Consiglio di Stato, sezione quarta, Sentenza 5 dicembre 2018, n. 6893.
La massima estrapolata:
Gli interventi ulteriori, quand’anche riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche, ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione.
Sentenza 5 dicembre 2018, n. 6893
Data udienza 22 novembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 652 del 2011, proposto dal Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ro. Ma., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
contro
I signori Ma. Ze. ed An. An. Gr., rappresentati e difesi dall’avvocato Gi. Fo., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 11333/2010.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori Ma. Ze. ed An. An. Gr.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 novembre 2018 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti l’avvocato Pe. Ma., su delega dell’avvocato Ro. Ma., e l’avvocato Gi. Fo.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe impugnata n. 11333 del 14 maggio 2010, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio -Sede di Roma- ha accolto il ricorso, proposto dalla odierna parte appellata, signori Ze. Ma. e Gr. An. An., teso ad ottenere l’annullamento della delibera di annullamento definitivo del permesso di costruire in sanatoria recante n. 380/08-94 del 22 maggio 2008 rilasciato a Ze. Ma., con il quale veniva annullato il permesso di edificare opere edili in loc. (omissis).
2. Gli originarii ricorrenti avevano prospettato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere, sostenendo che l’azione amministrativa era viziata sotto il profilo formale, sostanziale e procedimentale.
3. Il comune di (omissis) non si era costituito in giudizio.
4. Il T.a.r., con la sentenza impugnata, ha innanzitutto rilevato quale fosse stata la cronologia infraprocedimentale, ha dato atto di quali fossero le censure proposte ed ha in via preliminare rilevato che:
a) gli originarii ricorrenti avevano presentato al Comune di (omissis), in data 30/1/95, l’istanza diretta ad ottenere la concessione in sanatoria per gli abusi realizzati su un immobile destinato ad uso commerciale, sito nel Comune di (omissis) ed individuato nel N.C.E.U. al foglio (omissis), part. (omissis) sub (omissis) per un totale di mq. 110.50;
b) in pendenza del procedimento diretto ad ottenere la sanatoria dell’immobile abusivo, i medesimi originarii ricorrenti avevano chiesto al Comune di (omissis) il rilascio dell’autorizzazione per eseguire lavori di revisione della copertura a tetto dell’edificio;
c) il Comune di (omissis) in data 16 dicembre 2003 aveva rilasciato il permesso di costruire n. 658 E 03, disponendo il divieto di alterazione della volumetria, della superficie coperta e dell’estetica del fabbricato;
d) in data 13 dicembre 2004 gli originarii ricorrenti avevano comunicato l’avvio dei lavori, ma, nell’eseguire i lavori di rifacimento del tetto, avevano demolito la precedente copertura oltre che le tramezzature interne.
c) successivamente, l’Ufficio Tecnico del Comune aveva eseguito specifici accertamenti sul luogo, verificando che i lavori eseguiti sul manufatto abusivo non erano rispondenti a quelli previsti: il manufatto era stato sottoposto a sequestro con provvedimento n. 147/05, ma con provvedimento del 29 luglio 2008 il Tribunale Penale di Velletri aveva disposto il dissequestro del fabbricato e la sua restituzione ai proprietari;
d) premesso che la copertura del manufatto non era mai stata ripristinata, in data 22 maggio 2008 il Comune di (omissis) aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 380/08-94 per il manufatto in questione;
e) successivamente, però, con il provvedimento di “revoca” oggetto della odierna controversia, lo stesso comune di (omissis) aveva rilevato che il permesso di costruire in sanatoria era stato rilasciato in difetto di presupposti, in quanto il fabbricato alla data di rilascio del condono era privo della copertura e di gran parte della tamponatura perimetrale, ed aveva quindi disposto l’annullamento del predetto provvedimento di sanatoria.
