Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 12 aprile 2018, n. 2213.
Fino alla fissazione del tetto di spesa, l’erogatore può fare affidamento sull’ultrattività dei tetti già fissati per l’anno precedente, salve le decurtazioni imposte dalle successive norme finanziarie, deve essere riferita non al budget individuale del quale il soggetto erogatore ha goduto nell’anno precedente ma al “tetto di sistema di branca.
Sentenza 12 aprile 2018, n. 2213
Data udienza 22 marzo 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6759 del 2017, proposto da:
Ce. Fk. Dr. S. Me. S.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocato Ma. La., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Ma. St. Ma. in Roma, via (…);
contro
Regione Autonoma della Sardegna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avvocati So. Sa., Al. Ca., con domicilio eletto presso lo studio della prima in Roma, via (…);
Azienda per la Tutela della Salute A.T.S. Sardegna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocato Va. Po., con domicilio eletto presso lo studio St. Ga. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la SARDEGNA – CAGLIARI: SEZIONE I n. 556/2017, resa tra le parti, concernente l’annullamento (con ricorso introduttivo):
– del tetto di spesa e della proposta di contratto formulati dall’Azienda Sanitaria Locale n. 2 di Olbia per all’acquisizione, dalla Struttura ricorrente, di prestazioni di riabilitazione globale per l’anno 2016 sulla base delle previsioni della DGR n. 41/19 del 12/7/2016, conosciuti in data 29/9/2016, con particolare riferimento al tetto di spesa e al volume di attività per il medesimo anno, nonché del contratto nelle more sottoscritto, limitatamente alle clausole contenenti la quantificazione del tetto di spesa, nonché agli ulteriori profili e alle clausole oggetto di specifica censura;
– degli atti aziendali di approvazione della suddetta proposta di contratto e dei relativi tetti di spesa e volumi di attività, per l’anno 2016, nonché degli atti aziendali determinativi dei tetti di spesa per i successivi anni 2017 e 2018, non conosciuti;
– – del Piano preventivo aziendale della ASL n. 2 per il triennio 2016-2018, compresi i dati relativi alle prestazioni di riabilitazione erogate nel triennio 2013-2015 e di quelle preventivate nel triennio 2016-2018, trasmesso alla RAS in adempimento alla richiesta proveniente dall’Assessorato della Sanità e da questa acquisito al protocollo con il n. 25721 del 11/11/2015, conosciuto in data 15/9/2016;
– della stessa delibera della Giunta regionale n. 41/19 del 12/7/2016, recante determinazione dei tetti di spesa per la stipula dei contratti tra ASL e privati per l’erogazione di prestazioni di riabilitazione globale per gli anni 2016, 2017 e 2018, conosciuta in data 1/8/2016 mediante accesso al sito istituzionale della RAS;
– di ogni altro presupposto consequenziale o connesso;
e annullamento (con motivi aggiunti), anche:
– della delibera di Giunta regionale n. 57/8 del 25/10/2016, recante parziale modifica della DGR n. 41/19 del 12.7.2016 relativa alla determinazione dei tetti di spesa per la stipula dei contratti tra ASL e privati per l’erogazione di prestazioni di riabilitazione globale per gli anni 2016, 2017 e 2018, conosciuta in data 2/11/2016, per quanto occorra e comunque nelle sole parti oggetto di censura;
– della nota prot. PG/2016/44406 del 4/11/2016 con la quale la ASL n. 2 di Olbia ha trasmesso alla ricorrente la proposta di contratto “allegato Y” (“tetto di spesa”), limitatamente alla previsione del tetto di spesa per le prestazioni di riabilitazione globale a ciclo diurno, e della presupposta relativa decisione aziendale sulla fissazione suddetto tetto per la ricorrente;
– della deliberazione del Commissario straordinario della ASL 2 n. 1089 del 7/11/2016, recante contratti per l’acquisto di prestazioni sanitarie e socio-sanitarie di riabilitazione globale per l’anno 2016 dalle strutture private accreditate, limitatamente alla previsione del tetto di spesa per le prestazioni di riabilitazione globale a ciclo diurno (CD);
– di ogni altro presupposto consequenziale o connesso.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Autonoma della Sardegna e dell’Azienda per la Tutela della Salute A.T.S. Sardegna;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 marzo 2018 il Cons. Solveig Cogliani e uditi per le parti gli Avvocati Giovanni Sciacca su delega dichiarata dell’Avvocato Ma. La., Va. Po. e So. Sa.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con il ricorso in appello sopra indicato, la Fk. espone di essere l’unica struttura accreditata per l’erogazione di prestazioni di “riabilitazione globale a ciclo diurno per persone con disabilità fisica psichica e sensoriale” nel territorio della ex ASL n. 2 di Olbia (dal 1 gennaio 2017 incorporata nell’Azienda per la Tutela della Salute della Sardegna, A.T.S.). Precisa, inoltre, che tali prestazioni sono state erogate, nel territorio aziendale, solo da ottobre 2014, sulla base del primo contratto di servizio stipulato tra Centro Fk. e ASL e nel periodo ottobre 2014 – dicembre 2015, nel territorio aziendale, sono state erogate n. 4097 prestazioni riabilitative a ciclo diurno per un fatturato di totali euro 409.700,00.
