La copertura integrale dell’ultimo piano dell’edificio

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 4 maggio 2020, n. 2842.

La massima estrapolata:

La copertura integrale dell’ultimo piano dell’edificio mediante un tetto sovrastante tutta la superficie del terrazzo e della precedente unità abitativa e la tamponatura in tutti i lati del piano medesimo con vetrate e opere murarie integra infatti per certo un incremento della volumetria dell’unità abitativa ivi preesistente, posto che anche a prescindere dall’applicazione dei criteri di computo delle cubature contemplati nei diversi regolamenti edilizi comunali e strumenti di pianificazione primaria, in materia urbanistico-edilizia il presupposto minimale – qui per certo più che sussistente – per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue

Sentenza 4 maggio 2020, n. 2842

Data udienza 10 dicembre 2019

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Concessione edilizia in sanatoria – Diniego – Ordinanza di demolizione – Chiusura di terrazzo scoperto – Vincolo ambientale – Non sanabilità – Aumento di volume – Art. 3, comma 3, L.R. Veneto n. 21/2004

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sui seguenti ricorsi in appello:
1) numero di registro generale 6272 del 2009, proposto dalla signora Ma. Bo. “Co.”, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Ma., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…),
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Si. De Sa. Ma. e dall’avvocato Ca. Pa., con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma, via (…),

2) numero di registro generale 6274 del 2009, proposto dalla signora Ma. Bo. “Co.”, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ap. e dall’avvocato An. Ma., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via (…),

contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Si. De Sa. Ma. e dall’avvocato Ca. Pa., con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma, via (…),
per la riforma
quanto al ricorso n. 6272 del 2009:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Seconda) n. 691/2009, resa tra le parti, concernente demolizione di opere abusive;
quanto al ricorso n. 6274 del 2009:
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (sezione Seconda) n. 690/2009, resa tra le parti, concernente diniego di concessione edilizia in sanatoria.
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visto gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 dicembre 2019, il Consigliere Fulvio Rocco e uditi per la parte appellante l’avvocato Ga. St. su delega dell’avvocato An. Ma., e l’avvocato Cl. De. Po. su delega dell’avvocato Si. De Sa. Ma. per l’appellato Comune;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.1. L’attuale appellante, signora Ma. Bo. “Co.” (va a questo punto anche opportunamente chiarito che con decreto del Ministro dell’Interno dd. 4 novembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 dd. 12 dicembre 2009 è stato posto rimedio alla diffusa omonimia che si riscontra a Chioggia tra le persone aventi cognome Bo. e Ti. disponendo che i soprannomi famigliari usualmente utilizzati dalla popolazione per distinguere i titolari dei predetti cognomi “sono da considerarsi a tutti gli effetti come facenti parte integrante del cognome familiare, anche se preceduti dalla parola ‘dettò, da termine equivalente ovvero se riportati tra virgolette o altri segni di interpunzione ed indipendentemente dal posizionamento della loro scritturazione negli atti dello stato civile e negli atti e documenti di anagrafe”), espone di essere proprietaria di un appartamento ubicato al quarto ed ultimo piano di uno stabile situato nel centro storico di Sottomarina di Chioggia, in Strada (omissis) n. (omissis), corrispondente in Catasto al foglio n. (omissis), mappale n. (omissis) e ricadente in area assoggettata a vincolo di tutela paesaggistico-ambientale entro la conterminazione della Laguna di Venezia.
Con domanda presentata al Comune di (omissis) in data 10 dicembre 2004 al Prot. n. 82342 la Bo. ha presentato domanda di condono edilizio, à sensi dell’art. 32, comma 25 e ss., del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con modificazioni in l. 24 novembre 2003, n. 326, avente ad oggetto la “chiusura della terrazza del quarto piano lato est mediante struttura formata da colonne e pensiline in calcestruzzo armato e muretto perimetrale in doppioni con serramenti in plastica e sovrastanti elementi di copertura di tipo plastico per una superficie di mq. 40,23. Ampliamento appartamento al piano quarto per chiusura poggiolo in angolo sud-ovest di mq. 6,97 mediante serramenti perimetrali in alluminio e vetro e con copertura plasticata”.
In data 23 novembre 2007 è pervenuta alla Bo., da parte Settore Urbanistica – Servizio Edilizia Privata del Comune di (omissis) una comunicazione, à sensi dell’art. 10-bis della l. 7 agosto 1990, n. 241, dei motivi ostativi all’accoglimento di tale domanda, nei cui confronti l’interessata ha prodotto osservazioni con nota assunta al protocollo del medesimo Comune al n. 65510 dd. 28 novembre 2007.
