La dichiarazione di pubblica utilità ed atto meramente preparatorio

Consiglio di Stato, Sentenza|9 febbraio 2022| n. 941.

La dichiarazione di pubblica utilità ed atto meramente preparatorio.

La dichiarazione di pubblica utilità non può essere considerata un atto meramente preparatorio del procedimento espropriativo e del conclusivo decreto di espropriazione, in particolare costituendo, invece, un atto presupposto dotato di autonoma lesività e, quindi, da impugnarsi immediatamente, con la conseguenza che la sua mancata tempestiva impugnazione determina la preclusione a dedurre, in sede di impugnativa del decreto di esproprio, motivi attinenti ad asseriti vizi della dichiarazione stessa.

Sentenza|9 febbraio 2022| n. 941. La dichiarazione di pubblica utilità ed atto meramente preparatorio

Data udienza 13 gennaio 2022

Integrale

Tag- parola chiave: Espropriazione per pubblica utilità – Dichiarazione di pubblica utilità – Natura – Atto presupposto dotato di autonoma lesività

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5217 del 2021, proposto dalla s.p.a. Mi. Se. – Mi. Ta., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato prof. Ma. Re., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
la Fondazione Do. An. Be. Onlus, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Ro. De Vi. e Um. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, nella persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato ex lege in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Sede di Milano Sezione Terza, n. 1032/2021, resa tra le parti, notificata in data 22 aprile 2021, pronunciata nel giudizio di primo grado n. r.g. 1565 del 2020;
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Fondazione Do. An. Be. onlus e del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili;
Visto il ricorso incidentale proposto dalla Fondazione Do. An. Be. onlus;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2022, il Cons. Claudio Tucciarelli e uditi per le parti gli avvocati Ma. Re. e An. Vi., per delega dell’avvocato Um. Gr.;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

La dichiarazione di pubblica utilità ed atto meramente preparatorio

FATTO

1. Con il ricorso in appello Mi. Se. – Mi. Ta. S.p.A. chiede l’annullamento o la riforma della sentenza del T.A.R. Lombardia, Sezione III, n. 1032 del 2021 (n. r.g. 1565/2020), che ha accolto il ricorso proposto dalla Fondazione Do. An. Be. Onlus per l’annullamento del decreto di esproprio n. 500/2020, notificato in data 4 agosto 2020, recante il trasferimento in favore di Mi. Se. – Mi. Ta. s.p.a. di alcune aree di proprietà della Fondazione per la realizzazione del progetto viabilistico per la riqualificazione della “SP 46 Rho – Monza”.
La medesima sentenza ha respinto la domanda risarcitoria della Fondazione ricorrente e ha disposto la compensazione delle spese di giudizio.
2. L’odierna appellante è autorità espropriante ai sensi del D.P.R. n. 327/2001 (t.u. espropri) e della convenzione unica di riferimento, in qualità di concessionaria delegata per la realizzazione della viabilità di adduzione al sistema autostradale esistente A8/A52 – Rho Monza e, più specificamente, nel caso di specie, per la riqualificazione, con caratteristiche autostradali, della S.P. 46 Rho-Monza, dal termine della Tangenziale Nord di Milano al ponte sulla linea ferroviaria Milano-Varese.
La Fondazione appellata è proprietaria di alcune aree site nel Comune di (omissis), interessate dalla realizzazione delle opere di mitigazione ambientale (oggetto, poi, del decreto di esproprio n. 500/2020 del 2 luglio 2020, impugnato dalla Fondazione dinanzi al T.A.R.) previste, analogamente a quelle interessate dalle opere viabilistiche (oggetto del decreto di esproprio n. 402/2016 del 6 aprile 2016), nel progetto definitivo approvato con decreto del Provveditore Interregionale alle opere pubbliche Lombardia-Liguria n. 896 del 29 gennaio 2014, ricadenti, secondo la zonizzazione dello strumento urbanistico locale, in un ambito di trasformazione denominato AT12.
Dopo l’intesa tra Stato e Regione, nel 2014 veniva approvato il progetto esecutivo dell’opera, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità . La Fondazione presentava osservazioni e, per quanto qui rileva, chiedeva che la previsione di “espropriazione” delle suddette aree fosse sostituita dalla previsione di “asservimento ad uso pubblico”.
Mi. Se. si dichiarava disponibile a regolare la realizzazione delle opere di mitigazione ambientale attraverso apposito atto convenzionale. Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (MIT, ora Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili) nel frattempo approvava il progetto, con la previsione che per la posizione in questione, relativa all’esproprio concernente la mitigazione ambientale, non sarebbero state recepite le osservazioni della Fondazione, che a sua volta non ha proposto alcuna impugnativa avverso tale provvedimento del MIT.

