Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 20 febbraio 2020, n. 1307.
La massima estrapolata:
In materia di possesso di armi e giudizio di affidabilità, una condanna risalente nel tempo, a cui ha fatto seguito la riabilitazione, determina il venir meno dell’automatismo preclusivo ma potrebbe, comunque, essere valorizzata tenendo conto di ulteriori elementi, anche privi di rilevanza penale, che denotino un’inaffidabilità del soggetto all’uso lecito delle armi.
Sentenza 20 febbraio 2020, n. 1307
Data udienza 13 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 947 del 2017, proposto dal Ministero dell’Interno e dalla Questura della Provincia di Grosseto, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
contro
il signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma della sentenza del Tar Toscana, sez. II, -OMISSIS- del 17 giugno 2016, non notificata, con la quale è stato accolto in parte il ricorso avverso il decreto del Questore della Provincia di Grosseto, concernente il rinnovo della licenza di fucile per uso venatorio.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 febbraio 2020 il Pres. Franco Frattini e uditi altresì i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
1. In data 14 ottobre 2015, con provvedimento del Questore della Provincia di Grosseto, prot. n. -OMISSIS-, è stata respinta l’istanza del signor -OMISSIS-, intesa ad ottenere il rinnovo della licenza di fucile per uso venatorio.
Il diniego opposto dalla Questura è stato giustificato sulla base dei precedenti penali del richiedente, a carico del quale è risultata una condanna pronunciata ex art. 444 c.p.p. per il reato di lesioni personali aggravate, emessa con sentenza del 6 febbraio 1984 dal Tribunale di Grosseto, divenuta irrevocabile il 24 febbraio 1986 per effetto della sentenza della Corte di Appello di Firenze, che ha dichiarato inammissibile l’appello. La condanna riportata dal sig. -OMISSIS- – visti gli artt. 11 e 43 del TULPS e nonostante l’intervenuta riabilitazione, pronunciata con ordinanza del 16 ottobre 1991 del Tribunale di Sorveglianza di Firenze – è stata ritenuta assolutamente ostativa alla concessione del rinnovo del porto d’armi.
2. Con ricorso proposto innanzi al Tar Toscana, il signor -OMISSIS- ha avversato tale provvedimento deducendo, in particolare, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 11 e 43 del TULPS e la carenza di motivazione e formulando, altresì, richiesta di risarcimento danni.
3. Con sentenza -OMISSIS- del 17 giugno 2016, il Tar Toscana ha accolto in parte il ricorso, disponendo l’annullamento del provvedimento impugnato e rigettando l’azione risarcitoria. In particolare, il Tar, aderendo all’orientamento in base al quale l’effetto preclusivo, vincolante ed automatico, proprio delle condanne penali di cui all’art. 43 del TULPS, venga parzialmente meno una volta intervenuta la riabilitazione, ha ritenuto illegittimo il provvedimento impugnato, non avendo l’Amministrazione compiuto alcuna valutazione dei fatti oggetto della condanna e dell’intervenuta riabilitazione, facendo una erronea applicazione dell’automatismo preclusivo.
4. La citata sentenza -OMISSIS- del 17 giugno 2016 è stata impugnata con appello notificato il 17 gennaio 2017 e depositato il successivo 15 febbraio. In particolare, le Amministrazioni appellanti, con un unico motivo di ricorso, hanno richiamato la giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo cui l’intervenuta riabilitazione in presenza di reati ostativi ex art. 43 del TULPS sarebbe una circostanza irrilevante ai fini del rilascio e del rinnovo della licenza di porto d’armi.
5. Il signor -OMISSIS- non si è costituito in giudizio.
6. Alla pubblica udienza del 13 febbraio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Preliminarmente, il Collegio ritiene di dover respingere l’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado sollevata dall’appellante.
Nel proprio gravame, le Amministrazioni appellanti hanno dedotto che il ricorso di primo grado del sig. -OMISSIS- non risulterebbe notificato al Ministero dell’Interno, ma soltanto alla Questura, la quale, a differenza del primo, non sarebbe legittimata a stare in giudizio, in quanto mera articolazione del Ministero.
La doglianza è priva di pregio.
