Il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione) deve intendersi quale diritto finanziariamente condizionato

Consiglio di Stato, Sentenza|20 aprile 2021| n. 3190.

Il diritto alla salute (articolo 32 della Costituzione) deve intendersi quale diritto finanziariamente condizionato non essendo pensabile spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni, quale ne sia la gravità e l’urgenza. È viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità e il livello delle prestazioni sanitarie, salvo quel nucleo irriducibile del diritto alla salute costituzionalmente protetto come ambito inviolabile della dignità umana. In tale solco interpretativo si pone l’articolo 15, comma 11-ter, Dl n. 95 del 2012 che affida le decisioni relative alla verifica dell’equivalenza terapeutica all’Aifa, così da garantire, in un’ottica di uniformità, i livelli essenziali di assistenza. Le competenze dell’Aifa hanno, infatti, carattere esclusivo, nel senso che tali funzioni (legislative ed amministrative) spettano solo all’autorità statale, restando preclusa alle Regioni la previsione di un regime di utilizzabilità e di rimborsabilità contrastante ed incompatibile con quello stabilito in via generale a livello nazionale.

Sentenza|20 aprile 2021| n. 3190

Data udienza 8 aprile 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Aifa – Agenzia Italiana del Farmaco – Legittimità del parere positivo di equivalenza terapeutica tra specialità medicinali – Art. 15, comma 11 ter, D.L. n. 95/12 – Linee Guida sull’equivalenza terapeutica – Criteri di valutazione – Discrezionalità in capo all’Agenzia – Sindacato solo per profili di grave illogicità e manifesta irragionevolezza

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8351 del 2020, proposto da Gi. Sc. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Di. Va. e Fr. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Di. Va. in Roma, (…);
contro
Regione Veneto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ch. Dr., Cr. Za., Fr. Bo. e An. Ma., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato An. Ma. in Roma, via (…);
Aifa – Agenzia Italiana del Farmaco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio ex lege in Roma, via (…);
S.C. Pi. s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato prof. Ma. Pr., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del medesimo difensore in Roma, via (…);
nei confronti
Regione Lazio, Ab. S.r.l. non costituiti in giudizio;
Regione Piemonte, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. Pi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
di Farmindustria – Associazione delle Imprese del Farmaco, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Gi. Fr. Fe. e Di. Va., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio del prof. avvocato Gi. Fr. Fe. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza n. 09198/2020.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Piemonte, della Regione del Veneto, di Aifa – Agenzia Italiana del Farmaco e della S.C. Pi. s.p.a.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 aprile 2021, svolta in modalità da remoto, il Cons. Umberto Maiello e dato atto della presenza, ai sensi di legge, degli avvocati delle parti come da verbale dell’udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. L’ambito cognitivo del presente giudizio verte, per effetto della parziale devoluzione della res controversa, definita in primo grado con la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Terza quater n. 9198/2020, qui appellata, sulla legittimità della delibera dell’AIFA n. 818 del 23 maggio 2018, recante le linee guida sulla procedura di applicazione dell’art. 15, comma 11-ter, del d.l. del 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012, n. 135, nonché sulla legittimità del successivo parere positivo di equivalenza terapeutica tra le specialità medicinali “Ep.” e “Ma.”, adottato dal direttore generale dell’AIFA con nota prot. STDG P 138186 del 9 dicembre 2019, pubblicato sul sito internet dell’Agenzia in data 16 dicembre 2019.
1.1. Vale premettere che l’AIFA aveva già definito la cornice regolatoria applicativa della mentovata diposizione normativa con delibera n. 204/2014, poi sostituita con la delibera n. 458/2016, successivamente revocata.
Segnatamente, l’Agenzia aveva avviato un procedimento di riesame di tale ultima determinazione, sospendendone inizialmente gli effetti, salvo poi a revocarla definitivamente con la delibera n. 1571/2016.
Con la delibera n. 818/2018, l’AIFA ha, dunque, ed in via definitiva, fissato le procedure ed i presupposti al ricorrere dei quali due o più farmaci possono essere ritenuti equivalenti sul piano terapeutico, sostanzialmente confermando, a seguito di un riesame, gli arresti regolatori già compendiati nella delibera n. 458/2016.
Il suddetto deliberato veniva impugnato in prime cure con il ricorso principale.
1.2. In vigenza delle suindicate direttive, con nota prot. n. 158280 del 18 aprile 2019, la Regione Veneto chiedeva all’Agenzia appellata di pronunciarsi in ordine all’equivalenza terapeutica tra i farmaci Ep. e Ma. al fine di procedere all’acquisto del 60% del fabbisogno regionale complessivo di farmaci antivirali per la cura dell’epatite C negli adulti tramite gare in concorrenza tra i farmaci in questione, riservando il residuo 40% ai pazienti per i quali non vi fosse sovrapponibilità . La Commissione Consultiva Tecnico Scientifica (di seguito CTS) dell’AIFA esaminava tale richiesta nel corso delle riunioni del 9-12 luglio 2019 e, all’esito di esse, esprimeva un parere preliminare di contenuto favorevole che veniva comunicato all’odierna appellante con nota in data 3 settembre 2019 recante anche l’invito a trasmettere eventuali studi non considerati in fase istruttoria (purché rientranti tra quelli ritenuti accettabili per la valutazione) entro i successivi trenta giorni. All’esito della relativa interlocuzione, l’Agenzia, con la determina del 9 dicembre 2019, affermava l’equivalenza terapeutica, ai fini della cura dell’epatite C, tra i farmaci Ep., a base di sofosbuvir/velpatasvir e Ma. a base di glecaprevir/pibrentasvir.
Anche tale atto veniva attratto nel fuoco della contestazione attorea, sia per vizi di invalidità derivata che per vizi propri, attraverso la proposizione dei primi motivi aggiunti.
1.3. Con il secondo atto recanti motivi aggiunti Gi. Sc. s.r.l. impugnava anche gli atti della gara indetta da S.C. Pi. per la fornitura, in favore delle Regioni Valle d’Aosta, Molise, Lazio e Puglia, dei medicinali Ma. e Ep. (lotto 2453), gara poi andata deserta.
2. Con la sentenza n. 9198 del 13/08/2020, il TAR per il Lazio ha dichiarato il ricorso, per come integrato dai motivi aggiunti, in parte improcedibile e in parte infondato.
2.1. In particolare, il giudice di prime cure ha, anzitutto, dichiarato l’improcedibilità dei secondi motivi aggiunti “sulla base della sopravvenuta carenza di interesse conseguente alla mancata partecipazione alla gara indetta da SC. Pi.”.
Nel merito, il TAR ha respinto il ricorso principale e il primo ricorso per motivi aggiunti, valutando tanto le linee guida che il parere di equivalenza terapeutica licenziato dall’AIFA immuni dalle censure sollevate sulla scorta di ampia ed articolata motivazione.
3. Avverso il suindicato decisum, con il mezzo qui in rilievo, ha interposto appello Gi. Sc. s.r.l., chiedendo la riforma della sentenza di primo grado.
3.1. Con un primo gruppo di censure, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui ha respinto le doglianze articolate nei riguardi della delibera dell’AIFA n. 818/2018. Con i residui motivi di gravame la società appellante contesta l’affermata equivalenza che, a suo dire, sarebbe inficiata sia da vizi di invalidità derivata che da vizi propri.
4. Con atto di intervento ad adiuvandum, è intervenuta in giudizio Farmindustria insistendo per l’accoglimento dell’impugnazione e la conseguente riforma della sentenza di primo grado.
4.1. Si è costituita in giudizio l’AIFA, concludendo per il rigetto dell’appello. Con la medesima memoria, l’Agenzia appellata ha eccepito, altresì, l’inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum di Farmindustria.
4.2. Si è, altresì, costituita in giudizio la S.C. Pi. s.p.a. che ha, anzitutto, ribadito che la prima gara è andata deserta. La società ha poi reso noto che, in data 26/06/2020, è stata indetta una nuova gara ponendo nuovamente in concorrenza nell’ambito di un lotto comune i farmaci Ep. e Ma. in ragione del parere positivo di equivalenza terapeutica adottato dall’AIFA.
A tale seconda gara, la Gi. Sc. s.r.l. non ha partecipato mentre la Ab. s.r.l. ha presentato offerta ed è risultata aggiudicataria sottoscrivendo la relativa convenzione. Tanto chiarito, la società di committenza regionale soggiunge che l’appellante non ha impugnato la statuizione di improcedibilità dei secondi motivi aggiunti, riferiti proprio all’indizione della gara, con la conseguenza che la S.C. Pi. s.p.a. deve ormai ritenersi estranea al presente giudizio di appello. Ciò nondimeno, richiamando le argomentazioni svolte da AIFA, ha concluso per il rigetto dell’appello.
