L’individuazione delle aree in cui è consentita l’attività estrattiva

Consiglio di Stato, sezione seconda, Sentenza 22 luglio 2019, n. 5149.

La massima estrapolata:

L’individuazione delle aree in cui è consentita l’attività estrattiva rappresenta espressione di un’ampia discrezionalità amministrativa, rispetto alla quale il P.R.A.E. si limita a fissare i criteri, demandando a successivi atti della Giunta Regionale la concreta individuazione dei comparti estrattivi. Anche nel caso in cui, cioè, tale strumento generale abbia individuato un’area tra quelle astrattamente suscettibili di attività estrattiva, la concretizzazione della vocazione cavatoria del territorio è ulteriormente subordinata alle valutazioni contenute nella pianificazione attuativa.

Sentenza 22 luglio 2019, n. 5149

Data udienza 11 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3630 del 2011, proposto dal signor Pa. Ta., in qualità di titolare dell’omonima impresa individuale, rappresentato e difeso dagli avvocati Um. Ge., An. Mo. e Gi. D’A., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Pa. Ca. in Roma, via (…);
contro
la Regione Campania, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato An. Ma., domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
nei confronti
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania Sezione Quarta n. 22280/2010, resa tra le parti, concernente modifica della perimetrazione dei comparti estrattivi
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Regione Campania;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2019 il Consigliere Antonella Manzione; Nessuno comparso per le parti;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. L’odierno appellante, titolare di impresa individuale esercente attività di coltivazione di una cava di ignimbrite campana (tufo) nel territorio del Comune di (omissis), ha impugnato innanzi al T.A.R. per la Campania la deliberazione della Giunta regionale n. 492 del 20 marzo 2009, con la quale sono stati delimitati i comparti estrattivi per ciascuna Provincia, riducendone l’estensione, per quanto di suo specifico interesse, rispetto alla perimetrazione effettuata con la precedente delibera n. 323 del 7 marzo 2007. Ha impugnato altresì, quali atti ad essa presupposti, la deliberazione della Giunta regionale n. 1404 dell’11 settembre 2008 e l’Intesa istituzionale programmatica sottoscritta in data 28 luglio 2008 tra la Regione Campania, la Provincia di Napoli e i Comuni dell’area (omissis).
2. Il T.A.R., con sentenza n. 22280/2010, ha dichiarato il ricorso inammissibile, compensando integralmente le spese del giudizio. In particolare, alla luce dei contenuti concreti della delibera impugnata, che comunque non ha inciso sull’estensione della superficie di cava autorizzata, ha disconosciuto l’interesse ad agire in assenza di attualità del pregiudizio, da ravvisarsi semmai all’atto dell’eventuale provvedimento applicativo.
3. Ha presentato appello l’impresa Ta. contestando l’affermata mancanza di interesse: in quanto titolare di autorizzazione all’esercizio di attività di cava nel comparto, essa sarebbe lesa nell’immediato nelle sue potenzialità espansive da una perimetrazione riduttiva rispetto al passato. Ha pertanto riproposto gli originari 5 motivi di gravame non scrutinati dal giudice di prime cure: violazione della L.R. n. 54/1985 e delle norme del Piano regionale delle attività estrattive che sanciscono l’immediata vigenza dello stesso e l’obbligo per i Comuni di adeguarvi i propri strumenti urbanistici entro novanta giorni; illogicità della perimetrazione in relazione ai titolari di progetto unitario di gestione produttiva del comparto (P.U.G.); violazione degli artt. 10 e 24 delle Norme tecniche di attuazione del Piano, in quanto attraverso la riduzione del comparto si è sostanzialmente vanificata la classificazione dell’Area come “suscettibile di nuove estrazioni”; violazione degli artt. 2, 3 e 21 della l. n. 241 /1990 per aver effettuato la contestata riduzione in assenza dei presupposti previsti dalla legge (insistenza di vincolo idrogeologico o presenza di aree boschive); violazione dell’art. 2 della L.R. Campania n. 54 del 1985, per aver rimodulato i comparti rispetto alla precedente delimitazione effettuata con delibera n. 323/2007, immotivatamente. Chiedeva, quindi, l’accoglimento del ricorso di primo grado, previa concessione di misura cautelare.
