I provvedimenti di demolizione sono atti vincolati

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 23 luglio 2020, n. 4704.

La massima estrapolata:

I provvedimenti di demolizione sono atti vincolati il cui presupposto è costituito esclusivamente dalla realizzazione di opere in assenza del titolo edilizio; per la adozione di tali atti non è richiesta, quindi, una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla demolizione, in quanto, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’amministrazione ha il dovere di adottare il provvedimento, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore.

Sentenza 23 luglio 2020, n. 4704

Data udienza 16 giugno 2020

Tag – parola chiave: Abusi edilizi – Assenza di permesso di costruire – Destinazione agricola – Area sottoposta a vincolo paesaggistico – Vincolo inedificabilità PUTT – Ordinanza di demolizione e ripristino – Acquisizione al patrimonio comunale – Illegittimità – Insussistente presupposto della volontaria inottemperanza dell’obbligo di demolizione – Per sequestro preventivo

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6079 del 2010, proposto dalla
signora -OMISSIS-, rappresentata e difesa dagli avvocati Lu. Ma. Pr., An. Er. Re., con domicilio eletto presso l’avv. An. Ma. in Roma, via (…);
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Vi. Vi., con domicilio eletto presso l’avv. An. Va. in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce Sezione Terza n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente l’impugnativa del provvedimento del Comune di -OMISSIS-di demolizione delle opere abusive e ripristino stato dei luoghi e dell’atto di acquisizione al patrimonio comunale del 3 luglio 2008.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza telematica del giorno 16 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84 commi 5 e 6 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il Cons. Cecilia Altavista;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

A seguito di un accertamento della Guardia di finanza, -OMISSIS-, il -OMISSIS-con ordinanza del 17 gennaio 2008 disponeva la sospensione dei lavori e con provvedimento del 19 febbraio 2008 ordinava alla signora -OMISSIS- la demolizione di un manufatto di circa 120 metri quadri e una soprastante struttura di circa 33 metri quadri realizzati in assenza di permesso di costruire, su terreno di sua proprietà in località -OMISSIS-in zona del Piano regolatore generale E 6 a destinazione agricola, in area sottoposta a vincolo paesaggistico e a vincolo inedificabilità in base al Piano urbanistico territoriale tematico (PUTT)- paesaggio.
Avverso tale provvedimento è stato proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione di Lecce, formulando varie censure di violazione di legge, in relazione agli artt. 3 e 7 della legge n. 241 del 1990, per difetto di motivazione e per la mancata comunicazione di avvio del procedimento; di eccesso di potere per difetto di istruttoria e falsa ed erronea presupposizione in fatto ed in diritto, deducendo che l’opera era ormai stata completata e che il Comune non avrebbe considerato la completa urbanizzazione dell’area, che la destinazione agricola avrebbe consentito l’edificabilità a servizio della agricoltura e che comunque in base al PRG adottato l’area sarebbe stata inserita in zona B25 – turistico residenziale di completamento soggetta a piano di recupero.
Nel frattempo con decreto del -OMISSIS-era stato disposto il sequestro preventivo dell’immobile; tale provvedimento è stato impugnato dalla signora -OMISSIS- alla sezione del riesame del Tribunale di Lecce che ha respinto il ricorso con ordinanza del 27 marzo 2008 permanendo i presupposti cautelari.
Successivamente, l’11 giugno 2008 la Polizia municipale accertava l’inottemperanza all’ordine di demolizione e il Dirigente del servizio politiche territoriali con atto del 3 luglio 2008 disponeva l’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile, della relativa area di sedime e dell’area ulteriore con acquisizione della intera particella catastale n. -OMISSIS-
Avverso l’atto di acquisizione sono stati proposti motivi aggiunti con censure di illegittimità derivata dal provvedimento di demolizione, nonché di violazione di legge ed eccesso di potere per mancanza dei presupposti, sostenendo l’impossibilità dell’adempimento all’ordine di demolizione, essendo l’immobile sottoposto a sequestro penale.
