Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 30 gennaio 2020, n. 783.
La massima estrapolata:
La destinazione impressa dall’Amministrazione che venga ad impedire forme di edificazione, per effetto della “valenza ambientale” dell’area interessata, è espressione di potere conformativo e non comporta né espropriazione né intollerabile compressione del diritto di proprietà corrispondente ad ablazione del medesimo.
Sentenza 30 gennaio 2020, n. 783
Data udienza 23 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9062 del 2018, proposto dalla società Im. Un. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nonché da Cl. Ri., rappresentati e difesi dall’avvocato Da. Gr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, corso (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ar. Ar., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Al. Pe. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, Sez. I, del 26 marzo 2018 n. 246.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis).
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 gennaio 2020 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti gli avvocati Gr. Da. e Pe. Al. su delega dell’avvocato Ar. Ar.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il mezzo qui in rilievo la società Im. Un. s.r.l. ed il geometra Cl. Ri. chiedono la riforma della sentenza n. 246/18, depositata il 26 marzo 2018, con cui il TAR per la Liguria, Sez I, ha respinto il ricorso proposto avverso l’ordinanza di rimessione in pristino adottata dal Comune di (omissis) in data 10 febbraio 2017, n. 8.
1.1. A sostegno del proposto gravame gli appellanti espongono preliminarmente:
– che la società Im. Un. s.r.l. è proprietaria di un immobile sito nel Comune di (omissis), urbanisticamente inquadrato nel locale PRG come progetto di riqualificazione 14, “Sistemazione di area a verde pubblico attrezzato piazza (omissis) , e più precisamente, con riferimento alla porzione di immobile individuata dai mappali 619 e 489, con destinazioni IC (interesse comune), VA (verde pubblico attrezzato) e P3 (parcheggi interrati), e, con riferimento poi alla porzione individuata dal mappale 638, con destinazione a verde privato (i suddetti lotti sono oggi identificati con i mappali 1016-1017);
– che, in virtù del permesso di costruire n. 66 del 10.6.2008, integrato con permesso di costruire in variante dell’8 settembre 2011, n. 66, la detta società realizzava un’autorimessa privata che avrebbe dovuto avere come copertura “orti coltivabili e/o giardini privati” (sui mappali (omissis) e (omissis) e “la posa di masconi in terracotta con essenze di ulivo, limone e arancio” (sul mappale (omissis));
– che, in particolare, realizzava gli orti programmati senza essenze arboree, non essendo queste previste dal permesso in variante;
– che la società appellante inoltrava all’Amministrazione una S.C.I.A., prot. n. 21734, in data 7 luglio 2014, per la realizzazione, senza opere, di sette parcheggi a raso sui mappali 619 e 489;
– che l’Amministrazione, con nota spedita in data 11 agosto 2014, comunicava – senza notificarla alla società appellante – la sospensione degli effetti della S.C.I.A., chiedendo “chiarimenti..”;
– con nota prot. n. 4246 in data 11 febbraio 2015, la società appellante trasmetteva all’Amministrazione Comunale, che ne aveva fatto richiesta, le quietanze di pagamento della tariffa urbanistica (oneri) relativa a park e depositi;
– l’Amministrazione, con nota prot. n. 5597, in data 25 febbraio 2015, confermava la sospensione degli effetti della S.C.I.A. dell’8 luglio 2014;
– in data 14 luglio 2016, la società inoltrava parere legale pro veritate e dichiarazione di fine lavori della predetta S.C.I.A.;
– l’Amministrazione, da parte sua, avviava il procedimento di rimessione in pristino dello stato dei luoghi e, all’esito, adottava l’ordinanza n. 8 in data 10 febbraio 2017 con la quale ordinava “la rimessa in pristino dell’area secondo quanto assentito con permesso di costruire n. 66 del 08.09.2011”.
