In materia di abusi edilizi e del relativo regime sanzionatorio

Consiglio di Stato, Sezione sesta, Sentenza 10 aprile 2020, n. 2374.

La massima estrapolata:

In materia di abusi edilizi e del relativo regime sanzionatorio l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio e della sua consistenza incombe sulla parte privata e non sull’amministrazione, la quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere – dovere di sanzionarla ai sensi di legge. Infatti, la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza è nella disponibilità dell’interessato, dato che solo quest’ultimo può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’addotta sanabilità del manufatto e/o del suo carattere non abusivo in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell’introduzione di un determinato regime autorizzatorio dello ius aedificandi, dovendosi in ogni caso fare applicazione del generale principio processuale per cui la ripartizione dell’onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova.

Sentenza 10 aprile 2020, n. 2374

Data udienza 14 novembre 2019

Tag – parola chiave: Interventi edilizi – Abusi – Regime sanzionatorio – Epoca di realizzazione dell’abuso – Onere della prova

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5792 del 2018, proposto da Pa. Er., rappresentata e difesa dall’avvocato Ad. Ne., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Unione Media Valcavallina, Comune di (omissis), non costituiti in giudizio nel presente grado;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, Sezione staccata di Brescia, n. 468/2018, resa tra le parti e concernente: ordinanza di demolizione;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 14 novembre 2019, il consigliere Bernhard Lageder e udito, per la parte appellante, l’avvocato Al. Ne.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il TAR par la Lombardia – Sezione staccata di Brescia respingeva il ricorso n. 290 del 2017, proposto da Pa. Er. avverso l’ordinanza n. 7 del 27 dicembre 2016 del responsabile del Settore Territorio dell’Unione Media Val Cavallina, con cui alla ricorrente era stata ingiunta la demolizione di alcune opere abusive realizzate nel Comune di (omissis), località (omissis) (mappale n. (omissis)), in area sottoposta a vincolo paesistico (in quanto si trova nella fascia di rispetto di 150 metri dal corso d’acqua (omissis)), e consistenti nell’aggiunta di un portico di circa 46 mq in ampliamento di un fabbricato esistente, nonché nella realizzazione di un capanno in legno della superficie di circa 36 mq.
Il TAR, previa acquisizione di una relazione istruttoria del responsabile del Settore Territorio, basava la pronuncia reiettiva sui seguenti rilievi:
– alla luce della documentazione acquisita al giudizio doveva escludersi che i manufatti in questione potessero qualificarsi come ‘abusi storicà, sia perché successivi al 1° settembre 1967, sia perché frutto di una pluralità di lavori conclusi solo recentemente (l’ultimo segmento si collocava tra il 1996 e il 2007);
– non vi era quindi una sufficiente distanza temporale che potesse schermare i manufatti dalla disciplina urbanistica ora vigente (PGT 2009), e, a fronte della mancanza di conformità urbanistica attuale, era anche impossibili far ricorso alla sanatoria ex art. 36 d.P.R. n. 380/2001;
– sotto il profilo paesistico, i manufatti non risultavano idonei all’accertamento di compatibilità ex art. 167, comma 4, d.lgs. n. 42/2004, perché costituenti volume percepibile in un’area paesaggisticamente sensibile.
2. Avverso tale sentenza interponeva appello l’originaria ricorrente, deducendo i motivi come di seguito rubricati:
a) “Nullità della sentenza per assenza di motivazione in relazione alla mancata ammissione delle prove offerte e richieste dalla difesa con violazione degli artt. 24 Cost., 111, comma 7, Cost. e 6 CEDU in relazione all’equo processo”;
b) “Violazione di legge ed in particolare mancata applicazione dell’art. 7, comma 2, d.lgs. 23/01/1982 n. 9 e dell’art. 31, comma 1 lett. c) legge 05/08/1978 n. 457 in relazione all’art. 10 legge 28/02/1985 n. 47 e comunque eccesso di potere sotto il profilo dell’errata ricostruzione dei fatti e loro qualificazione giuridica”.
L’appellante chiedeva pertanto, previa sospensione della provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza e in sua riforma, l’accoglimento del ricorso di primo grado.
3. Sebbene ritualmente evocate in giudizio, le amministrazioni appellate non si costituivano in giudizio.
4. Accolta con ordinanza n. 4113/2018 l’istanza di sospensiva con esclusivo riguardo al periculum in mora, la causa all’udienza pubblica del 14 novembre 2019 è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato.
5.1. Destituito di fondamento è il motivo d’appello sub 2.a).
Occorre al riguardo premettere, in linea di diritto, che per la costante giurisprudenza in materia di abusi edilizi e del relativo regime sanzionatorio l’onere di fornire la prova dell’epoca di realizzazione di un abuso edilizio e della sua consistenza incombe sulla parte privata e non sull’amministrazione, la quale, in presenza di un’opera edilizia non assistita da un titolo che la legittimi, ha solo il potere – dovere di sanzionarla ai sensi di legge (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 13 settembre 2013, n. 4546; Sez. IV, 10 gennaio 2014, n. 46, e 14 febbraio 2012, n. 703; Cons. Stato, Sez. V, 20 agosto 2013, n. 4182; Cons. Stato, Sez. VI, 20 dicembre 2013, n. 6159, e 1° febbraio 2013, n. 631). Infatti, la prova circa l’epoca di realizzazione delle opere edilizie e la relativa consistenza è nella disponibilità dell’interessato, dato che solo quest’ultimo può fornire gli inconfutabili atti, documenti o gli elementi probatori che siano in grado di radicare la ragionevole certezza dell’addotta sanabilità del manufatto e/o del suo carattere non abusivo in ragione dell’eventuale preesistenza rispetto all’epoca dell’introduzione di un determinato regime autorizzatorio dello ius aedificandi, dovendosi in ogni caso fare applicazione del generale principio processuale per cui la ripartizione dell’onere della prova va effettuata secondo il principio della vicinanza della prova (v. Cons. Stato, Sez. VI, 19 ottobre 2018 n. 5984).