Con ordinanza cautelare n. -OMISSIS-il Tribunale amministrativo regionale respingeva la domanda cautelare di sospensione dei provvedimenti impugnati.
Avverso l’ordinanza è stato proposto appello cautelare accolto dal Consiglio di Stato con ordinanza n. -OMISSIS-, in cui ha ritenuto non sussistente il presupposto della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione nei successivi novanta giorni, essendo l’immobile in tale periodo sottoposto a sequestro.
Con la sentenza di primo grado è stato respinto il ricorso avverso l’ordine di demolizione escludendo la sussistenza dei lamentati vizi di difetto di istruttoria, di motivazione e della mancata comunicazione di avvio del procedimento, in relazione alla natura vincolata dell’ordine di demolizione in presenza del presupposto costituito dalla realizzazione del manufatto in assenza del titolo edilizio; sono stati respinti i motivi aggiunti per la irrilevanza del provvedimento di sequestro penale ai fini dell’inottemperanza all’ordine di demolizione, affermando altresì che la parte ricorrente non si sarebbe attivata per il dissequestro dell’immobile.
Con l’atto di appello sono state riproposte le censure del ricorso di primo grado, contestando con il primo motivo la sentenza di primo grado nella parte in cui ha affermato che la ricorrente non si sarebbe attivata per il dissequestro dell’immobile, avendo invece la stessa proposto ricorso al Tribunale del riesame respinto con ordinanza n. -OMISSIS-; inoltre, la parte appellante ha dedotto che lo stesso Tribunale amministrativo per analoga vicenda aveva deciso in pari data in senso opposto accogliendo la domanda di sospensione cautelare con ordinanza n. -OMISSIS-(peraltro il giudizio si è concluso con la sentenza di reiezione n. -OMISSIS-avverso cui non risulta proposto appello); sono state poi riproposte le censure del ricorso di primo grado relative al difetto di motivazione e di istruttoria del provvedimento di demolizione e alla mancata comunicazione di avvio del procedimento, in particolare sostenendo che l’immobile era stato completato da tempo e che quindi si sarebbe ingenerato un affidamento nel privato di cui l’Amministrazione avrebbe dovuto tenere conto nella motivazione; inoltre le deduzioni relative alla destinazione dell’area nel PRG adottato non erano state valutate dal giudice di primo grado ai fini dell’esame della censura del difetto di istruttoria.
Il Comune di (omissis) si è costituito in giudizio contestando la fondatezza dell’appello.
All’udienza telematica del giorno 16 giugno 2020, tenuta ai sensi dell’art. 84 commi 5 e 6 del d.l. 17 marzo 2020 n. 18, conv. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27, il giudizio è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il presente appello è stata impugnata la sentenza di primo grado sia nel capo relativo al provvedimento di demolizione oggetto del ricorso di prime cure che per il capo relativo alla reiezione dei motivi aggiunti avverso l’atto di acquisizione.
Con riferimento al provvedimento di demolizione sono stati riproposti i motivi del ricorso di primo grado relativi alla mancata comunicazione di avvio del procedimento nonché al difetto di istruttoria e di motivazione. Sostiene l’appellante che l’Amministrazione non avrebbe valutato né la circostanza che l’immobile fosse stato già completamente edificato e rifinito da tempo né che l’area fosse già completamente urbanizzata; inoltre che la destinazione agricola avrebbe consentito l’edificabilità a servizio della agricoltura e che comunque in base al PRG adottato l’area sarebbe stata inserita in zona B25 – turistico residenziale di completamento soggetta a piano di recupero, consentendo quindi l’edificabilità .
I motivi di appello proposti avverso l’ordine di demolizione sono infondati e in parte qua la sentenza impugnata deve essere confermata.
Ritiene il Collegio di richiamare la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, per cui i provvedimenti di demolizione sono atti vincolati il cui presupposto è costituito esclusivamente dalla realizzazione di opere in assenza del titolo edilizio; per la adozione di tali atti non è richiesta, quindi, una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla demolizione, in quanto, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’amministrazione ha il dovere di adottare il provvedimento, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore (Consiglio di Stato Sez. VI, 30 aprile 2019, n. 2821; n. 2822; id., 24 aprile 2019, n. 2627; id., 15 aprile 2019, n. 2438); né rileva, sotto tale profilo, l’eventuale decorso del termine dalla commissione dell’abuso, in quanto “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso” (Adunanza Plenaria, 17 settembre 2017, n. 9; cfr. altresì Sez. VI, 30 ottobre 2018, n. 6176).