1.2. Da qui la proposizione del ricorso al TAR per la Liguria che, però, con la sentenza appellata, veniva respinto.
2. Avverso la suddetta sentenza, con il mezzo in epigrafe, gli appellanti, dopo aver ribadito che sui mappali (omissis) e (omissis) non erano previste piante e che il successivo venir meno di quelle originariamente piantate sul mappale (omissis) on potrebbe ad essi essere imputato, hanno articolato i seguenti motivi di gravame:
a) sarebbe erroneo il capo di sentenza che ha qualificato il vincolo di destinazione gravante sull’area come conformativo e non espropriativo, dovendo, per converso, apprezzarsi, anche alla stregua della giurisprudenza C.E.D.U., la natura espropriativa del suddetto vincolo a verde attrezzato, oramai decaduto per il decorso del termine di cinque anni dalla sua imposizione. In siffatte evenienze, dovrebbe piuttosto trovare applicazione il regime previsto per le cd. zone bianche ex art. 9 del D.P.R. 380/2001, con il quale la realizzazione di parcheggi a raso, di per se stessi privi di rilevanza urbanistica, sarebbe compatibile;
b) il TAR, nel rilevare il contrasto con il regime urbanistico della nuova destinazione, non avrebbe considerato che i parcheggi a raso realizzati sull’immobile de quo sono stati realizzati su una porzione di immobile che è sempre stata carrabile, a suo tempo prevista come stallo per i soggetti intenti a coltivare gli orti – giardini e, dunque, nessun vulnus ne sarebbe derivato anche perché non sarebbe stata posta in essere alcuna opera edilizia e non vi sarebbe stata, pertanto, anche in considerazione della minima consistenza dei parcheggi realizzati, una trasformazione permanente dell’assetto edilizio del territorio;
c) la sentenza appellata non sarebbe condivisibile nella parte in cui evidenzia che non vi sarebbe contraddittorietà nel comportamento dell’Amministrazione, non essendovi prova di una richiesta di versamento degli oneri economici riconnessi alla SCIA. Gli appellanti deducono, invece, che il quantum delle somme in argomento sarebbe stato determinato dalla stessa Amministrazione;
d) il TAR non avrebbe rilevato la valenza significativa che il semplice decorso del tempo genera per il perfezionamento della SCIA, occorrendo a valle un intervento in autotutela per rimuoverne gli effetti. Né a tali fini potrebbero rilevare, siccome nulli per carenza di potere, i provvedimenti con i quali, tardivamente, si è ordinata la sospensione della SCIA, con conseguente illegittimità dell’ordinanza di rimessione in pristino del 10 febbraio 2017, n. 8;
e) il giudice a quo ha ritenuto assorbita nelle statuizioni reiettive la censura articolata avverso la presunta violazione delle norme paesistiche, che, pertanto, viene qui riproposta. Secondo l’appellante non occorreva l’autorizzazione paesistica in quanto, ai sensi dell’art. 149 del d.lg. n. 42 del 2004, la realizzazione dei sette posti auto nell’area de qua sarebbe avvenuta senza la realizzazione di alcuna opera edilizia e senza alcuna risistemazione degli spazi esterni;
f) la sentenza gravata sarebbe altresì censurabile nella parte in cui ha ritenuto non configurabile la dedotta violazione del principio di affidamento, viceversa da ritenersi maturato in considerazione del perfezionamento della SCIA fin dal 6 agosto 2014 e della richiesta dell’Amministrazione di pagamento della tariffa urbanistica (oneri) relativa a park e depositi.
2.1. Resiste in giudizio il Comune di (omissis), che ha concluso per il rigetto dell’appello siccome inammissibile ed infondato.
2.2. Con ordinanza n. 6390 del 27.12.2018 questa Sezione, all’esito di una valutazione comparativa delle contrapposte esigenze, in accoglimento dell’istanza cautelare avanzata dalla società appellante, ha sospeso l’esecutività della sentenza appellata.