4. Si costituiva la Regione appellata, insistendo per la reiezione dell’appello, ribadendo l’affermata inammissibilità del ricorso di primo grado; riproponeva a sua volta il rigettato eccepito profilo di improcedibilità ravvisato nella omessa impugnativa della successiva delibera n. 992/2209, con la quale la Regione Campania ha dato avvio al procedimento di revisione del P.R.A.E.; nel merito, ne ribadiva l’infondatezza, difendendo la legittimità degli atti adottati.
5. All’udienza pubblica dell’11 giugno 2019 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

6. Preliminarmente il Collegio ritiene di dover condividere le eccezioni dell’appellante in ordine alla ritenuta sussistenza del proprio interesse ad agire: in accoglimento dell’appello pertanto la sentenza deve essere in parte qua riformata, con onere di rivalutazione del merito delle censure del ricorso di primo grado (art. 105 c.p.a.).
7. Secondo il giudice di prime cure l’inammissibilità del ricorso per carenza di interesse conseguirebbe al fatto che “la perimetrazione definitiva disposta con l’impugnata delibera n. 492 del 20 marzo 2009, nel ridurre l’estensione del comparto estrattivo in questione, non ha modificato, in concreto, la superficie della cava già autorizzata”. La società appellante, infatti, avrebbe dimostrato il possesso della sola legittimazione ad agire, in quanto titolare al momento della proposizione del ricorso di una valida autorizzazione all’attività estrattiva (decreto dirigenziale n. 57 del 5 settembre 2007, con il quale è stato disposto il trasferimento in suo favore dell’autorizzazione di cui al decreto dirigenziale n. 1311 in data 1 dicembre 2000, nella titolarità della dante causa “Ta. e Ru.” s.n. c.).
8. Diversamente da quanto sopra, ad avviso del Collegio l’inclusione dell’area per la quale la ricorrente è autorizzata in uno dei comparti suscettibili di attività estrattiva ad opera della deliberazione di Giunta n. 492/2009 (Comparto (omissis), ove si ha riguardo all’attività estrattiva “autorizzata” n. 63085-04), come già avvenuto, seppure in via provvisoria e con diversa estensione, nella precedente delibera n. 323/2007, e, a livello generale, nel P.R.A.E., non può non averle conferito una posizione (non certo di fatto, ma) giuridica qualificata rispetto alla generalità delle imprese esercenti la medesima attività .
9. La concatenazione dei richiamati atti in senso riduttivo dell’estensione originaria, fa altresì sì che, ritiene il Collegio, non possa negarsi agli stessi una potenzialità lesiva delle aspirazioni dell’imprenditore che, vista dapprima concretizzabile l’evenienza di un ampliamento della superficie sulla quale ha già radicato la propria attività aziendale di estrazione verso quelle individuate come suscettibili di essere sfruttate, veda recedere tale posizione di vantaggio a seguito della definitiva ricognizione dei luoghi interessati e della conseguente riduzione della perimetrazione dei comparti estrattivi.
La circostanza che le aree che costituiscono i “comparti” siano di fatto contingentate (senza che occorrano ulteriori atti attuativi allo scopo) e la considerazione che se ne lamenta l’erronea ed immotivata determinazione proprio in termini di entità, consente dunque di configurare in capo all’impresa appellante un interesse, senza che sia necessario attendere l’esito di richieste attuative, di per sè astrattamente precluse o comunque limitate dall’atto programmatorio, con esito quindi apparentemente scontato alla luce del provvedimento oggi impugnato.
10. Analogamente e in senso diametralmente opposto va rigettata l’eccezione di improcedibilità riproposta dalla Regione Campania: l’avvenuto avvio del procedimento di revisione del Piano delle attività estrattive con delibera n. 992/2009, proprio in quanto tale, infatti, pur ponendosi in linea con i principi e le direttive cristallizzate nei provvedimenti precedenti, oltre ad avere valenza meramente endoprocedimentale, come giustamente affermato dal giudice di prime cure (§ 5 della parte “in diritto”), non cauterizza, quanto meno nell’immediato, la potenziale efficacia lesiva delle scelte di cui all’impugnata delibera n. 492/2009.