Nel caso di specie, dal provvedimento di demolizione impugnato in primo grado risulta sia la consistenza dell’opera abusiva sia la circostanza che è stata realizzata in assenza di permesso di costruire con evidente sufficiente della motivazione sulla base dei consolidati principi giurisprudenziali sopra richiamati, né la parte appellante ha contestato la natura abusiva dell’immobile pacificamente realizzato in assenza di titolo edilizio.
Del tutto irrilevanti rispetto alla legittimità dell’ordine di demolizione sono, infatti, le argomentazioni difensive relative alla destinazione dell’area, che potrebbero astrattamente rilevare in sede di esame della domanda di sanatoria, mentre in concreto comunque non consentivano neppure l’edificabilità .
Con riferimento alla lamentata violazione dell’art. 7 delle legge n. 241 del 1990, è altresì consolidato l’orientamento giurisprudenziale, anche della Sezione, nel senso che il provvedimento di demolizione, avendo natura vincolata, non debba essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, non essendo prevista la possibilità per l’amministrazione di effettuare valutazioni di interesse pubblico relative alla conservazione del bene (Cons. Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1281; Sez. II, 29 luglio 2019, n. 5317).
Poiché l’ordine di demolizione conseguente all’accertamento della natura abusiva delle opere edilizie, come tutti i provvedimenti sanzionatori edilizi, è un atto dovuto, non deve essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di una misura sanzionatoria per l’accertamento dell’inosservanza di disposizioni urbanistiche secondo un procedimento di natura vincolata precisamente tipizzato dal legislatore e rigidamente disciplinato dalla legge per reprimere un abuso edilizio; inoltre, il presupposto di fatto del provvedimento di demolizione, ossia l’abuso, costituisce un elemento di cui il ricorrente deve essere ragionevolmente a conoscenza, rientrando nella propria sfera di controllo (Consiglio di Stato, sez. VI, 5 giugno 2017, n. 2681; id., 25 febbraio 2019, n. 1281; Sez. II, 26 giugno 2019, n. 4386).
La natura vincolata del provvedimento di demolizione comporta, in ogni caso, l’applicazione anche dell’art. 21 octies, secondo comma, prima parte, della legge n. 241 del 1990, per cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato” (Cons. Stato Sez. II, 23 gennaio 2020, n. 561).
Ritiene il Collegio, invece, la fondatezza del motivo di appello proposto avverso il capo di sentenza che ha respinto i motivi aggiunti avverso l’atto di acquisizione al patrimonio comunale dell’immobile abusivo e della intera particella -OMISSIS-
La difesa appellante sostiene l’illegittimità di tale atto in quanto l’ottemperanza all’ordine di demolizione nei novanta giorni dalla notifica del provvedimento era resa impossibile dal sequestro preventivo dell’immobile, disposto con decreto del -OMISSIS-, peraltro immediatamente impugnato con ricorso al Tribunale del riesame, respinto con ordinanza depositata il 27 marzo 2008; in relazione a tali circostanze di fatto contesta altresì l’affermazione del giudice di primo grado per cui la parte non si sarebbe attivata per chiedere il dissequestro.
Sotto tale profilo il motivo è fondato.
Ai sensi dell’art. 31 comma 3 del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, “se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall’ingiunzione, il bene e l’area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del comune. L’area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.
In base al successivo comma 4, “L’accertamento dell’inottemperanza alla ingiunzione a demolire, nel termine di cui al precedente comma 3, previa notifica all’interessato, costituisce titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari”.
Tale disciplina indica che i procedimenti repressivi in materia edilizia, che culminano con l’atto di acquisizione della proprietà privata al patrimonio comunale, devono seguire una corretta scansione procedimentale, che consenta al privato di adempiere correttamente al provvedimento demolitorio al fine di evitare l’estrema conseguenza della perdita della proprietà .
