Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 9 ottobre 2018, n. 5789.
La massima estrapolata:
Il mobbing si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica.
Sentenza 9 ottobre 2018, n. 5789
Data udienza 20 settembre 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9215 del 2014, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Ra. To., Fr. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell’Interno, Questura di Napoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via (…), è ope legis domiciliato;
Ro. En. -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza n. -OMISSIS-con la quale il TAR per la Campania, sede di Napoli, VI Sezione, pronunciandosi sul ricorso n. -OMISSIS-del 2011, in parte lo ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione ed in parte lo ha respinto siccome infondato.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno in cui si incardina, quale ufficio periferico, la Questura di Napoli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 settembre 2018 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti l’avv. Fr. Ma. e l’avvocato dello Stato Ma. Vi. Lu.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il gravame in epigrafe l’appellante impugna la sentenza n. -OMISSIS-con la quale il TAR per la Campania, sede di Napoli, VI Sezione, pronunciandosi sul ricorso n. -OMISSIS-del 2011, in parte lo ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione ed in parte lo ha respinto siccome infondato.
1.1. Segnatamente, con il suddetto mezzo, l’odierno appellante, Sovrintendente della Polizia di Stato, in servizio all’epoca dei fatti presso il Commissariato di Polizia di Stato di -OMISSIS- ed attivo sindacalmente per conto di una sigla di comparto, aveva convenuto dinanzi al predetto giudice l’Amministrazione dell’Interno e direttamente il dirigente dell’ufficio di appartenenza, onde conseguire la condanna di entrambe le parti intimate al risarcimento del danno all’uopo lamentando “l’abusivo ed arbitrario esercizio del potere “organizzativo” e “disciplinare” connesso all’incarico dirigenziale ricoperto dal dott. -OMISSIS-in violazione dell’art. 2087 cod. civ., nonché di aver subito mobbing abusivo, estrinsecatosi mediante l’adozione di una serie ripetuta di atti, strettamente connessi al rapporto di servizio, posti in essere dal dott. -OMISSIS-, quale dirigente p.t. del Commissariato di Polizia di Stato di -OMISSIS-, al solo scopo di danneggiare l’attività lavorativa dell’esponente, screditarne l’immagine professionale, indebolirne il ruolo sindacale, allontanarlo dall’Ufficio in considerazione dell’attività di critica e denunzia effettuata dallo stesso -OMISSIS-, quale delegato sindacale S.I.U.L.P.
In particolare, nel costrutto giuridico attoreo, il dott. -OMISSIS-avrebbe richiesto, ai sensi dell’art del 55 D.P.R. n. 335 del 24.4.1982, il “trasferimento d’ufficio” del -OMISSIS-, motivando tale richiesta in considerazione dell’esistenza di una serie di procedimenti “penali” e “disciplinari”, che interessavano il predetto -OMISSIS-, tutti asseritamente instaurati sulla base di infondate e false “informazioni” rese, sia all’A.G. sia all’Ufficio Disciplina della Questura di Napoli, dal predetto dirigente, proprio per precostituirsi i presupposti per un provvedimento di allontanamento del -OMISSIS- dal Commissariato di P.S. di -OMISSIS-“.
1.2. Il giudice di prime cure, ravvisando la natura composita della domanda attorea, ha declinato la propria giurisdizione, in favore del giudice ordinario, limitatamente all’azione strettamente riferita al cd. mobbing abusivo, siccome ascrivibile a fattispecie di responsabilità extracontrattuale e, dunque, riferibile al solo dirigente del Commissariato suddetto.
Di contro, ritenendo la giurisdizione sull’ulteriore segmento di domanda involgente pretesi inadempimenti dell’Amministrazione ai sensi dell’articolo 2087 c.c., ha giudicato la domanda infondata per essere il comportamento dell’Amministrazione apparato esente da mende, stante la mancata adozione di atti o provvedimenti pregiudizievoli (tanto il procedimento per trasferimento che quelli disciplinari si sarebbero conclusi con l’archiviazione e lo stesso dr. -OMISSIS-sarebbe stato trasferito nel novembre del 2004 poco dopo l’inasprirsi dei rapporti con l’odierno appellante per effetto della pubblicazione, nel luglio del medesimo anno, di un articolo a sua firma).