 

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E’ quindi proseguito il confronto tra l’appellante e la Fondazione; la prima informava il MIT circa l’alternativa dell’asservimento a uso pubblico, prospettata rispetto all’espropriazione. La richiesta di autorizzazione dell’appellante al MIT all’adozione dell’atto di asservimento in luogo dell’espropriazione non ha tuttavia trovato riscontro.
L’appellante avrebbe proceduto ulteriormente nella ricerca di una soluzione transattiva e infine notificava nel luglio 2020 alla Fondazione il decreto di esproprio n. 500/2020 relativo alle aree occorrenti per la realizzazione delle opere di mitigazione ambientale.
3. Il decreto di esproprio è stato impugnato dalla Fondazione Do. An. Be. Onlus davanti al T.A.R. Lombardia. Alla domanda di annullamento si univa quella risarcitoria, in quanto, ad avviso della Fondazione, l’espropriazione del diritto di proprietà delle aree destinate alle opere di mitigazione rendeva non più approvabile il piano attuativo presentato al Comune di (omissis), finalizzato alla costruzione di una grande struttura di vendita, con una superficie lorda di pavimento complessiva pari circa a 58.000 mq. Inoltre, tale esito aveva già determinato la risoluzione del contratto preliminare di compravendita da essa stipulato in data 18 dicembre 2012 con un operatore del settore.
Il ricorso al T.A.R. veniva affidato alle seguenti doglianze.
3.1. In primo luogo era censurata la lesione dell’affidamento ingenerato dal comportamento tenuto nel tempo da Mi. Se. e l’eccesso di potere per sviamento, in quanto la determinazione avversata sarebbe stata assunta a scopo punitivo, a fronte del rifiuto da parte della Fondazione di accettare l’offerta indennitaria pari ad euro 34 euro al metro quadro, da essa ritenuta inadeguata.

 