Con provvedimento Prot. n. 6246 dd. 10 gennaio 2008 il Dirigente preposto al predetto Servizio Edilizia Privata ha respinto la domanda della Bo., “ritenuto” che le osservazioni da lei prodotte non erano accoglibili “poiché l’intervento costituisce ampliamento in quanto non si tratta di chiusura di struttura all’interno della sagoma, bensì di una chiusura di terrazzo scoperto”, e che comunque perché “le opere risultano realizzate dopo l’imposizione del vincolo ambientale e non sono sanabili, in quanto contrastano con l’art. 3, comma 3, della l.r. 5 novembre 2004, n. 21, poiché la tipologia d’abuso non rientra tra i due casi previsti dalle lettere a) e b) dello stesso comma e che non consente la sanatoria per ampliamenti e nuove costruzioni in zone vincolate. La Commissione per la Salvaguardia di Venezia ha espresso parere contrario per aumento di volume in contrasto con l’art. 3, comma 3, punto b), della l.r. n. 21 del 2004, come emerso dall’istruttoria degli uffici comunali”.
1.2. Con ricorso proposto innanzi al T.A.R. per il Veneto sub R.G. 810 del 2008 la Bo. ha pertanto chiesto l’annullamento del sopradescritto provvedimento di diniego, deducendo al riguardo violazione di legge ed eccesso di potere.
In particolare la ricorrente in primo grado ha contestato che nella specie si sia determinato un aumento di volume, trattandosi nella specie di interventi che comunque ricadrebbero all’interno della sagoma dell’edificio.
In particolare la Bo. ha sostenuto che à sensi dell’art. 19 della l.r. 25 febbraio 2005, n. 8, ai fini dell’applicazione dell’art. 3 della l.r. n. 21 del 2004 per “ampliamento” ostativo al rilascio del condono edilizio deve intendersi soltanto l’ampliamento della costruzione esterno alla sagoma esistente dell’edificio.
1.3. In tale primo grado del giudizio si è costituito il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione del ricorso.
1.4. Con sentenza n. 690 dd. 18 marzo 2009 la Sezione II^ dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso rilevando che “l’immobile interessato ricade nell’ambito interessato dal vincolo paesaggistico apposto sul territorio della laguna veneta. Sotto tale profilo non rileva, come sostenuto dalla ricorrente, che l’immobile in questione non abbia in sé alcun pregio storico o architettonico. L’art. 19 della legge regionale n° 8 del 2005 non rileva nel caso di specie. Infatti il condono non può essere ottenuto perché si tratta di interventi valutabili in termini di volume. Per tale tipologia di interventi il condono è precluso dalla lettera b) del comma 3 dell’art. 3 della legge regionale n° 21 del 2004. Che si tratti di opere valutabili in termini di volume risulta in modo inequivoco dalla descrizione delle opere da sanare prodotta dalla ricorrente all’Amministrazione in data 11 aprile 2006 prot. n° 21881. In relazione a quanto sopra il ricorso è infondato e deve essere rigettato”.
Il T.A.R. ha integralmente compensato tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.
2.1. Con l’appello in epigrafe proposto sub R.G. n. 6274 del 2009 la Bo. chiede ora la riforma di tale sentenza, rilevando innanzitutto che l’edificio nel quale sono stati eseguiti gli interventi resi oggetto della domanda di condono edilizio è costituito da un corpo edificato di quattro piani di forma rettangolare.
La medesima parte in tal senso riferisce che l’ultimo piano era in origine costituito per circa la metà da una unità abitativa e per la restante parte da un terrazzo delimitato, sin dalla sua costruzione, da una struttura costituita da un parapetto dell’altezza di circa 1,5 metri con sovrastanti pilastri in cemento armato, a loro volta sormontati da un cordolo in cemento che partendo dall’unità abitativa univa senza soluzione di continuità tutti i pilastri.
L’appellante rimarca quindi che l’immagine che si percepisce dell’edificio corrisponde senza dubbio a quella di un parallelepipedo, e afferma – altresì – che la chiusura da lei eseguita con materiali assolutamente precari prima della realizzazione delle corrispondenti opere in muratura rafforzava la percezione di un unico complesso da parte di chi lo osservava.
L’appellante rimarca – altresì – che nel ricorso proposto innanzi al T.A.R. era stato da lei preliminarmente fatto rilevare che l’immobile presentemente ricade, secondo il nuovo Piano regolatore generale del Comune, in zona A e non più in zona Al come – per l’appunto – l’area medesima era qualificata nella vigenza del precedente strumento urbanistico primario, e in dipendenza di tale circostanza rileva che l’art. 3, comma l, della l.r. n. 21 del 2004, nell’indicare gli interventi suscettibili di sanatoria edilizia individua due tipologie di interventi “ancorché eseguiti in epoca successiva alla imposizione del relativo vincolo”.