1.3. Avverso la mentovata decisione, con il mezzo qui in rilievo, l’appellante deduce:
1) che i giudici di prime cure avrebbero erroneamente qualificato la domanda attorea come riferita ad una fattispecie di responsabilità extracontrattuale, non tenendo conto del fatto, di per se stesso dirimente, che la condotta illecita ivi allegata afferiva direttamente all’esercizio di tipici poteri datoriali, organizzativi e disciplinari;
2) del pari la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui, senza fornire alcuna motivazione, afferma l’interruzione del nesso di immedesimazione organica;
3) contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, sussisterebbe la responsabilità ex articolo 2087 cc dell’Amministrazione intimata, in considerazione del fatto che il dirigente del Commissariato di PS di -OMISSIS- sarebbe stato trasferito tardivamente, solo nel novembre del 2004; e ciò nonostante le gravi criticità nella gestione del predetto Ufficio ravvisate nella stessa relazione ispettiva redatta dalla direzione interregionale;
4) muovendo dalle suddette premesse, nel merito, l’appellante rinvia alle deduzioni già rassegnate in prime cure a sostegno della spiegata azione risarcitoria.
Resiste in giudizio il Ministero intimato.
2. L’appello è fondato e, pertanto, va accolto con conseguente rimessione degli atti, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 105 c.p.a., al giudice di primo grado.
2.1. Segnatamente, nell’economia del presente giudizio rilievo dirimente assume lo scrutinio dei motivi di gravame articolati avverso il capo della decisione recante la declaratoria di difetto di giurisdizione.
Vale qui rammentare che il TAR, ravvisando la natura composita della domanda attorea alla stregua tanto dell’epigrafe del ricorso che della prospettazione/denuncia svolta dal ricorrente, muove dalla premessa che questi abbia inteso esperire due diverse azioni: l’una ex art. 2087 c.c. e l’altra per “mobbing abusivo”. Il ricorrente avrebbe, invero, chiesto la condanna dell’Amministrazione intimata al risarcimento dei danni
1) quali, in via principale, quelli legati alla violazione da parte dell’amministrazione dell’obbligo di protezione ex art. 2087 c.c.;
2) e quali, in via subordinata, quelli legati al ricadere della fattispecie nel cd. “mobbing abusivo”.
Inoltre, il predetto giudice, nella ipotizzata summa divisio tra controversia riconducibile all’articolo 2087 c.c., per la quale ha ritenuto la giurisdizione, e fattispecie di mobbing abusivo, per la quale ha ravvisato invece una fattispecie di responsabilità extracontrattuale, declinando la giurisdizione, ha limitato la prima ipotesi, e dunque, il suo sindacato, ai soli provvedimenti finali ritenuti espressione diretta del volere dell’amministrazione apparato qui convenuta, espungendo però da tale ambito (quello cioè ricadente nella giurisdizione amministrativa) tutti gli atti giuridici di impulso (costituenti il nucleo centrale della fattispecie di illecito che costituisce la causa petendi della pretesa azionata in giudizio) adottati dal dirigente del Commissario di -OMISSIS- e che avevano dato vita ai procedimenti (tra cui quello disciplinare e di trasferimento d’ufficio) con i suddetti provvedimenti definiti.
3. Il suddetto approdo ermeneutico – salvo che per gli aspetti relativi all’azione esperita nei confronti del funzionario in proprio (cfr. Cassazione civile, sez. un., 15/11/2016, n. 23228; Cassazione civile, sez. un., 03/10/2016, n. 19677; Cass. civ., sez. un., 17 maggio 2010 n. 11932, Cass., sez. un., 5 marzo 2003, n. 5914, 602103) ovvero a condotte non ascrivibili ad atti tipici bensì a comportamenti materiali del predetto dirigente – non può essere condiviso.
Ed, invero, pur muovendo dalla condivisibile premessa di limitare l’ambito della propria cognizione alla violazione dell’obbligo di garanzia imposto dall’art 2087 cod.civ. (tanto in ragione della natura pubblicistica del rapporto di impiego qui in rilievo, sottratto alla cd. privatizzazione), il giudice di prime cure ha erroneamente escluso da siffatto ambito – rimasto riduttivamente circoscritto ai soli provvedimenti dell’Amministrazione apparato – proprio il nucleo centrale della condotta denunciata dal ricorrente (formata dagli atti assunti dal dirigente dell’ufficio, superiore gerarchico) sebbene ricadente nell’alveo dell’illecito contrattuale.
