Consiglio di Stato, Sentenza|15 marzo 2022| n. 1802.
La dichiarazione di pubblica utilità non può essere considerata un atto meramente preparatorio del procedimento espropriativo e del conclusivo decreto di espropriazione, in particolare costituendo, invece, un atto presupposto dotato di autonoma lesività e, quindi, da impugnarsi immediatamente, con la conseguenza che la sua mancata tempestiva impugnazione determina la preclusione a dedurre, in sede di impugnativa del decreto di esproprio, motivi attinenti ad asseriti vizi della dichiarazione stessa.
Sentenza|15 marzo 2022| n. 1802. La dichiarazione di pubblica utilità
Data udienza 27 gennaio 2022
Integrale
Tag- parola chiave: Espropriazione per pubblica utilità – Dichiarazione di pubblica utilità – Natura dell’atto – Individuazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3762 del 2016, proposto dai signori Gi. Pe. e Am. Pe., rappresentati e difesi dagli avvocati Gi. Ga. e Ma. Co., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Pe., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso Re. Bu. Ce. It. S.r.l. in Roma, Piazza (…),
nei confronti
di Ve. S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Sa. Di Pa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia, con domicilio eletto presso Re. Bu. Ce. It. S.r.l. in Roma, Piazza (…),
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Molise Sezione Prima n. 45 del 2016, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Ve. S.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2022, il consigliere Claudio Tucciarelli, udito l’avvocato Sa. Di Pa. e vista l’istanza di passaggio in decisione depositata dagli avvocati Gi. Ga. e Ma. Co.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Gli appellanti chiedono l’annullamento e/o la riforma della sentenza del T.A.R. per il Molise n. 45/2016, con cui è stato dichiarato irricevibile il loro ricorso per l’annullamento del decreto prot. n. 310 in data 22 febbraio 2014, notificato in data 13 marzo 2014, avente ad oggetto: “Decreto di pronunzia dell’espropriazione anticipata con determinazione urgente dell’indennità (ex art. 22 DPR n. 327/2001) – Lavori di riqualificazione urbana del Borgo (omissis)”. Il decreto ha pronunciato l’espropriazione in favore della società di trasformazione urbana Ve. S.p.a. dell’immobile necessario per la realizzazione dei lavori in oggetto. Inoltre, gli appellanti chiedono l’annullamento di tutti gli atti tutti antecedenti, preordinati e consequenziali, ivi comprese, in ogni caso e per quanto di ragione (ove non siano da dichiararsi, ex se, nulle o inefficaci) le deliberazioni n. 14 del 2 marzo 2013 della Giunta comunale e n. 10 del 30 aprile 2013 del Consiglio comunale di Castel del Giudice.
2. Il decreto di esproprio è stato impugnato dinanzi al T.A.R. dai ricorrenti, proprietari dell’immobile, ereditato dal padre e ricompreso nel progetto di riqualificazione urbana di Borgo (omissis) nel Comune di (omissis), per la cui realizzazione è stata costituita la società di trasformazione urbana (breviter, STU) Ve. S.p.a. partecipata al 20% dal Comune medesimo.
Il ricorso in primo grado era basato sui seguenti motivi.
2.1. Il rinnovo della dichiarazione di pubblica utilità, deliberato dalla Giunta e poi dal Consiglio comunale il 30 aprile 2014, del vincolo preordinato all’esproprio, imposto con deliberazione della Conferenza di servizi del 10 agosto 2007, approvata dal Consiglio comunale in data 27 agosto 2007, sarebbe risultato scaduto per decorso del termine di legge quinquennale, con conseguente inefficacia della nuova dichiarazione di pubblica utilità delle delibere di Giunta e del Consiglio comunale del 2013 e l’illegittimità, se non la nullità, del decreto di esproprio.
2.2. Il progetto di riqualificazione dell’immobile presentato dai ricorrenti sin dal 2010 non sarebbe stato mai esaminato dal Comune e tale condotta avrebbe integrato vizio di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza, iniquità, ingiustizia grave e manifesta, violazione degli artt. 41, 42, 3, 97, 118, 117 Cost. e degli artt. 6, 8, 3 del testo unico degli enti locali (breviter, TUEL) oltre che dei principi della CEDU, della normativa UE e della giurisprudenza delle Corti europee.
2.3. La delibera di Consiglio comunale del 2013 sarebbe stata adottata con la partecipazione del consigliere Gentile Lino Nicola, che avrebbe tuttavia interessi nella ST. Ve. S.p.a. per essere socio del sig D’A., titolare del 40% della medesima Ve. S.p.a., ciò in violazione dell’art. 78, comma 1, del TUEL e dell’art. 97 Cost.
