Incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili e giurisdizione

Consiglio di Stato, Sentenza|10 giugno 2022| n. 4752.

Incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili e giurisdizione

In materia di incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e non al giudice amministrativo la controversia tra il gestore del servizio energetico e il soggetto privato produttore di energia, qualora la materia del contendere non riguardi le tariffe, il criterio di loro quantificazione o la concessione degli incentivi, ma soltanto l’inadempimento contrattuale riguardante il corrispettivo, meramente privatistico, dovuto sulla base della convenzione conclusa ovvero la condanna del gestore al pagamento dei crediti maturati dal titolare dell’impianto fotovoltaico.

Sentenza|10 giugno 2022| n. 4752. Incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili e giurisdizione

Data udienza 19 aprile 2022

Integrale

Tag- parola chiave Energia rinnovabile – Impianto fotovoltaico – Incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili – Contestazioni – Giurisdizione – Criteri di riparto

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9982 del 2018, proposto dalla società
In. Sa. Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Fe. Bu. e An. Li., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del secondo in Roma, via (…);
contro
la società Ge. dei Se.En. S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ca. Ma.o, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 9491/2018, concernente opposizione a decreto ingiuntivo
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società Ge. dei Se.En. S.p.A.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 aprile 2022 il Cons. Carla Ciuffetti, uditi per le parti gli avvocati An. Li. e Cl. Ca., in sostituzione dell’avvocato Ca. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

Incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili e giurisdizione

FATTO e DIRITTO

1. La controversia in esame muove dall’atto di cessione, da parte della società It. Pe. s.p.a nei confronti dell’odierna appellante, dei crediti derivanti dalla convenzione conclusa in data 31 gennaio 2012 con il GS., concernente gli incentivi riconosciuti ex art. 16 d.m. 18 dicembre 2008 (c.d. tariffa fissa omnicomprensiva) per un impianto termoelettrico alimentato a biomasse qualificato impianto alimentato da fonti rinnovabili, esercitato dalla stessa società It. Pe.. L’atto di cessione era stato comunicato alla società ceduta in data in data 14 giugno 2013.
A seguito di verifica effettuata sul suddetto impianto, il GS. ne aveva ravvisato una configurazione differente da quella che aveva costituito il presupposto del riconoscimento della qualifica IAFR 5087.
Perciò, con atto in data 3 settembre 2015 prot. n. 71641, rimasto inoppugnato, il GS. aveva comunicato alla società cedente, tra l’altro, che la quota di energia incentivata sarebbe stata ridotta del 4,7% e che il titolare dell’impianto era “tenuto a restituire al GS. quanto indebitamente ricevuto in forza della convenzione”. Tale atto era indirizzato solo alla società It. Pe., che era stata dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Milano 15 giugno 2015, n. 538.
Con atto in data 16 novembre 2015, indirizzato alla società cessionaria e al curatore fallimentare, il GS. aveva comunicato il dettaglio degli importi da restituire, concludendo che “il Titolare dell’impianto dovrà provvedere all’emissione dei documenti contabili presenti sul portale e il cessionario (…) dovrà effettuare un bonifico di pari importo” in favore dello stesso GS..
Tale richiesta veniva contestata dall’odierno appellante con nota in data 24 febbraio 2016 con la quale venivano chiesti chiarimenti in merito al fondamento della pretesa. Nella nota di risposta in data 25 marzo 2016, il GS., oltre a fornire detti chiarimenti, sollecitava il cessionario ad effettuare il pagamento della somma richiesta entro 15 giorni dal ricevimento della stessa nota.
Rimasto inadempiuto tale sollecito, il GS. aveva proposto ricorso per decreto ingiuntivo, a seguito del quale veniva emesso dal Presidente della sezione Terza ter del Tar del Lazio il decreto 15 gennaio 2018 n. 167. Con tale decreto veniva ingiunto al cessionario di pagare al GS. la somma complessiva di euro 1.884.062,75, oltre interessi legali dalla data della domanda e spese e compensi di difesa, liquidati in euro 3.000,00, oltre accessori di legge.
Il ricorso in opposizione al decreto ingiuntivo presentato dall’odierna appellante veniva quindi respinto dal Tar con la sentenza in epigrafe, ritenendo infondati i motivi proposti in merito: preliminarmente, al difetto di giurisdizione del g.a., per insussistenza della giurisdizione esclusiva ai sensi del combinato disposto degli artt. 118 e 133 c.p.a.; preliminarmente, alla mancanza del presupposto della prova scritta del credito per l’emissione del decreto ingiuntivo; in via principale, al difetto di legittimazione passiva del ricorrente rispetto alla pretesa restitutoria del G.S.E.; in subordine, alla mancata allegazione delle prove a sostegno del quantum debeatur; in ulteriore subordine, all’insussistenza di un obbligo restitutorio rispetto ad importi riferibili a periodo precedente la stipula dell’atto di cessione.
2. L’appello in esame è affidato ai seguenti motivi di gravame:
a) in via preliminare, “error in iudicando in relazione al primo motivo di ricorso. insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi del combinato disposto degli artt. 118 e 133 c.p.a.. difetto di motivazione”;
b) in via preliminare, “error in iudicando in relazione al secondo motivo di opposizione. violazione e falsa applicazione degli artt. 633, 634 e 635 cod. proc. civ.; errore di fatto per assenza di prova scritta e liquidità del credito; carenza dei presupposti per l’emissione del decreto: erroneo accertamento dei fatti”;
c) “error in iudicando in relazione alla prima parte del terzo motivo di opposizione; erronea identificazione delle questioni; insufficienza e contraddittorietà della motivazione; travisamento dei fatti e delle risultanze istruttorie e documentali”;
d) “error in iudicando in relazione alla seconda parte del terzo motivo di opposizione vertente sul difetto di legittimazione passiva di In. Sa. rispetto alla pretesa restitutoria del g.s.e. e sua infondatezza; erronea qualificazione dell’atto di cessione del credito in garanzia. violazione del principio “in claris non fit interpretatio” e degli artt. 1362 e 1363 c.c.. travisamento dei fatti e delle risultanze documentali. motivazione carente, inadeguata e contraddittoria. illogicità manifesta”.
e) “erroneità ed ingiustizia manifesta della sentenza in relazione al quarto motivo di opposizione, relativo alla mancata dimostrazione delle modalità di quantificazione delle somme azionate dal g.s.e. in via monitoria; error in procedendo e in iudicando per violazione degli artt. 63 e 64 c.p.a. in relazione all’art. 2697 c.c.; violazione dell’art. 112 c.p.c. e del divieto di non liquet. difetto di istruttoria. grave errore di fatto; carenza di motivazione. illogicità “.