2.3. All’udienza del 23.1.2020 l’appello è stato trattenuto in decisione.
3. L’appello è infondato e, pertanto, va respinto. Tanto dispensa il Collegio dalla disamina delle eccezioni sollevate, in rito, dal Comune appellato.
4. Privi di pregio si rivelano, anzitutto, i motivi di gravame che impingono nella pretesa inesigibilità dei vincoli di coerente destinazione urbanistica dell’area di sedime quali desumibili dal regime di zona.
4.1. A tal riguardo, vale rammentare che l’intervento ricade urbanisticamente in Zona A (RE-A) del P.R.G. con sottozona di intervento P.R. 14, le cui specifiche funzionali sono indicate con le sigle IC (interesse comune) VA (verde attrezzato) e P3 (parcheggio interrato), e in Zona paesaggistica omogenea SU – Tessuti Urbani Qualificati di interesse storico ambientale. La disciplina urbanistica di zona prescrive all’art. 8, comma 5 e alla scheda P.R. 14 di cui all’allegato 2 al Piano medesimo, la sistemazione a “verde attrezzato” per la copertura dei parcheggi interrati “al fine di valorizzare e riqualificare a verde privato le aree e gli spazi liberi esistenti”.
La contestazione posta a base dell’avversata ordinanza di rimessione in pristino ha ad oggetto la trasformazione della prevista area ad orti coltivabili/giardini privati in parcheggio, ricavandovi n. 7 posti auto ed omettendo la messa a dimora delle 17 essenze indicate a progetto.
4.2. Orbene, è di tutta evidenza che, come correttamente evidenziato nella decisione appellata, le divisate prescrizioni urbanistiche non prevedono affatto un mirato e specifico vincolo espropriativo ma soltanto la classificazione, nell’ambito della programmata zonizzazione, di una determinata area.
Ed è muovendo dalle suddette premesse che il giudice di prime cure ha condivisibilmente concluso nel senso che tale disciplina “…ha per scopo la duratura conformazione del territorio e non già l’imposizione di un temporaneo vincolo destinato a scadere entro i cinque anni previsti a far data dalla cosiddetta legge tampone del 1968”.
4.3. D’altro canto, a conforto del suddetto approdo decisorio depone un diffuso, e qui condiviso, orientamento giurisprudenziale a mente del quale “non ogni vincolo posto alla proprietà privata dallo strumento urbanistico generale ha carattere espropriativo ed è dunque soggetto alla disciplina relativa. In altri termini, occorre distinguere tra vincoli espropriativi e vincoli conformativi, secondo una linea di discrimine che ha un preciso fondamento costituzionale, in quanto l’art. 42 Cost. prevede separatamente l’espropriazione (terzo comma) e i limiti che la legge può imporre alla proprietà al fine di assicurarne la funzione sociale (secondo comma). Per meglio dire, i vincoli espropriativi, che sono soggetti alla scadenza quinquennale, concernono beni determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può quindi coesistere con la proprietà privata. Non può invece attribuirsi carattere ablatorio ai vincoli che regolano la proprietà privata al perseguimento di obiettivi di interesse generale, quali il vincolo di inedificabilità, c.d. “di rispetto”, a tutela di una strada esistente, a verde attrezzato, a parco, a zona agricola di pregio, verde, ecc. (cfr. per tutte Cons. Stato, Sez. IV, 3 dicembre 2010, n. 8531; Id., Sez. IV, 23 dicembre 2010, n. 9772; Id., Sez. IV, 13 luglio 2011, n. 4242; Id., Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 244; ivi riferimenti ulteriori)”.
E’ stato, invero, già espressamente riconosciuto in giurisprudenza che “la destinazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verde pubblico, data dal P.R.G. ad aree di proprietà privata, non comporta l’imposizione sulle stesse di un vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo conformativo, che è funzionale all’interesse pubblico generale conseguente alla zonizzazione effettuata dallo strumento urbanistico” (giurisprudenza costante: cfr. per tutte, da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 9 dicembre 2015, n. 5582; Cons. Stato, sez. IV, 28 settembre 2016 n. 4022).