Secondo la medesima appellante non assumerebbe pertanto alcun rilievo la circostanza, erroneamente sostenuta dal Comune, che gli interventi sarebbero stati eseguiti dopo l’imposizione del vincolo e sostiene che la questione della risalenza temporale del vincolo medesimo non assumerebbe di per sé rilievo nell’economia della presente causa in quanto la sentenza impugnata di per sé non considera tale argomento.
L’appellante reputa viceversa che nell’economia di causa assume rilevanza del tutto decisiva la circostanza che l’intervento in questione non ha comportato un mutamento della sagoma dell’edificio.
A fronte di ciò – evidenzia sempre l’appellante – il giudice di primo grado non solo avrebbe erroneamente affermato che l’intervento medesimo è valutabile in termini di incremento volumetrico, ma si è astenuto anche da qualsivoglia illustrazione per cui l’intervento stesso avrebbe comportato un mutamento della sagoma dell’edificio.
In tal senso, pertanto, secondo l’appellante il percorso logico del T.A.R. risulterebbe “quantomeno incompleto se non tautologico” (così a pag. 7 dell’atto introduttivo del presente grado di giudizio), non potendo ragionevolmente affermarsi che sono state realizzate opere valutabili in termini di volume se non si enuncia anche il motivo per cui le opere medesime avrebbero comportato un’alterazione della sagoma.
Per la stessa ragione l’appellante reputa che non sarebbe condivisibile l’assunto del giudice di primo grado – anch’esso del tutto immotivato – secondo cui l’art. 19 della l.r. 25 febbraio 2005, n. 8, non rileverebbe nel caso di specie, dovendosi – per contro – valutare proprio in riferimento a tale articolo la legittimità – o meno – dell’intervento realizzato nella specie.
Per quanto segnatamente attiene al concetto di “sagoma” l’appellante afferma che “se, per pura ipotesi, si pensasse all’edificio capovolgendolo si otterrebbe un manufatto composto, al pian terreno, da una parte chiusa e da una restante parte costituita da un porticato,… nel rappresentare la sagoma dell’edificio chiunque la indicherebbe con quella di un parallelepipedo. Non si vede per quale motivo, pertanto, quello che sarebbe pacificamente eseguibile al pian terreno non possa essere legittimamente eseguito all’ultimo piano dell’edificio” (cfr. ibidem, pag. 8).
2.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione dell’appello.
2.3. In prosieguo di causa l’appellante ha depositato agli atti di causa ulteriore documentazione inerente ad altra pratica edilizia, successiva ai fatti di causa, dalla quale risulta che l’appellante medesima ha chiesto e ottenuto dal Comune, non essendo intervenuto nel termine di cui all’art. 6 della l. 16 aprile 1973, n. 171, il parere obbligatorio e vincolante da parte della Commissione per la Salvaguardia di Venezia, il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica n. 105 dd. 25 settembre 2017 avente ad oggetto l’installazione di un ascensore al servizio anche del quarto piano dello stabile in cui è ubicato il proprio appartamento.
Tale circostanza è ritenuta dal patrocinio dell’appellante “di notevole rilievo”, in quanto tale autorizzazione “seppur assentita a fini ambientali e paesaggistici, non può prescindere dalla valutazione della preesistente legittimità dell’edificio nel quale andrà collocato” il nuovo impianto (così la rispettiva memoria dd. 4 novembre 2019).
3.1. Medio tempore, peraltro, con nota Prot. n. 11597 dd. 28 febbraio 2008 notificata l’11 marzo 2008 il Dirigente del Settore Urbanistica – Servizio controlli edilizi del Comune di (omissis) ha comunicato alla Bo. “ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della l. 7 agosto 1990, n. 241 che, in seguito a diniego condono edilizio Prot. 82342 del 10 dicembre 2004 è stata avviata la procedura per l’applicazione della sanzione amministrativa” a fronte della realizzazione senza titolo edilizio delle medesime opere in ordine alle quali il condono edilizio era stato denegato, ossia “chiusura della terrazza del quarto piano lato est mediante struttura formata da colonne e pensiline in calcestruzzo armato e muretto perimetrale in doppioni con serramenti in plastica e sovrastanti elementi di copertura di tipo plastico per una superficie di mq. 40,23. Ampliamento appartamento al piano quarto per chiusura poggiolo in angolo sud-ovest di mq. 6,97 mediante serramenti perimetrali in alluminio e vetro e con copertura plasticata”.
E’ stata contestualmente accordata alla Bo. la facoltà di presentare al riguardo proprie osservazioni entro 15 giorni dalla notificazione della nota medesima.
