In sede di appello nuovi motivi di ricorso

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 10 gennaio 2020, n. 245

La massima estrapolata:

Nel processo amministrativo non possono essere proposti in sede di appello nuovi motivi di ricorso; pertanto, non sono ammissibili nuove censure contro gli atti già impugnati, se era possibile proporle sin dal primo grado di giudizio, in quanto la novità dei motivi equivale ad una domanda nuova.

Sentenza 10 gennaio 2020, n. 245

Data udienza 12 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7330 del 2018, proposto da
Lu. Da. e Te. Ch., rappresentati e difesi dagli avvocati Vi. Ne. e Va. Zi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Va. Zi. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Lu. Sc., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Sa. S.r.l., rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Al. Na. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria n. 452/2018.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di Sa. S.r.l.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 dicembre 2019 il Cons. Giordano Lamberti e uditi per le parti gli avvocati Lu. Sc., per sé e in sostituzione dell’avv. Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1 – In data 12 dicembre 1994, il Comune di (omissis) ha rilasciato a Lu. Da. la concessione edilizia n. 1707, autorizzandolo ad edificare un capannone in località (omissis).
2 – In base alla relazione di sopralluogo dei tecnici comunali del 10 aprile 2000, è emerso che l’opera è stata realizzata in difformità rispetto al titolo, siccome posizionata in modo difforme dal progetto approvato, con significative variazioni delle distanze, oltre ad essere costruita completamente fuori terra su tre lati e parzialmente sul quarto (secondo il progetto originariamente assentito, avrebbe dovuto essere interamente seminterrata con esclusione del solo lato prospiciente la strada statale).
Per tale ragione, con le ordinanze n. 23 del 23 giugno 2000 e n. 27 del 7 agosto 2000, il Comune ha disposto dapprima la sospensione dei lavori, quindi la demolizione delle opere.
3 – In data 29 dicembre 2000, l’appellante ha chiesto, ai sensi dell’art. 13 della l. 28 febbraio 1985 n. 47, la sanatoria dell’immobile costruito in difformità dalla concessione edilizia, accolta con l’atto di concessione edilizia in sanatoria n. 1989 dell’11 marzo 2002.
Tale provvedimento, a seguito dell’impugnazione proposta da Sa. S.r.l. (proprietaria di un immobile confinante), è stato annullato con la sentenza n. 1787 del 4 luglio 2002 del T.A.R. per la Calabria (l’appello avverso tale decisione è andato perento).
Successivamente, il comune di (omissis) ha rilasciato all’appellante un’ulteriore concessione edilizia in sanatoria (n. 2075 del 5 maggio 2003), anch’essa annullata dal T.A.R. con la sentenza del 31 luglio 2007, n. 1096, confermata, a seguito dell’appello, dalla sentenza n. 7685 del 2019 di questo Consiglio.
4 – In data 13 luglio 2004, in pendenza del secondo dei giudizi innanzi citati, l’appellante ha proposto anche domanda di condono edilizio, ai sensi dell’art. 32 del d. l. 30 agosto 2003 n. 269.
Il comune di (omissis) ha respinto la domanda con il provvedimento del 25 gennaio 2010, impugnato dall’appellante avanti il T.A.R. per la Calabria con il ricorso iscritto al n. 243 del 2010.
5 – Il Comune, in data 18 giugno 2012, ha adottato l’ordinanza n. 25 di demolizione del manufatto. Il provvedimento è stato impugnato con il ricorso n. 1047 del 2012.
6 – Il T.A.R. per la Calabria, previa riunione dei due ricorsi, li ha rigettati con la sentenza n. 452 del 2018.
7 – Con l’appello avverso tale sentenza si deduce la violazione e mancata applicazione dell’art. 32 comma 25 della l. 326/03; nonché la mancata e insufficiente motivazione su più motivi di ricorso (difformità parziale e difetto di istruttoria).
In particolare, si critica il passaggio della sentenza di primo grado in cui si afferma che “indipendentemente dalla sua distanza dal reale confine con la proprietà limitrofa, è pacifico che l’immobile si erga in posizione diversa da quella originariamente prevista con un conseguente notevole aumento della volumetria occupata che ammonta ad oggi a 3.456,90 mc”.
Secondo l’appellante, il giudice di primo grado avrebbe errato nel considerare la volumetria di mc 3.456,90 quale parametro a cui far riferimento per l’applicazione della legge sul condono e, soprattutto, come conseguenza di un diverso posizionamento del fabbricato.
Più precisamente, rileva che il dato sulla volumetria, assunto a fondamento del ragionamento del T.A.R., è stato ricavato dal provvedimento del comune di (omissis) di diniego di concessione edilizia in sanatoria; ma tale dato è stato contestato dal ricorrente, non è mai stato verificato in contraddittorio e, per di più, sarebbe errato perché calcolato in modo inesatto.
L’appellante rileva inoltre che, all’epoca del sopralluogo del 10 aprile 2000, il fabbricato era ancora in corso di costruzione ed il Comune aveva emesso ordinanza di sospensione dei lavori, sicché se avesse potuto terminare l’intervento edificatorio l’edificio sarebbe stato interrato sui tre lati e la volumetria sarebbe stata conforme alla concessione rilasciata.
8 – La censura è infondata per le ragioni di seguito esposte.
Come noto, la volontà del legislatore del 2003 è stata quella di limitare la possibilità di condono solo a quelle opere edilizie rispettose dei limiti volumetrici indicati nel comma 25 dell’art 32, per il quale è ammesso il condono per le nuove costruzioni solo se si tratti di nuove costruzioni residenziali non superiori a 750 metri cubi per singola richiesta di titolo abilitativo edilizio in sanatoria e a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3000 metri cubi.
Nel provvedimento di diniego impugnato si legge che: “la richiesta avanzata dal sig. Da. Lu. prevede il condono di un edificio composto da una singola unità immobiliare per come attestato dalla richiamata dichiarazione di accatastamento presentata all’Agenzia del Territorio in data 20.06.2000 (prot 2834) avente una consistenza volumetrica di mc 3.456,90 mentre la normativa di riferimento consente l’accoglimento del condono solo a condizione che la nuova costruzione non superi complessivamente i 3000 mc”.
Tale dato relativo alla volumetria si pone in radicale contrasto con la tesi perorata con l’appello, secondo cui l’immobile non eccederebbe il limite volumetrico previsto dalla legge.
Dal punto di vista probatorio, deve osservarsi che il dato è stato ricavato dal Comune dalle stesse dichiarazioni dell’appellante, e precisamente dalla dichiarazione di accatastamento presentata all’Agenzia del Territorio di Catanzaro in data 20.06.2000 n. 2834 (richiamata nella motivazione del provvedimento di diniego).
9 – Sul piano processuale, deve rilevarsi come la contestazione relativa alla volumetria, sulla quale è incentrato l’appello, non sia neppure precisamente individuabile tra le censure proposte con il ricorso di primo grado, dove a fondamento dell’azione di annullamento il ricorrente aveva dedotto i seguenti motivi:
I) Inammissibilità del diniego intervenuto, in quanto il condono dovrebbe ritenersi tacitamente assentito per il decorso del termine di cui all’art. 35 l. n. 47 del 1985, all’art. 39 l. 23 dicembre 1994, 724, e all’art. 32 l. 30 agosto 2003, n. 269;
II) Illegittimità del provvedimento di diniego, pronunciato in assenza dei presupposti di legge in quanto l’opera non sarebbe totalmente difforme dal titolo abilitativo, ma solo parzialmente.
Non solo, lo stesso appellante nel ricorso di primo grado sembra ammettere l’eccesso di volumetria, poi contestato in appello, dove (a pag. 8) sostiene che sarebbe possibile il condono di: “…costruzioni a carattere non residenziale, come nella specie, seppure di superficie superiore a mq. 3000”.
9.1 – Tenuto conto delle considerazione che precedono, deve concludersi che l’appello introduce per la prima volta una censura al provvedimento impugnato, mai avanzata durante il giudizio di primo grado, in violazione dell’art. 104 c.p.a.
Come noto, non possono essere proposti in sede di appello nuovi motivi di ricorso (cfr. Cons. St., ad. plen., 19 dicembre 1983, n. 26; Cons. St., ad. plen., 19 dicembre 1972, n. 8). Pertanto, non sono ammissibili nuove censure contro gli atti già impugnati, se era possibile proporle sin dal primo grado di giudizio, in quanto la novità dei motivi equivale ad una domanda nuova (cfr. Cons. St., Sez. IV, 16 giugno 2008, n. 2977); né può trovare ingresso nel presente giudizio la perizia giurata volta a sostenere le ragioni dell’appellante per il medesimo divieto imposto dall’art. 104 c.p.a. (Cons. Stato, III, 19.06.2018 n. 3742; IV, 03.07.2018 n. 4050).
10 – Alla luce delle considerazioni che precedono risulta del tutto condivisibile la valutazione del giudice di primo grado che ha ritenuto del tutto irrilevante la problematica dei confini tra le proprietà degli appellanti e della società confinante, posto che l’eccesso di volumetria dell’immobile, rispetto al limite condonabile, costituisce di per sé una ragione ostativa al rilascio della sanatoria, assorbendo ogni altra questione.
In ogni caso, la relazione dei tecnici comunali e la stessa domanda di condono presentata dall’appellante rappresentano la realizzazione di un’opera totalmente diversa rispetto a quella assentita con il titolo abilitativo per tipologia e dimensioni del manufatto, smentendo la prospettata mera parziale difformità dell’opera rispetto al titolo.
10.1 – Quanto alla questione sulle distanze, è invece intervenuta la recente sentenza di questo Consiglio n. 7685 del 2019, che ha respinto l’appello proposto dai signori Da., ritenendo che il T.A.R. abbia correttamente affermato che la misura della distanza tra i due edifici (edificio Da./edificio Sa. S.r.l.) debba essere misurata comprendendo anche i pilastri dell’edificio Da., che non hanno carattere accessorio e ornamentale.
11 – In definitiva, l’appello non deve trovare accoglimento.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta respinge l’appello e condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite che liquida in Euro1.500 in favore di ciascuna parte appellata, oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 12 dicembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Paolo Carpentieri – Consigliere
Giordano Lamberti – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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