11. Chiarito quanto sopra, il Collegio ritiene che il ricorso proposto dall’odierna appellante, diretto all’annullamento della delibera di Giunta regionale n. 492/2009, e agli atti ad essa presupposti richiamati in epigrafe, sebbene ammissibile, in considerazione del contenuto puntuale che rende l’atto, come sopra detto, immediatamente lesivo, sia, comunque, infondato nel merito: il Collegio non ritiene infatti sussistano ragioni per decampare dalle conclusioni di recente raggiunte dalla Sezione con le decisioni r.g.n. 4735/2019 e r.g.n. 4663/2019 rese con riguardo a vicende assai simili a quella oggetto della odierna cognizione.
12. Con i cinque motivi di gravame la società contesta sostanzialmente il potere della Giunta regionale di incidere sulla preesistente perimetrazione, ritenendola lesiva del Piano regionale delle aree estrattive, oltre che immotivata, stante che rispetto alla perimetrazione del 2007 ha introdotto modifiche non correlate alla presenza di aree boschive o di problematiche idrogeologiche, e quindi illegittime.
La sostanziale omogeneità delle doglianze avanzate, pur nella loro articolata prospettazione, ne consente la trattazione congiunta. Su di esse, peraltro, la Sezione ha già avuto modo di esprimersi in relazione a fattispecie del tutto analoga, anche per il medesimo territorio comunale di (omissis), con decisioni dalle quali non è motivo di discostarsi (cfr. Cons. Stato, Sez. II, 8 luglio 2019, n. 4735; v. anche id. 5 luglio 2019, n. 4663).
13. L’individuazione delle aree in cui è consentita l’attività estrattiva rappresenta espressione di un’ampia discrezionalità amministrativa, rispetto alla quale il P.R.A.E. si limita a fissare i criteri, demandando a successivi atti della Giunta Regionale la concreta individuazione dei comparti estrattivi (cfr. art. 21 delle N.T.A. del ridetto Piano). Anche nel caso in cui, cioè, tale strumento generale abbia individuato un’area tra quelle astrattamente suscettibili di attività estrattiva, la concretizzazione della “vocazione cavatoria” del territorio è ulteriormente subordinata alle valutazioni contenute nella pianificazione attuativa (sul punto cfr. Cons. Stato, Sez. V, 31 agosto 2017, n. 4137).
Per tale ragione, l’adozione da parte della Giunta regionale delle delibere n. 323/2007 e n. 492/2009 si palesa non solo legittima, ma anche doverosa, e non va confusa con l’introduzione delle necessarie “correzioni necessarie per il coordinamento formale dei propri strumenti urbanistici” di cui all’art. 2 della L.R. n. 54/1985.
14. L’appellante, pur contestando formalmente la competenza della Giunta ad incidere su uno strumento di pianificazione quale il P.R.A.E. – con ciò pretermettendo, come già detto, che essa deriva la relativa funzione direttamente dalle norme tecniche di attuazione- non individua poi alcuna specifica censura al riguardo, ravvisando l’asserita illegittimità del provvedimento nel contrasto non direttamente con la propria fonte sovraordinata, bensì con la stessa, ma in relazione all’avvenuta cristallizzazione di divergenti -ed evidentemente più favorevoli-scelte nell’atto preliminare del 2007. In sintesi, la violazione delle norme delle N.T.A. a vario titolo invocato nonché, più in generale, l’asserita irragionevolezza della scelta, risiederebbe nella riduzione del perimetro per come delineato in via definitiva.
La ricordata attività attuativa del Piano, tuttavia, oltre che discrezionale, si è caratterizzata nel caso di specie proprio per il contestato doppio passaggio procedurale, con l’adozione di una prima delibera in data 7 marzo 2007, dichiaratamente provvisoria, cui ne è seguita una conclusiva in data 20 marzo 2009 (la n. 492 oggetto di impugnativa), senza che ciò violi alcuna “autolimitazione” contenutistica, peraltro non ravvisabile negli atti de quibus.