4.3. Si è, altresì, costituita in giudizio la Regione Veneto che ha chiesto il rigetto dell’appello, all’uopo rimarcando l’impatto finanziario sul SSR dell’uso dei farmaci in questione. Ha, poi, sottolineato che né l’iniziativa assunta dalla Regione né il parere di equivalenza adottato dall’AIFA comportano restrizioni alla libertà di prescrittiva del medico in ordine al farmaco da somministrare ad ogni singolo paziente all’uopo evidenziando che l’area di sovrapponibilità terapeutica tra i due farmaci permette di identificare una quota del fabbisogno il cui acquisto può essere oggetto di gara in regime di concorrenza.
4.4. Partecipa al giudizio anche la Regione Piemonte che ha eccepito la sua estraneità rispetto al presente giudizio di appello per le medesime ragioni già esposte dalla S.C. Pi. s.p.a. La Regione ha poi precisato – così come analogamente riferito da S.C. Pi. s.p.a. – di essersi, comunque, costituita nel presente giudizio di appello anche per veicolare la positiva esperienza maturata in concreto all’esito delle procedure selettive poste in essere da SC. Pi., fatta palese anche dal fatto che, nei limiti del fabbisogno stimato, alcuna contestazione, sulla indifferente somministrazione dei due farmaci e sulla relativa adeguatezza alle esigenze terapeutiche, è stata rilevata da pazienti e medici.
4.5. Le parti hanno, dunque, illustrato con memorie di replica le proprie tesi difensive e, all’udienza dell’08.04.2021, svolta in modalità da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato e, pertanto, va respinto.
5.1. Va, anzitutto, disattesa l’eccezione sollevata da AIFA di inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum proposto da Farmindustria trattandosi di associazione di categoria e, dunque, di un’associazione portatrice degli interessi riferibili alle imprese attive nel suindicato settore di mercato. Non può, invero, essere sottaciuto che viene qui in rilievo, tra l’altro, un provvedimento di portata generale, le linee guida sulla equivalenza terapeutica, che, nella prospettazione di parte, rischiano di impattare con le finalità statutarie ed il campo di azione proprio della detta associazione di categoria.
Assume, infatti, a fronte di quanto appena evidenziato, una valenza del tutto neutra la circostanza su cui poggia l’eccezione in argomento e che, peraltro, strutturata in termini dubitativi, si limita a contestare l’assunto secondo cui la predetta Associazione agisce “a nome di tutte” le imprese farmaceutiche ad essa aderenti e tanto in ragione del fatto che le aziende che negli anni passati hanno proposto impugnazione nei confronti della determina n. 818/2018 sono esclusivamente 41.
E’ sufficiente notare che tale rilievo non vale, con la pretesa automaticità, a porre in dubbio la natura omogenea dell’interesse azionato né ad accreditare eventuali profili di conflitto all’interno della base associativa, di cui non vi è alcuna evidenza.
5.2. In prospettiva metodologica, e seguendo lo stesso ordine tracciato dalla società appellante, verranno, anzitutto, passate in rassegna le doglianze che involgono le linee guida approvate dall’AIFA con determina direttoriale n. 818 del 23 maggio 2018.
Nella suddetta prospettiva, non è superfluo richiamare il contenuto precettivo dell’articolo 15 comma 11 ter del D.L. n. 95/12, conv. in L. n. 135/2012 a mente del quale “Nell’adottare eventuali decisioni basate sull’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti princì pi attivi, le regioni si attengono alle motivate e documentate valutazioni espresse dall’Agenzia italiana del farmaco”.
Della richiamata disposizione il TAR ha offerto una lettura pienamente condivisibile all’uopo evidenziando come nel valorizzare attraverso l’equivalenza terapeutica la concorrenza tra farmaci che, sebbene fondati su diversi principi attivi, possano comunque garantire la stessa efficacia curativa, il legislatore ha inteso garantire i livelli essenziali di assistenza e l’uniforme erogazione, a livello nazionale, delle prestazioni sanitarie. La concorrenza determina, invero, un contenimento dei prezzi (rispetto a quelli “amministrati”) dei farmaci posti in competizione e quindi ricadute benefiche nella prospettiva della complessiva sostenibilità della spesa sanitaria cui si correla la possibilità di erogare un maggiore volume di assistenza a parità di spesa. Nel contempo tale metodica non necessariamente si traduce in un abbassamento del livello di tutela della salute dei singoli pazienti ovvero in un’ingiustificata compressione della libertà di prescrizione dei medici che vanno, dunque, salvaguardate anche al costo di utilizzare un farmaco diverso da quello risultato più conveniente nella gara se lo impongono effettive ragioni terapeutiche.
La previsione normativa in esame si colloca, invero, all’interno di un intervento legislativo di più ampio respiro diretto a contenere la spesa pubblica per il settore sanitario ed è chiaramente dettata dalla necessità di garantire il giusto equilibrio tra le esigenze di adeguatezza e qualità della tutela della salute pubblica e la sostenibilità per il bilancio pubblico della relativa spesa.
La sfida perseguita resta, dunque, quella di coniugare in modo bilanciato le esigenze, entrambe di rilievo costituzionale, di un’efficiente organizzazione della sanità pubblica e dei relativi servizi, salvaguardandone la qualità e la tendenziale completezza rispetto ai bisogni dell’utenza, e quella relativa agli equilibri di bilancio ed alla sostenibilità della spesa.
Come di recente ribadito da questa Sezione in modo diffuso ed articolato (cfr. Cons. St., sez. III, 15 febbraio 2021, n. 1305), secondo la giurisprudenza della Corte Costituzionale il diritto alla salute resta un diritto finanziariamente condizionato (cfr. sentenze nn. 356/1992, 355/1993, 218/1994, 304/1994, 267/1998, 509/2000, 248/2011) atteso che “in presenza di una inevitabile limitatezza delle risorse, non è pensabile di poter spendere senza limite, avendo riguardo soltanto ai bisogni, quale ne sia la gravità e l’urgenza. È viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e delle compatibilità e tenuto ovviamente conto delle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute”, restando salvo, in ogni caso, quel “nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana” (sentenze n. 309 del 1999, n. 267 del 1998, n. 247 del 1992). Sul punto, anche l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha parimenti avuto modo di sottolineare che il diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione può essere sottoposto a condizioni che ne armonizzino la protezione con i vincoli finanziari a patto di non scalfirne il nucleo essenziale irriducibile e che la stessa Corte costituzionale, nel valutare le linee fondamentali del sistema sanitario, aveva da tempo sottolineato l’importanza del collegamento tra responsabilità e spesa, evidenziando come l’autonomia dei vari soggetti ed organi operanti nel settore debba essere correlata alle disponibilità finanziarie e non possa prescindere dalla scarsità delle risorse e dalle esigenze di risanamento del bilancio nazionale (Ad. Plen. 12 aprile 2012, n. 4 che richiama Corte Cost., 28 luglio 1995, n. 416).
E’ nel divisato solco che si pone il citato art. 15, comma 11-ter, il cui contenuto precettivo è rimasto immutato nel periodo qui in rilievo risultando ad esso affiancato il comma 11 quater dedicato però ai farmaci biologici di riferimento, inclusi i biotecnologici, ed ai corrispondenti biosimilari.
La disposizione in esame affida le decisioni relative alla verifica dell’equivalenza terapeutica all’Agenzia italiana del farmaco, ente regolatore del mercato farmaceutico in Italia, intercettando in tal modo quell’esigenza di sintesi che vale a garantire, in un’ottica di uniformità, i livelli essenziali di assistenza. Le competenze dell’Agenzia italiana del farmaco hanno, infatti, carattere esclusivo, nel senso che tali funzioni (legislative ed amministrative) spettano solo all’autorità statale, restando preclusa alle Regioni la previsione di un regime di utilizzabilità e di rimborsabilità contrastante ed incompatibile con quello stabilito in via generale (e sulla base dei pareri emessi dalla competente Commissione Consultiva Tecnico Scientifica) dall’Aifa a livello nazionale (Cons. St., sez. III, 13 aprile 2018, n. 2229).