Nel piano preventivo della ASL n. 2 per il triennio 2016-2018, trasmesso su richiesta della Regione proprio ai fini della determinazione del fabbisogno e dei tetti (acquisito al protocollo regionale con il n. 25721 del 11/11/2015) l’Azienda quantificava in euro 320.000,00 (pari a 3200 prestazioni) il proprio fabbisogno specifico per ciascuno di tali anni.
La Regione, con la DGR 41/19 del 12 luglio 2016, attribuiva alla ASL n. 2, per le prestazioni che occupano, un tetto aziendale di soli euro 150.433,33, presupponendo – secondo la prospettazione di parte appellante – erroneamente un ridotto indice di capacità di spesa relativamente alle stesse.
Sicché la ricorrente gravava la delibera con il ricorso RG 861/2016 e, poi, formulava motivi aggiunti nei confronti della proposta di contratto e della relativa delibera aziendale, recanti un tetto di spesa di euro 265.000,00, a fronte di un fabbisogno dichiarato di euro 320.000,00 e di un precedente tetto di euro 330.000,00.
Peraltro, l’appellante precisa che tale proposta veniva trasmessa dalla ASL solo in data 4 novembre 2016, allorché la stessa aveva già erogato un volume di prestazioni (euro 276.000,00) superiori al tetto annuale, attenendosi mensilmente a un tetto medio di 1/12 del budget del precedente anno.
Con il presente appello, l’istante censura la sentenza n. 556/2017, che ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti, per i motivi di seguito indicati.
1 – Circa il primo gruppo di motivi del ricorso e dei motivi aggiunti: erroneità della sentenza, difetto e contraddittorietà della motivazione, difetto di pronuncia, laddove la stessa ha respinto le censure rilevando l’irrilevanza dello scostamento dai piani annuali delle ASL, dovendo le Regioni, nel determinare i tetti di spesa, tener conto delle previsioni programmatiche contenute nei predetti piani annuali che tuttavia non assumono carattere vincolante, dovendo conciliarsi con le esigenze proprie della pianificazione finanziaria. Ciò in quanto, contrariamente a quanto – asseritamente con genericità affermato in sentenza – sarebbe stata proprio la Regione ad aver previsto di voler soddisfare il fabbisogno di prestazioni rappresentato dalle ASL, nei limiti della capacità di spesa (ICS) e ha, per questo, deciso di determinare il budget da destinare alla delicata branca della riabilitazione dei soggetti disabili quale esito finale dell’istruttoria sul fabbisogno e non quale dato predeterminato.
La sentenza, dunque, avrebbe erroneamente interpretato la delibera regionale per i seguenti profili:
a) la delibera impugnata non prevedrebbe affatto di contrarre il fabbisogno di prestazioni per adeguarlo alle risorse disponibili ma, con un percorso esattamente inverso, individuerebbe il budget necessario a soddisfare il fabbisogno espresso dalle ASL, pur nei limiti della effettiva capacità di spesa storicamente documentata;
b) il Piano di Riorganizzazione e di Riqualificazione del Servizio Sanitario Regionale – Piano di Rientro (PdR) per gli anni 2016-2018, citato in sentenza, non prevede affatto tagli alla spesa sanitaria con riferimento alla riabilitazione globale; ciò sarebbe fatto palese dalla tabella dei risparmi prevista dal citato provvedimento (PdR 2016-2018, doc. 6), che non contempla la riabilitazione.