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3.2. In secondo luogo, la Fondazione ha dedotto la violazione del principio di proporzionalità, in quanto l’interesse pubblico si sarebbe potuto nel concreto tutelare attraverso l’adozione di misure meno gravose per il privato quale l’imposizione dell’asservimento, misura questa che anzi – considerato che l’indennità ad essa correlata sarebbe inferiore rispetto a quella correlata all’esproprio del diritto di proprietà e considerato che, procedendo in questo modo, la manutenzione sarebbe spettata al privato proprietario – avrebbe avuto minore impatto sulle finanze pubbliche.
3.3. In terzo luogo, la Fondazione ha lamentato la violazione dei principi di ragionevolezza e logicità, posto che l’Amministrazione si troverebbe ad affrontare maggiori costi di esproprio.
4. La sentenza del TAR appellata ha parzialmente accolto il ricorso presentato dalla Fondazione.
4.1. La sentenza ha respinto, in primo luogo, l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
4.2. In secondo luogo, il TAR ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata sia dal Ministero che da Mi. Se. s.p.a., per mancata impugnazione del progetto definitivo (approvato con d.m. n. 896 del 29 gennaio 2014) e del progetto esecutivo (approvato con d.m. 19 marzo 2014, prot. n. 2690), i quali già avrebbero previsto l’espropriazione delle aree destinate alle opere di mitigazione.
4.3. Nel merito, la sentenza impugnata ha rilevato che i progetti si limitavano a prevedere l’espropriazione delle aree in questione senza indicare il diritto oggetto dell’espropriazione stessa, con la conseguenza che essi non precludevano la possibilità di procedere all’imposizione di una servitù ad uso pubblico. Gli atti di approvazione del progetto definitivo e del progetto esecutivo dell’opera lasciavano quindi aperta la possibilità di procedere sia all’espropriazione del diritto di proprietà che all’espropriazione di un diritto minore, così come previsto dall’art. 1, primo comma, del d.P.R. n. 327 del 2001. Sarebbe stato, dunque, compito delle amministrazioni intimate, in sede di adozione degli atti successivi, individuare la scelta più appropriata, in modo da contemperare adeguatamente l’interesse pubblico con il contrapposto interesse privato.
La sentenza non ha considerato rilevante, poi, l’argomentazione, addotta da Mi. Se., secondo cui la decisione di procedere ad asservimento invece che ad espropriazione del diritto di proprietà presuppone l’autorizzazione del Ministero.
La sentenza si è poi soffermata sul rilievo da riconoscere al principio di proporzionalità, articolato su una verifica trifasica (necessità dell’intervento pubblico, idoneità a soddisfare l’interesse pubblico, impossibilità di attuare interventi meno incisivi). Tale principio impone l’adozione della misura che, a parità di tutela dell’interesse pubblico, infligge al privato il minor sacrificio possibile. Il TAR ha ritenuto che tale verifica sia del tutto mancata nel caso di specie e che le contestazioni opposte alla determinazione dell’indennità effettuata dall’autorità espropriante non possano costituire elemento decisivo per escludere la possibilità di adottare soluzioni alternative all’esproprio. La sentenza ha richiamato i principi contenuti nell’art. 97 Cost. (efficienza ed economicità dell’azione amministrativa), rispetto a cui la soluzione dell’asservimento avrebbe prodotto un minor esborso monetario, correlato alle indennità, e la possibilità di addossare al privato proprietario gli oneri manutentivi. I rilievi delle parti resistenti circa l’inidoneità della soluzione nel lungo periodo, per eventuali cambi di destinazione, avrebbero dovuto essere svolti, ad avviso del TAR, in sede procedimentale e non processuale.

 

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La sentenza impugnata, quanto alla domanda risarcitoria, ha considerato che la richiesta correlata alla lesione dell’affidamento, in quanto subordinata alla eventuale infondatezza della domanda di annullamento, non dovesse essere esaminata. Per quanto riguarda la domanda correlata alla lesione dell’interesse legittimo, ad avviso del TAR, l’annullamento dell’atto impugnato, restituendo alla ricorrente la proprietà delle aree, è già di per sé satisfattivo dell’interesse patrimoniale leso, atteso che la restituzione della proprietà determina anche, secondo quanto aveva indicato la ricorrente, la restituzione delle originarie potenzialità edificatorie né alcuna prova sarebbe stata fornita riguardo all’intervenuta impossibilità di concludere nuovi atti di vendita al medesimo prezzo del contratto preliminare a suo tempo stipulato e, successivamente, risolto.
4.4. La complessità delle questioni affrontate e la soccombenza reciproca hanno infine indotto il T.A.R. a disporre la compensazione delle spese di giudizio.
5. Mi. Se. – – Mi. Ta. S.p.A. ha appellato la sentenza del T.A.R., precisando nel relativo ricorso che la errata interpretazione del principio di proporzionalità effettuata dal giudice di primo grado renda rivedibili in ogni momento, senza alcun limite di tempo, in sede di procedimento espropriativo le scelte progettuali definitivamente cristallizzate nella progettazione definitiva approvata e risulti contraria all’onere di immediata impugnazione dei provvedimenti amministrativi pregiudizievoli per il privato.
Il ricorso in appello chiede che venga annullata o riformata la sentenza impugnata, affidandosi ai seguenti motivi.
5.1. Sono stati dedotti in primo luogo: l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che gli atti con i quali è stato approvato il progetto dell’opera consentissero, alternativamente, la soluzione dell’espropriazione ovvero dell’asservimento, mediante costituzione di servitù d’uso pubblico, delle aree interessate dalle opere di mitigazione ambientale; error in iudicando; erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, difetto di istruttoria, violazione e falsa applicazione degli artt. 16, 17 e 44 del D.P.R. n. 327 del 2001, violazione dei principi in materia di valutazione della prova, violazione e falsa applicazione dell’art. 64 cod. proc. amm. e dell’art. 115 cod. proc. civ., illogicità e contraddittorietà della motivazione, violazione e falsa applicazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa.
In sintesi, il giudice di primo grado avrebbe travisato il contenuto dei documenti rilevanti ai fini del giudizio.