Con successiva ordinanza n. 118 – Prot. n. 23812 dd. 29 aprile 2008, notificata all’interessata in data 6 maggio 2008, il medesimo Dirigente, “Rilevato” che a seguito dell’anzidetto diniego di condono edilizio era “necessario procedere alle sanzioni edilizie – urbanistiche previste per legge; Visto l’avvio del procedimento Prot. n. 11597 del 28 febbraio 2008 notificato… in data 11 marzo 2008; Vista la nota Prot. n. 17662 del 31 marzo 2008 con la quale” la medesima Bo. “contestava le motivazioni del diniego, comunicando di aver presentato ricorso al T.A.R. del Veneto tuttora pendente, pervenuto al Comune di (omissis) con Prot. n. 16413 del 7 aprile 2008 e nel quale si evince” che la parte “non ha presentato richiesta di sospensiva degli effetti giuridici in relazione al diniego; Accertato che è necessario procedere con il provvedimento sanzionatorio onde evitare omissioni di atti; Vista la relazione dell’Ufficio preposto alla erogazione delle sanzioni Prot. n. 18559 che, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 e dell’art. 167 del d.lgs. n. 167 del 2004 (recte: d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) e successive modifiche ed integrazioni propone la sanzione demolitoria ed il ripristino dello stato dei luoghi”, ha ordinato alla Bo. “di demolire a propria cura e spese le opere abusive” dianzi descritte “entro e non oltre 90 giorni dalla notifica della presente, con l’avvertenza che, nell’ipotesi di inutile decorrenza del termine imposto, le opere abusive verranno acquisite gratuitamente al patrimonio comunale unitamente al sedime dell’area ed agli accessi”.
3.2. In dipendenza di ciò, con ulteriore ricorso proposto sub R.G. n. 1484 del 2008 innanzi al T.A.R. per il Veneto la Bo. ha chiesto l’annullamento di tale provvedimento, deducendo al riguardo in via derivata le medesime censure già dedotte nel precedente procedimento con cui era stato da lei impugnato il presupposto diniego di condono edilizio.
3.3. Si è costituito anche in tale ulteriore giudizio di primo grado il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione del ricorso.
Con sentenza n. 691 dd. 5 marzo 2009 la Sezione II^ dell’adito T.A.R. ha respinto il ricorso, rilevando che “con sentenza resa nell’odierna camera di consiglio è stato respinto il ricorso n. 810 del 2008 proposto avverso il diniego di condono. Il ricorso proposto avverso l’ordinanza di demolizione non contiene censure autonome, ma censure derivate dal provvedimento di diniego di condono. In relazione a quanto già statuito con la sopra richiamata sentenza il ricorso è infondato e deve essere rigettato”.
Anche in questo caso il T.A.R. ha integralmente compensato tra le parti le spese e gli onorari di tale primo grado di giudizio.
4.1. Con l’appello proposto sub R.G. n. 6272 del 2009 la Bo. chiede ora la riforma anche di tale sentenza, deducendo avverso la stessa difetto di motivazione, nonché illegittimità in via derivata rispetto alla precedente sentenza n. 690 resa dal medesimo T.A.R. e impugnata con l’appello proposto sub R.G. n. 6274 del 2009, già dianzi illustrato al § 2.1 e seguenti della presente sentenza.
4.2. Si è costituito anche nel presente grado di giudizio il Comune di (omissis), concludendo per la reiezione dell’appello.
4.3. Alla camera di consiglio del 22 settembre 2009 tenutasi innanzi alla Sezione IV^ di questo Consiglio di Stato è stata cancellata dal ruolo “su concorde richiesta dei difensori delle parti” la domanda di sospensione cautelare dell’efficacia della sentenza impugnata, presentata dall’appellante à sensi dell’allora vigente art. 33 della l. 6 dicembre 1971 n. 1034.
4.4. Con susseguente memoria depositata il 31 maggio 2010 l’appellante, “premesso che a seguito dell’entrata in vigore della recente legge regionale n. 14 dell’8 luglio 2009, i lavori eseguiti … potrebbero essere considerati legittimi; che il Comune di (omissis) nella seduta del Consiglio Comunale del 27 luglio 2009 ha già provveduto ad individuare le zone del territorio in relazione alle quali la legge troverà applicazione; che, pertanto, allo stato, risultano non sussistere motivi di urgenza e di grave pericolo per la ricorrente…”, ha rinunciato “allo stato, alla discussione sulle istanze cautelari riservandosi di presentare nuova istanza cautelare ove ne dovesse sorgere la necessità derivante dall’emanazione, da parte dell’Amministrazione, di provvedimenti pregiudizievoli nei confronti della ricorrente”.
Con ordinanza n. 252 dd. 4 giugno 2010 la Sezione IV^ di questo Consiglio di Stato ha preso atto di tale richiesta e ha pertanto dato atto della rinuncia dell’istanza cautelare.