4.1. Nella seconda parte della sentenza il T.a.r. ha scrutinato le censure proposte e le ha accolte, sui seguenti rilievi:
a) il provvedimento impugnato si limitava ad indicare le ragioni di illegittimità dell’atto oggetto di annullamento in autotutela, ma non presentava alcuna motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse sottese alla sua adozione;
b) il predetto provvedimento appariva carente nella motivazione anche sotto un altro profilo, in quanto alla data del 22 maggio 2008, nella quale era stato rilasciato il permesso di costruire in sanatoria, il manufatto era stato già parzialmente demolito, e l’Ufficio Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune di (omissis) era a conoscenza dell’incompletezza del manufatto, atteso che il sopralluogo dal quale aveva avuto origine la vicenda penale ed il sequestro del cantiere, era stato eseguito proprio dal personale dello stesso Ufficio Urbanistica ed Edilizia Privata del Comune;
c) inoltre, occorreva considerare che la demolizione del tetto era intervenuta in seguito al rilascio del permesso di costruire n. 658 E 03 del 16 dicembre 2003 (che prevedeva non soltanto la revisione della copertura, ma anche “le eventuali modifiche della struttura portante”, con conseguente “deposito presso gli uffici competenti dei calcoli statici ai sensi della vigente normativa”) e che la sua mancata ricostruzione era derivata dal sequestro del cantiere per i contestati abusi edilizi, non avendo potuto i proprietari provvedere al ripristino della copertura del manufatto;
d) ne discendeva che il provvedimento in autotutela avrebbe dovuto essere congruamente motivato, sia con riferimento alle ragioni di pubblico interesse (ritenute prevalenti rispetto a quelle private) sottese alla sua adozione, sia con riferimento ai motivi per i quali il Comune aveva mutato avviso in ordine ai presupposti per il rilascio del permesso di costruire in sanatoria (visto che la condizione del manufatto era già nota all’Amministrazione), tenuto conto altresì delle particolari circostanze nelle quali era intervenuta la demolizione del tetto.
5. Il comune di (omissis), originario resistente rimasto integralmente soccombente, ha impugnato con l’odierno ricorso in appello la suindicata decisione, criticandola sotto ogni angolo prospettico, e dopo avere rivisitato le principali tappe del contenzioso infraprocedimentale e giurisdizionale di primo grado ha sostenuto che la stessa doveva essere riformata in quanto errata, posto che la sanatoria che in un primo momento era stata rilasciata era priva dei presupposti di legge.
6. Con decreto presidenziale n. 1183 in data 9 settembre 2016 l’odierno giudizio di appello è stato dichiarato estinto per perenzione.
7. L’appellante comune di (omissis) ha impugnato il decreto e, con il proprio atto di opposizione depositato il 8 novembre 2016, ne ha chiesto la revoca.
8. Alla camera di consiglio del 15 marzo 2018 fissata per la delibazione dell’atto di opposizione proposto avverso il suindicato decreto di perenzione la Sezione, con la ordinanza collegiale n. 1879 del 16 marzo 2018 ha accolto l’opposizione ed ha disposto la rimessione del ricorso sul ruolo.
9. Alla odierna pubblica udienza del 22 novembre 2018 la causa è stata trattenuta in decisione
DIRITTO
1. L’appello è fondato e va accolto nei sensi di cui alla motivazione che segue: in riforma della decisione di primo grado va pertanto respinto il ricorso di primo grado, con reviviscenza degli effetti degli atti impugnati.
1.1. Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), e fatto presente che a mente del combinato disposto degli artt. artt. 91, 92 e 101, comma 1, c.p.a., il Collegio farà esclusivo riferimento alle censure già proposte in primo grado, si rileva che:
a) la ricostruzione fattuale resa dal T.a.r. è rimasta incontestata (art. 64 del c.p.a.) e pertanto anche per esigenze di sinteticità il Collegio ad essa farà integrale riferimento;
b) non v’è prova della sopravvenuta carenza di interesse a coltivare l’appello in capo al comune che le parti hanno ipotizzato nel corso della discussione in udienza pubblica: invero soltanto in sede di discussione all’odierna udienza pubblica è stata prodotta la sentenza del T.a.r. per il Lazio -sede di Roma- n. 8216/2013 che ha annullato un ulteriore atto di autotutela reso dal Comune ed attingente la sanatoria concessa nel 2008, ma non è stato neppure chiarito se il provvedimento di autotutela annullato in quella sede fosse stato – o meno – emanato in ottemperanza alla sentenza del T.a.r. oggetto della odierna impugnazione, né sono stati prodotti atti relativi a quel procedimento.
2. Ciò premesso, la presente vicenda processuale è connotata da rilevanti specificità fattuali, ma, proprio tenuto conto delle medesime, il Collegio ritiene che l’appello sia fondato e che, quindi, il provvedimento di revoca/autoannullamento della sanatoria fosse legittimo.
2.1. Invero, sembra evincersi che l’originario immobile eseguito abusivamente e per il quale in data 30 gennaio 1995 venne chiesta la sanatoria, al momento della domanda predetta era munito della copertura e viene affermato che lo stesso possedesse gli ulteriori requisiti per essere sanato.
2.2. Con riferimento a tale segmento temporale, quindi, potrebbe sostenersi che l’immobile possedesse tutti i requisiti per ottenere la sanatoria e che, se il Comune avesse provveduto tempestivamente su detta domanda, la sanatoria sarebbe stata concessa.