 

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In primo luogo, il giudice di primo grado avrebbe erroneamente valutato il contenuto degli elaborati a suo tempo approvati dal MIT, che non lascerebbero aperta la possibilità alternativa tra espropriazione o asservimento, mediante costituzione di servitù d’uso pubblico, delle aree interessate dalla realizzazione di opere di mitigazione, demandando all’odierna appellante di attivarsi per adottare la soluzione più opportuna tra le due alternative. Ove il progetto ha, invece, voluto prevedere soluzioni alternative, quali la servitù di passaggio o l’asservimento delle aree, ciò sarebbe stato espressamente indicato. E ciò risulterebbe conforme a quanto disposto dal D.P.R. n. 327/2001, e segnatamente dagli artt. 16, 17 e 44, tanto che l’art. 44 disciplina l’indennità per imposizione di servitù in un capo dedicato e rubricato “Indennità dovuta al titolare del bene non espropriato”.
Inoltre, secondo l’appellante il T.A.R. avrebbe completamente omesso di considerare due elementi: il documento depositato dalla Fondazione in data 23 dicembre 2020, relativo alla costituzione di una servitù di elettrodotto a favore di e-distribuzione S.p.A. sull’area nel Comune di (omissis), iscritta alla posizione 21 del Progetto di riqualificazione autostradale, del tutto corrispondente a quanto previsto, in relazione a quell’area, dal Progetto approvato dal M.I.T.; le osservazioni al progetto presentate dalla Fondazione, con cui era stato richiesto che la previsione di “espropriazione” delle suddette aree fosse sostituita dalla previsione di “asservimento ad uso pubblico”.
Inoltre, la sentenza sarebbe errata anche laddove sostiene che le valutazioni sulla maggiore corrispondenza all’interesse pubblico della misura espropriativa non possano essere introdotte solo in sede processuale ma debbano essere svolte in sede procedimentale. Ad avviso dell’appellante, tali valutazioni sarebbero state compiute dal Ministero concedente già in sede di approvazione del progetto, quando non aveva accolto le osservazioni della Fondazione.

 

