Consiglio di Stato, Sezione terza, Sentenza 4 febbraio 2020, n. 887.
La massima estrapolata:
L’affidamento delle funzioni di vertice delle Aziende sanitarie è fondato su un rapporto fiduciario “intuitu personae”, all’esito di un apprezzamento complessivo del candidato e senza alcuna valutazione comparativa rispetto agli altri aspiranti.
Sentenza 4 febbraio 2020, n. 887
Data udienza 16 gennaio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2654 del 2019, proposto da Gi. Sp., rappresentato e difeso dagli avvocati Ge. Pe., Gi. Bu., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Regione Basilicata, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Br., Va. Di Gi., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso l’ufficio di rappresentanza della Regione Basilicata, in Roma, via (…);
ed altri;
nei confronti
Ma. Ba., rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Fu. con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza breve del Tribunale Amministrativo Regionale per la Basilicata Sezione Prima n. 00173/2019.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Regione Basilicata ed altri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020 il Cons. Umberto Maiello e uditi per le parti gli avvocati Gi. Bu., An. Me. su delega dell’avvocato Gi. Fu. e l’avvocato dello Stato Is. Pi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il gravame in epigrafe il sig. Gi. Sp. agisce per la riforma della sentenza n. 173/2019 con cui il TAR per la Basilicata ha dichiarato inammissibile, per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, l’originario ricorso proposto avverso la delibera di G.R. n. 1419 del 28.12.2018 e il decreto del Presidente della G.R. n. 288 del 28.12.2018, recanti la nomina a Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera “Sa. Ca.” di Potenza il controinteressato Ma. Ba..
Segnatamente, il giudice di prime cure ha evidenziato che, ai fini dell’attribuzione della giurisdizione, allorquando si tratti di lavoro alle dipendenze della pubbliche amministrazioni, e salve le eccezioni relative ai rapporti di lavoro di cui all’art. 1, n. 4, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, che qui non si riscontrano, non rileva la tipologia contrattuale adottata, ovverosia se essa sia subordinata, parasubordinata o autonoma, venendo comunque in considerazione un accordo di natura privatistica. Ciò che rileva, differentemente, secondo il suindicato decisum è solo il tratto della procedura concorsuale finalizzata all’assunzione, ovverosia l’unico segmento nel quale riemerge, per espressa volontà legislativa, l’ordinario criterio di riparto fondato sul binomio diritto soggettivo – interesse legittimo.
E nel caso qui in rilievo il TAR ha ritenuto che il dato di diritto positivo testuale sia nettamente orientato nel prevedere che la nomina del direttore generale di aziende del Servizio sanitario nazionale avvenga a seguito di uno scrutinio calibrato “esclusivamente con riferimento ai requisiti” di legge e “senza necessità di valutazioni comparative” (art. 3, n. 6, d.lgs. n. 502 del 1992) non potendo condurre ad un approdo diverso nemmeno il prospettato inquadramento dell’atto di nomina come atto di alta amministrazione.
Di contro, nel mezzo proposto, l’odierno appellante contesta il suddetto dictum.
A tali fini, rileva, anzitutto, che il Direttore Generale degli enti del S.S.N. (Aziende Sanitarie Locali, Aziende Ospedaliere, ecc.) è l’organo monocratico di rappresentanza legale e di governo ex articolo 3 del d.lgs 502/1992, nel quale convergono la funzione di amministratore unico e quella di dirigente apicale, tanto da poterlo qualificare come manager dotato di alte capacità gestionali.
In coerenza con la suddetta premessa soggiunge che, nella disciplina di settore, quale desumibile anche dall’articolo 3 bis del D. Lgs. n. 502/1992, tra la Regione e il Direttore Generale intercorre, dunque, un rapporto di lavoro privato, di natura autonoma e non subordinata, ancorché coordinato con i fini dell’ente, dovendo, dunque, escludersi la configurabilità di un rapporto di pubblico impiego.