5.3. Sempre in via preliminare, non par dubbia l’ascrivibilità della determina qui gravata alla categoria giuridica degli atti ad effetti generali con vocazione tipicamente regolamentare rispetto ai quali, di norma, la facoltà di impugnazione può essere esercitata solo congiuntamente all’atto applicativo in virtù del quale la lesione degli interessi dei loro destinatari diventa concreta. Invero, questa regola legislativa dell’art. 3, comma 2 – già di elaborazione giurisprudenziale – si spiega in relazione al fatto che gli atti normativi e quelli a contenuto generale, diversamente da quelli a carattere puntuale, non sono tendenzialmente idonei a incidere a titolo particolare sulla posizione degli interessati. Il che vale indipendentemente dal tipo di attività disciplinata (CdS, sez. V, 17/11/2016, n. 4794).
E’, dunque, nella suddetta prospettiva che potrà ritenersi ammissibile il sindacato qui rivendicato sulle linee guida approvate con la determina 818/2018 occorrendo verificare l’effettiva e diretta incidenza delle singole disposizioni oggetto di contestazione sull’assetto di interessi che, per effetto dell’atto applicativo, nella specie rappresentato dal parere di equivalenza rassegnato dall’AIFA, vengono ad interferire con la sfera giuridica dell’appellante.
Occorre, d’altro canto, soggiungere che la mediazione del divisato atto regolatorio nemmeno può ritenersi uno snodo pregiudiziale e vincolante nell’economia della previsione normativa di riferimento che si limita a prevedere, ai fini dell’equivalenza terapeutica, l’obbligo delle Regioni di acquisire il parere dall’Agenzia italiana del farmaco senza condizionarne il rilascio alla preventiva approvazione di criteri e procedure ma limitandosi ad imporre requisiti intrinseci alle valutazioni di volta in volta svolte, che devono essere “motivate” e “documentate”.
6. Tanto premesso, mette conto evidenziare che, con un primo motivo, la società appellante lamenta l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui non ha riconosciuto il vizio di eccesso di potere già dedotto in prime cure sotto il profilo della contraddittorietà e del difetto di motivazione.
Nella prospettazione attorea la delibera n. 818/2018 si risolverebbe nella immotivata reiterazione di un provvedimento di identico contenuto già adottato ma revocato nel mese di dicembre del 2016 sulla premessa della sua sostanziale inadeguatezza. Ad avviso dell’appellante, la decisione di primo grado si rivelerebbe, anzitutto, fuorviante nella parte in cui individua le ragioni della precedente revoca nella sola esigenza di “….di coinvolgere un maggior numero di istituzioni e di stakeholders”, tralasciando quella altrettanto rilevante che impingeva nella necessità di “individuare criteri quanto più possibili oggettivi per valutare l’equivalenza terapeutica tra più farmaci”. Non vi sarebbe traccia, peraltro, né nel provvedimento impugnato né negli atti depositati in giudizio, della soddisfazione delle suddette “esigenze di più ampio coinvolgimento” né tantomeno dell'”approfondito riesame” che, ad avviso del TAR, sarebbe stato svolto dall’AIFA nel tempo intercorrente tra la revoca e l’adozione del provvedimento impugnato. La delibera n. 818/2018, costituendo una sorta di “revoca della revoca”, avrebbe dovuto essere, altresì, motivata non per un obbligo di legge ex art. 3 della legge n. 241/1990, ma per sottrarsi alla censura di contraddittorietà anche in ragione dell’affidamento maturato sul pregresso atto di ritiro.
6.1. Osserva preliminarmente il Collegio che effettivamente la revoca (determina n. 1571/2016) delle linee guida compendiate nella determina n. 458/2016 tracciava gli ambiti del promosso riesame e le ragioni che lo avevano ispirato evidenziando l’opportunità di:
1. “.. di procedere, nell’ottica della definizione di un nuovo modello di governance della spesa farmaceutica, ad un confronto anche su ulteriori aspetti della determina nell’ambito del Tavolo sulla farmaceutica, presso il Ministero dello Sviluppo Economico cui partecipano il Ministero della Salute e I’AIFA, nonché le Regioni, le imprese farmaceutiche e le associazioni di categoria del settore”;
2. “provvedere ad una ridefinizione della procedura di applicazione dell’art. 15, comma 11 ter, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, rendendola conforme, mediante la definizione di criteri quanto più possibili oggettivi, anche in relazione a quanto disposto dal nuovo comma 11 quater del richiamato art. 15, come introdotto dall’articolo 1, comma 407 della legge di bilancio 2017”.
La motivazione della revoca della delibera del 2016 è dunque duplice e si sostanzia da un lato, come evidenziato dal giudice di prime cure, nell’esigenza di coinvolgere un maggior numero di stakeholders; dall’altro, come correttamente sottolineato dall’appellante, nella necessità di individuare criteri quanto più possibile oggettivi per valutare l’equivalenza terapeutica tra più farmaci.
6.2. Nella determina n. 818/2018, effettivamente di contenuto sostanzialmente sovrapponibile rispetto alla determina revocata (n. 458/2016), l’AIFA dà atto di aver proceduto ad un “riesame della determinazione n. 458/2016” all’esito del quale ha ritenuto di confermare i medesimi contenuti regolatori.
6.3. Orbene, rileva il Collegio che la tesi del mancato riesame è smentita, oltre che dall’attestazione compendiata nel preambolo dell’atto qui gravato, anche dalla stessa ricostruzione fornita dall’appellante che dà atto finanche di una bozza alternativa di linee guida posta in circolazione dall’AIFA durante il periodo di sospensione della determina n. 458/2016 e accompagnata dall’invito rivolto alle aziende farmaceutiche ad un confronto che, evidentemente, non ha condotto a soluzione condivise.
Né, peraltro, ai fini della sufficienza degli elementi di valutazione disponibili, può essere sottaciuto il fatto che il punto di vista critico delle aziende di settore fosse anche per altra via ampiamente noto all’AIFA atteso che, come confermato da Farmindustria, queste avevano presentato numerosi ricorsi chiedendo l’annullamento della delibera del 2016.
Resta, dunque, confermato, sul piano istruttorio, che la successiva determina n. 818/2018 risulta adottata a valle di uno stadio conoscitivo arricchito dai suddetti, plurimi momenti di confronto, collaborativo ed oppositivo, non potendosi evidentemente negarsi la relativa evidenza per il solo fatto che le dette acquisizioni non abbiano inciso nel processo decisionale che ha condotto al varo delle nuove linee guida e non siano state esplicitamente menzionate nel preambolo dell’atto qui gravato, trattandosi di atto generale ex lege dispensato dall’obbligo di una puntuale motivazione.
6.4. Al contempo, e quanto ai contenuti decisori, non può essere nemmeno trascurato che le Linee Guida sull’equivalenza terapeutica, lungi dal costituire un adempimento cogente imposto dalla disciplina di settore, si dispiegano nell’esigenza organizzativa dell’Agenzia di razionalizzare, in un’ottica di assoluta trasparenza, il relativo procedimento, segnatamente nella fase di avviso e nella interlocuzione con i soggetti interessati, al fine di canalizzare entro parametri standard il flusso dei dati necessari per la valutazione finale sull’equivalenza tra i singoli farmaci oggetto di comparazione, valutazione che resta inevitabilmente ancorata, nei suoi concreti contenuti, alla specificità del singolo caso esaminato.
Nella suindicata prospettiva, appare, dunque, di tutta evidenza come, ai fini in questione, ed in mancanza di vincoli rinvenienti dalla corrispondente normativa di settore, sussista ampia discrezionalità in capo all’Agenzia, il cui esercizio è suscettivo di sindacato solo per profili di grave illogicità e manifesta irragionevolezza, qui non in rilievo, non potendo ciò desumersi, con inaccettabile pretesa di automaticità, dal solo fatto che le attuali linee guida costituiscano la sostanziale riedizione di quelle precedentemente revocate.
Non sono infatti in rapporto di necessaria contraddizione la decisione di sospendere e di revocare le linee guida adottate nel 2016 e la soluzione di riproporle nel loro immutato contenuto precettivo ove, com’è nella specie, ciò avvenga all’esito di un percorso di riesame vieppiù se ultimato a distanza di tempo (2018) nel corso del quale, da un lato, sono state acquisite le criticità segnalate dalle aziende di settore nei termini già sopra evidenziati e, dall’altro, la rinnovata decisione possa avvalersi dell’esperienza nel frattempo maturata nell’esercizio della funzione qui in rilievo che evidentemente ha indotto l’Agenzia ha ritenere quel determinato assetto come l’opzione tuttora preferibile.
6.5. D’altro canto, nemmeno possono essere enfatizzate le ragioni all’epoca addotte a sostegno della revoca sì da elevarle a vincolanti regole conformative del riesercizio del potere al punto da pretendere, in distonia con il modello di atto a contenuto generale qui in rilievo, un necessario scostamento dal precedente arresto regolatorio ovvero, nel caso di conferma, l’allegazione a sostegno di tale opzione di motivi particolarmente stringenti ed incisivi.