Ebbene, nel caso di specie l’odierna appellante non solo non ha fornito neppure un principio di prova storico-documentale di data certa in ordine alla risalenza dell’opera in questione ad epoca antecedente al 1985 – ossia, ad epoca anteriore all’introduzione del vincolo paesaggistico in questione (con d.-l. n. 312/1985), nonché in vigenza della disciplina di cui agli artt. 7, comma 2, d.-l. n. 9/1982 e 31, lettera c), l. n. 457/1978, invocata dalla parte appellante a suffragio dell’assunto per cui all’epoca sarebbe stata necessaria la sola autorizzazione del sindaco e, in mancanza, sarebbe stata prevista la sola sanzione pecuniaria e non quella demolitoria -, ma, tutt’al contrario, alla luce delle risultanze istruttorie acquisite al giudizio deve ritenersi positivamente comprovata la realizzazione delle opere in questione in epoca successiva al 1985.
Infatti, dalla relazione istruttoria del 14 novembre 2017, corredata di ampia e puntuale documentazione planimetrica, cartografica, catastale, aero- e ortofotografica, le cui risultanze risultano correttamente valorizzate nell’appellata sentenza, emerge che:
– nel 1975 non esisteva alcuna delle costruzioni abusive, nel 1996 erano visibili buona parte del portico attuale e la porzione maggiore del capanno, nel 2007 si notava l’accrescimento della superficie del portico verso nord-est, mentre il capanno è rimasto sostanzialmente invariato rispetto al 1996 (v. ortofoto del 1975, del 1996 e del 2007);
– le opere hanno caratteristiche geometriche e costruttive piuttosto eterogenee, apparendo il frutto di addizioni realizzate a più riprese in tempi diversi (nel capanno una parte della copertura è in lamiera e il resto in lastre di eternit);
– secondo la datazione più attendibile, sia per il portico sia per il capanno, una parte delle opere va collocata temporalmente dopo il 1975 e prima del 1996, e una parte dopo il 1996 e prima del 2007.
Ebbene, in mancanza anche un principio di prova in ordine alla risalenza dei manufatti ad epoca anteriore al 1985, non può darsi ingresso alle ulteriori richieste probatorie dell’odierna appellante, in quanto nel processo amministrativo il regime probatorio è fondamentalmente retto dal principio dispositivo con metodo acquisitivo degli elementi di prova da parte del giudice, comportante l’onere della parte interessata di fornire quantomeno degli indizi affinché il giudice possa esercitare i propri poteri istruttori; il tutto, a prescindere dai rilievi sopra svolti circa il raggiungimento della prova positiva circa la verosimile datazione delle opere in questione ad epoca successiva a quella genericamente assunta dall’odierna appellante.
5.2. Privo di pregio è, altresì, il motivo d’appello sub 2.b), attesa la manifesta non conformità delle opere in questione alla disciplina urbanistico-edilizia e paesaggistica applicabile alla fattispecie all’esame, in quanto:
– nel PGT vigente i portici concorrono a determinare la superficie coperta dei fabbricati (non essendo espressamente esclusi dal relativo computo) e di conseguenza incidono anche sul volume ammissibile (v. art. 9 delle NTA);
– attualmente, il capanno è adibito a ricovero per attrezzi, e all’interno del corpo principale è presente un soppalco (v. risultanze della relazione istruttoria);
– qualora il proprietario avesse la qualifica di imprenditore agricolo, il portico potrebbe assumere una destinazione d’uso residenziale, e il capanno potrebbe essere utilizzato per l’allevamento del bestiame o come ricovero per attrezzi, mentre, in mancanza della qualifica di imprenditore agricolo, è consentita la realizzazione una tantum di un deposito per il ricovero degli attrezzi avente dimensioni massime di 3,00×3,00 metri, al servizio di un’area pari almeno a 2.000 mq, con altezza media pari a 2,50 metri, distanza da confini pari a 5,00 metri, e distanze dalle strade e dagli edifici pari a 10,00 metri (v. art. 36 delle NTA; va, al riguardo, precisato che non risulta comunque dimostrato che l’odierna appellante sia in possesso dei requisiti soggettivi per aver titolo ad edificare in funzione strumentale ad attività produttive/agricole, ai sensi dell’art. 60 l. reg. n. 13/2005);
– l’impatto paesistico deve considerarsi rilevante, sia per le dimensioni sia per le modalità costruttive dei manufatti, che si configurano come interventi scollegati dal contesto e dallo stesso rustico-cascina preesistente (infatti, nella carta della sensibilità paesistica, che fa parte del documento di piano del PGT, il luogo è classificato a sensibilità elevata; v., sul punto, la citata relazione istruttoria).
5.3. Conclusivamente, per le considerazioni tutte sopra svolte, di natura assorbente, in reiezione dell’appello s’impone la conferma dell’impugnata sentenza.
6. Nulla è dato statuire sulle spese, non essendosi le amministrazioni appellate costituite in giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto (ricorso n. 5792 del 2018), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; nulla sulle spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 14 novembre 2019, con l’intervento dei magistrati:
Sergio Santoro – Presidente
Diego Sabatino – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere, Estensore
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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