4. Ai fini di un compiuta impostazione della preliminare necessaria attività di qualificazione occorre, invero, richiamare i principi più volte espressi dalla Suprema Corte in subiecta materia ed a mente dei quali, al fine di tale accertamento, non possono invocarsi come indizi decisivi della natura contrattuale dell’azione né la semplice prospettazione della inosservanza dell’art. 2087 cod.civ., né la lamentata violazione di più specifiche disposizioni strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro, occorrendo piuttosto riferirsi all’elemento materiale dell’illecito, ossia alla condotta dell’amministrazione onde appurare se la relativa idoneità lesiva possa esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri dipendenti, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro solo mera occasione dell’evento dannoso.
4.1. Viceversa, nei casi in cui, come appunto nella specie, la condotta dell’amministrazione si presenti con caratteri tali da escluderne qualsiasi incidenza nella sfera giuridica di soggetti ad essa non legati da rapporto di impiego, la natura contrattuale della responsabilità non può essere revocata in dubbio, poiché l’ingiustizia del danno non è altrimenti configurabile che come conseguenza delle violazioni di taluna delle situazioni giuridiche in cui il rapporto medesimo si articola e si svolge. Tale è il caso in cui il danno consegua a comportamenti che l’Amministrazione datrice di lavoro ponga in essere nell’esercizio del potere di supremazia gerarchica verso il lavoratore subordinato, impartendogli ordini, disposizioni e direttive ovvero assegnandolo o distogliendolo dal compimento di attività e funzioni nell’ambito della propria struttura organizzativa (cfr. Cass. Sez. un. 7 febbraio 2006 n. 2507; Cassazione civile, sez. un., 13/10/2006, n. 22101; Cass. civ., Sez. Unite, 2 luglio 2004, n. 12137).
4.2. In coerenza con i suindicati postulati questo Consiglio (Sez. IV n. 389 del 22.1.2018; sez. IV, 26/11/2015 n. 5371 Sez. VI, 20-06-2012, n. 3584) ha, dunque, chiarito che nelle fattispecie in cui il comportamento qualificabile come mobbing venga ricollegato a specifici atti giuridici posti in essere nell’esercizio del potere di supremazia gerarchica si configura la giurisdizione amministrativa.
5. Tanto premesso non par dubbio che proprio in questo contesto giuridico-fattuale si ascrive, almeno in parte, la res controversa rispetto alla quale il giudice prime ha declinato la giurisdizione (restano indubbiamente fuori da tale ambito l’azione diretta contro la persona del dirigente ovvero nel caso di comportamenti materiali), venendo qui in rilievo iniziative formali assunte dal dirigente dell’ufficio di appartenenza dell’appellante tradotte in tipici atti giuridici di impulso, posti indiscutibilmente in essere nell’esercizio delle prerogative proprie del potere organizzativo e disciplinare e, dunque, volte ad imbastire, in coerenza con le corrispondenti finalità istituzionali, procedimenti tipici e nominati, nonché, parimenti, interlocuzioni formali provenienti dal soggetto apicale della struttura burocratica di riferimento, titolare anche di funzione di polizia giudiziaria.
5.1. Né d’altro canto nell’impianto argomentativo del giudice di primo grado risultano allegati o, comunque, anche indirettamente evidenziati, fatti specifici che, per la loro gravità e natura, si rivelino idonei a determinare il venir meno del rapporto di immedesimazione organica.
In altri termini, in disparte che per i meri comportamenti, ovvero per l’azione promossa direttamente nei confronti del dr. -OMISSIS-, il giudice di prime cure avrebbe dovuto trattenere la giurisdizione esercitando il suo sindacato su tutti gli atti tipici posti in essere dal dr. -OMISSIS-nell’esercizio delle sue funzioni di superiore gerarchico, inclusi quelli di impulso, erroneamente reputati esterni rispetto ai confini della giurisdizione amministrativa.
6. Ne discende la sussistenza della giurisdizione amministrativa a conoscere, nei limiti suddetti, della presente controversia, il cui esame va, pertanto, rimesso al giudice di primo grado, previo annullamento, in parte qua, della impugnata sentenza ai sensi dell’art. 105 del cod. proc. amm.