f) “error in iudicando in relazione al quinto motivo di opposizione relativo alla non debenza di quegli importi richiesti dal g.s.e. che si riferiscono a incentivi erogati a favore di It. Pe. prima della stipula dell’atto di cessione dei crediti in garanzia; erroneità ed illogicità della sentenza; difetto di istruttoria; insussistenza di presupposti”.
3. Il GS. si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello.
4. La causa, chiamata all’udienza del 19 aprile 2022, è stata trattenuta in decisione.
5. Con il primo motivo del gravame, l’appellante deduce l’erroneità del convincimento del Tar in merito alla sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma 1, lett. o), c.p.a., in quanto rientranti le controversie aventi ad oggetto l’erogazione degli incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili nella materia della “produzione di energia”.
5.1. A sostegno di tale convincimento, si nota che il Tar ha richiamato l’ordinanza Cass., S.U., n. 14653/2017, che ha dichiarato la giurisdizione del giudice amministrativo in un caso di pretesa restitutoria del GS. azionata nei confronti di un istituto di credito cessionario di incentivi concessi per produzione di energia da fonti rinnovabili. Tale pronuncia, secondo il Tar, conferma che, una volta attivato il rapporto pubblicistico di concessione degli incentivi, “le conseguenti pretese patrimoniali, anche quelle meramente restitutorie, partecipano della natura pubblicistica di quel rapporto (nel quale, beninteso, il GS. esercita il potere pubblico di determinazione delle tariffe, con ciò rimuovendosi ogni sospetto di possibile contrasto con i principi costituzionali in tema di riparto della giurisdizione per le ragioni indicate dalla sent. n. 204 del 2004 della Corte costituzionale: cfr., sul punto, Cassaz., sez. un., n. 10409 del 2017) e devono, pertanto, considerarsi comprese nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. o), cod. proc. amm.”.
In proposito va notato che la citata pronuncia della Suprema Corte riguarda fattispecie in cui il GS. aveva comunicato all’istituto di credito, cessionario dei crediti di società produttrice di energia da fonti rinnovabili, la decadenza dal diritto alla tariffa incentivante unitamente alla richiesta di restituzione delle somme percepite. L’ordinanza della Suprema Corte specifica infatti che la controversia concerne “la dichiarata decadenza dal diritto e la conseguenziale richiesta di restituzione dei contributi percetti” e, perciò, “attiene ad un provvedimento riguardante l’incentivazione della produzione di energia elettrica dalla fonte solare: concerne, quindi, la “produzione di energia”, essendo la previsione di contributi tariffari un efficace strumento di indirizzo della produzione energetica nazionale (Cass., Sez. U., 27 aprile 2017, nn. 10409, 10410 e 10411; Cass., Sez. U., 4 maggio 2017, n. 10795)”.
Dunque, a differenza della controversia in esame, nella fattispecie cui si riferisce la suddetta ordinanza la pretesa del GS. era immediatamente connessa al provvedimento di decadenza dalla tariffa incentivante, comunicato allo stesso istituto bancario cessionario, che veniva così posto nella condizione di agire in giudizio a difesa delle proprie ragioni. Tanto che la S.C. ha chiarito che il credito del GS. non poteva “essere considerato al di fuori del rapporto da cui trae origine”, poiché non era “ipotizzabile un differente atteggiarsi del provvedimento di decadenza, e della giurisdizione che su di esso si innesta, a seconda dei destinatari dei suoi effetti giuridici”.
Tale dirimente elemento non sussiste nella fattispecie, in cui l’istituto cessionario non è stato destinatario di alcuna comunicazione di decadenza del provvedimento incentivante, né ad esso era stata indirizzata la nota in data 3 settembre 2015. Circostanza, quest’ultima, cui si connettono le censure svolte dall’appellante stesso avverso il convincimento del Tar in merito al superamento della questione della legittimazione del cessionario ad impugnare il suddetto atto, ormai definitivo. Secondo l’appellante tale inoppugnabilità avrebbe potuto riguardare solo l’accertamento della violazione della configurazione dell’impianto e la conseguente riduzione della quota di energia incentivata, ma non l’ammontare della pretesa restitutoria. Detta inoppugnabilità non avrebbe potuto essere opposta all’appellante, perché : l’oggetto del contendere non sarebbe stata la verifica effettuata dal G.S.E., ma la qualità dell’appellante di soggetto passivo dell’obbligazione restitutoria; qualità da escludere data la funzione dell’atto di cessione di garanzia del finanziamento bancario concesso alla società It. Pe., dal quale non sarebbe potuto derivare alcun effetto traslativo dei crediti maturati dalla società cedente all’istituto cessionario.
Un ulteriore elemento che assume valore dirimente ad avviso del Collegio è costituito dalla circostanza che nella controversia assume un ruolo centrale la natura e la funzione della cessione che la società cedente e la società cessionaria avevano inteso concludere.
Considerato che tale atto, nella premessa di cui alla lett. d), rappresentava che la cessione stessa era disposta a garanzia del finanziamento bancario concesso dalla società cessionaria alla società cedente e che l’art. 4 prevedeva (anche) che i pagamenti da parte del GS. fossero effettuati sul conto corrente bancario intestato alla società cedente, l’appellante ha sottolineato la natura derogatoria di tale previsione rispetto al modello di atto di cessione predisposto dal GS., a conferma della funzione di garanzia del finanziamento bancario che il cedente e il cessionario intendevano attribuire alla stessa cessione.
In proposito si nota che è rimasto incontestato che: detti pagamenti fossero stati sempre effettuati sul suddetto conto corrente, restando nella disponibilità della società cedente; il cessionario non avesse ricevuto alcuna somma a tale titolo, né attivato la garanzia cui era preordinato l’atto di cessione. Rileva inoltre l’appellante che la circostanza che “una parte delle somme versate sul conto corrente intestato ad It. Pe. sia stata utilizzata per rimborsare ad In. Sa. le rate del Contratto di finanziamento non dimostra l’effetto traslativo, ma semmai lo esclude”.
5.2. Quanto sopra esposto porta a ritenere che, nella fattispecie, la pretesa del GS. di cui alla nota 11 novembre 2015 nella parte in cui era indirizzata all’appellante fosse rivolta a soggetto estraneo al rapporto pubblicistico di concessione della tariffa incentivante derivante dalla convenzione e fosse effettuata solo in forza dell’atto di cessione, con la conseguenza che, nei confronti della società cessionaria, non veniva in rilievo l’esercizio di alcun potere pubblicistico nell’ambito di procedure o provvedimenti riconducibili alla materia di cui all’art. 133, co.1, lett. o), c.p.a..
Sfugge alla richiesta avanzata dal GS. con la suddetta nota in data 16 novembre 2015 un’implicazione della convenzione conclusa con la società cessionaria tale da poter essere considerata dirimente ai fini del perimetro della giurisdizione del giudice amministrativo; non a caso l’appellante rappresenta la mancanza in tale nota di profili indicativi dell’esercizio di poteri autoritativi e sottolinea che essa “nell’oggetto si auto-qualifica espressamente come ‘seguiti commercialà “. Ciò, a differenza di quanto emerge dal contenuto della nota in data 3 settembre 2015, che lo stesso GS. non aveva ritenuto di indirizzare al cessionario, sebbene l’atto di cessione gli fosse stato già a suo tempo notificato. Sicché la pretesa del GS. risulta basata su un atto di cessione di crediti su cui si innesta un rapporto trilaterale privo di nessi sostanziali con l’atto da cui i crediti originano, estraneo all’esercizio di poteri pubblicistici e, quindi, alla giurisdizione del giudice amministrativo.
A ben vedere, la fattispecie presenta aspetti che, pur nella diversità della controversia e delle pretese delle parti, consentono di richiamare l’indirizzo di questo Consiglio per cui “in materia di incentivi per la produzione di energia da fonti rinnovabili appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario e non al giudice amministrativo la controversia tra il gestore del servizio energetico e il soggetto privato produttore di energia, qualora la materia del contendere non riguardi le tariffe, il criterio di loro quantificazione o la concessione degli incentivi, ma soltanto l’inadempimento contrattuale riguardante il corrispettivo, meramente privatistico, dovuto sulla base della convenzione conclusa ovvero la condanna del gestore al pagamento dei crediti maturati dal titolare dell’impianto fotovoltaico” (Cons. stato, sez. IV, 20 agosto 2021, n. 5961).
5.3. Occorre inoltre notare che la nota del GS. 3 settembre 2015 – che disponeva la riduzione della quota di energia incentivata dal 1 gennaio 2012 alla stessa data del 3 settembre 2015 – era indirizzata alla società It. Pe. che, tuttavia, a quella data era già stata dichiarata fallita. Circostanza che, in punto di giurisdizione, non può essere considerata irrilevante, data l’applicazione della disciplina del fallimento, sotto il profilo dei rapporti tra i soggetti nei cui confronti l’atto di cessione produce i suoi effetti.
6. Pertanto, il primo motivo dell’appello in esame deve essere accolto, con assorbimento di ogni altra censura, e, per l’effetto, deve essa essere dichiarato il difetto della giurisdizione del giudice amministrativo, non essendo riconducibile la controversia in esame a quanto previsto dagli artt. 118 e 133, comma 1, lett. o).
Attese le circostanze esaminate, deve disporsi la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo e annulla il decreto ingiuntivo indicato in motivazione.
Spese del doppio grado di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2022 con l’intervento dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Italo Volpe – Consigliere
Francesco Frigida – Consigliere
Carla Ciuffetti – Consigliere, Estensore
Carmelina Addesso – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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