In altri termini, il vincolo a verde rappresenta espressione del potere pianificatorio di razionale sistemazione del territorio in zone omogenee, in radice diverso dal potere ablatorio preordinato all’adozione di provvedimenti di espropriazione. Sotto diverso profilo, un consolidato orientamento qualifica come di carattere meramente conformativo i vincoli di destinazione che siano realizzabili (al pari di quello che qui interessa) anche ad iniziativa privata o mista pubblico-privata (sul punto, ex multis CdS Sez. V. n. 1268 del 31.3.2016; Cons. Stato, IV, 11 giugno 2015, n. 2878; id., IV, 12 maggio 2010, n. 2843);
4.4. Va quindi qui ribadito quanto ancora di recente affermato dalla giurisprudenza di settore (cfr. CdS sez. II, del 06/11/2019, n. 7559) e cioè che la destinazione impressa dall’Amministrazione che venga ad impedire forme di edificazione, per effetto della “valenza ambientale” (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 22 febbraio 2017, n. 821) dell’area interessata, è espressione di potere conformativo e non comporta né espropriazione né intollerabile compressione del diritto di proprietà corrispondente ad ablazione del medesimo.
4.5. Tanto va affermato nella consapevolezza che il potere di pianificazione urbanistica del territorio non è limitato alla individuazione delle destinazioni delle zone del territorio comunale, ed in particolare alla possibilità e limiti edificatori delle stesse; al contrario, tale potere di pianificazione deve essere rettamente inteso in relazione ad un concetto di urbanistica non limitato alla disciplina coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi di edilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), ma che, per mezzo della disciplina dell’utilizzo delle aree, realizzi anche finalità economico-sociali della comunità locale (non in contrasto ma anzi in armonico rapporto con analoghi interessi di altre comunità territoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispetto e di positiva attuazione di valori costituzionalmente tutelati; tali finalità, più complessive dell’urbanistica, e degli strumenti che ne comportano attuazione, sono peraltro desumibili fin dalla l. 17 agosto 1942 n. 1150, laddove essa individua il contenuto della ” disciplina urbanistica e dei suoi scopi ” (art. 1), non solo nell’assetto ed incremento edilizio dell’abitato, ma anche nello ” sviluppo urbanistico in genere nel territorio della Repubblica “; in definitiva, l’urbanistica, ed il correlativo esercizio del potere di pianificazione, non possono essere intesi, sul piano giuridico, solo come un coordinamento delle potenzialità edificatorie connesse al diritto di proprietà, così offrendone una visione affatto minimale, ma devono essere ricostruiti come intervento degli enti esponenziali sul proprio territorio, in funzione dello sviluppo complessivo ed armonico del medesimo (Consiglio di Stato sez. IV, 22/02/2017, n. 821).
5. Né possono essere condivisi gli ulteriori rilievi attorei nella parte in cui, da un lato, negano in radice una trasformazione significativa del territorio e, dall’altro, declinano ogni responsabilità rispetto ad eventuali modifiche dell’assetto preesistente quanto alle piante già messe a dimora, dovendo ciò imputarsi ad atti di vandalismo ovvero al naturale perimento delle piante medesime.
5.1. Segnatamente non trova riscontro nelle risultanze processuali la tesi attorea circa l’inesistenza dell’affermato obbligo di piantumazione di essenze arboree sui mappali 619 e 480 all’indomani dell’approvazione della variante al PDC dell’8 settembre 2011, n. 66.
Tale tesi risulta smentita dalla stessa documentazione versata in giudizio dall’appellante e segnatamente dalle tavole di progetto che recano chiara evidenza sull’intera area di essenze arboree, riferendosi la posa di masconi in terracotta con essenze di ulivo, limone e arancio alla porzione di copertura a servizio del ristorante “Universale”, con conseguente conferma – in mancanza di un’espressa esclusione e della rappresentazione grafica evincibile dalle relative planimetrie – della necessaria messa a dimora di essenze arboree anche sull’area più propriamente destinata ad orti e/o giardini privati.
5.2. Allo stesso modo, del tutto indimostrato è l’assunto secondo cui i parcheggi de quibus sarebbero stati realizzati “su una porzione di immobile che è sempre stata carrabile, a suo tempo prevista come stallo per i soggetti intenti a coltivare gli orti – giardini”.
5.3. Né può trovare qui credito, in assenza di qualsivoglia plausibile riscontro fattuale e logico, la tesi del possibile espianto da addebitare ad atti di vandalismo ovvero al naturale perimento delle piante in argomento.
5.4. Resta, dunque, un dato di fatto che, in occasione del sopralluogo, mentre le piante in argomento non sono state rinvenute, è stata rilevata la presenza di un’autovettura in sosta, di talchè non può essere revocata in dubbio la contestata trasformazione dell’assetto del territorio che, in luogo di area a verde, ha assunto la connotazione di parcheggio, compromettendo in tal modo la destinazione urbanistica dell’area quale evincibile dal regime di zona.
Al contempo, nemmeno può essere sottaciuta la rilevanza della suddetta trasformazione dal punto di vista paesaggistico ambientale: la espunzione dal relativo contesto dell’elemento qualificante delle prescritte assenze arboree con il tracciamento di sette stalli da destinare al parcheggio auto concretano, indipendentemente dall’esecuzione di opere materiali di edilizia civile, una alterazione dell’aspetto esteriore del territorio in zona sottoposta a vincolo paesistico che, contrariamente a quanto dedotto, richiedeva il previo rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, non potendo, dunque, sussumersi la fattispecie qui in rilievo nella previsione di cui all’articolo 149 del d.lgs 42/04.
6. La suddetta trasformazione nemmeno può trovare copertura nella S.C.I.A., all’uopo presentata in data 6//7/2014. Sul punto, il Collegio rileva che gli effetti abilitativi rinvenienti dalla suddetta comunicazione erano stati inibiti dal provvedimento prot. 24496 del 6/8/2014, poi ribadito con atto prot. n. 5597 del 25/2/2015.
6.1. Sul punto, mette conto, anzitutto, evidenziare che la rilevata necessità dell’autorizzazione paesaggistica – viceversa non acquisita muovendo dall’erronea premessa della sua non indispensabilità – impediva, in apice, alla suddetta SCIA di acquisire efficacia ai sensi del chiaro disposto di cui all’articolo 23 comma 3 del d.lgs 380/2001, di talchè non può dubitarsi della tempestività dei suindicati provvedimenti inibitori.
6.2. Peraltro, ed in disparte tale profilo, deve soggiungersi che i suddetti atti, ben noti all’appellante, sono rimasti inoppugnati di talchè non è, comunque, possibile qui predicarne l’eventuale illegittimità che resta assorbita nel relativo consolidamento conseguente alla mancanza di una tempestiva impugnazione.
Né ha pregio l’eccezione di nullità, oltretutto appena accennata, sollevata dall’appellante, secondo cui l’Amministrazione avrebbe agito in carenza di potere. Sul punto deve, invero, rilevarsi, in via di sintesi, che la nullità costituisce una forma speciale di invalidità configurabile nei soli casi oggi codificati all’articolo 21 septies della legge n. 241/1990, mentre l’annullabilità del provvedimento rappresenta la forma generale di invalidità del provvedimento.
A fronte delle ipotesi indicate dall’art. 21-septies l. n. 241/1990, per quanto qui di più diretto interesse, è sufficiente notare che la fattispecie del difetto assoluto di attribuzione evoca la cd. “carenza di potere in astratto”, vale a dire l’ipotesi in cui l’amministrazione assume di esercitare un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce (Cons. Stato, sez. V, 10 gennaio 2017 n. 45; sez. IV, 17 novembre 2015 n. 5228 e 18 novembre 2014 n. 5671; sez. VI, 31 ottobre 2013 n. 5266), come tale distinta dalla cd. “carenza di potere in concreto”, ossia di potere pur astrattamente sussistente, esercitato in assenza dei presupposti di legge. La carenza di potere “in astratto” (o cd. incompetenza assoluta) va, dunque, ravvisata nei casi in cui manchi, in radice, in capo alla singola amministrazione pubblica (complessivamente considerata), qualunque attribuzione del potere provvedimentale della specie esercitata, laddove nel caso qui in rilievo permane in capo all’Amministrazione un potere di controllo e di sanzione in capo all’Amministrazione anche alla scadenza del termine di 30 gg. (cfr. articolo 19 commi 4, 6 e 6 bis della legge n. 241/1990).
7. Deve, dunque, concludersi nel senso che, pur in assenza di opere di edilizia, si è dato vita, per effetto degli interventi ivi attuati, ad una trasformazione significativa e giuridicamente rilevante del territorio siccome in palese contrasto con la destinazione d’uso prevista dalla normativa urbanistica vigente (Cfr. T.A.R., Aosta, sez. I, 16/11/2016, n. 55; TAR Campania, Napoli, n. 14243 del 14.6.2010, T.A.R. Toscana, sez. II, 20 gennaio 2009, n. 66).
Com’è noto, la trasformazione edilizia ed urbanistica può conseguire anche ad interventi che non richiedono un’attività edificatoria in senso stretto. In tale ottica, si è ad esempio ritenuto che anche “un intervento di spargimento di ghiaia su un’area che ne era precedentemente priva rappresenta attività urbanisticamente rilevante nella misura in cui “appaia preordinata alla modifica della precedente destinazione d’uso” (cfr. ex multis CdS, Sezione VI Cons. n. 4066 del 3.7.2018; Sez. V. n. 1268 del 31.3.2016; Sez. V, 27 aprile 2012, n. 2450Sez. V, n. 7343 del 2005)
7.1. Conclusivamente, nell’area in questione, la rilevata mancanza delle prescritte essenze arboree e la sua concreta utilizzazione a parcheggio, concretano una rilevante modifica dello stato dei luoghi del tutto vietata dalla normativa urbanistica e, pertanto, non realizzabile mediante SCIA, peraltro necessitante, per il fatto di incidere in zona paesistica, anche del previo rilascio della relativa autorizzazione che non risulta acquisita.
Da qui la reazione del Comune appellato inizialmente coltivata mediante pertinenti comunicazioni sulla insussistenza delle condizioni per il valido perfezionamento della SCIA e, poi, affidata all’ordinanza di rimessione in pristino.
8. Né hanno fondamento le ulteriori deduzioni incentrate sulla pretesa contraddittorietà della complessiva azione dell’Amministrazione che avrebbe quantificato e richiesto gli oneri dovuti per l’intervento qui in rilievo.
8.1. Sul punto, ed indipendentemente dalla pur dubbia rilevanza della circostanza in esame, il TAR ha già efficacemente evidenziato che non vi è in atti alcuna istanza dell’amministrazione volta alla riscossione di tali somme ed il suddetto rilievo, ancorchè di per se stesso assorbente, non risulta superato nemmeno nel presente grado di giudizio, non avendo la parte prodotto al riguardo alcuna conferente prova, in disparte la questione della inammissibilità di nova in appello.
8.2. Parimenti, in considerazione di tutte le circostanze fin qui evidenziate, che spaziano da un plateale contrasto dell’iniziativa in argomento con il regime urbanistico di zona ai ripetuti rilievi mossi dall’Amministrazione a partire dalla prima comunicazione del 2014, nemmeno è possibile ritenere maturato in capo all’appellante un affidamento legittimo e tutelabile.
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, l’appello va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna gli appellanti al pagamento delle spese di giudizio liquidate complessivamente in Euro 3.000,00.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Giancarlo Montedoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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