Deve, infatti, qui ribadirsi che la pausa di riflessione che l’AIFA ha ritenuto opportuno concedersi traeva origine, in disparte la divisata esigenza di un maggior confronto, come detto comunque verificatosi, dalla necessità di esplorare la possibilità di selezionare “criteri quanto più possibili oggettivi”.
Come è fatto palese dal significato letterale dell’espressione sopra riportata le coordinate che, sul piano sostanziale, governavano il programmato riesame risultavano, dunque, affidate ad una formula a contenuto aperto che, da un lato, non si traduceva in una definitiva bocciatura dei criteri fin qui adottati e, dall’altro, nemmeno forniva, in positivo, indici idonei a direzionare in modo univoco e vincolante l’ambito e gli indicatori di maggior dettaglio che avrebbero dovuto integrare il quadro regolatorio.
Ne discende che nel ventaglio delle opzioni possibili restava, comunque, ricompresa anche la soluzione qui adottata di una mera conferma della disciplina all’epoca vigente ove l’Agenzia avesse appurato, all’esito del riesame, che quelli adottati rimanessero i criteri maggiormente idonei a coniugare la standardizzazione del processo valutativo con la pur necessaria elasticità che il giudizio di equivalenza deve mantenere onde adattarlo alla specificità delle possibili combinazioni che il raffronto tra due farmaci può evocare.
6.6. Nella suddetta prospettiva deve allora concludersi nel senso che l’ampiezza della discrezionalità della scelta devoluta all’Agenzia unitamente alla natura giuridica dell’atto qui in rilievo non rendevano affatto subordinata la manifestazione di una volontà di conferma agli stringenti vincoli motivazionali che l’appellante assume come ineludibili.
Non può, infatti, essere sottaciuto che la determina n. 818/2018, essendo sussumibile nella categoria degli atti a contenuto generale, resta, ex lege, dispensata ai sensi dell’art. 3, comma 2, della legge n. 241/1990, da un obbligo di specifica motivazione e la suddetta regola non patisce qui eccezione per effetto del precedente atto di revoca, non ravvisandovi profili di inconciliabilità tra le diverse manifestazioni di volontà registratesi nella complessiva evoluzione dell’azione regolatoria siccome forme di esercizio del potere tra loro compatibili in quanto espressione dinamica dello sforzo di razionalizzazione compiuto dall’Agenzia in un ambito non segnato da regole ed in cui la soluzione ottimale non può che essere ricercata nel costante confronto con il vissuto esperenziale.
D’altro canto, nemmeno è ravvisabile un affidamento tutelabile a cagione del fatto che la revoca della determina del 2016 aveva comportato la reviviscenza delle precedenti linee guida del 2014 (cfr. articolo 2 della determina n. 1571 del 2016) che, quanto ai profili controversi qui in rilievo, costituiscono un oggettivo arretramento rispetto agli standard di dettaglio dei criteri ovvero quanto alla misura della partecipazione procedimentale rivendicati dall’appellante.
7. L’appellante lamenta, poi, l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui non ha riconosciuto il vizio di eccesso di potere per irragionevolezza, indeterminatezza e mancata individuazione dei criteri di valutazione dell’equivalenza terapeutica tra principi attivi diversi, oltre che la violazione dell’art. 15, comma 11 ter, del d.l. n. 95/2012 e degli art. 7 ss. della legge n. 241/1990.
Nel costrutto giuridico attoreo, la delibera n. 818/2018, prevedendo i soli criteri per essere ammessi alla valutazione di equivalenza terapeutica e non anche i criteri di valutazione, legittimerebbe la CTS dell’AIFA ad assumere decisioni non già discrezionali ma arbitrarie e insindacabili. I criteri indicati del paragrafo n. 1 delle Linee Guida, richiamati dal TAR al fine di attestarne una “sufficiente specificità “, non conterrebbero affatto i parametri di valutazione dell’equivalenza terapeutica, bensì descriverebbero i requisiti in base ai quali due o più principi attivi diversi possono “essere ammessi alla valutazione di equivalenza terapeutica”. Anche il paragrafo delle Linee Guida rubricato “compiti della CTS”, affermando che il predetto organo collegiale valuta le richieste pervenute “applicando il metodo dell’equivalenza terapeutica” e che questo metodo “presuppone che, alla luce delle conoscenze scientifiche, alcuni farmaci mostrino un profilo rischio-beneficio sovrapponibile tra loro quando riferito all’uso prevalente”, non renderebbe nota la metodologia che dovrà guidare la CTS nella concreta valutazione sulla sussistenza, tra due o più principi attivi diversi, di un profilo rischio-beneficio sovrapponibile quando riferito all’uso prevalente. Lo stesso concetto di “uso prevalente” sarebbe generico e indefinito ed avrebbe richiesto che fossero stabiliti dei criteri per pervenire alla sua definizione, così come indefinito rimarrebbe l’ulteriore elemento al quale viene ancorata la valutazione di equivalenza, ossia quello delle “indicazioni terapeutiche principali”.
Anche tale censura non ha pregio.
7.1. La determina n. 818/2018 chiarisce, anzitutto, che “la valutazione dell’equivalenza terapeutica costituisce un metodo attraverso cui è possibile confrontare medicinali contenenti principi attivi diversi al fine di identificare, per le stesse indicazioni, aree di sovrapponibilità terapeutica nelle quali non siano rinvenibili, alla luce delle conoscenze scientifiche, differenze cliniche rilevanti in termini di efficacia e di sicurezza”.
Il suindicato atto reca, poi, l’indicazione dei criteri per l’identificazione dei farmaci valutabili secondo il metodo dell’equivalenza terapeutica:
“1. essere dei principi attivi per i quali vi sia esperienza d’uso, intesa come periodo di rimborsabilità a carico del Servizio sanitario nazionale di almeno 12 mesi;
2. presentare prove di efficacia:
– che derivano da studi che non consentono la dimostrazione di superiorità di un farmaco rispetto all’altro (ad esempio studi vs placebo), oppure
– che derivano da studi testa a testa che non prevedono un’ipotesi di superiorità (ad esempio confronti attraverso studi di equivalenza o non inferiorità );
3. appartenere alla stessa classificazione ATC di 4° livello;
4. possedere indicazioni terapeutiche principali sovrapponibili (anche per quanto riguarda le sottopopolazioni target), come da sezione 4.1 dell’RCP;
5. utilizzare la medesima via di somministrazione;
6. prevedere uno schema posologico che consenta di effettuare un intervento terapeutico di intensità e durata sostanzialmente sovrapponibili”.
7.2. Ad una piana lettura del precitato atto appaiono, dunque, già sufficientemente delineati l’ambito di esplicazione del giudizio tecnico esercitato da AIFA ed i criteri principali che lo governano: il metodo dell’equivalenza terapeutica consiste, quindi, nel valutare la sostanziale sovrapponibilità tra i farmaci posti a confronto alla stregua dell’efficacia terapeutica rinveniente da ciascun principio attivo e dell’ulteriore parametro della sicurezza. È, dunque, su queste due coordinate di fondo che si snoda il giudizio dell’AIFA che necessariamente deve essere poi adattato, come già sopra evidenziato, alla combinazione dei singoli casi in relazione agli specifici farmaci che vengono posti in comparazione.
E tanto ovviamente in relazione al meccanismo di azione del singolo farmaco, definito in stretta connessione con relative proprietà farmacocinetiche/farmacodinamiche, ed alle stesse condizioni e limiti di impiego fatti palesi dalle risultanze delle prove farmaceutiche, precliniche e delle sperimentazioni cliniche che reggono, in apice, gli stessi studi registrativi prodromici al rilascio dell’AIC. Gli altri criteri suindicati concorrono a perimetrare ed indirizzare il campo di valutazione incanalando il procedimento, fin dall’esordio, in modo virtuoso attraverso la selezione dei dati che, per il loro valore sintomatico, si dispiegano giustappunto in modo omogeneo nel senso di far emergere la portata terapeutica del singolo farmaco e le implicazioni rinvenienti dal suo impiego in termini di sicurezza.
7.3. E’, poi, evidente che all’interno della descritta cornice istruttoria il concreto giudizio di sovrapponibilità è rimesso alle valutazioni discrezionali dell’AIFA che dovrà darne conto attraverso l’esplicitazione delle ragioni che lo fondano e che, a loro volta, dovranno essere obiettivamente riscontrabili alla stregua dei dati evincibili dalla letteratura scientifica e, dunque, sulla scorta degli studi disponibili, che sono gli studi registrativi e quelli successivi sì da poter essere apprezzate come valutazioni “documentate” e “motivate”.