4.4. Anche in tale procedimento l’appellante ha depositato, come già fatto nell’appello pendente sub R.G. n. 6274 del 2009, ulteriore documentazione inerente ad una pratica edilizia, successiva ai fatti di causa, dalla quale risulta che l’appellante medesima ha chiesto e ottenuto dal Comune, non essendo intervenuto nel termine di cui all’art. 6 della l. 16 aprile 1973, n. 171, il parere obbligatorio e vincolante da parte della Commissione per la Salvaguardia di Venezia, il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica n. 105 dd. 25 settembre 2017 avente ad oggetto l’installazione di un ascensore al servizio anche del quarto piano dello stabile in cui è ubicato il proprio appartamento.
Tale circostanza, anche nel presente procedimento, è ritenuta dal patrocinio dell’appellante “di notevole rilievo”, in quanto tale autorizzazione “seppur assentita a fini ambientali e paesaggistici, non può prescindere dalla valutazione della preesistente legittimità dell’edificio nel quale andrà collocato” (così la rispettiva memoria dd. 4 novembre 2019).
4.5. Con memoria dd. 18 novembre 2019 il Comune di (omissis) ha contestato à sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a., l’avvenuta produzione nel presente grado di giudizio della nuova documentazione della parte appellante, eccependone comunque l’irrilevanza ai fini del decidere.
4.6. Con ulteriore memoria in replica l’appellante ha insistito per l’accoglimento della propria impugnativa.
5. All’odierna pubblica udienza entrambi gli appelli sono stati trattenuti per la decisione.
6. Il Collegio preliminarmente dispone la riunione dei due appelli in epigrafe, à sensi del combinato disposto degli artt. 70 e 38 c.p.a., stante l’evidente rapporto di presupposizione che sussiste tra il previo provvedimento di diniego del condono edilizio e il susseguente provvedimento che à sensi dell’art. 31 del d.lgs. 6 giugno 2001, n. 380 reca l’ingiunzione a demolire le opere realizzate in difetto del competente titolo edilizio.
7.1. Posto ciò, gli appelli in epigrafe vanno respinti.
7.2.1. Va innanzitutto evidenziato che l’area in cui ricade l’edificio in cui la Bo. ha eseguito i lavori in ordine ai quali ha poi chiesto il condono edilizio è inclusa in un’area assoggettata a vincolo paesaggistico.
A’ sensi dell’art. 6, primo comma, della l. 16 aprile 1973, n. 171, recante “Interventi per la Salvaguardia di Venezia”, nel testo sostituito dall’art. 1-bis del d.l. 29 marzo 1995, n. 96, convertito in l. 31 maggio 1995, n. 206, e vigente all’epoca dei fatti di causa, l’apposita Commissione per la Salvaguardia di Venezia “esprime parere vincolante su tutti gli interventi di trasformazione e di modifica del territorio per la realizzazione di opere sia private sia pubbliche, da eseguirsi nella vigente conterminazione lagunare, nel territorio dei centri storici di Chioggia e di Sottomarina e nelle isole di Pellestrina, Lido e Sant’Erasmo”, con la sola esclusione degli interventi edilizi già previsti dall’art. 31, primo comma, lettere b) e c), della l. 5 agosto 1978, n. 457, e – ora – dal corrispondente art. 3, comma 1, lett. b) e c), del t.u. approvato con d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che non comportino modifiche esterne dell’immobile, e le opere interne alle costruzioni che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile, nonché le opere di arredo urbano e le concessioni di plateatico.
“Il parere della Commissione sostituisce ogni altro parere, visto, autorizzazione, nulla osta, intesa o assenso, comunque denominati, che siano obbligatori ai sensi delle vigenti disposizioni normative statali e regionali, ivi compresi il parere delle Commissioni edilizie dei Comuni di volta in volta interessati ed il parere della Commissione provinciale per i beni ambientali” (cfr. art. 6, primo comma cit., ultimo periodo).
In dipendenza di ciò, pertanto, il condono edilizio chiesto dall’attuale appellante à sensi dell’art. 32, comma 25 e ss., del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito con l. 24 novembre 2003, n. 236, essendo comunque subordinato à sensi del comma 27 dello stesso articolo al parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico per effetto dell’art. 32 della l. 28 febbraio 1985, n. 47, ivi richiamato, non poteva essere assentito se non previo parere vincolante della Commissione predetta.
Il comma 26 dell’anzidetto art. 32, nel testo conseguente alla sentenza della Corte Costituzionale 28 giugno 2004, n. 196, dispone quindi che con legge regionale possono essere determinate la possibilità, le condizioni e le modalità per l’ammissione a sanatoria di tutte le tipologie di abuso edilizio di cui all’allegato 1 al predetto d.l. n. 269.