Sulla scorta dei suddetti rilievi l’appellante deduce che:
1) sarebbe errata la decisione di prime cure nella parte in cui ha ricondotto la controversia in argomento sotto l’egida dell’art. 63 del D. Lgs. n. 165/2001, riferito alle controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni;
2) del pari, sarebbe irragionevole il capo della decisione che ha escluso la configurabilità di una posizione soggettiva di interesse legittimo, dovendo questa profilarsi anche in ipotesi in cui non vi è luogo a procedure concorsuali di natura comparativa nel caso sussista un potere discrezionale dell’Amministrazione, com’è nel caso di specie.
Resistono in giudizio la Regione Basilicata ed il controinteressato Ma. Ba..
Si è, altresì, costituito il Ministero della Salute, che ha riproposto l’eccezione di difetto di legittimazione passiva non delibata dal giudice di prime cure.
L’appello è fondato e, pertanto, va accolto.
In via preliminare, va accolta l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero della Salute, nei cui confronti non risulta, invero, avanzata alcuna specifica pretesa.
Quanto al merito, vale premettere che, alla stregua della disciplina di settore, il direttore generale costituisce l’organo apicale dell’Azienda sanitaria (in termini sostanzialmente analoghi è organizzata anche l’Azienda ospedaliera), ricadendo nelle sue attribuzioni l’adozione dello stesso atto aziendale, la responsabilità della gestione complessiva ovvero la nomina dei dirigenti responsabili delle strutture operative dell’azienda (cfr. articolo 3 comma 1 quater del d.lgs 502/1992), spettandogli anche la rappresentanza dell’Ente (art. 3 cit. comma 6). Fanno dunque capo alla suddetta figura ampi poteri sia tipo organizzativo che gestionale contraddisti da significativi margini di autonomia.
Tale figura ben si inquadra nel peculiare contesto organizzativo delle Aziende sanitarie, ponendosi all’apice della relativa struttura, sul modello del management privato, dovendo assicurare, sotto sua responsabilità, l’equilibrio economico dell’azienda sanitaria affidatagli (cfr. Parere dell’Adunanza della Commissione Speciale del Consiglio di Stato, n. 1113 del 05.05.2016).
La stessa Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare, a tal riguardo, che il direttore generale viene “qualificato dalle norme come una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, nell’adempimento di un’obbligazione di risultato (oggetto di un contratto di lavoro autonomo), gli obiettivi gestionali e operativi definiti dal piano sanitario regionale (a sua volta elaborato in armonia con il piano sanitario nazionale), dagli indirizzi della Giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con l’amministrazione regionale” (cfr. Corte cost. n. 104 del 2007). I direttori generali, ha soggiunto il giudice delle leggi in una sua più recente pronuncia, devono essere considerati “funzionari neutrali”, poiché non sono nominati in base a criteri “puramente fiduciari”, essendo l’affidamento dell’incarico subordinato al possesso di specifici requisiti di competenza e di professionalità, e non richiedendosi agli stessi “la fedeltà personale alla persona fisica che riveste la carica politica”, ma la “corretta e leale esecuzione delle direttive che provengono dall’organo politico, quale che sia il titolare pro tempore” (Corte cost., 5.2.2010, n. 34).
Sul piano del regime giuridico del relativo rapporto, deve rilevarsi come, ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3 bis, comma 8, il rapporto di lavoro intercorrente fra azienda sanitaria locale e direttore generale ha natura privatistica, è regolato da contratto di diritto privato, ha una durata determinata e viene stipulato a norma degli artt. 2222 e segg. cod. civ. e va, dunque, qualificato come rapporto di lavoro autonomo (cfr. Cassazione civile sez. un., 03/02/2016, n. 2055; 19/12/2014, n. 26938; 26 gennaio 2011 n. 1767; 3 novembre 2005 n. 21286).
La giurisprudenza della Suprema Corte non dubita della coerenza tra la qualificazione legislativa del contratto regolante il rapporto di servizio tra azienda e direttore generale e la natura effettiva delle prestazioni, sul rilievo, assorbente di ogni altro, che l’organo di vertice dell’ente non può prestare servizio in condizione di subordinazione; quanto ai poteri di direttiva, controllo e di risoluzione del contratto (art. 3 – bis, commi 6 e 7), essi competono alla regione, ente diverso da quello nella cui organizzazione il direttore è inserito e per il quale le prestazioni sono rese (vedi Cass. S.U. n. 26631 del 18.12.2017 e giurisprudenza ivi richiamata Cass. S.U. 16 aprile 1998, n. 3882; 24 febbraio 1999, n. 100; 3 novembre 2005, n. 21286; Cass. 1 aprile 2004, n. 6450).
Ciò nondimeno, la fase genetica di tale rapporto è mediata da un procedimento amministrativo selettivo non concorsuale che confluisce in un atto di nomina, di natura discrezionale qualificabile come atto di alta amministrazione, adottato dall’organo di indirizzo politico regionale e, dunque, espressione di poteri pubblicistici cui si correlano in capo al singolo aspirante candidato interessi legittimi, tali da radicare la giurisdizione del giudice amministrativo.
Sul punto deve premettersi che il regime di nomina del direttore generale è connotato da profili di significativa specialità all’interno del panorama complessivo delle nomine in tema di dirigenza sanitaria: tanto in ragione del ruolo di mediazione che il suddetto organo svolge, fungendo da raccordo tra il livello di governo della sanità regionale e quello di concreta gestione aziendale, quale momento di garanzia circa l’attuazione delle politiche sanitarie regionali e che connotano, almeno in parte, la vocazione fiduciaria dell’incarico.
Com’è noto, la disciplina di riferimento è stata oggetto di una lunga evoluzione che ha avuto inizio con la legge delega n. 421 del 1992, è stata traguardata dalla legge n. 189/2012, di conversione del decreto legge n. 158/2012, fino alla più recente riforma sulla quale ci si soffermerà brevemente in prosieguo.
Sul punto, in commento alla disciplina previgente, contenuta all’articolo 3 bis del d.lgs 502/1992, si è evidenziato che il procedimento propedeutico alla stipula del contratto ha una connotazione bifasica: una prima fase, di formazione dell’elenco degli idonei; una seconda, di nomina dei direttori generali, scelti dall’organo politico tra i soggetti inseriti nel predetto elenco.
La divisata impostazione strutturale è stata mantenuta nel nuovo impianto regolatorio compendiato nel d.lgs 171/2016, per come successivamente modificato ed integrato, che ha, però, introdotto significative novità rispetto alla previgente disciplina, accentuando la procedimentalizzazione della scelta sia rispetto alla prima che alla seconda fase.
Segnatamente, tra i profili di significativa novità vanno menzionate le seguenti modifiche:
– l’elenco degli idonei alla nomina non ha più carattere regionale, ma diviene statale. L’art. 1, comma 2, prevede, infatti, che esso il suddetto elenco sia istituito presso il Ministero della salute che lo pubblica sul suo sito internet e lo aggiorna ogni due anni;
– vengono implementati i requisiti per l’iscrizione nel suddetto elenco, con la previsione, in aggiunta al titolo di studio ed al dato esperenziale, di una soglia massima di età e la partecipazione ad un mirato corso di formazione;
– viene potenziato il ruolo della commissione di scrutinio, deputata, oltre che a verificare il possesso dei requisiti dei candidati che hanno dato riscontro ad un apposito avviso pubblico, ad una vera e propria valutazione dei titoli e dell’esperienza dirigenziale da questi già maturata ed all’assegnazione di un punteggio alla luce di criteri che debbono essere definiti dall’avviso pubblico, ponendosi peraltro una soglia minima di punteggio (70 punti) per conseguire l’iscrizione all’elenco;
– l’individuazione dell’incaricando avviene a valle di una distinta fase che si apre con ulteriore avviso pubblico e prevede una valutazione dei titoli da parte della commissione e un colloquio, ad esito dei quali la commissione propone al Presidente della Regione una rosa di candidati, nell’ambito della quale viene scelto quello che presenta requisiti maggiormente coerenti con le caratteristiche dell’incarico da attribuire. Il provvedimento di nomina, di conferma o di revoca del direttore generale è motivato e pubblicato sul sito internet istituzionale della Regione e delle aziende o degli enti interessati, unitamente al curriculum del nominato, nonché ai curricula degli altri candidati inclusi nella rosa.
Tanto premesso, mette conto evidenziare che, nella fattispecie in esame, non è in discussione la formazione dell’elenco degli idonei che oggi, peraltro, non è più espressione di un giudizio tecnico ancorato alla mera verifica di parametri fissi predefiniti dal legislatore, siccome caratterizzato da un’indubbia accentuazione della componente valutativa, ritenuta comunque inidonea a mutare la natura meramente idoneativa e non concorsuale della procedura in argomento (cfr. CdS, III Sezione, n. 3438 del 27.5.2019).
Il suddetto profilo non è qui in discussione, venendo piuttosto in rilievo la fase successiva che involge la nomina del direttore all’esito della ulteriore procedura idoneativa ed effettuata dal Presidente della Regione all’interno della rosa dei candidati selezionati.
L’intervento del legislatore con il recente d.lgs 171/2016 può essere letto come volto a riequilibrare i rapporti tra il vertice politico regionale e gli organi apicali delle aziende al fine di attenuare il legame genetico della nomina dei direttori generali ad una matrice esclusivamente ” politica” onde orientare la scelta verso valutazioni di tipo prevalentemente tecnico professionale in vista della selezione di professionalità maggiormente competenti ed adeguate dal punto di vista tecnico a ricoprire l’incarico.
Ciò nondimeno, non si può fare a meno di osservare come, di fatto, le modifiche introdotte, sebbene attenuino l’impatto della componente fiduciaria, non la elidano del tutto dal momento che la designazione tuttora fonda la sua giustificazione nell’intuitu personae in evidente continuità con il previgente assetto normativo. Si è efficacemente evidenziato che gli spazi di autonomia politica riservati alla Giunta regionale nella scelta del direttore generale sono funzionali ad assicurare una fondamentale coerenza tra l’indirizzo politico regionale e la gestione aziendale (cfr. cit. Parere dell’Adunanza della Commissione Speciale del Consiglio di Stato, n. 1113 del 05.05.2016).
Con riguardo a tale seconda fase – disciplinata oggi dall’articolo 2 del d.lg 171/2016 – si è, già in passato, evidenziato come venga in rilievo un provvedimento amministrativo autoritativo, ed esattamente un atto discrezionale di alta amministrazione, sicché l’aspirante non può vantare situazioni di diritto soggettivo rispetto alla nomina, ma soltanto di interesse legittimo, venendo in discussione non rapporti giuridici connotati dal binomio diritto-obbligo, ma esclusivamente la tipica relazione potere/soggezione che mira ad accertare la correttezza dell’azione amministrativa (v. Cass. Civ. SS.UU. n. 26631/2007 cit.; SS.UU., sentenza 11 febbraio 2003, n. 2065; C.G.A. in sede giurisdizionale, 8 marzo 2005, n. 86).
Occorre, infatti, rammentare che la designazione del direttore generale viene effettuata dall’organo di indirizzo politico ed è, dunque, immune dalle contaminazioni rinvenienti dai concetti imprenditoriali propri del settore privato che, viceversa, ispirano, secondo una matrice aziendalistica, l’azione da questi condotta a partire dall’atto organizzativo e dalle successive nomine dirigenziali, cui è attribuita valenza negoziale siccome adottati con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro.
La nomina del direttore generale – nonostante la divisata procedimentalizzazione funzionale ad orientare la scelta in senso tecnico – professionale – mantiene un’ineludibile componente di natura fiduciaria, riflettendo una valenza eminentemente discrezionale siccome espressione della potestà di indirizzo e di governo delle Regioni nel settore sanitario.
In tal senso va qui confermato l’orientamento giurisprudenziale tradizionale secondo il quale l’affidamento delle funzioni di vertice delle Aziende sanitarie è fondato su un rapporto fiduciario “intuitu personae”, all’esito di un apprezzamento complessivo del candidato e senza alcuna valutazione comparativa rispetto agli altri aspiranti.
La natura peculiare, marcatamente autonoma (circostanza questa pacifica ed incontestata), del rapporto di lavoro che si instaura tra la p.a. e il direttore ASL nominato pone, peraltro, la controversia in argomento nettamente al di fuori dell’ambito di applicazione dell’art. 63 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e dei principi regolatori in esso compendiati, dovendo escludersi, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, profili di similitudine con la posizione dei lavoratori parasubordinati cui vengano attribuiti ex articolo 7 del d.lgs 165/2001 incarichi funzionali alle medesime esigenze cui ordinariamente sono preordinati i lavoratori subordinati della pubblica amministrazione e, dunque, operanti ad un livello ed a condizioni nettamente diverse da quelle qui in rilievo.
Né appare condivisibile l’opzione esegetica privilegiata dal giudice di primo grado di estendere la portata applicativa di siffatta disciplina oltre il perimento delineato dal legislatore sulla premessa della assimilabilità, ai fini in questione, di ogni rapporto lavorativo a quelli ivi disciplinati.
Di contro, i rapporti in questione vengono espressamente identificati dal legislatore come rapporti di lavoro “alle dipendenze” delle amministrazioni pubbliche, dovendo comunque ricondursi al suddetto genus le ipotesi esemplificative menzionate nell’articolo 63 cit. che espressamente include “le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale”.
In altri termini, la qualificazione come mere determinazioni negoziali degli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali, siccome manifestazioni di gestione del rapporto di lavoro rispetto ai quali l’amministrazione stessa opera con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro (v. art. 5 cit. D.Lgs. 165/2001), può ritenersi predicabile all’interno ovvero in funzione di un rapporto di lavoro subordinato (ancorchè costituendo) quale risultante dal processo normativo di privatizzazione compendiato nel suindicato testo normativo.
Ad una dimensione diversa e del tutto peculiare, come sopra anticipato, si ascrive l’atto di nomina del direttore generale, cui si riconnette l’emersione di un rapporto di lavoro autonomo, rispetto al quale non è, dunque, possibile esportare, con inaccettabile pretesa di automaticità, il suindicato modello legale.
La natura autonoma del rapporto costituisce il presupposto di tutte le decisioni delle Sezioni unite, che hanno operato il riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo secondo il criterio generale del diritto soggettivo e dell’interesse legittimo, escludendo, di conseguenza, la configurabilità di un rapporto di impiego pubblico.
La natura autonoma del rapporto di lavoro colloca, dunque, la controversia in ambito escludente l’applicazione delle norme raccolte nel D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Si esula altresì, dalla sfera di operatività delle disposizioni generali in materia di organizzazione amministrativa contenute nell’art. 2, comma 1, dello stesso Decreto, in relazione all’art. 4, che delimitano la competenza delle fonti di diritto pubblico rispetto a quelle di diritto privato, siccome si è in presenza di norme che non disciplinano l’organizzazione, ma il potere di nomina di un organo di ente diverso, ancorchè strumentale (in tal senso cfr. Cassazione civile sez. un., 18/12/2007, n. 26631).
Deve rilevarsi che il criterio ordinario di riparto della giurisdizione impinge, come noto, nella natura della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio di talchè anche a voler riconnettere alla disposizione suindicata (id est articolo 63 cit.) una valenza derogatoria, i relativi effetti precettivi non possono che rimanere rigorosamente circoscritti all’oggetto regolato.
Ne discende che, al di fuori di tale ambito, si riespande l’ordinario criterio normativo cui occorre, pertanto, mettere capo per rinvenire la regula iuris della fattispecie controversa.
Deve, dunque, concludersi nel senso che in presenza di un procedimento amministrativo di carattere autoritativo, preordinato per espressa previsione di legge ad una scelta mediante un atto discrezionale definito di alta amministrazione, all’aspirante non è consentito vantare una situazione di diritto soggettivo rispetto alla scelta finale, ma solo situazioni di interesse legittimo, essendo messa in discussione solo la correttezza dell’azione amministrativa.
Va, dunque, confermato l’indirizzo giurisprudenziale della Suprema Corte che, in relazione allo speciale incarico qui in rilievo, si è sempre, in modo assolutamente conforme, e senza eccezioni di sorta, pronunciata nel senso che il procedimento di nomina del direttore generale va sicuramente ascritto alla categoria dei procedimenti autoritativi, preordinato alla scelta, all’esito di evidenza pubblica, del soggetto con il quale stipulare il contratto di lavoro. Segnatamente, l’atto di nomina del direttore generale delle aziende sanitarie risulta qualificato come atto di alta amministrazione, di talchè l’aspirante non può vantare situazioni di diritto soggettivo rispetto alla scelta, ma soltanto di interesse legittimo, venendo in discussione non rapporti giuridici, connotati dalla coppia diritto-obbligo, ma esclusivamente la correttezza dell’azione amministrativa. Proprio in ragione di ciò la giurisprudenza delle Sezioni unite ha, come sopra anticipato, stabilmente assegnato alla giurisdizione amministrativa di legittimità le controversie concernenti il provvedimento di nomina (e l’esercizio di autotutela decisoria mediante annullamento di ufficio) e quello, partecipante della medesima natura, di conferma del direttore generale, devolvendo alla giurisdizione del giudice ordinario le sole controversie relative agli inadempimenti imputati al direttore e determinanti la decadenza dall’incarico (Cass. Civ., Sez. Un., n. 4214 del 23.04.1998, n. 3882 del 16.04.1998, n. 100 del 24.02.1999, n. 114 del 10.03.1999, n. 2065 dell’11.02.2003, n. 6854 del 06.05.2003; n. 14177 del 08.07.2004; SS.UU., 18.12.2007, n. 26631; Cass. civ. Sez. Unite, Ord., del 19-12-2014, n. 26938; 22/05/2014, n. 11306; CdS, Sez. III, n. 6697 del 27.11.2018).
E’ proprio la stabilità dell’indirizzo giurisprudenziale ripetutamente espresso dal giudice della giurisdizione e calibrato sulle specifiche peculiarità della figura professionale qui in argomento che non consente di dissentire dai divisati arresti decisori non potendosi ad essi derogarsi sulla scorta di precedenti giurisprudenziali di contenuto opposto (Cassazione civile sez. un., 28/02/2019, n. 6040, 1413/2019, 22431/2018; 21600/2018; Cass., SS.UU. civ., 10 ottobre 2017, n. 24877) affermati, però, in riferimento a figure professionali diverse da quelle qui in rilievo e che non replicano, dunque, a partire dal regime del rapporto di lavoro, il medesimo, peculiare status della figura dirigenziale in argomento.
In conclusione, l’appello merita accoglimento e, per l’effetto, s’impone, ai sensi dell’articolo 105 c.p.a., l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio della causa al giudice di primo grado.
La peculiarità della vicenda scrutinata giustifica la compensazione delle spese del presente grado di giudizio
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Terza, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, così provvede:
– estromette dal giudizio il Ministero della Salute;
– accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara la giurisdizione del giudice amministrativo e, previo annullamento della sentenza impugnata, rimette la causa dinanzi al TAR per la Basilicata per la trattazione del merito.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Garofoli – Presidente
Giulio Veltri – Consigliere
Giovanni Pescatore – Consigliere
Raffaello Sestini – Consigliere
Umberto Maiello – Consigliere, Estensore
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply