Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 19 marzo 2020, n. 1962.
La massima estrapolata:
In merito alla visibilità dei tatuaggi posseduti dagli aspiranti partecipanti alle procedure concorsuali per le forze dell’ordine ai fini della valutazione della correttezza dell’accertamento tecnico effettuato dall’amministrazione, deve necessariamente tenersi conto che: a) la visibilità del tatuaggio, proprio in quanto rilevante ex se, deve presentare una certa evidenza, ovvero determinare l’impossibilità del tatuaggio di essere coperto indossando la divisa; b) il giudizio di esclusione va espresso a seguito di adeguata istruttoria e deve essere congruamente motivato in ordine alla “visibilità ” del tatuaggio: la motivazione deve riguardare non solo l’ubicazione del tatuaggio, in termini pertanto di potenziale individuabilità, ma anche la sua effettiva consistenza.
Sentenza 19 marzo 2020, n. 1962
Data udienza 27 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4948 del 2019, proposto dal Ministero della Difesa – Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri – Centro Nazionale Selezione Reclutamento, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via (…);
contro
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato To. De Fu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di -OMISSIS-;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2020 il Cons. Roberto Proietti e udito per l’appellata l’avvocato To. De Fu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. -OMISSIS-, con provvedimento dell’Ufficio Sanitario n. 351514/2-12 di prot. emesso in data 23/10/2018, è stata giudicata inidonea al concorso per il reclutamento di 2000 carabinieri effettivi, in quanto la Commissione valutatrice ha riscontrato la presenza di disegni tatuati sulla -OMISSIS-, rappresentanti un -OMISSIS- di dimensioni 14×16 cm, in corrispondenza della superficie -OMISSIS-, pertanto visibili con l’uniforme (ai sensi dell’art. 10 comma 7 del bando di concorso, secondo cui “(…) La Commissione giudicherà altresì inidoneo il candidato che presenti tatuaggi: a) visibili con ogni tipo di uniforme, compresa quella ginnica (pantaloncini e maglietta) (…)”).
Avverso detto provvedimento l’interessata ha presentato ricorso dinanzi al TAR per il Lazio, deducendo i vizi di difetto di istruttoria e travisamento del fatto, nonché carenza di motivazione del provvedimento impugnato.
In particolare, è stato contestato che la Commissione medica per l’Accertamento dei requisiti psicofisici, non avrebbe potuto escludere la concorrente se solo avesse espletato un accertamento adeguato, posto che il tatuaggio era già in fase di rimozione con tecnica laser e risultava praticamente non visibile con indosso le calze in dotazione con la divisa.
Con motivi aggiunti, la ricorrente ha impugnato anche il decreto n. 61/11-4-1 del 1.12.2018 di approvazione della graduatoria finale di merito.
Il giudice di primo grado, con ordinanza n. -OMISSIS-, ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i candidati inseriti nella graduatoria finale e ha accolto l’istanza cautelare della ricorrente, e, con sentenza in forma semplificata n. -OMISSIS-, ha accolto il ricorso annullando i provvedimenti impugnati.
2. Avverso tale sentenza, il Ministero della Difesa ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, evidenziando che: l’eventuale rimovibilità del tatuaggio non dovrebbe assumere particolare rilievo, posto che l’esito della prova concorsuale deriva dalla documentata constatazione delle condizioni del candidato nel momento storico in cui avviene l’accertamento, anche al fine di non violare la par condicio tra i concorrenti ed il principio del tempus regit actum; al momento dell’accertamento concorsuale, la Commissione ha descritto dettagliatamente la figura raffigurante un -OMISSIS-, nonché le sue dimensioni e, pertanto, sarebbe da considerare errata la sentenza impugnata nella parte in cui si legge che la candidata presentava solo “esiti cicatrizzanti”, stante l’irripetibilità del giudizio medico – legale, documentato da atti fidefacienti.
L’appellata si è costituita nel giudizio di secondo grado, ha eccepito l’inammissibilità delle eccezioni e dei documenti prodotti dal Ministero della Difesa (essendosi l’Amministrazione costituita solo formalmente nel giudizio di primo grado ed essendo, quindi, decaduta dalla facoltà di proporre eccezioni e dal depositare documenti nuovi rispetto a quelli prodotti in primo grado, consistenti nella relazione tecnica del 20/12/2018, nel provvedimento impugnato e nei rilievi fotografici), e ha chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza del giudice di primo grado.
Con ordinanza n. -OMISSIS-, è stata accolta la domanda di sospensione cautelare avanzata dall’Amministrazione.
All’udienza del 27 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta per la decisione.
3. Il Collegio, preliminarmente, respinge l’eccezione con la quale l’appellata ha affermato l’inammissibilità delle censure e dei documenti prodotti dall’Amministrazione appellante.
Al riguardo, va considerato che il fatto che quest’ultima si sia costituita solo formalmente nel giudizio di primo grado non le preclude di impugnare la sentenza di accoglimento del ricorso, proponendo le proprie deduzioni.
Per quanto concerne l’asserito mancato deposito in primo grado del documento comprovante la visibilità del tatuaggio al momento della visita di accertamento dei requisiti psico-fisici, il Collegio osserva che l’Amministrazione ha opportunamente depositato, già nell’ambito del giudizio di primo grado, la documentazione determinante ai fini della decisione dell’appello (come si vedrà infra), costituita dalle fotografie da cui si evince la situazione di fatto al momento della visita della Commissione (cfr. Allegato 003 depositato dal Ministero della Difesa nel fascicolo di primo grado – contenente la medesima fotografia inserita nel Verbale di visita medica generale del 23.10.2018 prot. n. 351514/2-3 – Allegato B del Ministero della Difesa nel fascicolo d’appello).
Peraltro, il Collegio evidenzia che, ai sensi di quanto disposto dall’art. 104, c.p.a., e di quanto, in generale, previsto dall’art. 345 c.p.c., nel giudizio amministrativo di appello non sono ammessi nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che il Collegio giudicante li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.
Il principio del divieto di ammissione di nuovi mezzi di prova riguarda anche le prove c.d. precostituite, quali i documenti, la cui produzione è subordinata (alla pari delle prove costituende) alla verifica della sussistenza di una causa non imputabile, che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado, ovvero alla valutazione della loro indispensabilità, la quale peraltro non va intesa come mera rilevanza dei fatti dedotti, ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale.
Nel caso di specie, la documentazione attestante la situazione fattuale sussistente al momento della visita di accertamento della Commissione costituisce elemento indispensabile per la verifica della visibilità del tatuaggio (questione centrale sulla quale verte l’intera vicenda) e, quindi, la stessa avrebbe dovuto essere, comunque, acquisita nel giudizio d’appello.
4. Passando al merito della controversia, il Collegio osserva che, in materia di requisiti fisici, la Sezione ha più volte affermato il principio secondo cui “I requisiti psico-fisici prescritti dal bando di concorso devono essere posseduti alla data di scadenza del termine della presentazione della domanda o, al più tardi, al momento della visita medica” (cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza n. 4305/2018).
Ebbene, il Bando di concorso espressamente individua quale causa di inidoneità alla partecipazione la presenza di tatuaggi visibili con ogni tipo di uniforme (cfr. il summenzionato art. 10, comma 7). Trattasi di un requisito quantitativo (presenza/assenza del tatuaggio) e non qualitativo/discrezionale (in particolare, non è previsto che il tatuaggio in via di rimozione, ma, ciononostante, ancora visibile al momento della visita, ovvero visibile solamente con la divisa estiva e non anche con quella invernale, possa comportare un giudizio di idoneità ).
In merito alla visibilità dei tatuaggi posseduti dagli aspiranti partecipanti alle procedure concorsuali per le forze dell’ordine, il Collegio ha chiarito che, ai fini della valutazione della correttezza dell’accertamento tecnico effettuato dall’amministrazione, deve necessariamente tenersi conto che: a) la visibilità del tatuaggio, proprio in quanto rilevante ex se, deve presentare una certa evidenza, ovvero determinare l’impossibilità del tatuaggio di essere coperto indossando la divisa (cfr. Cons. Stato, sez.VI, 13 maggio 2010, n. 2950); b) il giudizio di esclusione va espresso a seguito di adeguata istruttoria e deve essere congruamente motivato in ordine alla “visibilità ” del tatuaggio: la motivazione deve riguardare non solo l’ubicazione del tatuaggio, in termini pertanto di potenziale individuabilità, ma anche la sua effettiva consistenza (Cons. Stato Sez. II, Sent., 26 agosto 2019, n. 5875; Sez. III, 3 giugno 2019, n. 3729).
Applicando tali coordinate ermeneutiche al caso di specie, dalla documentazione fotografica inserita all’interno del Verbale di visita medica generale del 23.10.2018 prot. n. 351514/2-3 (allegato B del Ministero della Difesa), si evince chiaramente che al momento della visita (avvenuta in data 19.10.2018) il residuo di tatuaggio era ben visibile, anche con indosso le calze della divisa. Tale visibilità, peraltro, è stata adeguatamente riscontrata nel medesimo Verbale, laddove si descrive la figura rappresentata (un -OMISSIS- stilizzato) e si dà atto delle sue precise dimensioni (14×16 cm).
Di contro, la documentazione depositata, sia in primo grado che in appello, dall’appellata (cfr. all. 3, 4, 5 e 6 della ricorrente in primo grado) non è atta a dimostrare l’erroneità del giudizio della Commissione, né la carenza d’istruttoria, trattandosi di fotografie prive di data e di indicazioni circa il luogo di effettuazione.
Pertanto, non è condivisibile l’affermazione del giudice di primo grado, secondo cui la documentazione prodotta agli atti dalla ricorrente sarebbe risultata adeguatamente idonea a comprovare che, già alla data in cui è stato reso il giudizio di inidoneità per la “presenza di un tatuaggio in -OMISSIS-, visibile con l’uniforme”, il tatuaggio de quo fosse in fase di rimozione e, anzi, l’immagine originaria avesse ormai perso la sua originaria composizione.
In definitiva, alla luce della documentazione prodotta in giudizio, dell’istruttoria espletata in sede concorsuale e della motivazione del giudizio espresso dalla competente Commissione esaminatrice, il giudizio di non idoneità va ritenuto corretto.
Mentre all’opposto, deve escludersi che la candidata abbia ragionevolmente dimostrato che al momento della visita il tatuaggio non fosse visibile con indosso ogni tipo di divisa.
5. In ragione di quanto esposto, l’appello deve essere accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso di primo grado.
6. Sussistono gravi ed eccezionali motivi – legati alla particolare natura della controversia, della vicenda e delle questioni trattate – per compensare le spese di entrambi i gradi di giudizio tra le parti in causa
7. Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
• accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza del TAR per il Lazio, Sez. I-bis, n. 3155 emessa l’11 marzo 2019, respinge il ricorso di primo grado.
• dispone la integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio tra le parti in causa;
• ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente autorità amministrativa;
• manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare le generalità dell’appellata.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Antonino Anastasi – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Roberto Proietti – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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