In tale contesto per effetto della l.r. 5 novembre 2004, n. 21, recante “Disposizioni in materia di condono edilizio” sono state pertanto disciplinate “le condizioni, i limiti e le modalità per l’applicazione della sanatoria edilizia” contemplata dalla fonte legislativa statuale “in considerazione delle caratteristiche del territorio della Regione del Veneto”.
Per quanto qui segnatamente interessa, l’art. 3, comma 3, di tale legge regionale dispone che “ad integrazione di quanto previsto dall’articolo 32, commi 26 e 27, della legge sul condono, nelle aree assoggettate ai vincoli di cui all’articolo 32 della legge 28 febbraio 1985, n. 47… e successive modificazioni, sono suscettibili di sanatoria edilizia, a condizione che l’intervento non sia precluso dalla disciplina di tutela del vincolo, esclusivamente i seguenti interventi, ancorché eseguiti in epoca successiva alla imposizione del relativo vincolo: a) i mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere, qualora la nuova destinazione d’uso sia residenziale e non comporti ampliamento dell’immobile; b) le opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume”.
Successivamente, l’art. 19, comma 1, della l.r. 25 febbraio 2005, n. 8, recante “Disposizioni di riordino e semplificazione normativa – collegato alla legge finanziaria 2004 in materia di edilizia residenziale pubblica, viabilità, mobilità, urbanistica ed edilizia”, ha disposto, in via di interpretazione autentica, che “ai fini dell’applicazione dell’articolo 3 della legge regionale 5 novembre 2004, n. 21 per ampliamento si intende ‘l’ampliamento della costruzione esistente all’esterno della sagoma esistentè così come previsto dall’articolo 3, comma 1, lettera e.1) del decreto del Presidente della Repubblica 8 giugno 2001, n. 380 ‘Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizià “.
In tal modo, pertanto, il legislatore regionale ha inteso opportunamente rendere la nozione di “ampliamento”, introdotta nella propria disciplina speciale in tema di sanatoria straordinaria, del tutto coincidente con la nozione contemplata dalla fonte statuale di principio dettata in tema di edilizia, laddove tra gli “interventi di nuova costruzione”, ossia “quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio” diversi dagli interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo, nonché di ristrutturazione edilizia, sono espressamente considerati tali – per l’appunto – anche gli interventi che consistono nell'”ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma esistente”.
Nel caso di specie l’Amministrazione comunale ha negato il condono edilizio, conformemente a quanto deliberato dalla Commissione per la Salvaguardia di Venezia nella propria seduta del 21 maggio 2007 – Prot. n. 281666/45.96 in quanto – come si è visto innanzi – “l’intervento costituisce ampliamento in quanto non si tratta di chiusura di struttura all’interno della sagoma, bensì di una chiusura di terrazzo scoperto”, e “le opere risultano realizzate dopo l’imposizione del vincolo ambientale e non sono sanabili, in quanto contrastano con l’art. 3, comma 3, della l.r. n. 21 del 2004 poiché la tipologia d’abuso non rientra tra i due casi previsti dalle lettere a) e b) dello stesso comma e che non consente la sanatoria per ampliamenti e nuove costruzioni in zone vincolate”.
7.2.2. L’appellante, dopo aver premesso che nell’economia della presente causa non assumerebbe rilievo la circostanza se le opere sono state realizzate in epoca antecedente o successiva all’imposizione del vincolo, muove in buona sostanza dal presupposto fattuale che l’ultimo piano dell’edificio era in origine costituito per circa la metà da una unità abitativa e per la restante parte da un terrazzo delimitato, sin dalla sua costruzione, da una struttura costituita da un parapetto dell’altezza di circa 1,5 metri con sovrastanti pilastri in cemento armato, a loro volta sormontati da un cordolo in cemento che partendo dall’unità abitativa univa senza soluzione di continuità tutti i pilastri.
Secondo l’appellante, quindi, già prima dell’esecuzione delle opere per cui è causa l’immagine che si percepiva dell’edificio sarebbe risultata corrispondente a quella di un parallelepipedo, e afferma – altresì – che le chiusure precedentemente eseguite con materiali precari ben prima della realizzazione delle corrispondenti opere in muratura risulterebbero del tutto coerenti con tale percezione.
L’appellante ha quindi contestato l’assunto contenuto nell’impugnata sentenza n. 690 del 2009 resa dal T.A.R. secondo cui sono state realizzate opere valutabili in termini di volume senza peraltro correlativamente indicare il motivo per cui le opere medesime avrebbero comportato anche un’alterazione della sagoma dell’edificio.
Per quanto poi attiene al concetto di “sagoma”, l’appellante medesima richiama, ad esempio, T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III^, 22 luglio 2004, n. 3210, laddove la “sagoma” dell’edificio è “intesa quale involucro esterno (contorno del fabbricato), essendo rispettate le mura perimetrali e l’ingombro dell’edificio” stesso, ossia “la forma della costruzione complessivamente intesa”.