La sentenza censurata, dunque, avrebbe omesso di pronunciarsi sulla censura principale contenuta nel ricorso introduttivo (punto I.1.2), dove è stata contestata l’applicazione materialmente erronea dei criteri di assegnazione del budget previsti dalla delibera regionale: l’allegato 1 alla DGR 41/19 del 12 luglio 2016 attribuisce alla ASL n. 2 un budget annuo di soli euro 150.433,33 per le attività di riabilitazione globale a ciclo diurno (rigo 4), sul presupposto che il tetto medio annuo utilizzato nel triennio fosse pari a euro 136.766,67, attribuendo il budget nel limite dell’incremento massimo del 10% rispetto al tetto medio utilizzato (150.443,33 = 136.766,67 + 10%).
Tuttavia – a dire dell’appellante – il risultato distributivo sarebbe falsato dalla circostanza che, nel triennio 2013-2015, le suddette attività sono state erogate nel territorio della ASL n. 2 solo per 15 dei 36 mesi presi in considerazione, per circa euro 410.000 totali. Sicché avrebbe dovuto essere attribuito un tetto annuale pari a euro 320.000,00, atteso che il tetto medio annuale di spesa utilizzato, calcolato sul periodo effettivo di attività, corrisponde almeno a euro 327.760 (409.700/15*12) ed è superiore al tetto richiesto dalla ASL (euro 320.000,00) che, pertanto, avrebbe dovuto essere ad essa interamente riconosciuto, essendo l’ICS pari al 100%.
Infatti, in caso di prestazioni già garantite dal servizio sanitario, l’attribuzione del tetto richiesto dalle ASL sarebbe condizionata solo dalla dimostrazione dell’effettiva capacità storica di utilizzarlo. Il tetto annuale attribuito nella DGR 41/19 cit., determinato in soli euro 150.443,33, risulterebbe, dunque, addirittura inferiore a quello che sarebbe stato attribuito in caso di richiesta per prestazioni mai erogate prima (euro 160.000, cfr. sesta regola).
II – Circa il secondo motivo del ricorso e dei motivi aggiunti: erroneità della motivazione ed error juris, con riguardo alla la violazione degli istituti partecipativi previsti dalla legge e al rispetto dei quali la Regione si era auto vincolata.
La sentenza avrebbe, dunque, omesso di pronunciarsi sulla conseguente carenza istruttoria. Essa sarebbe poi erronea nel ritenere non necessaria la convocazione della Commissione tecnica prevista dalla D.G.R. 8/16 del 28/2/2006, istituita con D.A.I.S. 17 maggio 2006 n. 10 e che ha tra i suoi compiti sia il monitoraggio della qualità e dell’appropriatezza delle prestazioni, sia l’analisi dei costi e della congruità del sistema tariffario. La sentenza sarebbe, ancora, erronea nella parte in cui respinge la censura di carenza di istruttoria, nonché di violazione di legge, per la mancanza del parere della competente Commissione consiliare, previsto dall’art. 26 della l.r. 10/2006, in quanto non sarebbe da porre in dubbio che anche la delibera regionale 41/19 impugnata riguardi esattamente l’individuazione dei “criteri per il riparto del Fondo sanitario regionale con riferimento a un periodo temporale triennale”, per cui sarebbe stato necessario sentire la Commissione.
III – Circa il terzo gruppo di motivi del ricorso e dei motivi aggiunti: l’erroneità della sentenza laddove ha respinto i motivi con i quali la ricorrente in primo grado ha dedotto la violazione e falsa applicazione del principio di affidamento, correttezza e buona fede nonché violazione di legge (art. 8 della l.r. 10/2006 e art. 8-quinquies del d.lgs. 502/1992) in ragione dell’applicazione retroattiva del tetto di spesa, tardivamente attribuito per il 2016 solo nel novembre del medesimo anno, poiché alla data di comunicazione del tetto di spesa per il 2016, la ricorrente, attenendosi mensilmente a 1/12 dell’ultimo tetto di spesa disponibile, aveva erogato prestazioni per circa euro 276.000,00 e, pertanto, un livello di prestazioni, a quella data, già superiore al tetto tardivamente attribuito. Secondo i principi dell’Adunanza Plenaria (n. 8/2006 e 4/2012) i tetti di spesa possono essere determinati con effetti retroattivi, ma con la salvaguardia dell’affidamento del privato, che – nelle more della comunicazione del limite di spesa – può avere riguardo alle somme assegnate per l’anno precedente, diminuite del risparmio di spesa imposto dalle leggi finanziarie approvate o in corso di approvazione. La sentenza sarebbe, pertanto, erronea e ingiusta ed illegittimi gli atti impugnati, perlomeno nella parte in cui hanno omesso di salvaguardare l’incolpevole affidamento della ricorrente che, innanzitutto, deve pacificamente vedersi riconosciuto il livello di prestazioni già materialmente erogato al momento della comunicazione del tetto.
Si è costituita la Regione ribadendo le proprie difese e la correttezza della sentenza di prime cure, laddove essa, richiamando la costante giurisprudenza, ha affermato che il criterio individuato dalla Regione è selettivo nella riduzione della spesa e non volto a finanziare senza limite il fabbisogno rappresentato. La deliberazione regionale gravata è stata adottata in vigenza di un piano di rientro, ben noto a tutti gli operatori sanitari, approvato il 15 dicembre 2015, che dà conto dell’elevata spesa per l’assistenza sanitaria a fronte dei livelli inadeguato di qualità e specializzazione e prescrive incisivi interventi per farvi fronte, anche sui volumi.
La ripartizione delle risorse sarebbe dunque stata effettuata mediante l’applicazione dell’indice di capacità di spesa ICS aziendale, che consiste nel rapporto percentuale tra il tetto di spesa medio annuo effettivamente utilizzato nel triennio 2013-2015 ed il tetto di spesa medio annuo assegnato. L’ICS sarebbe dunque stato utilizzato come fattore di correzione per le richieste delle ASL.
La programmazione regionale avrebbe, pertanto, come parametro le ASL e non le singole strutture; alla ASL spetta di dimostrare la capacità di riuscire a utilizzare le risorse per l’acquisto delle prestazioni di cui afferma di aver bisogno ed alle stesse, se non vi riesca è imputabile il deficit di capacità organizzativa e l’erronea stima del fabbisogno stesso.
In ordine al secondo motivo di ricorso, ribadisce che il parere della Commissione era stato richiesto in relazione al provvedimento di individuazione dei criteri di riparto del Fondo sanitario.
In relazione al terzo motivo, afferma la fisiologica determinazione dei tetti nel corso dell’anno; tuttavia precisa che già a luglio 2016 la deliberazione n. 41/19 aveva assegnato un budget di euro 150.443,33, sicché la spesa di 260.500,00 sarebbe avvenuta quando la struttura già conosceva i limiti di assegnazione.
Anche l’ATS si è costituita, in via preliminare eccependo l’inammissibilità del ricorso di primo grado in quanto l’unico soggetto legittimato ad impugnare le determine RAS sarebbe la ASL; inoltre, il ricorso sarebbe altresì inammissibile in relazione agli atti collegati e discendenti dalla delibera n. 41/19 prima della rettifica, posto che i tetti di spesa conosciuti in data 29 settembre 2016 non sarebbero stati mai adottati formalmente giusto l’errore materiale evidenziato dalla ASL con la nota 28 settembre 2016 prot. PG/2016/39448, errore, che era stato rettificato con la s nota 10 ottobre 2016 prot. PG/2016/41047.
In considerazione della rettifica, la RAS ha adottato la delibera GR n. 57/8 in data 25 ottobre 2015 con la quale ha modificato gli allegati 1, 2 e 3 della DGR 41/19, incrementando i tetti di spesa e la ASL, conseguentemente ha inviato agli erogatori privati la proposta con l’allegato Y sostitutivo del precedente.
Altresì, il ricorso sarebbe inammissibile con riferimento all’impugnazione del Piano preventivo Attività territoriale che non potrebbe essere qualificato come atti direttamente lesivo di ogni singolo erogatore.
Nel merito ha ribadito l’infondatezza dell’appello, precisando che:
1 – relativamente al primo motivo:
a) l’importo di euro 150.433,33 contenuto nella delibera RAS n. 41/19 è stato successivamente determinato con la delibera n. 57/8 del 25 ottobre 2016 (gravata con i motivi aggiunti) ed è stato elevato a euro 265.000,00;
b) in ogni caso la RAS ha preso in considerazione sia il fabbisogno rilevato dalle ASSLL sia la capacità di spesa aziendale;
c) la ricostruzione contenuta nella sentenza appellata sarebbe dunque corretta anche con riferimento al Piano di rientro, nell’inquadrare la vicenda all’interno del processo di riorganizzazione del servizio sanitario sardo;
2 – rispetto al secondo motivo: la commissione tecnica non avrebbe alcuna competenza sui tetti di spesa;
3 – in relazione al terzo motivo: nessun affidamento l’appellante avrebbe potuto maturare in quanto nelle more del procedimento di determinazione la stessa avrebbe dovuto erogare mensilmente una media di prestazioni pari a 1/12 del limite di spesa precedente.
Con ulteriori memorie, l’appellante ha precisato di non contestare il potere autoritativo e discrezionale della Regione di fissare il tetto massimo di spesa, ma l’errata applicazione dei criteri dalla stessa elaborati. Ha ribadito la tardiva riparametrazione dei tetti a prestazioni erogate. Ha contrastato le eccezioni d’inammissibilità prospettate evidenziando l’interesse della struttura.
Evidenzia che la stessa ASL avrebbe reiteratamente contestato nei suoi atti la mancata soddisfazione delle specifiche esigenze manifestate. Inoltre la DGR 57/8 on avrebbe modificato il tetto aziendale previsto dalla DGR 41/19 per le prestazioni che occupano. Inoltre, nessun criterio proporzionale sarebbe stato rispettato per la ripartizione delle risorse aggiuntive. Non sarebbe poi contestato che alla data del 4 novembre 2016, data di comunicazione del tetto di euro 265.000, l’appellante aveva già speso circa euro 276.000,00 attenendosi mensilmente a 1/12 dell’ultimo tetto di spesa disponibile.
Anche la Regione resistente, con successiva memoria per l’udienza di discussione, ha inteso ribadire le proprie difese.
Alla camera di consiglio fissata per la discussione sull’istanza cautelare, la decisione è stata rinviata all’esame del merito.
All’udienza del 22 marzo 2018, la controversia è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
I – La presente controversia attiene alla determinazione dei tetti di spesa per la riabilitazione. L’appellante si duole in estrema sintesi del mancato rispetto, dal parte della Regione, degli stessi criteri di attribuzione definiti dalla Regione ed in violazione del procedimento previsto. In via pregiudiziale di rito non può essere esclusa – secondo la costante giurisprudenza amministrativa – la legittimazione ad impugnare le determine che definiscono i tetti di spesa per il triennio 2016-2018, nonché la conseguente proposta di contratto formulata dall’Azienda sanitaria di Olbia. Nella specie, infatti, non si verte nell’ipotesi evocata da parte della Regione di mera contestazione dell’insufficienza delle risorse assegnate dalla Regione all’Azienda Sanitaria, essendo contestato anche lo schema contrattuale di determinazione della quota di riferimento della struttura appellante. A riguardo, non possono essere condivise le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa della Azienda e dalla Regione sia con riferimento alla impugnazione degli atti presupposti di elaborazione della spesa sanitaria né con riferimento alla successiva delibera (in vero impugnata con i motivi aggiunti), poiché essa appare come mera correzione di errori materiali di calcolo – come evidenziato dalla stessa Azienda nelle proprie difese – sicché non è in condizione di modificare l’iter logico ed istruttorio recepito nella prima delibera n. 41/19 impugnata.
Solo per quanto concerne il punto 1.2. del ricorso di prime cure, in effetti, risulta agli atti che ad esito dell’intervento e delle richieste della ASL è intervenuta la correzione dell’errore materiale relativo alla somme previste nel piano per la riabilitazione estensiva.
II – Ciò posto, deve passarsi all’analisi dei motivi di appello nel merito.
Come osservato ripetutamente dalla Sezione ai fini del vaglio sulle conclusioni della sentenza appellata, devono premettersi i seguenti principi, dai quali non si ravvisano ragioni per discostarsi, secondo cui: “a) spetta alle Regioni provvedere, con atti autoritativi e vincolanti di programmazione, alla fissazione del tetto massimo annuale di spesa sostenibile con il fondo sanitario regionale e distribuire le risorse disponibili, per singola istituzione o per gruppi di istituzioni, nonché stabilire i preventivi annuali delle prestazioni, assicurando l’equilibrio complessivo del sistema sanitario dal punto di vista organizzativo e finanziario (cfr. ex multis Cons. St., sez. III, 9 aprile 2013, n. 1913); b) nell’esercizio dell’indicata funzione di programmazione, le Regioni beneficiano di un ampio potere discrezionale nelle scelte relative all’utilizzo delle risorse disponibili, che devono essere assunte in esito a un ragionevole ed equilibrato apprezzamento di molteplici esigenze quali il diritto degli assistiti alla fruizione di prestazioni sanitarie adeguate, l’efficienza delle strutture pubbliche, le legittime aspettative degli operatori privati che operano secondo logiche imprenditoriali e l’interesse pubblico al contenimento della spesa (Cons. St., sez. III, 10 febbraio 2015, n. 724); c) la fissazione dei tetti di spesa in una fase avanzata dell’anno deve intendersi fisiologica, non potendo prescindere dalla conoscenza del dato finanziario di riferimento (Cons. St., sez. III, 3 agosto 2015, n. 3801); d) la determinazione retroattiva del budget, come affermato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza n. 3 del 2012, non vale, di per sé, a inficiare la legittimità dell’assegnazione del limite di spesa sopravvenuta nel corso dell’anno (Cons. St., sez. III, 8 giugno 2016, n. 2444)”.
In tale contesto si snodano le conclusioni del giudice di prime cure.
L’Indice di Capacità di Spesa (ICS) prescelto dalla Regione è, nella specie, uno dei criteri individuati per ridurre la spesa senza operare tagli lineari generalizzati.
Orbene, quanto alla programmazione della Regione, va rilevato che la deliberazione regionale n. 41/19 del 12 luglio 2016 impugnata (e la successiva che recepisce la correzione dell’errore materiale), essa è stata adottata alla luce di un piano di rientro, approvato il 15 dicembre 2015, che prescriveva incisivi interventi a fronte di un deficit accertato derivante dalla spesa sanitaria di oltre 300 milioni di euro.
Con la predetta deliberazione la Regione ha ripartito le risorse per l’acquisto di prestazioni di riabilitazione dalle strutture private accreditate, sulla base dei criteri in essa indicati.
La Regione, infatti, ha effettuato l’analisi dei dati consuntivi di spesa relativi al triennio 2013-2015 al fine di accertare la percentuale di effettivo utilizzo delle risorse assegnate alle ASL (ICS) nel triennio 2013-2015, applicando l’indice di capacità di spesa (ICS) aziendale, che consiste nel rapporto percentuale tra il tetto di spesa medio annuo effettivamente utilizzato nel triennio 2013-2015 ed il tetto di spesa medio annuo assegnato, come fattore di correzione per le richieste delle ASL.
Or dunque, non vale come argomento quello vantato dall’appellante del mancato esercizio per il 2014, poiché la programmazione regionale ha quale unico riferimento le ASL e non la singola struttura privata, ed è quindi la capacità di spesa dell’Azienda che rileva in sede di assegnazione dei tetti.
La ASL ha dunque ottenuto risorse parametrate alla capacità di soddisfazione della richiesta.
Per quanto concerne la decisione della ASL, va rilevato che ASL di Olbia è l’unico soggetto deputato a valutare le esigenze sanitarie del territorio di riferimento e a soddisfarle; essa ha dunque, discrezionalmente ritenuto di fissare il tetto della ricorrente nella misura di € 265.000,00 e di utilizzare le risorse a disposizione per altre tipologie di attività.
Come esposto in memoria, la ASL ha precisato che, nella ridistribuzione delle somme svincolate, ha ritenuto di dover assegnare maggiori somme a quelle prestazioni che nelle delibere RAS erano state maggiormente sottodimensionate quali la riabilitazione (la globale a ciclo continuativo passata da euro106.088,40 a 500.760,00 per carenza di posti letto ospedalieri, la residenziale da euro 55.023,38 a 110.492,00 e la Globale a ciclo diurno per cui è causa da 150.443,33 a euro 265.000,00).
Ne discende che dai rilievi sin qui svolti, la sentenza di prime cure ha correttamente motivato nell’evidenziare la legittimità del procedimento di individuazione della risorse in sede di programmazione, sulla base dei dati forniti dalle ASL; nonché nel ritenere il rispetto del criterio previsto.
III – Tanto evidenziato, discende, altresì, l’infondatezza del secondo motivo di appello, poiché non risultando fondata la censura con cui l’originaria ricorrente ritiene che siano stati modificati i criteri di attribuzione, discende che la Commissione tecnica di cui alla D.G.R. 8/16 del 28 febbraio 2006 non è investita di alcuna specifica competenza. Come correttamente specificato dal primo giudice, infatti, l’art. 26 della l.r. n. 10/2006 che prevede l’acquisizione del parere della Commissione consiliare, si riferisce non alla determinazione dei tetti di spesa, quanto, piuttosto, alla individuazione dei criteri, a monte, che devono presiedere il riparto annuale del Fondo sanitario regionale tra le A.S.L..
IV – Deduce, infine, l’appellante l’erroneità della sentenza laddove ha rigettato anche i motivi con i quali la ricorrente aveva censurato la violazione e falsa applicazione del principio di affidamento, correttezza e buona fede nonché violazione di legge in ragione dell’applicazione retroattiva del tetto di spesa, tardivamente attribuito per il 2016 solo nel novembre del medesimo anno. A tal fine invoca i principi elaborati dall’Adunanza Plenaria, secondo i quali l’eventuale determinazione i tetti di spesa con effetti retroattivi, deve avvenire con la salvaguardia dell’affidamento del privato, che – nelle more della comunicazione del limite di spesa – può avere riguardo alle somme assegnate per l’anno precedente, diminuite del risparmio di spesa imposto dalle leggi finanziarie approvate o in corso di approvazione.
Tale interpretazione non può essere condivisa, in quanto la ricostruzione ermeneutica dell’Adunanza Plenaria (n. 8 del 2 maggio 2006 e n. 3 del 12 aprile 2012) secondo la quale, fino alla fissazione del tetto di spesa, l’erogatore può fare affidamento sull’ultrattività dei tetti già fissati per l’anno precedente, salve le decurtazioni imposte dalle successive norme finanziarie, deve essere riferita – come già evidenziato da questa Sezione – non al budget individuale del quale il soggetto erogatore ha goduto nell’anno precedente ma al “tetto di sistema di branca.
Con sentenza n. 3353/2017, la Sezione ha infatti, evidenziato che: “il contratto stipulato tra l’ASL e la singola struttura privata non fa riferimento a valori individuali, ma a valori relativi all’intera branca. Già per questo motivo, appare problematico ammettere che l’affidamento del singolo erogatore possa basarsi “sul tetto assegnato individualmente per l’anno precedente. Inoltre, l’art. 8-bis, co. 2 D.L.vo 502/92 prevede che “i cittadini esercitano la libera scelta del luogo di cura e dei professionisti nell’ambito dei soggetti accreditati”, scelta che verrebbe inevitabilmente condizionata, qualora la remunerazione delle prestazioni dovesse essere legata ai volumi di produzione affidati (remunerati) al singolo erogatore nell’anno precedente. La ratio della fissazione dei tetti massimi e dei relativi meccanismi di controllo, poi, è principalmente quella del contenimento della spesa pubblica e di garantire la continuità nella erogazione delle prestazioni ai cittadini ed una sana competizione tra le strutture accreditate, ma non quella di assicurare i volumi di produzione del singolo erogatore”.
Nella specie che occupa, peraltro, nessun affidamento poteva essere maturato dalla appellante in quanto lo stesso commissario straordinario aveva raccomandato alle strutture di non superare, in attesa della delibera RAS, la quota delle prestazioni rispetto al tetto 2015.
Il motivo d’appello, dunque, non merita accoglimento.
V – In conclusione, l’appello deve essere respinto.
Sussistono, vista la particolarità della controversia, giusti motivi per la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma la sentenza n. 556 del 2017.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Lanfranco Balucani – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia – Consigliere
Stefania Santoleri – Consigliere
Solveig Cogliani – Consigliere, Estensore
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