La volontà di rimeditare la perimetrazione all’esito di maggiori approfondimenti istruttori risultava esplicitata in più parti del provvedimento del 2007, finalizzato “ad una prima individuazione” dei comparti, demandando al Dirigente competente per materia il compito di rimodularli “in modo da prevedere che essi siano funzionali per una corretta coltivazione e sistemazione ambientale dei luoghi”. Finalità ben più ampia e generale, oltre che conforme alle indicazioni delle N.T.A., rispetto al mero accertamento dell’esistenza di superfici boscate, ovvero della mancata inclusione nelle zone ad alto rischio idrogeologico, classificate come (omissis), così come imposto dall’art. 79, comma 1, lett. b) della sopravvenuta L.R. Campania 30 gennaio 2008, n. 1, cui la società appellante vorrebbe limitare la possibilità di intervento della Regione.
15. La lamentata inclusione nel perimetro del comparto (omissis) non solo della cava autorizzata, identificata nel P.R.A.E. con il codice 63085-04, che non risulta delimitata, ma anche di una estesa superficie di cava abbandonata non più funzionale a consentire l’estrazione di materiale, in quanto esaurita, non vizia la ricordata perimetrazione dei comparti: trattandosi, infatti, della mera individuazione cartografica di aree “disegnate” intorno ad attività in esercizio, senza indicazioni predeterminate di superficie, ne è evidente la neutralità rispetto a tale rilevato elemento, evidentemente fisicamente inglobato nel contesto. Né può costituire un limite esterno nella valutazione degli interessi pubblici sottesi al corretto mantenimento, oltre che sfruttamento, del territorio, l’asserita insufficienza delle potenzialità del comparto rispetto alla durata ventennale dell’autorizzazione alla coltivazione della cava ovvero al fabbisogno regionale di materiale di tufo. Le potenzialità estrattive del sito in relazione alla durata del titolo al relativo sfruttamento, infatti, attengono alla fase gestionale e non a quella pianificatoria, nel senso che non possono condizionare i contenuti di quest’ultima, addirittura vincolando le scelte dell’organo di governo regionale.
16. Non può infine trascurarsi l’importanza del richiamo, ancorché implicito, all’avvenuto coinvolgimento dei Comuni il cui territorio è interessato dal comparto nell’adozione del provvedimento di perimetrazione definitivo. Secondo l’appellante, al contrario, il riferimento alla delibera della Giunta regionale n. 1404 dell’11 settembre 2008, pure autonomamente impugnata, contenuto nelle premesse della delibera n. 492/2009, si paleserebbe inconferente ed ultroneo, stante l’inidoneità del provvedimento ad incidere sull’individuazione della classificazione estrattiva delle aree, modificando implicitamente il P.R.A.E.
Ora, anche a voler riconoscere un’autonoma valenza contenutistica a ridetto richiamo, il Collegio non vede come essa possa riverberarsi in menda nei confronti dell’atto avversato.
Il T.A.R. per la Campania, nell’escludere l’inammissibilità del gravame alla luce della sentenza n. 2135/2008, di annullamento della deliberazione n. 323/2007, in quanto annullata a sua volta dal Consiglio di Stato (che ne ha pertanto determinato la reviviscenza) con declaratoria di improcedibilità (sentenza n. 6225/2009), omette di cogliere l’importanza del contenzioso sotteso alle richiamate decisioni sull’odierno procedimento. In realtà, una corretta ricostruzione del contesto nel quale si inserisce anche l’odierno ricorso induce a collocare la scelta di attivare il procedimento di variante al P.R.A.E. -rectius, la redazione, aggiornamento e variante dello stesso, in quanto ne era imminente la prima scadenza- di cui alla più volte richiamata delibera n. 992/2009, consegue proprio alla necessità di superare i rilievi degli enti territoriali, tra cui anche il Comune di (omissis), le cui istanze non erano state adeguatamente valutate in sede di approvazione del Piano.