L’appellante richiama – altresì – Cass. pen., Sez. III^, 15 luglio 2004, n. 35976, secondo cui “per sagoma si intende la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale” e, da ultimo, richiama pure la circolare n. 4174 dd. 7 agosto 2003 del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti recante “Chiarimenti interpretativi in ordine alla inclusione dell’intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia”, emanata in conseguenza alle modifiche intervenute nel testo dell’art. 3, comma 1, lett. d), del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001 per effetto dell’art. 1 del d.lgs. del 27 dicembre 2002, n. 301, dove il precedente riferimento alla “fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali a quello preesistente” è stato sostituito con la nozione di “ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quella esistente”.
7.2.3. Il Collegio, per parte propria, concorda con l’assunto dell’appellante secondo cui, nel caso di specie, non assume rilievo la circostanza se l’abuso per cui è chiesto il condono sia stato eseguito in epoca antecedente o successiva all’imposizione del vincolo, posto che lo stesso art. 3, comma 3, della l.r. n. 21 del 2004 esplicitamente ammette la possibilità di condonare anche interventi “eseguiti in epoca successiva alla imposizione del relativo vincolo”, conformemente alla stessa disciplina di principio contenuta nell’art. 32 del d.l. n. 269 del 2003 convertito con l. n. 326 del 2003, dove al comma 27, lett. d), si dispone invero che non sono condonabili le opere “realizzate su immobili soggetti a vincoli imposti sulla base di leggi statali e regionali a tutela… dei beni ambientali e paesistici… qualora istituiti prima della esecuzione di dette opere, in assenza o in difformità del titolo abilitativo edilizio e non conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici”, ma con la conseguenza – a contrariis – che l’eventuale conformità delle opere medesime alla disciplina urbanistica vigente consente pure di assentire il relativo condono, previo esperimento del procedimento di valutazione della compatibilità delle opere con il vincolo vigente, à sensi dell’art. 42 della l. n. 47 del 1985.
7.2.4. A ragione, pertanto, l’appellante afferma che il punto nodale della controversia si identifica nella necessità di stabilire se, nella specie, le opere murarie per le quali è stato chiesto il condono edilizio risultino conformi a quelle preesistenti realizzate in materiale precario e se pertanto anch’esse non alterino la sagoma dell’edificio.
Il Collegio, per parte propria, non può che condividere le definizioni di “sagoma dell’edificio” che l’appellante enuncia sulla scorta della giurisprudenza da lei citata.
Infatti, concordemente si afferma che “la sagoma dell’edificio è la conformazione planovolumetrica della costruzione ed il suo perimetro considerato in senso verticale ed orizzontale, ovvero il contorno che viene ad assumere l’edificio, ivi comprese le strutture perimetrali con gli aggetti e gli sporti” (cfr. al riguardo, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 15 marzo 2013, n. 1564; Cass. pen., sez. III, 9 ottobre 2008, n. 38408 e 6 febbraio 2001, n. 9427; cfr. anche, nello stesso senso, Corte cost. 23 novembre 2011, n. 309).
Marginalmente va denotato che – viceversa – risulta del tutto inconferente nell’economia di causa il richiamo dell’appellante alla circolare n. 4174 dd. 7 agosto 2003 del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti recante “Chiarimenti interpretativi in ordine alla inclusione dell’intervento di demolizione e ricostruzione nella categoria della ristrutturazione edilizia”, emanata in conseguenza alle modifiche intervenute nel testo dell’art. 3, comma 1, lett. d), del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001 per effetto dell’art. 1 del d.lgs. del 27 dicembre 2002, n. 301, posto che essa concerne l’ipotesi della demolizione e ricostruzione (la c.d. “ristrutturazione edilizia”, attualmente normata dall’art. 3, comma 1, lett. d), del t.u. approvato con d.P.R. n. 380 del 2001, nel mentre nel caso di specie l’attuale appellante ha posto in essere un intervento di nuova costruzione; né va sottaciuto che la circolare medesima, ad oggi, non trova comunque più applicazione, in quanto la nuova formulazione della disciplina da essa interpretata non reca più il riferimento alla “sagoma” dell’edificio, per effetto della novella dall’art. 30, comma 1, lett. a), del d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito con l. 9 agosto 2013, n. 98.
Comunque sia, importa qui rilevare che all’epoca dei fatti di causa la nozione di “sagoma dell’edificio” considerata dalla fonte legislativa regionale anche con riguardo alla susseguente sua interpretazione autentica di cui all’art. 19, comma 1, della l.r. n. 8 del 2005, non poteva che coincidere con quella enunciata dalla surriferita giurisprudenza, e che l’art. 3, comma 3, della l.r. n. 21 del 2004 escludeva comunque dal condono edilizio, rispettivamente alle lettere a) e b), le opere che comportino ampliamento dell’immobile e le opere o le modalità di esecuzione non valutabili in termini di volume.
