 aprile 2006, n. 152, hanno carattere immediatamente vincolante per le amministrazioni, gli enti ed i soggetti privati, ove lo stesso Piano le qualifichi espressamente come tali, e prevalgono, in tale ipotesi, sugli strumenti urbanistico-edilizi eventualmente già adottati” (cfr. Cass. pen., sez. III, 16 giugno 2016, n. 55003).
13.3. Ciò premesso, il PAI relativo all’area oggetto dell’intervento attuativo è quello del bacino del fiume Po, approvato con l’obiettivo di garantire al territorio circostante un livello di sicurezza adeguato rispetto ai fenomeni di dissesto idraulico e idrogeologico mediante l’adeguamento della strumentazione urbanistico-territoriale, la definizione del quadro del rischio idraulico e idrogeologico in relazione ai fenomeni di dissesto considerati, la costituzione di vincoli, di prescrizioni, di incentivi e di destinazioni d’uso del suolo in relazione al diverso grado di rischio. In particolare, l’art. 9 delle NTA al piano reca le “Limitazioni alle attività di trasformazione e d’uso del suolo derivanti dalle condizioni di dissesto idraulico e idrogeologico” in relazione alle classificazione delle aree interessate da fenomeni di dissesto. Tra di esse quelle contenute nel comma 5, relativo alle prescrizioni per le aree interessate da “esondazioni e dissesti morfologici di carattere torrentizio lungo le aste dei corsi d’acqua”, classificate “Ee”, ovvero “aree coinvolgibili dai fenomeni con pericolosità molto elevata”.
13.4. I Comuni, in sede di formazione e adozione degli strumenti urbanistici generali o di loro varianti, comprese quelle di adeguamento allo stesso PAI, sono dunque tenuti a conformare le loro previsioni alle delimitazioni e alle relative disposizioni di cui all’art. 9. In tale ambito, anche al fine di migliorare l’efficacia dell’azione di prevenzione, i Comuni effettuano una verifica della compatibilità idraulica e idrogeologica delle previsioni degli strumenti urbanistici vigenti con le condizioni di dissesto presenti o potenziali rilevate anche nella cartografia di piano, secondo specifiche modalità che tengano conto delle risultanze dell'”Atlante dei rischi idraulici e idrogeologici – Inventario dei centri abitati montani esposti a pericolo” e delle particolari condizioni del territorio e le interferenze della pianificazione contenuta nei piani regolatori (all’atto di approvazione degli strumenti urbanistici o di loro varianti, le delimitazioni delle aree in dissesto e le previsioni urbanistiche ivi comprese, conseguenti alla verifica di compatibilità, aggiornano ed integrano le prescrizioni del PAI).
13.5. Nel caso in esame, l’operata esclusione di un’area già classificata a rischio non poteva essere dunque effettuata dal Comune con una modifica del PAI operata con l’approvazione di un piano attuativo, ma solo all’esito, come sopra detto, di un procedimento di variante (da approvare secondo la disciplina di cui all’art. 66 del d.lgs. n. 152/2006)
13.6. Quanto alla necessità della sottoposizione alla VAS del PEC, può essere rilevato in linea generale che per effetto del d.lgs. n. 152/2006 e della sua integrazione contenuta nel d.lgs. n. 4/2008, devono essere sottoposti a tale valutazione tutti gli atti di pianificazione territoriale e di destinazione dei suoli, ovviamente in una fase preliminare alla loro approvazione (la VAS è volta a garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente, al fine di rendere compatibile l’attività antropica con le condizioni di sviluppo sostenibile e ad integrare le scelte discrezionali tipiche dei piani e dei programmi, ed è dunque ragionevole che venga esperita prima dell’approvazione degli stessi piani).
13.7. Ai sensi delle stesse disposizioni, si può poi ricavare che il legislatore ha configurato un sistema articolato da piani, programmi e progetti per i quali rispettivamente la VAS è obbligatoria, piani per i quali la VAS è soltanto eventuale, piani esclusi dall’applicazione della procedura in questione. Con riferimento ai piani attuativi e alla loro ricomprensione nell’ambito applicativo della VAS emergono non pochi elementi di giudizio che depongono nel senso sfavorevole alla tesi ermeneutica della loro ricomprensione qualora si sia in presenza di particolari presupposti soggettivi ed oggettivi in ragione dei quali è possibile l’assoggettabilità di detti piani alla verifica di sostenibilità ambientale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 31 novembre 2012, n. 5715). La VAS infatti può ritenersi non necessaria solo qualora il piano attuativo sia sostanzialmente riproduttivo delle previsioni della pianificazione sovraordinata.
13.8. Nel caso di specie, la delibera della Giunta del Comune di (omissis) n. 17 del 6 febbraio 2018 ha affermato che le previsioni del piano risultavano coerenti con gli strumenti di pianificazione locale e sovralocale e che era stata verificata la compatibilità degli elementi di carattere geomorfologico ed idrogeologico a corredo del PRGC vigente. Tuttavia, è un dato incontestato che l’area oggetto di PEC fosse classificata nel PAI “Ee” cioè “soggetta ad esondazioni e dissesti morfologici di carattere torrentizio lungo le aste dei corsi d’acqua”. In sostanza, lo strumento attuativo è andato ad incidere su un ambito che necessitava di un elevato livello di protezione ambientale, con la conseguenza che si imponeva un esame, mediante la procedura di VAS, degli elementi fattuali di incidenza sull’ambiente e sul territorio (la delibera impugnata ha invece escluso la valutazione ex art. 12 del d.lgs. n. 152/2006).
14. Quanto ai restanti motivi di appello gli stessi debbono ritenersi infondati ovvero inammissibili. In particolare, il settimo, riproduttivo del quarto motivo del ricorso di primo grado, con cui si è stato contestato che l’area oggetto del PEC, in quanto adiacente al Torrente Anza, imponeva al Comune l’obbligo di una verifica con riguardo alle norme sulle distanze previste nel TU opere idrauliche ed ai possibili profili di inquinamento derivanti dal nuovo insediamento, è inammissibile perché gli aspetti sulla perimetrazione dell’area e sulle distanze sono sostanzialmente ricompresi nell’annullamento delle varianti parziali e strutturali al PRG disposto dalla sentenza di questa Sezione n. 6438/2019, mentre quelli proposti relativamente al pericolo di inquinamento sono dedotti in modo generico.
L’ottavo, che ha riproposto il quinto motivo del ricorso di primo grado che ha censurato la Relazione dell’Organo Tecnico Comunale nella parte in cui ha trascurato di considerare che l’area del PEC RS/C2 ricadeva sotto la previsione dell’art. 16 delle NTA del Piano Paesaggistico Regionale. Il decimo, con cui sono stati riproposti profili di censura contenuti dal settimo al quindicesimo motivo del ricorso introduttivo relativamente a diversi e ripetuti profili sul regime dell’area e sulle competenze della Giunta, nonché dal sedicesimo motivo di primo grado sull’illegittima monetizzazione degli standard.
14.1. Si tratta infatti di censure che vanno ad incidere nel merito di valutazioni discrezionali, ovvero che propongono congetture, non assistite da adeguata prova, ovvero che si limitato a rinviare puramente e semplicemente ai motivi di primo grado (è il caso del decimo motivo di appello che rinvia ai motivi di primo grado dal 7° al 15° in violazione art. 101, comma 1, c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. IV, n. 4636 del 2016 e n. 2866 del 2016; sez. V, n. 5459 del 2015) o ancora per scopi definiti “prudenziali”, come nel caso della proposizione del sedicesimo motivo del ricorso di primo grado.
15. Per le ragioni sopra esposte, l’appello va parzialmente accolto con riferimento agli originari motivi quarto, quinto, sesto e nono posti a sostegno del ricorso principale di primo grado e, per l’effetto, va accolto in parte il ricorso principale di primo grado e annullata la deliberazione del Comune di (omissis) n. 17 del 6 febbraio 2018.
16. Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come indicato nel dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e, per l’effetto, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, accoglie il ricorso principale di primo grado e annulla la deliberazione del Comune di (omissis) n. 17 del 6 febbraio 2018.
Condanna il Comune di (omissis), la Bi. s.r.l. e il signor Fr. Ha., in solido fra loro, a rifondere in favore degli appellanti le spese di entrambi i gradi di giudizio che liquida in complessivi euro 3.000, oltre accessori come per legge (I.V.A., C.P.A. e rimborso spese generali al 15%).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso dal Consiglio di Stato nella camera di consiglio del giorno 28 maggio 2020, svoltasi da remoto in audio conferenza, ai sensi dell’art. 84, comma 6, del decreto legge n. 18 del 2020, convertito dalla legge n. 27 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere, Estensore
Roberto Caponigro – Consigliere
Michele Conforti – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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