7.4. In definitiva, le doglianze veicolate dall’appellante non sono condivisibili in quanto appaiono, anzitutto, disancorate dal parametro normativo di riferimento che, come già sopra anticipato, non pone indicazioni vincolanti sui criteri selettivi da privilegiare e prima ancora nemmeno impone, come condizione pregiudiziale per l’esercizio delle competenze qui in rilievo, l’adozione di linee guida. Come già in passato evidenziato dalla giurisprudenza, non essendo tale condizione prevista da alcuna norma, “rientra nella discrezionalità tecnica dell’Agenzia del farmaco decidere di dettare o meno criteri aprioristici per l’individuazione di farmaci che possano essere ritenuti terapeuticamente equipollenti, pur avendo principi attivi differenti” (TAR Lazio, sez. III quater, 01/06/2016, n. 6419).
7.5. Inoltre, e sotto distinto profilo, le suindicate osservazioni censoree tradiscono lo sforzo di sovrapporre a quello confezionato da AIFA un proprio modello di riferimento, nemmeno compiutamente tracciato, che sembra voler implicare anche per la fase prettamente di giudizio la preventiva esplicitazione di parametri fissi e immutabili che, in modo cogente, valgano ad orientare l’Agenzia in ogni singola attività di verifica, prescindendo, dunque, dalle possibili variabili che si riconnettono alle combinazioni di farmaci oggetto di scrutinio.
Tale pretesa, però, non ha fondamento giuridico dal momento che, in assenza di vincoli rinvenienti dalla disciplina di settore, i parametri di scrutinio dell’azione amministrativa restano quelli di logicità e ragionevolezza ed il sistema procedurale qui in rilievo fondato sulle opzioni sopra tratteggiate non evidenzia affatto, in una necessaria valutazione di insieme, profili sintomatici di eccesso di potere.
E ciò in considerazione del fatto che la definizione di equivalenza terapeutica non corrisponde ad un’equazione unica e immutabile, replicabile nello stesso modo e in via durevole per qualsiasi gruppo di principi attivi, rivelandosi, piuttosto, una valutazione che va necessariamente modulata ed adattata a seconda delle combinazioni dei principi attivi presi in esame oltre che aggiornata nel tempo tenendo conto delle nuove evidenze scientifiche disponibili.
8. Né hanno miglior sorte le osservazioni censoree che l’appellante dedica a ciascuno dei criteri sopra richiamati e distintamente passati in rassegna.
9. In particolare, l’appellante contesta:
– il criterio n. 1 (essere dei principi attivi per i quali vi sia esperienza d’uso, intesa come periodo di rimborsabilità a carico del Servizio sanitario nazionale di almeno 12 mesi) muovendo dall’assunto secondo cui l’esperienza d’uso, intesa come periodo di rimborsabilità a carico del SSN, avrebbe dovuto essere ben maggiore di 12 mesi poiché tale periodo sarebbe insufficiente alla creazione di dati che possano consentire un valido confronto con prodotti in commercio, di converso, da molti anni;
– il criterio n. 4 (“possedere indicazioni terapeutiche principali sovrapponibili, anche per quanto riguarda le sottopopolazioni target”), non sarebbe accettabile ove si consideri che le condizioni di rimborso di un farmaco vengono negoziate con l’AIFA non solo con riguardo alle indicazioni principali ma per il complesso di indicazioni terapeutiche per le quali esso è autorizzato;
– l’utilizzo dell’avverbio “sostanzialmente” nel criterio n. 6 (“schema posologico che consenta di effettuare un intervento terapeutico di intensità e durata sostanzialmente sovrapponibili”), introdurrebbe un “margine di inaccettabile incertezza”. Il TAR, peraltro, non si sarebbe pronunciato su tale gruppo di censure;
9.1. Il criterio n. 2 (presentare prove di efficacia: – che derivano da studi che non consentono la dimostrazione di superiorità di un farmaco rispetto all’altro (ad esempio studi vs placebo), oppure – che derivano da studi testa a testa che non prevedono un’ipotesi di superiorità (ad esempio confronti attraverso studi di equivalenza o non inferiorità ) introdurrebbe, poi, un illegittimo meccanismo di definizione presuntiva della sussistenza di una potenziale equivalenza terapeutica tra tutti i principi attivi ascrivibili ad una determinata categoria terapeutica omogenea (con stessa ATC di IV livello) sollecitando le aziende, in tempi oltretutto troppo brevi, a fornire una prova contraria attraverso la presentazione di studi clinici che dimostrino la superiorità dell’efficacia terapeutica di un farmaco rispetto ad un altro. Tali studi, tra l’altro, non sarebbero pressoché mai in possesso delle aziende farmaceutiche, generando così un’inammissibile inversione dell’onere della prova. Anche qualora l’art. 15, comma 11 ter, del c.l. n. 95/2012 dovesse essere inteso, come statuito dal TAR, nella sua più ampia portata ed accezione, ciò non consentirebbe di ammettere un meccanismo di valutazione dell’equivalenza terapeutica di tipo presuntivo o totalmente affidato alla CTS salvo prova contraria. La valutazione, al contrario, dovrebbe fondarsi su una dimostrazione in positivo dell’equivalenza terapeutica.
9.2. Osserva al riguardo il Collegio che, contrariamente a quanto dedotto, non trova, anzitutto, riscontro l’eccepito vizio di omessa pronuncia avendo il TAR, in via di sintesi, scrutinato le censure di irragionevolezza dei criteri in contestazione, disattendendole cumulativamente mediante il rinvio ai principi giurisprudenziali che fissano i limiti di sindacato della discrezionalità tecnica. E sotto tale profilo l’approdo decisorio qui avversato riflette un’elevata capacità di resistenza rispetto alle censure in argomento atteso che l’eventuale margine di opinabilità della scelta compiuta dall’AIFA nel confezionare le regole generale di scrutinio non può di certo essere sostituito con le regole di giudizio altrettanto opinabili suggerite in via alternativa dell’appellante che, viceversa, in alcun modo prova la palese irragionevolezza o la manifesta illogicità dei criteri impugnati.
9.3. E, invero, resta affidata ad apodittiche ed indimostrate asserzioni, anzitutto, la critica sulla pretesa insufficienza del termine di osservazione minimo di 12 mesi dovendo, oltretutto, qui soggiungersi che le determine sulla rimborsabilità dei due farmaci, 780/2017 (G.U. 96 del 26.4.2017) per Ep., e 1612/2017 (GU 226 del 27.9.2017) per Mviret, sono ben più risalenti di guisa che il periodo di osservazione in concreto assicurato è quantomeno doppio rispetto a quello minimo previsto.
9.4. Nemmeno, poi, è dato comprendere, quanto al criterio n. 4, come la negoziazione sul prezzo, asseritamente influenzata anche dalle indicazioni terapeutiche secondarie, possa ovvero debba orientare un giudizio di equivalenza terapeutica che si incentra su parametri esclusivamente di rilievo tecnico.
9.5. Parimenti, immune dalle doglianze formulate si rivela il criterio 6 rispetto al quale l’avverbio “sostanzialmente” vale ad introdurre margini di necessaria elasticità nella stima della posologia del singolo farmaco, consentendo di ancorare, sotto tale profilo, il giudizio di sovrapponibilità alle effettive implicazioni di ordine clinico che possono variare in relazione alle diverse coppie di farmaci posti a confronto. Non può, invero, essere obliato che vengono in rilievo prodotti con principio attivo diverso e che, dunque, possono avere meccanismi di azione anche diversi essendo giustappunto compito dell’AIFA verificare se la variabilità di tali profili influisce in maniera apprezzabile sulla sicurezza o sull’efficacia, distintamente per ciascuna indicazione terapeutica, nel caso in cui il prodotto di riferimento ne presenti più d’una.
9.6. Infine, condivisibili si rivelano i rilievi svolti dal TAR rispetto al criterio n. 2 sulla tipologia di prove che consentono di suffragare il giudizio di equivalenza.
Sul punto, con perspicue argomentazioni il giudice di prime cure, muovendo da una corretta esegesi dell’art. 15, comma 11-ter, del decreto-legge n. 95 del 2012 nella parte in cui, ai fini dell’equivalenza terapeutica, fa riferimento a “documentate valutazioni” dell’AIFA, ha correttamente respinto le suggestioni attoree che accreditavano come esclusiva metodica euristica quella fondata su studi in positivo ossia “testa a testa”.