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Infine, il T.A.R. avrebbe applicato non correttamente il principio di proporzionalità : una volta effettuata la scelta progettuale in base a cui l’interesse pubblico può essere soddisfatto solo con l’acquisizione della proprietà del bene, in sede di emanazione del decreto di espropriazione la discrezionalità non potrebbe riguardare le modalità di incisione sul patrimonio del privato, bensì altri aspetti (principalmente la quantificazione dell’indennità ).
5.2. L’appellante ha poi censurato i seguenti vizi della sentenza impugnata: erroneità nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per mancata impugnazione degli atti approvativi del progetto dell’opera, error in procedendo, violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e 41 cod. proc. amm., violazione dei principi in materia di valutazione della prova, violazione e falsa applicazione dell’art. 64 cod. proc. amm. e dell’art. 115 cod. proc. civ., difetto di istruttoria.
In sintesi, il giudice di primo grado avrebbe disatteso il costante orientamento giurisprudenziale sul rapporto di presupposizione tra atti, per cui l’omessa o tardiva impugnazione dell’atto presupposto rende inammissibile l’impugnazione dell’atto consequenziale.
In primo luogo, avverso il provvedimento del MIT, contenente la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, così come approvata, la Fondazione non avrebbe proposto alcuna impugnativa. Il rapporto di presupposizione tra atti renderebbe inammissibile il ricorso giurisdizionale proposto avverso l’atto consequenziale, laddove non vengano dedotti vizi propri di quest’ultimo. La dichiarazione di pubblica utilità avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnata, trattandosi di un provvedimento immediatamente e autonomamente lesivo della sfera giuridica dell’interessato destinatario, mentre il decreto di esproprio conclusivo della procedura non può consentire la deduzione, per la prima volta, di censure ormai tardive, rivolte in realtà avverso atti presupposti di apposizione del vincolo o di approvazione del progetto, divenuti inoppugnabili. La sentenza impugnata avrebbe ritenuto erroneamente che tali provvedimenti non precludessero la possibilità di procedere all’imposizione di una servitù ad uso pubblico mentre, al contrario, il provvedimento del MIT, contenente la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, così come approvata, non aveva accolto le osservazioni della Fondazione e aveva mantenuto l’espressa e univoca soluzione dell’espropriazione. In conseguenza della erronea interpretazione della sentenza, il progetto dell’opera approvato e il provvedimento del MIT, contenente la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, quanto alle modalità di incisione sulla sfera dei privati, sarebbero altrimenti destinati a non diventare mai inoppugnabili.
6. Si è costituita in giudizio la Fondazione Do. An. Be. Onlus, chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale, con cui sono tra l’altro riproposti i motivi del ricorso in primo grado non esaminati ed assorbiti.
L’appello incidentale ricostruisce la vicenda controversa, precisando che: è in corso davanti alla competente corte di appello il contenzioso per la determinazione della indennità espropriativa relativa alle aree di sedime stradale; nel corso del tempo, tra il 2014 e il 2019, la società Mi. Se. avrebbe più volte confermato la possibilità dell’asservimento, tanto da consentire alla Fondazione di presentare il piano attuativo per la trasformazione del compendio di proprietà da ultimo aggiornato, per effetto di tali manifestazioni di volontà, nel mese di marzo 2019; la soluzione espropriativa conseguirebbe al rifiuto della Fondazione di accettare la “iugulatoria” somma offerta per l’asservimento, pari a soli 34 euro circa.