Con la deliberazione n. 1404 dell’11 settembre 2008, dunque, la Giunta regionale ha preso atto dell’intervenuta “Intesa istituzionale programmatica tra la Regione Campania, la Provincia di Napoli ed i Comuni dell’Area (omissis)”, con la quale si è prevista, come misura di mitigazione ambientale, rispetto al P.R.A.E., la dichiarazione dell’area in questione come zona ad alta criticità (Z.A.C.) ed approvato un piano integrato di interventi da realizzarsi in un quadro di leale collaborazione, individuandone le modalità attuative nonché i meccanismi di controllo e monitoraggio. Nelle premesse dell’atto si riferisce espressamente “che gli impegni assunti dai sottoscrittori e gli interventi ricompresi nel programma investono che al fine di pervenire alla caducazione consensuale dei giudizi pendenti innanzi al Consiglio di Stato (che ha concesso la sospensiva), il Settore Ricerca e Valorizzazione di Cave, Torbiere, Acque Minerali e Termali ha realizzato degli incontri con i suddetti Comuni, dai quali è emersa la condivisione di alcune richieste, da proporsi in sede di aggiornamento e variante del predetto strumento di pianificazione”. L’esistenza di tale accordo che, seppur privo di valenza precettiva immediata, non poteva essere ignorato, ha dunque orientato teleologicamente in termini di maggior rigore le scelte effettuate, stante la pattuita futura inclusione delle aree di riferimento nelle Z.A.C. per le oggettive peculiarità del relativo territorio; e ciò rientra nella piana discrezionalità dell’ente, non irragionevolmente od abnormemente esercitata (unici parametri, questi, sui quali, come è noto, può essere esercitato il sindacato giudiziale).
Ad ulteriore conforto, peraltro, della compiutezza motivazionale della scelta riduttiva effettuata, l’art. 2 dell’Intesa richiama, quale fattore oggettivo esistente e in quanto tale imprescindibile in ambito pianificatorio futuro, l’Accordo di Programma Quadro sottoscritto nel febbraio 2006, il cui stato di attuazione necessita di verifiche con il Commissario rifiuti in quanto relativo a sistema viabilistico (svincolo autostradale A16 Napoli-Bari, proprio nel Comune di (omissis)), evidentemente funzionale alle relative problematiche ambientali.
17. Il comparto di interesse, come è pacifico tra le parti, non rientra né tra le zone boschive, né tra quelle a vincolo idrogeologico. Ciò tuttavia non rende ex se illegittimo il contenuto della deliberazione n. 492/2009, per il solo fatto che essa non si limita a dare atto delle risultanze di tali verifiche, ma si avvale, secondo le premesse dell’atto stesso, delle indicazioni desumibili dall’apposito studio e dagli accertamenti effettuati sul territorio della Provincia di Napoli diversi ed ulteriori rispetto a quelli condotti dalla Regione in occasione della precedente perimetrazione (preliminare) adottata con la deliberazione assunta nell’anno 2007 dalla Giunta.
Le premesse alla relazione esplicativa allegata danno espressamente atto del fatto che “rispetto alla perimetrazione provvisoria dei comparti, di cui alla D.G.R.C. n. 323 del 7.03.2007, sono stati confermati i precedenti comparti ma, a seguito delle necessarie verifiche, come di seguito specificate, si sono proposte alcune variazioni nei perimetri”; le premesse alla deliberazione, a loro volta, danno atto del fatto che il nuovo quadro generale dei comparti risente anche della “verifica sulla condizione amministrativa delle cave che, a seguito di provvedimenti adottati dal Settore Genio Civile di Napoli, ricadono nel caso di esclusione dalla perimetrazione dei compari al loro intorno così come previsto dall’art. 21 comma 3 lett. b”. E’ chiaro dunque come anche tale ultimo richiamo, non necessariamente attinente al comparto della ricorrente, sia del tutto corretto nel quadro complessivo dell’approfondita istruttoria effettuata.
18. Alla luce di quanto sopra, l’appello deve essere parzialmente accolto, e la sentenza deve essere riformata nei sensi di cui alla motivazione che precede: decidendo sul ricorso di primo grado, questo deve essere respinto con le precisazioni di cui sopra in punto di motivazione.
19. Sussistono i presupposti per compensare le spese del doppio grado di giudizio, per la particolare complessità fattuale e giuridica della controversia, ed anche in considerazione del fatto che nel giudizio di primo grado il ricorso è stato erroneamente dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui alla motivazione, e per l’effetto, in riforma della sentenza di prime cure, dichiara ammissibile il ricorso di primo grado n. r. 3497/2009: pronunciando nel merito di quest’ultimo, lo respinge, nei sensi di cui in motivazione.
Spese processuali del doppio grado compensate.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2019 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Fulvio Rocco – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere, Estensore
Cecilia Altavista – Consigliere

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