E, invero, come evidenziato dal TAR, “la norma non opera riferimenti a particolari “documenti… ma soltanto a “documentate valutazioni”. Termine questo che va inteso nella sua più ampia portata ed accezione”.
Né può ritenersi condivisibile il rilievo critico che parte appellante trae da siffatto principio nel senso che, così strutturato, il giudizio di equivalenza terapeutica finirebbe per essere affidato ad un astratto meccanismo di definizione presuntiva suscettivo di essere sovvertito solo nel caso di allegazione di una prova contraria, oltretutto particolarmente gravosa per le aziende siccome incentrata sulla produzione di studi di superiorità non necessari ai fini del rilascio dell’AIC e da acquisire in un lasso temporale eccessivamente esiguo.
Tale però non è il significato evincibile dalla disposizione qui in rilievo che affida l’equivalenza terapeutica, in linea con la normativa primaria di riferimento, a percorsi di verificabilità documentale e clinica non predeterminati ab origine che consentano di cogliere, sotto qualsiasi aspetto si mostri, diretto o indiretto, l’eventuale raggiungimento del medesimo risultato della piena sostituibilità terapeutica.
All’interno di siffatto contesto non trova, dunque, riscontro la chiave di lettura suggerita dall’abile difesa dell’appellante secondo cui il giudizio di equivalenza, in contrasto con il disposto del più volte citato art. 15 comma 11 ter, si fonderebbe, per come congegnato dalle linee guida AIFA, su una base esclusivamente presuntiva.
In altri termini, il giudizio di equivalenza tratteggiato nelle divisate linee guisa viene rimesso ad una valutazione quanto più completa possibile che va condotta alla luce dei dati scientifici disponibili e che risultino maggiormente affidabili e, dunque, in un quadro di sufficiente concludenza dimostrativa, potendo tale risultato probatorio essere desunto, in mancanza di prove di verifica incentrate sulla diretta e specifica comparazione dei farmaci in rilievo, anche da un confronto solo indiretto che, per quanto meno appagante, può in ogni caso generare, in linea con i canoni generali che, in ogni ambito dell’ordinamento, governano la formazione della prova, un risultato probatorio apprezzabile.
È, dunque, all’interno della descritta cornice, qualificata dall’esistenza di una congruente base documentale sulle caratteristiche e le potenzialità dei farmaci e dalla mancanza di documentazione idonea ad escludere un rapporto di equivalenza, che si innesta la facoltà delle aziende di allegazione della prova contraria secondo una metodica, peraltro, non nuova all’interno dello stesso ordinamento settoriale (cfr. ad esempio articolo 10 comma 5 lettera b) del D. Lgs. 24/04/2006, n. 219 circa l’incidenza della componente sali sul principio attivo della singola molecola sotto il profilo dell’efficacia terapeutica e della sicurezza).
Né può ritenersi che tale giudizio finisca con replicare quello relativo al rilascio dell’AIC dal momento che, in disparte la valutazione bilaterale che connota il giudizio di equivalenza rispetto al primo, nell’apprezzamento qui in rilievo l’AIFA si avvale anche di elementi conoscitivi ulteriori e successivi, mutuati pertanto (oltre che dagli studi registrativi) anche dall’esperienza applicativa dei farmaci in comparazione che restano oggetto di monitoraggio e di indagini (ad es: la richiesta della Regione richiama anche le schede di monitoraggio predisposte da AIFA, il documento dell’AISF per l’uso razionale dei farmaci anti – HCV aggiornato al 20.6.2018, oltre alle evidenze disponibili in letteratura).
10. Sotto distinto profilo, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui non ha affermato l’illegittimità della mancata differenziazione tra farmaci in patent e off patent. Ad avviso della ricorrente è vero, come affermato dal TAR, che non vi sono disposizioni normative che impongono una tale differenziazione, nondimeno l’AIFA avrebbe dovuto tenere presente che le valutazioni di equivalenza di farmaci in patent (con quelli off patent) risultano contrarie alle finalità di tutela della proprietà industriale e dell’attività di ricerca e sviluppo che lo strumento della tutela brevettuale e l’ordinamento in generale intendono apprestare nei riguardi di questa tipologia di prodotti. Oltretutto, la centralità del sistema della negoziazione a livello centrale del prezzo di cessione SSN dei nuovi farmaci verrebbe irrimediabilmente lesa per effetto della scelta di ammettere alla valutazione farmaci che siano in commercio da appena dodici mesi. L’AIFA, inoltre, avrebbe dovuto tenere in considerazione anche quanto stabilito dall’art. 11, comma 1, del d.l. n. 158/2012 che, ai fini dell’identificazione dei raggruppamenti di medicinali terapeuticamente assimilabili, ha separato i medicinali off patent da quelli in patent. Sarebbe poi erroneo il riferimento operato dal TAR alla delibera CIPE n. 3 del 1 febbraio 2021, poiché se il brevetto sul principio attivo è ancora attivo, invece, i lotti che vengono normalmente banditi dalle stazioni appaltanti sono necessariamente lotti c.d. in esclusiva, ferma restando la possibilità per gli enti del SSN da un lato e per le aziende dall’altro di richiedere/concedere sconti sul prezzo ex factory contrattato con AIFA.
11. Ritiene il Collegio che nemmeno tale censura abbia pregio. Occorre, in apice rilevare, che la formulazione della doglianza in argomento è rimasta irritualmente confinata ad uno stadio evidentemente astratto siccome calibrato solo sulle linee guida senza cioè tener conto della specifica condizione dei farmaci qui in rilievo, non essendo nemmeno chiarito se sussistano, poi, in concreto, eventuali differenze nel regime che attualmente segna i suddetti farmaci, che ben potrebbero essere soggetti, entrambi, a tutela brevettuale ovvero qualificati come innovativi (in tal senso cfr. relazione istruttoria di AIFA da cui si evince che entrambi i farmaci sono inseriti nell’elenco dei farmaci innovativi).
11.1. Deve, comunque, rilevarsi, in aggiunta, e per i profili di merito, come la disciplina di settore rimetta all’AIFA un giudizio di equivalenza terapeutica evocando, dunque, una valutazione di tipo tecnico rispetto alla quale si rivelano evidentemente eccentriche le considerazioni che impingono in questioni di ordine giuridico ed economico come quelle che evocano il diverso regime tra medicinali off patent e in patent.
11.2. D’altro canto, sotto diverso profilo, non trova adeguata smentita il rilievo del giudice di prime cure nella parte in cui evidenzia che, agli specifici fini qui in rilievo, non risulta allegata nessuna disposizione secondo cui prodotti brevettati, qualora tutti potenzialmente idonei a soddisfare determinate esigenze della PA, non possano anche tra di loro concorrere affinché la stessa amministrazione possa scegliere quello che garantisca il miglior rapporto tra qualità e prezzo.
Per le medesime ragioni non assume rilievo il carattere di innovatività riconosciuto al farmaco ai sensi dell’art. 1, commi 402, 403, e 404, l. n. 232/2016 e s.m.i.
La normativa di settore non prevede, infatti, l’impossibilità di sottoporre i farmaci suddetti a procedure valutative e competitive quali quelle di specie.
A tali rilievi, occorre soggiungere che, come correttamente opposto già nelle controdeduzioni rassegnata dalla CTS, il “parere in merito alla equivalenza terapeutica è basato esclusivamente su una valutazione di tipo tecnico-scientifico. Eventuali considerazioni in merito all’applicabilità dei meccanismi di gara prima dello scadere del carattere di innovatività dei farmaci considerati non rientrano, pertanto, nelle competenze della Commissione”.
Inoltre, e per quanto concerne i farmaci in comparazione, nemmeno può essere obliato il fatto che il regime di riferimento è omogeneo in quanto entrambi sono inseriti nell’elenco dei farmaci innovativi, come da relazione istruttoria AIFA.
11. L’erroneità della sentenza gravata viene, altresì, dedotta nella parte in cui non ha riconosciuto la violazione dei principi di trasparenza e di partecipazione al procedimento di cui agli artt. 7 e ss. della legge n. 241/1990.
Il TAR ha opposto che le imprese farmaceutiche, ai sensi del paragrafo 2.2. delle gravate Linee Guida, vengono invece adeguatamente e puntualmente coinvolte nel procedimento di equivalenza terapeutica. Tale coinvolgimento avviene tra l’altro in un momento ottimale per le stesse imprese, quello ossia che segue le preliminari valutazioni della competente commissione AIFA circa l’ipotizzata l’equivalenza, dunque in una fase in cui le stesse aziende hanno la possibilità di spiegare al meglio il proprio apporto partecipativo. E ciò dal momento che potranno formulare le proprie osservazioni “a ragion veduta”, ossia sulla base di un documento che, seppure orientato al riconoscimento della equivalenza (parere preliminare), comunque non è tale da pregiudicare gli esiti del procedimento stesso (e tanto proprio per gli apporti che il privato riterrà di fornire).
11.1. Sostiene, di contro, l’appellante che, a differenza di quanto affermato dal TAR, il momento in cui è previsto il coinvolgimento delle aziende non sarebbe affatto ottimale poiché le stesse sono poste di fronte ad un parere preliminare di equivalenza già formato sulla base di criteri ignoti ed entro trenta giorni dovrebbero produrre studi idonei a dimostrare la superiorità del proprio farmaco rispetto a quello con cui viene confrontato. Tali studi, ad avviso della ricorrente, non esistono mai e, dunque, il contributo partecipativo delle aziende non sarebbe né utile né effettivo.
11.2. Osserva al riguardo il Collegio che la delibera n. 818/2018 prevede espressamente che il parere preliminare di equivalenza venga pubblicato in un’apposita sezione del sito istituzionale dell’AIFA per consentire alle aziende farmaceutiche interessate di presentare, entro 30 giorni dalla sua pubblicazione, eventuali studi non considerati in fase di istruttoria e che, a loro giudizio, potrebbero modificare la conclusione di equivalenza terapeutica. Le Linee Guida garantiscono, pertanto, la trasparenza e la conoscibilità del procedimento nei confronti delle aziende farmaceutiche interessate.
E’ pur vero che la partecipazione delle Aziende risulta differita ad un momento successivo rispetto a quello della formale apertura del procedimento, ciò nondimeno tale profilo di distonia rispetto al modello ordinario di cui alla legge n. 241/1990 non può generare gli effetti invalidanti qui rivendicati dall’appellante.
Va, infatti, rilevato come nell’economia della disciplina di settore non risulta replicato il modello ordinario di procedimento, limitandosi il più volte citato comma 11-ter dell’art. 15, d.l. n. 95 del 2012 a prevedere che “Nell’adottare eventuali decisioni basate sull’equivalenza terapeutica fra medicinali contenenti differenti princì pi attivi, le regioni si attengono alle motivate e documentate valutazioni espresse dall’Agenzia italiana del farmaco.”
Ne discende che, alla stregua della richiamata disposizione, cui si riconnette la dignità giuridica di norma speciale, AIFA non poteva dirsi tenuta ad aprire una fase partecipativa prima di far esprimere sul punto la Commissione tecnico-scientifica (arg. ex Cons. St., Sez. III, 11 luglio 2019 n. 4881).
11.3. D’altro canto, nemmeno può essere qui trascurato che la suddetta impostazione, come peraltro efficacemente evidenziato dal TAR, non appare illogica né irrazionale in quanto correla l’esigenza del confronto dialettico al momento in cui la richiesta della Regione, avendo superato un vaglio di procedibilità e ammissibilità, rende attuale e utile l’esigenza di un coinvolgimento dei soggetti controinteressati sì da circoscrivere in modo proficuo e costruttivo, rispetto ad uno stadio più avanzato e concreto, l’apporto collaborativo che le aziende interessate possono eventualmente arrecare rispetto alla decisione finale.
Quanto, poi, alla indisponibilità di studi di superiorità siccome non necessari ai fini dell’acquisizione dell’AIC è di tutta evidenza che si tratta di implicazioni che afferiscono a valutazioni di convenienza che le aziende di settore ben possono governare attraverso una revisione delle proprie scelte di politica organizzativa.
11.4. Infine, nemmeno può essere obliato, anticipando qui le valutazioni riferite ai rilievi censorei che involgono il concreto sviluppo del procedimento seguito nel giudizio di equivalenza avente ad oggetto il farmaco prodotto dall’appellante, che la valenza della censura in argomento risulta in ogni caso neutralizzata dal disposto di cui all’art. 21 octies della legge n. 241/1990 dal momento che, in mancanza di elementi di segno contrario, non prodotti in giudizio, la mancata comunicazione di avvio del procedimento non ha comunque leso la posizione giuridica soggettiva dell’appellante che, a seguito della pubblicazione del parere preliminare di equivalenza, ha avuto modo di presentare all’AIFA un’articolata serie di argomentazioni, senza peraltro qui evidenziare in che modo la tardiva conoscenza del procedimento abbia negativamente inciso sulle controdeduzioni rassegnate, di guisa che, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990, la violazione dell’art. 7 della l. 241, ove pure fosse ritenuto applicabile, non costituirebbe motivo di annullamento dell’atto (Cons. St., Sez. III, 11 luglio 2019 n. 4881). Tanto più che le controdeduzioni dell’azienda appellante sono state tutte prese in considerazione indipendentemente dai limiti previsti dalle qui avversate linee guida (nel parere finale si evidenzia, invero, che La CTS, pur rilevando che le controdeduzioni delle aziende riguardavano anche ambiti non previsti nella determina sull’equivalenza terapeutica (che prevede che le aziende possano solo inviare eventuali studi non considerati in fase istruttoria) condivide pienamente la valutazione predisposta dagli Uffici AIFA, ritenendo che essa chiarisca adeguatamente tutti gli elementi tecnici che sono stati alla base della decisione della Commissione e che non risultano essere stati superati dalle obiezioni delle aziende).
12. Con un distinto gruppo di censure l’appellante orienta la propria contestazione verso il capo della decisione di primo grado riferito al parere di equivalenza terapeutica tra i medicinali Ep. e Ma..
Ad avviso dell’appellante, la CTS, anzitutto, non avrebbe assolto al compito istituzionale, ad essa assegnato dalla delibera n. 818/2018, di “valutare le richieste pervenute sulla base di una relazione documentata che contenga tutti gli elementi sopra previsti, applicando il metodo dell’equivalenza terapeutica”. La CTS, infatti, si sarebbe limitata a recepire le conclusioni del documento predisposto dall’ufficio HTA, organo quest’ultimo incompetente a procedere autonomamente all’attività di valutazione. Tale documento, peraltro, segnalerebbe delle rilevanti differenze tra i due medicinali su cui la CTS avrebbe dovuto prendere posizione effettuando una valutazione autonoma. In secondo luogo, l’appellante lamenta che nel parere rassegnato non si comprenderebbe il motivo per cui Ep. e Ma. mostrerebbero un profilo rischio-beneficio sovrapponibile riferito all’uso prevalente.
12.1 La censura non ha pregio. L’ufficio HTA, quale organo ausiliario della CTS, ha confezionato un documento contenente un riepi dei dati acquisiti nel corso dell’istruttoria svolta e, sulla scorta di essi, le ragioni di convidisibilità, alla luce di tutti gli elementi considerati, delle conclusioni cui era giunta la Regione in sede di richiesta di parere.
E’ pur vero che il documento predisposto dall’ufficio HTA evidenzia alcune differenze tra i farmaci Ep. e Ma., ma è altrettanto vero che tali differenze, in assenza di studi comparativi, sono state ritenute superabili sia in fase istruttoria sia nella valutazione finale svolta dalla CTS.
Come correttamente evidenziato dal TAR, nulla vieta alla CTS di aderire a posizioni espresse da organismi interni alla medesima amministrazione attraverso la motivazione per relationem quale tecnica semplificata di redazione di un giudizio comunque espresso, in via definitiva e conformemente alla normativa, dalla CTS e non dall’ufficio HTA.
Né peraltro risultano convincenti i rilievi concernenti la compiutezza espositiva delle ragioni che reggono il parere di equivalenza rassegnato rimarcandosi in esso, con sufficiente chiarezza, che le pur rilevate differenze di posologia e di durata di trattamento non consentano di evidenziare, sulla scorta delle evidenze di letteratura disponibili, significative differenze in termini di efficacia terapeutica ovvero di sicurezza che inducano ad enucleare vantaggi clinicamente significativi per escludere l’affermata equivalenza.
13. L’appellante lamenta, poi, l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui non ha riconosciuto che la valutazione di equivalenza terapeutica tra Ep. e Ma. non poteva neppure essere avviata per la mancanza di tre dei sei requisiti di ammissibilità previsti dalla delibera n. 818/2018.