6.1. L’appello incidentale deduce in primo luogo l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui ha respinto parzialmente l’istanza risarcitoria formulata in primo grado. In particolare, viene rilevata dalla ricorrente incidentale la sussistenza dei danni patiti a seguito della risoluzione del contratto preliminare già stipulato e della perdita di chances per concludere a oggi un accordo alle medesime condizioni economiche. La sentenza appellata sarebbe erronea ove ha ritenuto non dimostrate tali situazioni di grave pregiudizio e non avrebbe disposto nulla in ordine alla richiesta di valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., nonostante fosse stato fornito ampio principio di prova in merito. L’improvviso atto espropriativo avrebbe sottratto il 25% delle volumetrie (ben superiore alla soglia di tolleranza del 5% per le vendite a corpo ex art. 1538 c.c.) già considerate nel progetto del centro commerciale, impedendo la conclusione del contratto preliminare in itinere. Le condizioni conseguibili all’epoca non lo sarebbero più ora, a causa dell’emergenza Covid, come attesterebbe la perizia di stima redatta dal CTU nell’ambito di lite davanti alla corte d’appello tra le medesime parti. Il danno ammonterebbe a euro 8.211.000, con l’aggiunta di rivalutazione monetaria e interessi dal dovuto al saldo, oppure sarebbe pari a un importo da determinarsi in via equitativa ex art. 1226 c.c., tenendo conto del fatto che Mi. Se., nel periodo 2014-2017, avrebbe sempre confermato che avrebbe lasciato la nuda proprietà e i connessi diritti edificatori su quelle aree di mitigazione alla Fondazione Bellani.
6.2. In via subordinata, la ricorrente incidentale, ripropone il quinto motivo di ricorso, relativo alla violazione degli artt. 1337 e 1338 c.c. e dell’art. 11 della legge n. 241/1990, con riferimento alla osservanza della regola generale della buona fede nei rapporti intersoggettivi, mentre la società appellante avrebbe receduto ingiustificatamente da una trattativa ormai ampiamente avviata e consolidata.
7. Il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili si è costituito in giudizio il 21 luglio 2021.
8. Il 27 settembre 2021, la Fondazione appellata ha trasmesso ordinanza della corte di appello di Milano con cui è determinata l’indennità espropriativa spettante alla Fondazione medesima sulla base del decreto di esproprio del 2016.
9. Il 13 dicembre 2021, il Ministero ha prodotto propria memoria per l’accoglimento dell’appello e per la reiezione del ricorso incidentale.
10. Il 23 dicembre 2021, l’appellante ha trasmesso copia del proprio ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza della corte di appello.
11. Il 24 dicembre 2021, la Fondazione ha trasmesso il relativo controricorso con ricorso incidentale in Cassazione.
12. Il 28 dicembre 2021, l’appellante ha depositato propria memoria ex art. 73 c.p.a.
13. Il 29 dicembre 2021, l’appellata e ricorrente incidentale ha depositato propria memoria di replica.
14. Il 30 dicembre 2021, l’appellante ha depositato propria memoria di replica.
15. La causa è stata trattenuta in decisione nella camera di consiglio del 13 gennaio 2021.
DIRITTO
16. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso in primo grado, riproposta con le memorie del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili e della società appellante, in ragione della mancata impugnazione del progetto definitivo, approvato con d.m. n. 896 del 29 gennaio 2014, e del progetto esecutivo, approvato con d.m. 19 marzo 2014, prot. n. 2690, i quali già prevedevano l’espropriazione delle aree destinate alle opere di mitigazione. L’eccezione è infondata in quanto, nella prospettazione della Fondazione, non essendo indicato il diritto oggetto dell’espropriazione, i progetti in questione non precluderebbero la possibilità di procedere all’imposizione di una servitù ad uso pubblico e sarebbero direttamente lesivi per la ricorrente in primo grado, che ha infatti richiesto con il proprio ricorso, sulla base della sua interpretazione a maglie larghe dei progetti, che si procedesse, invece che ad espropriazione del diritto di proprietà, ad imposizione di servitù di uso pubblico. L’appellata ha quindi assunto che la lesione sia derivata direttamente dall’atto di esproprio. Indipendentemente dal merito della questione (v. ultra), ne consegue che il giudizio positivo di ammissibilità del ricorso in primo grado, espresso dalla sentenza impugnata, non presenta le carenze denunciate con le eccezioni riproposte.
17. Nel merito, la Sezione ritiene che il ricorso in appello vada accolto e che il ricorso incidentale debba essere respinto.
17.1. Quanto al ricorso in appello, è fondato il primo motivo.
La sentenza impugnata ha rilevato che “gli atti con i quali sono stati approvati il progetto definitivo ed il progetto esecutivo dell’opera di cui si discute – prevedendo genericamente l’espropriazione delle aree destinate a opere di mitigazione ambientale – lascia aperta la possibilità di procedere sia all’espropriazione del diritto di proprietà che all’espropriazione di un diritto minore, così come previsto dall’art. 1, primo comma, del d.P.R. n. 327 del 2001. Era dunque compito delle amministrazioni intimate, in sede di adozione degli atti successivi, individuare la scelta più appropriata, in modo da contemperare adeguatamente l’interesse pubblico con il contrapposto interesse privato”.
In realtà, il citato art. 1, comma 1, del testo unico espropriazioni, nell’individuare l’oggetto del medesimo testo unico, fa riferimento alla disciplina dell’espropriazione dei beni immobili “o di diritti relativi ad immobili” per l’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità, distinguendo così nettamente tra l’espropriazione, destinata a privare il privato del diritto di proprietà, e gli interventi volti a incidere su altri diritti reali.
La scelta definitoria del testo unico è ulteriormente avvalorata (oltre che dalle disposizioni di cui all’art. 3, comma 2) dal capo VIII, rubricato “Indennità dovuta al titolare del bene non espropriato”, composto dal solo art. 44, relativo all’indennità per l’imposizione di servitù . Se ne deduce che il bene gravato da una servitù non è considerato espropriato a termini del testo unico, proprio perché il genus “espropriazione” non comprende la species “asservimento”.
Similmente e coerentemente, l’art. 42-bis del testo unico, nel disciplinare l’acquisizione al patrimonio indisponibile di un bene immobile già utilizzato dall’amministrazione per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, prevede al comma 6 che le disposizioni di tale articolo debbano trovare applicazione, in quanto compatibili, anche quando è imposta una servitù e il bene continua a essere utilizzato dal proprietario o dal titolare di un altro diritto reale.
L’imposizione di una servitù è dunque distinta ope legis, oltre che concettualmente ed etimologicamente, dall’espropriazione.
Tale distinzione trova riscontro tanto nel progetto definitivo quanto nel progetto esecutivo, in cui sono state distinte puntualmente le diverse aree, catastalmente individuate, e le tipologie di intervento volta a volta previste, fossero esse “esproprio mitigazione ambientale” o altro tipo di misura.
Diversamente da quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, non era dunque compito delle amministrazioni intimate, in sede di adozione degli atti successivi, individuare la scelta più appropriata, in modo da contemperare adeguatamente l’interesse pubblico con il contrapposto interesse privato. Tale scelta era già stata chiaramente compiuta in sede di elaborazione progettuale e, quindi, prima ancora dell’atto espropriativo.
E d’altronde, anche la condotta dell’appellata è stata ispirata dalla medesima linea interpretativa, come risulta ad esempio dalla nota in atti del 4 febbraio 2020, indirizzata al Comune di (omissis), nella quale si fa espresso riferimento alla disponibilità, prospettata dalla medesima appellata, di istituire una servitù di uso pubblico senza esproprio.
E’ pur vero che la società ha acconsentito a un confronto con la Fondazione in sede di elaborazione del progetto esecutivo, ma ciò non fa che confermare che la ponderazione e le valutazioni sulla maggiore corrispondenza all’interesse pubblico della misura espropriativa erano già emerse in quella fase procedimentale.
Alla luce delle considerazioni svolte, non possono essere confermate neppure le statuizioni contenute nella sentenza impugnata, relative alla violazione del principio di proporzionalità e del dovere per la pubblica amministrazione di adottare misure che, a parità di tutela dell’interesse pubblico, infliggono al privato il minor sacrificio possibile. Non emergono evidenze atte a dimostrare la possibilità di attuare interventi meno incisivi e parimenti idonei al soddisfacimento dell’interesse pubblico, secondo i dettami indicati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (v. Grande Sezione, 6 dicembre 2005 nei procedimenti riuniti C-453/03, C-11/04, C-12/04 e C-194/04, ABNA ed altri). Non si può condividere la tesi, esposta dalla sentenza impugnata, che tale verifica sia stata del tutto omessa nel caso di specie, tanto più in un contesto in cui il vincolo già derivava dalle previsioni progettuali.
17.2 Anche il secondo gruppo di motivi dell’appello è fondato.
Occorre a tal fine valutare se sussistano le condizioni per riconoscere che, in assenza di impugnazione dei provvedimenti presupposti, divenuti inoppugnabili, l’impugnazione dell’atto consequenziale sia inammissibile (v. ad es. Consiglio di Stato, Sez. V, 6 febbraio 2008, n. 310) o se, nel caso di specie, al contrario, il decreto di esproprio impugnato compia nuove e ulteriori valutazioni di interessi, non potendosi applicare, dunque, detta regola.
Una volta chiarito che l’individuazione dei beni interessati e la misura (espropriazione o asservimento) erano chiaramente indicati negli atti antecedenti (in particolare, nel progetto esecutivo) consegue la fondatezza anche del secondo motivo.
Per giurisprudenza consolidata “la dichiarazione di pubblica utilità … non può infatti essere considerata un atto meramente preparatorio del procedimento espropriativo e del conclusivo decreto di espropriazione, in particolare costituendo, invece, un atto presupposto dotato di autonoma lesività e, quindi, da impugnarsi immediatamente, con la conseguenza che la sua mancata tempestiva impugnazione determina la preclusione a dedurre, in sede di impugnativa del decreto di esproprio, motivi attinenti ad asseriti vizi della dichiarazione stessa (per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2013, n. 1483; id., sez. VI, 18 febbraio 2011, n. 1042)” (Cons. St., Sez. IV, n. 6280/2014).
La Fondazione, anziché impugnare gli atti presupposti, ha scelto la strada del confronto con la società Mi. Se., mirando a modificare tali atti (in disparte l’ulteriore questione – strettamente correlata alla presente controversia – concernente la determinazione della indennità di esproprio, per la quale è stato instaurato il relativo contenzioso davanti alla corte di appello e poi in Cassazione).
18. Il ricorso incidentale è in parte improcedibile e in parte va respinto.
18.1. Il primo motivo è improcedibile, in quanto risulta assorbito dall’accoglimento del ricorso principale. Tale motivo presuppone, infatti, la declaratoria di illegittimità del provvedimento di esproprio impugnato in primo grado, sostenendo che sussisterebbero comunque elementi, quali l’avvenuta perdita di chances, per accogliere la domanda risarcitoria, a sua volta considerata solo in parte dipendente dalla pronuncia di annullamento.
Al contrario, alla legittimità del provvedimento di esproprio consegue direttamente l’impossibilità di considerare, nella prospettazione fattane dal ricorrente incidentale, l’accoglimento o la reiezione della domanda risarcitoria. Rimane evidentemente salva la determinazione che sarà assunta, nelle sedi appropriate, circa la indennità spettante alla Fondazione espropriata.
18.2. Il secondo motivo del ricorso incidentale (corrispondente al quinto motivo del ricorso in primo grado) è infondato, in quanto non è stata comprovata l’assenza di buona fede nella condotta dell’appellante. E’ emerso al contrario il perdurare di una interlocuzione tra la società Mi. Se. e la Fondazione, espressamente condizionata dall’accoglimento ministeriale delle eventuali modifiche al progetto esecutivo, agognate dalla Fondazione ma mai intervenute.
19. Per le ragioni che precedono, l’appello principale risulta fondato e va accolto, mentre l’appello incidentale va dichiarato in parte improcedibile e in parte va respinto, sicché – in riforma della sentenza impugnata – va respinto il ricorso di primo grado.
Le spese dei due gradi del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 5217/2021, come in epigrafe proposto:
– accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge la domanda di annullamento proposta con il ricorso n. 1565/2020;
– in parte dichiara improcedibile e in parte respinge il ricorso incidentale della Fondazione Do. An. Be. onlus;
– condanna la Fondazione appellata a rifondere in favore della società ricorrente le spese dei due gradi di giudizio, che liquida in Euro 10.000 (diecimila), oltre accessori di legge, se dovuti.
La presente sentenza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la segreteria della Sezione, che provvederà a darne comunicazione alle parti.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Claudio Tucciarelli – Consigliere, Estensore
Ugo De Carlo – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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