Posto ciò, e a ben vedere, quanto in concreto realizzato dalla Bo. è insuscettibile di condono edilizio con riguardo sia alla lettera a) che alla lettera b) del predetto art. 3, comma 3, della l.r. n. 21 del 2004.
La copertura integrale dell’ultimo piano dell’edificio mediante un tetto sovrastante tutta la superficie del terrazzo e della precedente unità abitativa e la tamponatura in tutti i lati del piano medesimo con vetrate e opere murarie integra infatti per certo un incremento della volumetria dell’unità abitativa ivi preesistente, posto che anche a prescindere dall’applicazione dei criteri di computo delle cubature contemplati nei diversi regolamenti edilizi comunali e strumenti di pianificazione primaria, in materia urbanistico-edilizia il presupposto minimale – qui per certo più che sussistente – per l’esistenza di un volume edilizio è costituito dalla costruzione di almeno un piano di base e due superfici verticali contigue (definizione, questa, ormai costantemente enunciata dalla giurisprudenza amministrativa di primo grado: cfr. al riguardo, ex plurimis, T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 10 febbraio 2014, n. 971; id., Sez. VI, 6 luglio 2011, n. 3543; id., Sez. IV, 24 maggio 2010, n. 8342; T.A.R. Piemonte, 12 luglio 2005, n. 1824; T.A.R. Liguria, Sez. I, 12 dicembre 1989, n. 943; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 30 settembre 1994, n. 2171)
Ma, allo stesso tempo e contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, anche la sagoma dell’edificio risulta nella specie mutata, in quanto antecedentemente alla realizzazione della copertura dell’intero ultimo piano non si poteva ragionevolmente sostenere che l’unità abitativa ivi collocata soltanto su parte del lastrico e i contigui pilastri congiunti mediante cordolo all’unità medesima conferissero nel loro insieme all’edificio la forma di un parallelepipedo, viceversa assodatamente dallo stesso acquisita solo ed esclusivamente per effetto della susseguente trasformazione edilizia realizzata dall’attuale appellante.
Non si riscontra, pertanto, nella sentenza qui impugnata sub R.G. n. 6274 del 2009 relativa al provvedimento di diniego di condono la contraddittorietà che l’appellante medesima pretenderebbe – viceversa – di rinvenire.
7.2.5. Va soggiunto, anche con conseguente assorbimento dell’eccezione sollevata al riguardo à sensi dell’art. 104, comma 2, c.p.a. dall’Amministrazione appellata, che neppure rileva nell’economia di causa la documentazione prodotta nel presente grado di giudizio dall’appellante in ordine all’autorizzazione paesaggistica da lei acquisita successivamente ai fatti di causa e avente ad oggetto l’installazione di un ascensore nell’edificio di cui trattasi anche al servizio del quarto piano di sua proprietà, posto che tale impianto risulta di per sé astrattamente compatibile anche con l’esistenza del preesistente assetto del piano medesimo e che, come è ben noto, esso di per sé costituisce un c.d. “volume tecnico”, irrilevante in quanto tale agli effetti del computo della cubatura utile (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 11 luglio 2016, n. 3059).
7.2.6. Va da ultimo rilevato che la sentenza qui impugnata sub R.G. n. 6272 e relativa all’ingiunzione a demolire, a differenza di quanto affermato dall’appellante, non risulta carente nella motivazione, posto che nella sentenza medesima il giudice di primo grado ha doverosamente preso atto che il relativo ricorso era stato articolato soltanto mediante censure proposte in via derivata rispetto al presupposto diniego di condono edilizio, e che in dipendenza della già avvenuta reiezione dell’impugnativa precedentemente proposta avverso tale provvedimento, la reiezione dell’ulteriore impugnativa proposta avverso il conseguente ordine di demolizione, nella riscontrata assenza di altre censure al riguardo dedotte in via autonoma, costituiva per il giudice medesimo una statuizione del tutto vincolata, e ciò in dipendenza del principio della necessaria corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c. applicati al processo amministrativo anche all’epoca dei fatti di causa (cfr. sul punto, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 7 luglio 2015, n. 3373).
8. Le spese e gli onorari del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza di lite, e sono liquidati nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sugli appelli in epigrafe (R.G. n. 6274 del 2009 e R.G. n. 6272 del 2009) come in epigrafe proposti e previa loro riunione, li respinge.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, complessivamente liquidati nella misura di Euro 5.000,00 (cinquemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Raffaele Greco – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere, Estensore
Giancarlo Luttazi – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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