In particolare, non risulterebbero soddisfatti:
– anzitutto, il requisito n. 2; assume, invero, l’appellante che la mancanza di studi in grado di dimostrare la superiorità di uno dei due farmaci in questione rispetto all’altro non consentirebbe nemmeno di escluderla dovendo semplicemente prendersi atto del fatto che non esiste materiale scientifico per effettuare una valutazione di equivalenza terapeutica;
– il requisito n. 4, dal momento che Ep. è indicato per il “trattamento dell’infezione da virus dell’epatite C cronica (HCV) negli adulti”, mentre Ma. è indicato per il “trattamento dell’infezione da virus dell’epatite C cronica (HCV) negli adulti e negli adolescenti di età compresa tra 12 e < 18 anni”. Ad avviso dell’appellante, la circostanza per cui la richiesta della Regione Veneto riguarderebbe la sola popolazione adulta non rileverebbe in alcun modo, poiché l’esplicito richiamo che il requisito n. 4 opera alla “sezione 4.1 dell’RCP” avrebbe “proprio l’obiettivo di evitare che la valutazione di equivalenza possa essere “parcellizzata”, ossia riferita solo ad alcune delle indicazioni approvate”. L’oggettiva differenza di indicazioni terapeutiche esistente tra i due farmaci non potrebbe essere neppure superata dall’argomento, ripreso nella sentenza gravata, per cui l’area di sovrapponibilità, per l’utilizzo in equivalenza dei medicinali in questione, sarebbe stata limitata dalla richiesta della Regione Veneto al 60% del fabbisogno. Inoltre, le indicazioni terapeutiche dei farmaci in comparazione non sarebbero sovrapponibili neppure rispetto alle sotto-popolazioni target;
– il requisito n. 6, dal momento che il trattamento con Ep. richiede l’assunzione, anche senza cibo, di una sola compressa per via orale una volta al giorno, mentre la terapia con Ma., invece, richiede l’assunzione, necessariamente con del cibo, di tre compresse per via orale una volta al giorno. Inoltre, Ep. prevede una durata di trattamento fissa di 12 settimane, indipendentemente dalla popolazione di pazienti trattata, mentre la terapia con Ma. varia, invece, da 8 a 12 a 16 settimane a seconda della popolazione di pazienti, del genotipo, della presenza di cirrosi e di eventuali precedenti trattamenti.
13.1. Tanto premesso, e quanto alla censura secondo cui non risulterebbe soddisfatto il requisito n. 2, deve qui ribadirsi come tale censura involge, in apice, la selezione dei metodi di accertamento e, quindi, costituisce una diretta derivazione dei rilievi già sopra passati in rassegna in occasione dello scrutinio di legittimità delle linee guida di guisa che giova qui rinviare alle considerazioni sopra svolte sulla congruenza logica dell’ampio ventaglio di prove ritenute all’uopo utilizzabili.
E’ sufficiente qui soggiungere che la valorizzata concludenza dimostrativa degli studi ad oggi disponibili – e che comunque evidenziano plurimi riferimenti bibliografici ai quali si sommano i dati già in possesso di AIFA – all’insegna della ravvisata equivalenza terapeutica non trova adeguata smentita ad oggi da elementi di segno contrario, di talché tale conclusione non è suscettiva di confutazione.
13.2. Rispetto alla censura secondo cui non risulterebbe soddisfatto il requisito n. 4, il Collegio ritiene non appagante la metodica privilegiata dall’appellante che risulta riduttivamente incentrata sulla lettura del dato astratto compendiato al paragrafo 4.1. del RCP che, per il farmaco Ma., contempla nella platea dei soggetti destinatari, ed a differenza di Ep., anche gli adolescenti di età compresa tra i 12 ed i 18 anni. Di contro, ed avuto riguardo alle finalità per cui risulta qui promosso il giudizio di equivalenza terapeutica, deve ritenersi del tutto coerente l’approccio seguito dall’Agenzia che ha assegnato rilievo dirimente, tra l’altro, al perimetro soggettivo che segna i contenuti della richiesta avanzata dalla Regione Veneto orientata per un uso ristretto alla sola popolazione adulta.
13.3. E lo stesso è a dirsi rispetto ai rilievi che involgono le sotto – popolazioni target: la circostanza per cui le indicazioni terapeutiche dei due medicinali non sono sovrapponibili rispetto alle sotto-popolazioni target, non impedisce in alcun modo la valutazione di equivalenza poiché tali sotto-popolazioni sono state opportunamente escluse dalla richiesta presentata dalla Regione Veneto. Del resto, non si vede perché debbano tenersi in considerazione dati che non sono oggetto della richiesta di valutazione di equivalenza che, avendo ad oggetto medicinali aventi differenti principi attivi, è del tutto normale che si orienti verso quella parte di popolazione per cui si ritiene possibile una valutazione positiva circa la pari efficacia e la pari sicurezza dei due medicinali.
13.4. Quanto alla censura secondo cui non risulterebbe soddisfatto il requisito n. 6, si sottolinea che le differenze censurate dall’appellante in ordine all’intensità e alla durata del trattamento terapeutico dei due farmaci sono state opportunamente segnalate nel documento dell’ufficio HTA sulla scorta di ampia ed articolata motivazione e poi discusse dalla CTS. La CTS ha, invero, ritenuto che le divisate differenze non fossero rilevanti poiché, sulla base delle evidenze disponibili, risultano ottimi livelli di risposta al trattamento per entrambi i farmaci. D’altro canto, anche rispetto al profilo dell’aderenza nemmeno può trascurarsi che allo scarto temporale che segna la durata della terapia si accompagna l’utilizzo di un maggior numero di compresse.
Allo stesso modo, quanto alla differenza di intensità la CTS ha ritenuto che non fosse rilevante data la mancanza di studi che dimostrino un vantaggio in termini di aderenza al trattamento di un medicinale rispetto all’altro. Si tratta, in ogni caso, di valutazioni tecnico discrezionale che restano censurabili nell’ambito della giurisdizione di legittimità solo per vizi macroscopici di illogicità e irragionevolezza, travisamento o errori di fatto, inadeguatezza dell’istruttoria e valutazioni abnormi che la rendono inattendibile (cfr. Cons. St., Sez. III, 11 luglio 2019 n. 4881 e giurisprudenza ivi citata per ipotesi di valutazioni tecnico discrezionali, cfr. Consiglio di Stato sez. V, 01/03/2019, n. 1439; Sez. III, 17/12/2018, n. 7102), evenienze qui non in rilievo. Più nello specifico, è ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui quando l’Amministrazione non applica scienze esatte che conducono ad un risultato certo ed univoco, ma formula un giudizio tecnico connotato da un fisiologico margine di opinabilità, per sconfessare quest’ultimo non è sufficiente evidenziare la mera non condivisibilità del giudizio, dovendosi piuttosto dimostrare la sua palese inattendibilità e l’evidente sua insostenibilità, con la conseguenza che, ove non emergano travisamenti, pretestuosità o irrazionalità, ma solo margini di fisiologica opinabilità e non condivisibilità della valutazione tecnico-discrezionale operata dalla Pubblica amministrazione, il giudice amministrativo non può sovrapporre alla valutazione opinabile del competente organo della stessa la propria. Difatti, l’impostazione contraria condurrebbe, come preteso dall’odierno ricorrente, alla sostituzione di un giudizio opinabile (quello dell’amministrazione) con uno altrettanto opinabile (quello espresso dalla difesa del ricorrente), assumendo così un potere che la legge riserva all’Amministrazione e quanto più ampio è lo spazio di incertezza ed opinabilità delle soluzioni compatibili con le regole astratte delle scienze applicabili, tanto minore è il sindacato di cui dispone il giudice amministrativo e il suo conseguente potere di annullamento.
13.5. D’altro canto le esigenze di una personalizzazione delle cure, legata ad una pluralità di variabili cui fa riferimento l’appellante – meccanismo di azione, situazioni di comorbilità ed interazione tra farmaci, popolazioni speciali e connesse implicazioni in termini di aderenza, possibilità di un approccio “test and treat”, frammentabilità delle compresse – comunque legate ad evenienze ipotetiche risultano considerate ed assorbite nella previsione di una soglia ribassata al 60 % del fabbisogno da porre a base di gara di guisa che viene assicurato un ampio margine per garantire un trattamento adeguato non solo delle situazioni che sfuggano già in partenza al giudizio di equivalenza ma anche rispetto a quelle che la libertà prescrittiva del medico ritenga opportuno trattare con un farmaco specifico.
Nè vi sono elementi per smentire l’affidabilità delle proiezioni di stima che sono state sviluppate dalla Regione avvalendosi di un gruppo multidisciplinare composto anche da clinici prescrittori e recepite da AIFA sulla scorta di una lettura critica ed articolata che ha tenuto conto degli stessi studi offerti dall’appellante.
Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, l’appello va respinto.
Ciò nondimeno, la complessità e novità delle questioni scrutinate giustificano la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 8 aprile 2021 con l’intervento dei magistrati:
Franco Frattini – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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