2.2.1. Medio tempore, però, si innesta una ulteriore vicenda, in forza della quale i proprietari chiesero al Comune di (omissis) il rilascio dell’autorizzazione per eseguire lavori di revisione della copertura al tetto dell’edificio (per evitare le conseguenze di asserite infiltrazioni d’acqua): il Comune di (omissis) in data 16 dicembre 2003 rilasciò il permesso di costruire n. 658 E 03, prescrivendo il divieto di alterazione della volumetria, della superficie coperta e dell’estetica del fabbricato; in data 13 dicembre 2004 gli odierni appellati comunicarono l’avvio dei lavori, e ne iniziarono l’esecuzione.
2.2.2. Non è contestato che gli appellati abbiano demolito la precedente copertura (ed anche gran parte delle tompagnature) e che, quindi, in sede di esecuzione dei detti lavori autorizzati, si fossero discostati da quanto assentito: il manufatto venne quindi sottoposto a sequestro con provvedimento n. 147/05; con provvedimento del 29 luglio 2008 il Tribunale Penale di Velletri dispose il dissequestro del fabbricato e la sua restituzione ai proprietari.
2.2.3. In data 22 maggio 2008 il Comune di (omissis) rilasciò il permesso di costruire in sanatoria n. 380/08-94 per il manufatto in questione, ma è rimasto incontestato che la copertura del manufatto non risultava più esistente e che la superficie, come rilevato nel verbale di sequestro, era stata incrementata, in assenza di parte della tompagnatura.
2.2.4. Questa è la ragione per cui il permesso di costruire in sanatoria n. 380/08-94 che in data 22 maggio 2008 il Comune di (omissis) aveva rilasciato è stato autoannullato, con il provvedimento impugnato in primo grado; il manufatto era stato modificato rispetto alla consistenza originaria cristallizzata nella domanda di condono attraverso la demolizione di gran parte delle tompagnature ed un ampliamento del medesimo.
3. Risultano dunque fondate le censure proposte dall’amministrazione comunale, in quanto, anche a volere prestare credito alla tesi secondo cui alla data di presentazione della originaria domanda di sanatoria (1995) l’immobile possedeva i requisiti per essere sanato, resta il fatto che a seguito dei lavori successivamente eseguiti, ed in spregio all’atto autorizzatorio, esso venne modificato consapevolmente: rileva, in materia, il consolidato principio secondo il quale il fabbricato per il quale è pendente il condono è suscettibile di essere modificato-completato solo nel rispetto del procedimento prescritto dall’articolo 35 e che, ove tale procedimento non venga seguito, “gli interventi ulteriori, quand’anche riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria del restauro e/o del risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche, ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale alla quale ineriscono strutturalmente, sicché non può ammettersi la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive, con conseguente obbligo del Comune di ordinarne la demolizione”.
In altri termini, di ampliamento o di ristrutturazione può parlarsi allorché esista un organismo edilizio legittimo che viene sottoposto a un intervento edilizio; se invece l’originario organismo edilizio è abusivo il risultato delle opere intraprese sarà semplicemente quello della trasformazione del manufatto abusivo originario in un manufatto abusivo diverso senza possibilità di distinguere tra parte originaria e parte realizzata successivamente.
3.1. In tale quadro, il provvedimento di autotutela si appalesava quale atto dovuto, sia in quanto, in sostanza, l’immobile come descritto nella domanda di condono non esisteva più, sia perché la parte appellata (che aveva già intrapreso abusivamente la costruzione dell’immobile, in origine) aveva poi altrettanto abusivamente eseguito lavori che avevano modificato l’immobile predetto, ma anche perché essa non può invocare alcun affidamento, a cagione della condotta tenuta, a parte la non eccessiva consistenza dell’arco temporale intercorso tra la sanatoria concessa e l’atto di autotutela (il preavviso dell’avvio del procedimento di autotutela risale all’11 agosto 2008, ed è quindi di pochi mesi successivo al rilascio dell’atto abilitativo).
4. Conclusivamente, l’appello va accolto, e per l’effetto, in riforma della decisione di primo grado va respinto il ricorso di primo grado, con reviviscenza del contestato atto di annullamento.
5. Quanto alle spese processuali del doppio grado, esse seguono la soccombenza, e pertanto gli appellati devono essere condannati in solido al pagamento delle medesime in favore dell’appellante amministrazione comunale, nella misura che appare equo determinare in Euro tremila (Euro 3000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello n. 652 del 2011, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza respinge il ricorso di primo grado, con reviviscenza degli effetti degli atti impugnati.
Condanna gli appellati in solido al pagamento delle spese processuali del doppio grado in favore dell’appellante amministrazione comunale, nella misura di Euro tremila (Euro 3000//00) oltre oneri accessori, se dovuti.
Dispone che gli appellati, in solido, rimborsino al Comune quanto effettivamente versato a titolo di contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2018, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Fabio Taormina – Consigliere, Estensore
Daniela Di Carlo – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere
Roberto Caponigro – Consigliere
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