6.1. E’ di tutta evidenza, poi, come il sindacato rimesso al giudice di prime cure non possa che involgere l’intera controversia ricadente nella giurisdizione amministrativa, come sopra ricostruita, non essendo da esso scorporabile la parziale valutazione avvenuta in prime cure (e definita con statuizione di rigetto) su un frammento circoscritto della res iudicanda e riferito solo ad un segmento del tutto marginale della complessiva condotta sottoposta alla sua cognizione.
E ciò, anzitutto, in considerazione della peculiarità della fattispecie qui in rilievo che, dal punto di vista giuridico, ha una dimensione ontologicamente unica.
Com’è noto, il mobbing si sostanzia in una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, complessa, continuata e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del dipendente nell’ambiente di lavoro, che si manifesta con comportamenti intenzionalmente ostili, reiterati e sistematici, esorbitanti od incongrui rispetto all’ordinaria gestione del rapporto, espressivi di un disegno in realtà finalizzato alla persecuzione o alla vessazione del medesimo dipendente, tale da provocare un effetto lesivo della sua salute psicofisica (v. Cons. Stato, Sez. VI, 28 gennaio 2016, n. 284; id., 12 marzo 2015, n. 1282).
6.2. Peraltro, sotto diverso profilo, l’opzione privilegiata in prime cure di concentrare il proprio sindacato esclusivamente su un aspetto limitato e marginale del rapporto di servizio (sostanzialmente quello dei provvedimenti finali adottati dall’Autorità di p.s.), tralasciando per un’erronea valutazione sulla giurisdizione il cuore nevralgico degli addebiti ad esso afferenti e che costituivano la vera causa petendi della pretesa azionata in giudizio, ha condotto il giudice di primo grado ad una pronuncia che, in definitiva, ha snaturato quantitativamente e qualitativamente il contenuto del ricorso proposto, unitariamente inteso, ed è pervenuta, in parte, ad una statuizione di merito resa, però, a quel punto, su una domanda del tutto diversa da quella proposta, di talchè, anche sotto tale diverso profilo, non può che concludersi per la nullità della sentenza cui parimenti consegue il rinvio della causa al giudice di primo grado (cfr. CdA Adunanza Plenaria 10,11 e 14 del 2018).
In conclusione, salvo che per gli aspetti relativi all’azione esperita nei confronti del funzionario in proprio e per le condotte non ascrivibili ad atti tipici, per i quali va confermato il difetto di giurisdizione, l’appello merita accoglimento e, per l’effetto, s’impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio della causa al giudice di primo grado.
La disciplina dei rapporti tra giudice di primo grado e giudice di appello e dei casi di annullamento con rinvio di cui all’articolo 105 presenta, invero, evidenti profili di indisponibilità, perché è diretta a tutela interessi di ordine pubblico che attengono al regolare svolgimento del processo, realizzando un delicato bilanciamento di valori costituzionali (fra i quali, in primis, quelli del giusto processo e della sua ragionevole durata).
Deve escludersi, quindi, che in tale materia la volontà delle parti possa condizionare l’esercizio dei poteri del giudice.
Ciò implica, che in presenza di una delle ipotesi di cui all’art. 105 Cod. proc. amm., il giudice d’appello deve procedere all’annullamento con rinvio anche se la parte omette di farne esplicita richiesta o, addirittura, formula una richiesta contraria, chiedendo espressamente che la causa sia direttamente decisa dal giudice di appello. Così, ad esempio, se il T.a.r. ha erroneamente declinato la giurisdizione, il rinvio al primo grado risulta doveroso, anche se la parte, che impugna il capo sulla giurisdizione, chiede che la causa venga direttamente decisa nel merito in sede di appello (cfr. CdS, Adunanza Plenaria n. 10 e 11 del 30/07/2018).
La peculiarità della vicenda scrutinata giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
1) lo accoglie parzialmente nei limiti indicati in parte motiva e, per l’effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e, previo annullamento della sentenza impugnata, rimette la causa dinanzi al TAR Campania, sede di Napoli per la trattazione del merito.
2) lo respinge per il resto.
Spese del grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare le persone fisiche indicate in sentenza.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2018 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Pierfrancesco Ungari – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Giulia Ferrari – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply