Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 13 maggio 2016, n. 1946.

In presenza di un vincolo, attestato dal rilascio di un parere della Soprintendenza, parere che è presupposto per il rilascio di un permesso di costruire, diventano irrilevanti le percentuali degli aumenti di volume, che, ai soli fini edilizi, potrebbero rientrare nelle tipologie di cui all’art. 32 del T.U. dell’edilizia. Se la difformità, per l’esistenza del vincolo, non può essere sanata, diventa infatti inapplicabile alla fattispecie l’articolo 34, comma 2, del T.U. dell’edilizia, che disciplina l’applicazione di una sanzione pecuniaria quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.

Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 13 maggio 2016, n. 1946

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7877 del 2013, proposto da:

Ma. Ci., ed altri, rappresentati e difesi dall’avv. Ma. Cu., con domicilio eletto presso Maria Ch. Mo. in Roma, via (…);

contro

Comune di (omissis), non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione staccata di Latina, n. 704/2013, resa tra le parti, concernente demolizione opere edilizie e ripristino dello stato dei luoghi.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza del giorno 17 marzo 2015 il consigliere Andrea Pannone e uditi per i ricorrenti l’avvocato Cu.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il responsabile dell’Ufficio tecnico del Comune di (omissis) (LT) emetteva, in data 25 luglio 2012, ordinanza di abbattimento e ripristino dello stato dei luoghi n. 77 (prot. gen. n. 10612), che veniva notificata agli odierni ricorrenti (nonché ai signori Ni. Si., Te. Ma. e Fr. Pa. Me., condomini) in data 27 agosto 2012.

Detta ordinanza faceva espresso rinvio ai contenuti dei verbali di sopralluogo prot. n. 02 / UTC del 27.01.2011 e n° 05/ UTC dell’11.02.2011, dai quali si evincerebbe che i ricorrenti avrebbero posto in essere talune opere edili, su fabbricato di loro proprietà in località (omissis) (distinto in catasto al fg. (omissis) part. (omissis)) in difformità al permesso di costruire prot. n. 3242 del 16.01.2004.

Più in particolare, gli odierni instanti avrebbero eseguito:

“…aumento volumetrico avvenuto tramite l’innalzamento e la modifica delle falde di copertura, di circa cm 0,50 sul versante posteriore e di circa m 1.00 sul versante prospiciente c.so (omissis)dio, quantificabile indicativamente in circa 48 mq”;

“modifiche prospettiche su tutte le facciate, relativamente a finestre, terrazzi, andamento della copertura e realizzazione di una scala di collegamento tra i piani 2° e 3°”.

2. I ricorrenti, odierni appellanti, impugnavano innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio la predetta ordinanza.

2. La sentenza qui impugnata ha rigettato il ricorso.

3. Con il ricorso in appello vengono dedotti i seguenti motivi così epigrafati:

a) violazione dell’articolo 88 del d.lgs. 104/2010, per mancanza e/o contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, nonché dell’art. 64 del d.lgs. 104/2010;

b) violazione di legge e difetto di motivazione in relazione al disciplinare di cui all’art. 34 d.P.R. 380/2001 nonché all’art.88 d.lgs. 104/2010;

c) violazione di legge in relazione agli artt. 31 e 32 DPR 380/2001 nonché all’art. 42 d.lgs. 42/04 e succ. modd.; violazione dell’art. 88 C.P.A. per difetto di motivazione della sentenza;

d) violazione di legge in relazione all’art. 34 T.U. edilizia e (ulteriore) difetto di motivazione della sentenza gravata.

4. Il provvedimento del Comune di (omissis) disponeva la demolizione delle opere in esso indicate perché realizzate in difformità al permesso di costruire n. 3242 del 16.11.2004 e al parere della Soprintendenza per i beni e le attività culturali, rilasciato in data 11.06.2004, n. 17827/B.

5. Come riconosciuto dai medesimi ricorrenti le difformità non consistevano solo nell’aumento di volumi, ma anche nelle “modifiche prospettiche su tutte le facciate, relativamente a finestre, terrazzi, andamento della copertura e realizzazione di una scala di collegamento tra i piani 2° e 3°”.

6. La sentenza impugnata ha osservato “che l’ordine di demolizione si configura normalmente come atto dovuto per l’Amministrazione comunale tenuto, da un lato, conto della circostanza che gli immobili ricadenti in ambito vincolato – come il fabbricato dei ricorrenti ubicato nel centro storico di (omissis) – non sono suscettibili di essere condonati; e, dall’altro, della divergenza tra quanto realizzato dai ricorrenti e quanto indicato nel parere rilasciato dalla Soprintendenza l’11.06.2004.

Sotto altro profilo il provvedimento oggetto di gravame appare adeguatamente motivato, là dove richiama il visto parere rilasciato dall’organo tutorio in data 11 giugno 2004, protocollo 17827/B”.

7. La sentenza impugnata ha escluso quindi la condonabilità dell’abuso perché l’immobile era ricadente in ambito vincolato, omettendo, quindi l’esame delle singole censure, che attenevano esclusivamente a profili edilizi.

8. Deve quindi essere esaminato con priorità logica il terzo motivo d’appello con il quale gli interessati deducono la violazione di legge in relazione agli artt. 31 e 32 d.P.R. 380/2001 nonché all’art. 42 d.lgs. 42/2004; violazione dell’art. 88 C.P.A. per difetto di motivazione della sentenza.

Essi sostengono che “il Comune di (omissis), nel provvedimento poi rettificato con il provvedimento impugnato in primo grado, ossia l’ordinanza del 25 luglio 2012, n. 77, richiamava un vincolo ex art. 142 d.lgs. 42/2004 (T.U. sui beni culturali e ambientali): la citazione della norma è stata espunta nell’ordinanza poi impugnata.

Invero, l’art. 142 dlgs 42/2004 non è applicabile al caso che ci occupa, posto che il sito su cui insiste lo stabile dei ricorrenti non rientra nella casistica ivi elencata.

Né è sufficiente affermare, del tutto apoditticamente e senza riscontro documentale alcuno, che “il fabbricato dei ricorrenti è ubicato nel centro storico di (omissis)” (sentenza appellata, pag. 2).

È, invero, sufficiente osservare che nel provvedimento amministrativo gravato non si fa il benché minimo cenno all’ubicazione dello stabile, né alla sussistenza, nella fattispecie concreta, di un (ipotetico) vincolo storico”.

La censura non può essere condivisa.

Va preliminarmente osservato che gli appellanti sostengono che non v’è prova della sussistenza del vincolo; non sostengono, al contrario, che, nonostante un vincolo, era ammissibile la realizzazione contestata.

Nel provvedimento impugnato si indica, al contrario di quanto deducono gli appellanti, l’ubicazione dell’immobile che è “prospiciente corso (omissis)dio”.

Consultando su Internet la mappa del Comune di (omissis) si apprende che il corso (omissis)dio è una delle arterie principali del centro storico della città. D’altro canto, poi, deve ragionevolmente ritenersi che i destinatari del provvedimento conoscano l’ubicazione dell’immobile su cui si controverte.

Gli appellanti, poi, non contestano la sussistenza del parere della Soprintendenza dell’11 giugno 2004, dal quale, per logica deduzione, si ricava la sussistenza del vincolo.

In presenza di un vincolo, attestato dal rilascio di un parere della Soprintendenza, parere che è presupposto per il rilascio di un permesso di costruire, diventano irrilevanti le percentuali degli aumenti di volume, che, ai soli fini edilizi, potrebbero rientrare nelle tipologie di cui all’art. 32 del T.U. dell’edilizia.

Se la difformità, per l’esistenza del vincolo, non può essere sanata, diventa inapplicabile alla fattispecie l’articolo 34, comma 2, del T.U. dell’edilizia che disciplina l’applicazione di una sanzione pecuniaria quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità.

8. Le altre censure possono essere esaminate unitariamente perché con esse, sotto diverse prospettazioni, si tende a sminuire la rilevanza dell’incremento volumetrico, fino al punto di negarne l’esistenza (in particolare con il quarto motivo laddove si afferma che esso si attesta sotto il 2% con la conseguenza che non vi sarebbe nemmeno una parziale difformità rispetto al titolo concessorio).

Anche questi motivi non possono trovare accoglimento alla luce delle osservazioni svolte nell’esaminare il terzo motivo, dovendosi sottolineare che la difformità era stata riscontrata non solo nell’aumento volumetrico, ma anche nelle modifiche prospettiche di tutte le facciate, che costituiva ragione autonoma e sufficiente per adottare l’ordinanza.

10. Il ricorso in appello non può quindi trovare accoglimento.

11. La mancata costituzione dell’amministrazione evocata in giudizio esime il giudice dal pronunciarsi sulle spese.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 marzo 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Claudio Contessa – Consigliere

Gabriella De Michele – Consigliere

Roberta Vigotti – Consigliere

Andrea Pannone – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 13 maggio 2016.

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