La giurisprudenza è costante nel ritenere che in forza dell’art. 10 della L. n. 103 del 1979 e dell’art. 11 del R.D. n. 1611 del 1933, come sostituito dall’art. 1 della L. n. 260 del 1958 (norme da intendersi richiamate dall’art. 41 comma 3 cod. proc. amm.) il ricorso giurisdizionale amministrativo deve essere notificato all’autorità statale emanante presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato, nel cui distretto ha sede l’organo giurisdizionale innanzi al quale è incardinata la causa (Cons. St., zez. VI, 25 ottobre 2018, n. 6077). Ne consegue che è nulla la notifica del ricorso fatta direttamente all’Amministrazione statale nella sede della stessa, anziché presso l’Avvocatura dello Stato (Cons. St., sez. IV, 13 giugno 2013, n. 3290; id., sez. IV, 14 maggio 2004, n. 3074).
Nel caso in esame, risulta che la notificazione sia stata correttamente effettuata all’Autorità statale emanante, presso l’ufficio dell’Avvocatura dello Stato nel cui distretto ha sede l’organo giurisdizionale innanzi al quale è incardinata la causa, sicché l’eccezione non può che essere respinta.
2. Passando alle questioni di merito, l’oggetto della presente controversia concerne l’interpretazione dell’art. 43 del TULPS e in particolare se, in presenza di condanne per i reati ivi elencati, non residui in capo alla Amministrazione alcuna alternativa al diniego o alla revoca della licenza di porto d’armi, né vi siano altre disposizioni, in particolare quelle sugli effetti della riabilitazione, che consentano deroghe.
3. Osserva il Collegio che sul punto vi sono due orientamenti giurisprudenziali.
Il primo, più rigoroso e aderente al dato letterale della norma, ritiene che le condanne alla reclusione riportate per i delitti di cui all’articolo 43, comma 1, del TULPS costituiscano causa automaticamente ostativa al rilascio o al rinnovo della licenza di porto d’armi, anche in caso di estinzione del reato e di riabilitazione, a nulla rilevando il lungo tempo trascorso dalla commissione del fatto (cfr., in ultimo, Cons. St., III, n. 3435/2018; n. 4660/2016; n. 4390/2016; n. 4262/2016; n. 2992/2016).
Il secondo, basato su interpretazione costituzionalmente orientata, e che anche assai di recente è stato confermato, mette in luce le criticità di un’applicazione rigorosa dell’automatismo preclusivo di cui al primo comma dell’art. 43 del TULPS, e sostiene che in alcuni casi peculiari, il principio di ragionevolezza comporti che debba essere privilegiata un’interpretazione teleologica della norma conforme ai principi costituzionali e che, quindi, l’Amministrazione, nel compiere la propria complessiva valutazione in ordine alla affidabilità nel possesso di armi, non possa non tener conto anche della sussistenza di altri elementi, che denotano favorevolmente la personalità dell’interessato alla licenza di polizia con carattere di attualità . Pertanto, una condanna per furto comminata oltre 30 anni fa (come nel caso all’esame), cui non abbiano fatto seguito analoghi episodi, significativi di personalità poco affidabile o, comunque, poco integrata nell’ordinato contesto socio economico del luogo di abituale dimora, deve essere valutata unitamente agli altri elementi che nella attualità connotano la personalità del richiedente (Cons. St., sez. III, 15 ottobre 2019, n. 6995, che richiama Cons. St., sez. III, n. 5313/2017).
4. Il Tar ha aderito a quest’ultimo orientamento, valorizzando il fatto che il caso di specie riguarda una condanna molto risalente (in particolare al 1984) e su cui è intervenuto un provvedimento del Giudice penale che ha concesso al ricorrente il beneficio della riabilitazione a seguito della mancata commissione di reati negli anni successivi.
Le Amministrazioni appellanti, nel proprio appello, hanno contestato la decisione del giudice di prime cure, ritenendo che debba farsi applicazione del primo orientamento più rigoroso.
5. E’ opinione del Collegio che l’appello sia infondato, ritenendo di dover confermare il secondo orientamento suesposto.