Tale scansione procedimentale, anche in base al costante orientamento giurisprudenziale, è costituita dal provvedimento di demolizione, con cui viene assegnato il termine di novanta giorni per adempiere spontaneamente alla demolizione ed evitare le ulteriori conseguenze pregiudizievoli; dall’accertamento della inottemperanza alla demolizione tramite un verbale che accerti la mancata demolizione; dall’atto di acquisizione al patrimonio comunale che costituisce il titolo per l’immissione in possesso e per la trascrizione dell’acquisto della proprietà in capo al Comune.
L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale non è, quindi, comminata solo come sanzione dell’edificazione senza titolo da parte del responsabile, ma anche come conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di ripristino impartito; costituisce, infatti, una sanzione autonoma che consegue ad un duplice ordine di condotte, la esecuzione di un’opera abusiva e, poi, il mancato adempimento all’obbligo di demolirla (Consiglio di Stato, Sez. VI, 26 novembre 2018, n. 6672). Pertanto, l’irrogazione dell’acquisizione automatica risulta legittima unicamente nel caso in cui siano presenti tutte le condizioni fissate dalla norma stessa, quali la volontaria inottemperanza protrattasi ininterrottamente per novanta giorni dall’ingiunzione e l’inerzia dell’interessato in assenza di validi impedimenti di diritto o di fatto alla demolizione delle opere nell’anzidetto termine. Infatti, mentre l’ordine di demolizione, avendo natura ripristinatoria, prescinde dalla valutazione dei requisiti soggettivi del trasgressore, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell’irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell’ordine violato, l’ulteriore misura sanzionatoria, consistente nell’acquisizione gratuita dell’immobile, non può essere disposta quando non sia possibile muovere alcun addebito di responsabilità nei confronti di chi la subisce (Consiglio di Stato, sez. VI, 1 marzo 2018, n. 1263; id., 7 novembre 2018, n. 6285; Sez. II, 23 maggio 2019, n. 3364).
Tali principi affermati dalla giurisprudenza con riferimento in generale alla natura dell’atto acquisizione e alla responsabilità del proprietario che non abbia commesso l’abuso, ad avviso del Collegio, devono essere applicati anche al caso di specie; ciò comporta un giudizio di illegittimità dell’atto di acquisizione, come del resto già affermato nel presente giudizio dalla ordinanza della IV sezione del Consiglio di Stato in sede di appello cautelare (ord. n. -OMISSIS-), da cui il Collegio non intende discostarsi.
Tenendo presente proprio la sequenza procedimentale scandita dall’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001 e la natura sanzionatoria dell’atto di acquisizione, in relazione all’addebitabilità dell’inadempimento all’ordine di demolizione, si deve ritenere insussistente il presupposto costituito dalla “volontaria” inottemperanza dell’obbligo di demolizione posto con il provvedimento del 19 febbraio 2008, imprescindibile ai fini della legittimità della sanzione delle perdita della proprietà del bene, dell’area di sedime e della eventuale area ulteriore.
Infatti, il 21 febbraio 2008 era intervenuto il provvedimento di sequestro preventivo che aveva sottratto alla parte odierna appellante la disponibilità del bene; provvedimento confermato, inoltre, dal Tribunale del riesame con la reiezione del ricorso immediatamente presentato dalla parte privata.
Pertanto, alla data del verbale che ha accertato l’inottemperanza, l’11 giugno 2008, nonché alla data dell’ordine di acquisizione del 3 luglio 2008, non era decorso il termine di novanta giorni previsto dall’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001 per ottemperare utilmente alla demolizione, ai fini della legittimità della successiva acquisizione.
Inoltre, la proposizione del ricorso al Tribunale del riesame, la sua reiezione e la conferma quindi della misura cautelare del sequestro preventivo sul bene escludevano altresì la inerzia del destinatario di tale ordine, presupposto quindi erroneamente richiamato dal giudice di primo grado con riferimento alla presente vicenda.