3. Il T.A.R. per il Molise, dopo avere respinto la domanda cautelare (ordinanza n. 48/2014, confermata in appello con ordinanza n. 2052/2014), con la sentenza impugnata ha dichiarato irricevibile il ricorso per tardività .
La sentenza ha evidenziato che: la dichiarazione di pubblica utilità, anche con riferimento all’immobile dei ricorrenti, era stata rinnovata con delibera di Consiglio comunale n. 10 del 30 aprile 2013, pubblicata sul sito del Comune, e con la presupposta delibera di Giunta 2 marzo 2013; il ricorso era stato notificato il 31 marzo 2014, ben oltre il termine di 60 giorni e a distanza di circa un anno da quando i ricorrenti avevano avuto chiara notizia del procedimento espropriativo; nulla avevano dedotto i ricorrenti avverso l’eccezione delle parti resistenti relativa alla tardività del ricorso, neppure dopo l’esplicita presa di posizione del giudice d’appello.
La sentenza impugnata ha quindi sottolineato che la delibera recante la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, in quanto immediatamente lesiva, deve essere fatta oggetto di immediata impugnativa da parte dei proprietari interessati dalla stessa e che il termine di impugnazione, secondo una impostazione maggiormente sostanzialista, deve essere fatto decorrere dalla sua comunicazione o comunque dalla piena conoscenza dell’atto.
Nella specie non vi sarebbe stata comunicazione personale delle delibere ma vi è prova della loro conoscenza nella diffida del 22 marzo 2013 inviata dai ricorrenti al Comune resistente, con la quale si dava espressamente atto che gli esponenti erano pienamente a conoscenza non solo del fatto che alla società Ve. S.p.a. fosse stato rilasciato permesso di costruire per la ristrutturazione di Borgo (omissis) con finalità turistico-ricreative ma soprattutto che, in conseguenza di tale iniziativa, un’area di loro proprietà, attigua a quella indicata nel decreto di esproprio impugnato, era già stata fatta oggetto di irreversibile trasformazione.
Inoltre, secondo la sentenza, sussisteva una presunzione legale di conoscenza dell’avvio del procedimento di rinnovazione della dichiarazione di pubblica utilità in capo al dante causa dei ricorrenti in conseguenza della pubblicazione sull’albo pretorio n. 89 del 12 marzo 2013 del relativo avviso, con le modalità semplificate previste dagli artt. 11, comma 2, e 16, comma 5, del D.P.R. n. 327/2001 (trattandosi di oltre cinquanta destinatari); tale effetto non può non prodursi anche nei confronti degli eredi ricorrenti, le cui doglianze attengono proprio alla legittimità del procedimento con cui la suddetta dichiarazione è stata rinnovata. Anche qualora, in ipotesi, si qualificasse il vizio come nullità, sarebbero comunque già decorsi anche i 180 giorni previsti dall’art. 31, comma 4, cod. proc. amm. per la proposizione della relativa azione.
La sentenza ha compensato le spese per la peculiarità della fattispecie e il più recente orientamento del Consiglio di Stato sulla decorrenza del termine di impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità .
4. Il ricorso in appello è affidato ai seguenti motivi.
4.1. Gli appellanti non avrebbero avuto piena conoscenza degli atti che andavano a comprimere la loro proprietà e li avrebbero impugnati esclusivamente in quanto citati nel decreto di esproprio. Si sarebbe trattato di atti inefficaci per cui la loro impugnazione non sarebbe stata ammissibile fino al momento del loro perfezionamento con l’atto che conferiva loro efficacia. Sottolineano poi i ricorrenti che la raccomandata da loro inviata al Comune, cui si fa cenno nella sentenza impugnata, era inerente ad altro bene espropriato di loro proprietà . Né si dovrebbe supporre, anche ove vi sia conoscenza della pendenza del procedimento e la possibilità di fare valere i propri diritti partecipativi, un onere dell’interessato per ottenere l’effettiva conoscenza del provvedimento ritenuto lesivo. La presunzione di conoscenza legale in relazione alla pubblicazione sull’albo pretorio dell’avviso della dichiarazione di pubblica utilità non rileverebbe in quanto il vincolo preordinato all’esproprio era scaduto. Ai ricorrenti, alla data della diffida del 22 marzo 2013, era nota la delibera di Giunta Comunale, non la successiva deliberazione del Consiglio comunale.
4.2. In secondo luogo, gli appellanti rappresentano l’inefficacia della dichiarazione di p.u., da cui la necessità di ripetere l’intera procedura, o quanto meno di una nuova apposizione del vincolo predetto. Il decreto impugnato dai ricorrenti sarebbe stato illegittimo poiché riporrebbe il proprio presupposto in atti privi di efficacia. La conoscenza legale della dichiarazione di p.u., peraltro nulla, da parte dei ricorrenti sarebbe derivata solo dalla notifica del decreto di esproprio ma solo da tale atto gli appellanti sarebbero venuti a conoscenza del fatto che detta dichiarazione era inefficace in quanto non era intervenuta la rinnovazione del vincolo preordinato all’esproprio.