Giova, a tal proposito, richiamare integralmente le conclusioni a cui è giunta recentemente questa Sezione nella sentenza 29 marzo 2019, -OMISSIS-, secondo cui il suddetto indirizzo interpretativo ha trovato recente conferma dal legislatore, mediante l’eliminazione dell’originario carattere automaticamente ostativo (al rilascio della licenza di porto d’armi) delle condanne per i reati tipologicamente indicati dall’art. 43, comma 1, TULPS, laddove sia intervenuta la riabilitazione (cfr. art. 43, comma 2, TULPS, come modificato dall’art. 3, comma 1, lett. e), d.lvo n. 104 del 10 agosto 2018, nel senso che “la licenza può essere ricusata ai soggetti di cui al primo comma qualora sia intervenuta la riabilitazione….”).
Sebbene la norma, così novellata, trovi applicazione a decorrere dal 14 settembre 2018, ai sensi di quanto disposto dall’art. 14, comma 1, del medesimo d.lvo n. 104/2018, da essa nondimeno possono ricavarsi utili spunti ai fini della corretta interpretazione della disposizione previgente.
Deve premettersi infatti che il legislatore, con la modifica menzionata, ha inteso conformare la disciplina a criteri di equilibrata ragionevolezza, attribuendo all’Amministrazione, laddove la valenza negativamente sintomatica dei reati tassativamente elencati sia bilanciata dalla condotta successiva del condannato, espressiva di un atteggiamento di ravvedimento che abbia messo capo al provvedimento di riabilitazione ex art. 178 c.p., il potere di valutare in concreto la sussistenza dei presupposti per l’adozione del provvedimento di diniego, alla luce di un giudizio di affidabilità attuale dell’interessato, in relazione all’uso delle armi, che muova sì dalla condanna, ma abbracci l’intero spettro di elementi, anche sopravvenuti, suscettibili di valutazione al suddetto fine (ovvero, esemplificativamente, la concreta entità del fatto criminoso, il lasso temporale trascorso dopo la condanna, la condotta successivamente tenuta dall’interessato, sia sotto un profilo generale che in relazione all’uso delle armi, tanto più laddove l’Amministrazione, dopo la condanna, abbia comunque proceduto al rinnovo del titolo di polizia).
Ebbene, non vi è dubbio che i principi di ragionevolezza che sono alla base del menzionato mutamento legislativo non possono non permeare anche l’interpretazione della disciplina previgente, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza citata, in quanto trascendenti il formale recepimento fattone dal legislatore ed ancorati anche a direttive di carattere costituzionale (non ultima quella di cui all’art. 97 Cost., dovendo ritenersi che il principio di buon andamento sia meglio attuato laddove i provvedimenti dell’Amministrazione, tanto più se di ordine inibitorio, costituiscano il frutto di una attenta valutazione, caso per caso, dei relativi presupposti legittimanti).
6. Applicando le citate coordinate interpretative alla fattispecie oggetto di giudizio, il Collegio ritiene che correttamente il primo giudice abbia ritenuto illegittimo il provvedimento impugnato.
Ed invero, alla luce della giurisprudenza sopra citata, una condanna risalente nel tempo, a cui ha fatto seguito la riabilitazione, determina il venir meno dell’automatismo preclusivo ma potrebbe, comunque, essere valorizzata tenendo conto di ulteriori elementi, anche privi di rilevanza penale, che denotino un’inaffidabilità del soggetto all’uso lecito delle armi.
Nel caso di specie, il provvedimento avversato non risulta sorretto da un’attenta e sufficiente motivazione, dato che trova quale suo unico fondamento la condanna penale del 1984, ritenuta assolutamente ostativa al rilascio della licenza in parola. L’Amministrazione non ha, pertanto, valorizzato ulteriori elementi in grado di far dubitare dell’affidabilità dell’odierno appellato e non ha tenuto, altresì, in debito conto delle circostanze che avrebbero consentito di deporre a favore della sussistenza, in capo al sig. -OMISSIS-, dei requisiti richiesti dalla normativa vigente ai fini della detenzione delle armi, quali, in particolare, il carattere risalente della condanna, la buona condotta tenuta successivamente dall’interessato, la stessa intervenuta riabilitazione.
7. Per le ragioni sopra esposte l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza del Tar Toscana, sez. II, -OMISSIS- del 17 giugno 2016.
Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio, in assenza di costituzione della parte appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Nulla per le spese di lite del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità dell’appellato e di tutti i riferimenti che rendono possibile la riconducibilità allo stesso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente, Estensore
Giulio Veltri – Consigliere
Massimiliano Noccelli – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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