Il giudizio alla base del provvedimento di divieto della detenzione d’armi

Consiglio di Stato, Sentenza|11 maggio 2021| n. 3700.

Il giudizio alla base di tale provvedimento di divieto non è, quindi, un giudizio di pericolosità sociale in senso proprio, ma un giudizio prognostico sull’affidabilità del soggetto e sull’assenza di rischio di abusi, per certi versi più stringente del primo, atteso che il divieto può fondarsi anche su situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma che risultano genericamente non ascrivibili a “buona condotta” e che, come tali, lasciano intravedere il rischio di un maneggio non appropriato delle armi.

Sentenza|11 maggio 2021| n. 3700

Data udienza 22 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Detenzione di armi – Divieto – Affidabilità del soggetto – Giudizio alla base del provvedimento – Natura prognostica

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7258 del 2019, proposto da
-OMISSIS-, rappresentato e difeso personalmente, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria della terza sezione del Consiglio di Stato in Roma, p.zza (…);
contro
U.T.G. – Prefettura di Cosenza, Ministero dell’Interno – non costituiti in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la domanda di annullamento del decreto recante il divieto di detenzione armi -OMISSIS- emesso dalla Prefettura di Cosenza nei confronti dell’odierno appellante.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 aprile 2021, tenuta in modalità telematica, il Cons. Giovanni Pescatore;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. -OMISSIS- ha proposto ricorso al Tar Catanzaro per l’annullamento del provvedimento di divieto di detenzione armi e munizioni ex artt. 38 e 39 TULPS, notificatogli dalla Prefettura di Cosenza in data -OMISSIS-.
L’Amministrazione ha ritenuto essere venuto requisito dell’affidabilità nell’uso delle armi in considerazione di alcuni fatti sintomatici di rilevo penale scaturenti dalle violazioni dell’art. 38 Tulps (per mancata denuncia di acquisto di pistola nel termine di 72 ore), dell’art. 10 l. n. 110/1975 (per detenzione di un numero di armi maggiore del consentito) e dell’art. 20 l. n. 110/1975 (per omessa custodia di fucile).
2. A sostegno dell’impugnativa, il ricorrente ha articolato motivi di erroneità dell’istruttoria, carenza e illogicità della motivazione, deducendo di non aver immediatamente ritirato la pistola -OMISSIS- acquistata il -OMISSIS-, ma di avervi provveduto il successivo -OMISSIS-, prontamente procedendo alla denuncia nell’ora successiva; di aver ceduto la pistola -OMISSIS- a terze persone onde evitare il superamento del numero massimo di armi consentite in detenzione; e di avere adeguatamente conservato il fucile nella propria abitazione sita nel Comune di -OMISSIS-.
3. Con la sentenza n. -OMISSIS-, il giudice di primo grado ha respinto il ricorso osservando che i fatti posti a base del provvedimento prefettizio risultano comprovati per come riportati nel decreto impugnato e non nei termini esposti dal ricorrente, non avendo questi fornito elementi di prova a supporto della versione licenziata nei propri atti difensivi.
Dall’acquisita documentazione sono emersi, infatti: a) l’acquisto della pistola -OMISSIS- in data -OMISSIS-, seguito dalla sua contestuale consegna, e neppure un principio di prova a supporto della diversa ricostruzione proposta dall’acquirente; b) la cessione della pistola -OMISSIS- per evitare l’esubero di armi consentite ex art. 10 l. n. 110/1975 avvenuta solo il -OMISSIS- (v. contratto prodotto dal ricorrente) e dunque ben oltre il termine di 72 ore non solo dall’acquisto della -OMISSIS- del -OMISSIS-, ma anche dalla affermata ed indimostrata consegna del -OMISSIS-; c) l’assenza di riscontri circa la detenzione del fucile -OMISSIS- nel Comune di –OMISSIS- e la mancanza di denuncia di trasferimento dell’arma dalla località di -OMISSIS- a quella di -OMISSIS-.
4. Il -OMISSIS- ha quindi proposto l’appello qui in discussione, con atto notificato il -OMISSIS-. L’amministrazione intimata non si è costituita in giudizio.
5. In assenza di istanze cautelari, la causa è stata posta in decisione all’udienza pubblica del 22 aprile 2021.
6. Nell’atto di appello viene sviluppato l’argomento della inconsistenza del giudizio di inaffidabilità, in quanto formulato in relazione ad addebiti privi di pregnanza sintomatica, ampiamente contestati, del tutto isolati ed al più imputabili a distrazione e superficialità ma inidonei a motivare una valutazione di pericolosità, peraltro contraddetta dalla costante persistenza dell’idoneità psico-fisica del ricorrente alla detenzione delle armi in oltre un decennio di titolarità della licenza.
7. L’appello è infondato.
Gli addebiti fattuali mossi al ricorrente trovano oggettivo e documentale conferma negli esiti dell’istruttoria disposta dal giudice di primo grado con ordinanza n. -OMISSIS-.
Gli elementi documentali sui quali fondano detti rilievi avrebbero potuto essere superati dall’allegazione di una prova contraria, che tuttavia non può rintracciarsi nelle mere allegazioni difensive svolte nel ricorso di primo grado e rimaste del tutto prive di riscontro.
8. Appurata la consistenza probatoria dei fatti contestati, gli stessi si appalesano di pregnanza qualitativa e quantitativa certamente proporzionata al giudizio di inaffidabilità espresso dalla Prefettura.
Giova in proposito ricordare che la valutazione di cui all’art. 39 del r.d. nr. 773/1931 (“…Il prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti (…) alle persone ritenute capaci di abusarne”) è caratterizzata da ampia discrezionalità, avendo come scopo quello di prevenire, per quanto possibile, sia i delitti, sia i sinistri involontari a rischio di essere occasionati dalla disponibilità di armi da parte di soggetti non pienamente affidabili (cfr. Cons. Stato, sez. III, 1 agosto 2014, nr. 4121).
Il giudizio alla base di tale provvedimento di divieto non è, quindi, un giudizio di pericolosità sociale in senso proprio, ma un giudizio prognostico sull’affidabilità del soggetto e sull’assenza di rischio di abusi, per certi versi più stringente del primo, atteso che il divieto può fondarsi anche su situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma che risultano genericamente non ascrivibili a “buona condotta” e che, come tali, lasciano intravedere il rischio di un maneggio non appropriato delle armi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 7 marzo 2016, nr. 922; id., 12 giugno 2014, nr. 2987; id., nr. 4121/2014, cit.; id., 19 settembre 2013, nr. 4666).
Tenuto conto della già evidenziata ristrettezza del sindacato giudiziale consentito in subiecta materia – alla quale fa da contrappunto la segnalata ampiezza discrezionale del giudizio formulabile dall’amministrazione – devono escludersi nel caso di specie i denunciati difetti di istruttoria e di adeguata valutazione della personalità del soggetto interessato, in quanto la motivazione del provvedimento restituisce il senso di una indagine puntuale ed esaustiva e di una sua conseguente ponderazione del tutto ragionevole ed equilibrata.
9. Stante l’esito del giudizio e la mancata costituzione dell’Amministrazione, nulla si dispone sulle spese di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2021 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere, Estensore
Solveig Cogliani – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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