4.3. Gli appellanti ripropongono poi i motivi già dedotti in primo grado e non considerati dalla sentenza del TAR in quanto ritenuti assorbiti.
5. La società controinteressata e il Comune si sono costituiti in giudizio il 4 agosto 2016, chiedendo la reiezione dell’appello. Entrambi hanno prodotto nota spese pari a 11.328 euro.
6. Gli appellanti e la società hanno prodotto memorie; gli appellanti, la società e il Comune hanno depositato memorie di replica.
7. Il Comune resistente e la società controinteressata, nelle loro memorie, sostengono che la dichiarazione di p.u. sarebbe già stata rinnovata nel 2012.
Gli appellanti contestano che comunque la delibera avrebbe riguardato altra area (centro multiservizi) e non quella di loro proprietà (il c.d. “albergo diffuso”).
Inoltre, la società controinteressata eccepisce l’inammissibilità dei motivi dell’appellante avverso l’irricevibilità del ricorso sancita dalla sentenza del T.A.R., perché rilevati per la prima volta in grado di appello mentre, come specificato dal T.A.R. nella sentenza appellata – non contestata in parte qua – sia il Comune resistente che la Ve. S.p.a. avevano eccepito la tardività del gravame in primo grado mentre i ricorrenti, odierni appellanti, “nulla hanno dedotto sul punto”.
La medesima società ha poi rilevato che non è stata appellata la sentenza del T.A.R. nella parte in cui ha messo in luce che, in ogni caso, l’eventuale azione per la dichiarazione della nullità e/o inefficacia della dichiarazione di pubblica utilità doveva comunque essere effettuata nel termine di 180 giorni.
8. La causa è stata trattenuta in decisione nell’udienza pubblica del 27 gennaio 2022.
DIRITTO
9. L’appello va respinto.
Le conclusioni cui la Sezione è pervenuta, a una sommaria delibazione, con l’ordinanza n. 2052/2014 sull’appello cautelare in ordine alla mancata, tempestiva impugnazione della dichiarazione di pubblica utilità, non possono che trovare conferma nell’attuale esame di merito. Sono dunque meritevoli di conferma le conclusioni cui è pervenuto il T.A.R. per il Molise con la sentenza impugnata.
Infatti, è pacifico che la dichiarazione di pubblica utilità non può essere considerata un atto meramente preparatorio del procedimento espropriativo e del conclusivo decreto di espropriazione, in particolare costituendo, invece, un atto presupposto dotato di autonoma lesività e, quindi, da impugnarsi immediatamente, con la conseguenza che la sua mancata tempestiva impugnazione determina la preclusione a dedurre, in sede di impugnativa del decreto di esproprio, motivi attinenti ad asseriti vizi della dichiarazione stessa (per tutte, cfr. Cons. Stato, Sez. IV, n. 6280/2014; Sez. IV, 12 marzo 2013, n. 1483; Sez. VI, 18 febbraio 2011, n. 1042).
Il decreto di esproprio, nella specie, è stato impugnato non per vizi propri, ma esclusivamente per vizi delle presupposte delibere del 2013, non impugnate tempestivamente, con cui era stata prorogata l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità dell’intervento (originariamente adottata nel 2007).
Occorre precisare che non può essere assegnato rilievo precipuo all’affermazione del Comune secondo cui nella specie si sarebbe formata la conoscenza legale dei detti provvedimenti ai sensi degli articoli 11 e 15 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, in quanto le modalità semplificate di comunicazione previste dai citati articoli per le ipotesi in cui il numero degli espropriandi sia superiore a 50 si applicano – come correttamente evidenziato dal T.A.R. – alle comunicazioni di avvio dei procedimenti e agli altri atti endoprocedimentali, ma non anche alla notifica dell’atto comportante dichiarazione di pubblica utilità . Questa deve necessariamente essere fatta personalmente con le modalità di cui all’articolo 17, comma 2, del medesimo d.P.R. n. 327/2001 ed è incontestato, come pure rilevato dal T.A.R., che tale notifica nella specie non sia avvenuta. Va quindi corretta sul punto la motivazione della sentenza impugnata.
Tuttavia è condivisibile l’avviso del primo giudice che ha ritenuto provata – invece e in ogni caso – la piena conoscenza dei provvedimenti de quibus da parte dei ricorrenti in una data anteriore ai 60 giorni antecedenti la notifica del ricorso, sulla base della diffida del 22 marzo 2013, potendo al riguardo osservarsi, nonostante i rilievi svolti sul punto degli appellanti, che, in primo luogo, non è rilevante il fatto che tale diffida si riferisse a un immobile diverso da quello per cui è causa, rilevando invece il fatto che da essa emerge che gli istanti conoscevano le delibere in discorso e che, tenuto conto della pregressa esistenza del vincolo espropriativo apposto nel 2007, avrebbero dovuto accertarsi immediatamente se e come esse coinvolgessero anche l’immobile per cui qui è causa.
Secondo la giurisprudenza amministrativa, la delibera relativa alla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera, in quanto immediatamente lesiva, deve essere fatta oggetto di immediata impugnativa da parte dei proprietari interessati dalla stessa e il termine di impugnazione deve essere fatto decorrere dalla sua comunicazione o comunque dalla piena conoscenza dell’atto (cfr. Cons. St., Sez. IV, n. 3112/2013; Sez. IV, n. 5526/2014).
In secondo luogo, per consolidata giurisprudenza, se è vero che un provvedimento di proroga del termine fissato nella dichiarazione di pubblica utilità può validamente essere adottato solo prima della scadenza del termine medesimo, tuttavia non può dirsi che la proroga tardivamente adottata sia nulla, con la conseguenza che l’illegittimità di essa deve essere fatta valere con rituale e tempestivo ricorso giurisdizionale (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 maggio 2006, nr. 3025; id., 22 dicembre 2003, nr. 8462; id., 25 marzo 2003, nr. 1545; Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 2002, nr. 5443; Sez. IV, n. 676/2011).
Secondo l’opinione preferibile, la nullità del provvedimento amministrativo per “difetto assoluto di attribuzione”, oggi prevista dall’art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, nr. 241, va circoscritta ai soli casi di incompetenza assoluta o di c.d. carenza di potere in astratto, ossia al caso in cui manchi del tutto una norma che attribuisca all’Amministrazione il potere in fatto esercitato, e non anche ai casi di c.d. carenza di potere in concreto, ossia di potere (pur astrattamente sussistente) esercitato in assenza dei presupposti di legge (v. Cons. St., Sez. IV, n. 676/2011).
Tale è certamente il caso della delibera di proroga in questione, la quale oltre tutto era, come si è detto, certamente nota agli odierni appellanti.
La legittimità – e non la nullità – della delibera è evidentemente contestabile, ma tale possibilità risente delle disposizioni processuali in materia di tempestiva – o meno – proposizione del ricorso.
E peraltro, coglie nel segno la sentenza impugnata del T.A.R. quando annota, senza che tale profilo sia oggetto di specifica contestazione dal ricorso in appello, che in ogni caso, anche ad accedere alla tesi della nullità (o della inefficacia come conseguenza di un vizio radicale di nullità ), sarebbe ormai decorso il termine di 180 giorni previsto dall’art. 31, comma 4, cod. proc. amm per la proposizione della relativa azione.
In tale sede sarebbe stato, in ipotesi, possibile per gli appellanti addurre le censure solo ora proposte, quale il difetto di efficacia delle delibere comunali in ragione della avvenuta scadenza del vincolo preordinato all’esproprio.
In terzo luogo, non è condivisibile l’affermazione degli appellanti secondo cui un’eventuale impugnazione immediata delle delibere in questione sarebbe stata inammissibile per difetto di interesse, atteso che, proprio in considerazione della immediata lesività degli atti dichiarativi della pubblica utilità degli interventi a fini espropriativi e della conseguente necessità che essi siano tempestivamente impugnati dai destinatari (come da pacifica giurisprudenza richiamata dal T.A.R. nella sentenza appellata), era certamente immediato e attuale l’interesse degli odierni appellanti a impugnare le delibere del 2013 per far valere il vizio di legittimità costituito dall’essere state le stesse adottate dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 13, comma 5, del d.P.R. n. 327/2001.
Ne consegue che, non essendovi stata tale tempestiva impugnazione, l’efficacia delle predette delibere si è ormai consolidata ed esse potevano costituire la base legittima per l’adozione del decreto di esproprio poi gravato in prime cure.
10. In definitiva, per le ragioni esposte il ricorso in appello va respinto. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. r.g. 3762/2016, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna gli appellanti, in solido fra loro, a rifondere in favore del Comune di (omissis) e della S.p.a. Ve. le spese e gli onorari del presente grado, che liquida nella misura complessiva di Euro 4.000 (quattromila), oltre gli accessori di legge, ove dovuti, per ciascuna parte (ovvero quattromila euro per il Comune di (omissis) e quattromila euro in favore della S.p.a. Ve.).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2022 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Vincenzo Lopilato – Consigliere
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Claudio Tucciarelli – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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