Non ignora il Collegio che parte della giurisprudenza ha sostenuto la generale irrilevanza del provvedimento di sequestro penale, ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione e della sua eseguibilità e, quindi, della validità dei conseguenti provvedimenti sanzionatori anche considerati secondo la sequenza stabilita dall’art. 31 T.U. edilizia (ordine di demolizione, accertamento dell’inottemperanza, acquisizione gratuita del sedime e delle opere) stante la possibilità, per il destinatario dell’ordine, di ottenere il dissequestro del bene ai fini di eseguire la demolizione sulla base dell’art. 85 delle disposizioni di attuazione c.p.p., che prevede la possibilità di consentite il dissequestro con prescrizioni (Cons. di Stato, Sez. IV, 27 luglio 2017, n. 3728; Sez. VI, 28 gennaio 2016 n. 335; id. 9 luglio 2013, n. 3626; Sez. IV, 6 marzo 2012, n. 1260; Cass. pen., sez. III, 21 marzo 2017, n. 13653; sez. III, 26 settembre 2013, n. 42637; sez. III, 26 ottobre 2011, n. 45704).
Vi è, peraltro, un recente orientamento che proprio dalla natura sanzionatoria della acquisizione fa discendere la necessità di un requisito soggettivo di ascrivibilità a colpa della inottemperanza dell’ordine di demolizione “in ossequio ai canoni generali ai quali deve obbedire ogni ipotesi di responsabilità …Sennonché, nella situazione considerata, non è dato ravvisare alcun profilo di rimproverabilità nella condotta (necessariamente) inerte del destinatario dell’ordine di demolizione, al quale resta, infatti, preclusa l’esecuzione del comando da un altro provvedimento giudiziario che gli ha sottratto la disponibilità giuridica e fattuale del bene” (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 17 maggio 2017, n. 2337 che, peraltro, oltre al profilo soggettivo fa riferimento anche alla nullità dell’oggetto dell’acquisizione oltre alla criticità di imporre una iniziativa processuale, quale l’istanza di dissequestro, “che potrebbe contraddire le strategie difensive liberamente opzionabili dall’imputato nel processo penale, interferendo inammissibilmente nell’esercizio di un diritto costituzionalmente protetto, quale quello di difesa, oltre alla violazione dell’art. 23 della Costituzione, trattandosi di una prestazione imposta in mancanza di una espressa previsione di legge).
Richiamando tale precedente è stato affermato che comunque in presenza di un sequestro penale “il termine per l’ottemperanza non decorre fino a che la misura cautelare non sia venuta meno ed il bene ritornato nella disponibilità del privato” (Cons. Stato, Sez. VI, 20 luglio 2018, n. 4418), con principio esattamente applicabile al caso di specie, in cui il termine di novanta giorni non era decorso con la piena disponibilità del bene da parte del privato per eseguire la demolizione, alla data del verbale che ha accertato l’inottemperanza.
Inoltre, nel caso di specie, la parte si era anche effettivamente attivata avendo proposto ricorso al Tribunale del riesame, anche se non finalizzato espressamente alla demolizione; in ogni caso, infatti, la conferma da parte del Tribunale del riesame della sussistenza dei presupposti cautelari del sequestro con ordinanza depositata il 27 marzo 2008, ha escluso la decorrenza del termine di novanta giorni dalla demolizione ai fini della successiva acquisizione, in quanto, comunque, alla data dell’11 giugno 2008, di accertamento della inottemperanza all’ordine di demolizione, la parte non aveva avuto un effettivo completo termine di novanta giorni per eseguire la demolizione.
In conclusione limitatamente a tale motivo l’appello deve essere accolto e la sentenza di primo grado riformata in parte qua con accoglimento dei motivi aggiunti proposti in primo grado avverso l’atto di acquisizione al patrimonio comunale del 3 luglio 2008.
In considerazione della parziale soccombenza della parte appellante le spese di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto riforma la sentenza impugnata con accoglimento dei motivi aggiunti proposti in primo grado avverso l’atto di acquisizione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante.
Così deciso dalla Seconda Sezione del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 giugno 2020 convocata con modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Giulio Castriota Scanderbeg – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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