Esercizio del potere di annullamento d’ufficio

Consiglio di Stato, Sezione seconda, Sentenza 23 marzo 2020, n. 2007.

La massima estrapolata:

I presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio anche dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento, dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.

Sentenza 23 marzo 2020, n. 2007

Data udienza 25 febbraio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8099 del 2009, proposto dalla signora
Se. Ch., rappresentata e difesa dagli avvocati Eu. Pi. e Re. Si., con domicilio eletto presso l’avv. Eu. Pi. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis) non costituito in giudizio;
nei confronti
signora An. Be. non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo Sezione Prima n. 859/2008, resa tra le parti, concernente la concessione edilizia rilasciata il 22 ottobre 2001
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 25 febbraio 2020 il Cons. Cecilia Altavista e udito per la parte appellante l’avvocato Re. Si.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Comune di (omissis), il 22 ottobre 2001, rilasciava alle signore Do. Di Be. e Fi. Di Be. Fi. una concessione edilizia per la ristrutturazione di un fabbricato sito in via (omissis) (al catasto al foglio (omissis) particella (omissis)) mediante demolizione e ricostruzione. L’intervento riguardava anche alcune modifiche all’androne di ingresso che era oggetto di una servitù di passaggio per l’accesso ad altri edifici.
Tale concessione è stata successivamente volturata alla signora An. Be..
La signora Ch. presentava al Comune una prima istanza di autotutela il 17 febbraio 2003, chiedendo l’annullamento della concessione, deducendo di essere proprietaria di un immobile vicino e titolare di un diritto di passaggio per l’accesso a via (omissis) che sarebbe stato pregiudicato dalla nuova sistemazione edilizia, in particolare dalla previsione di un accesso carrabile nell’area interessata dal suo passaggio in cui era sempre stato effettuato il passaggio esclusivamente pedonale, oltre ad ulteriori rilievi circa la superficie di riferimento utilizzata.
Il Comune, con nota del 17 aprile 2003, respingeva la istanza escludendo i profili di illegittimità denunciati dalla odierna appellante, la quale presentava ulteriori esposti e istanze nel corso del 2003, a cui il Comune rispondeva il 14 luglio 2003.
Successivamente, la signora Se. Ch. formalizzava una nuova istanza di autotutela il 6 ottobre 2004, che è stata respinta dal Comune di (omissis) con nota del 16 dicembre 2004.
Avverso tale nota è stato proposto davanti al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo- sede dell’Aquila, il ricorso R.G. n. 191 del 2005 per i seguenti motivi:
-violazione di legge e dei principi generali sul potere-dovere di annullamento di ufficio degli atti amministrativi, violazione delle regole costituzionale di correttezza, legalità e buon andamento della P.A., motivazione contraddittoria, pretestuosa ed elusiva, sviamento di potere, travisamento di fatti e falsità dei presupposti, difetto di istruttoria, ingiustizia manifesta, con cui sosteneva che il Comune di (omissis) avesse l’obbligo e non la facoltà di procedere all’annullamento di ufficio della illegittima concessione rilasciata, stante l’illegittima rappresentazione dei luoghi operata dai richiedenti la concessione, che non avrebbero evidenziato la sussistenza del un diritto di passaggio della ricorrente, pregiudicato alla nuova sistemazione edilizia. In particolare, lamentava che il progetto approvato avrebbe previsto un passaggio carrabile nell’area destinata alla servitù di passaggio (da sempre pedonale) della ricorrente.
Il 18 maggio 2005 alla signora Be. veniva rilasciato un permesso di costruire in sanatoria.
La signora Ch. il 3 agosto 2005 richiedeva al Comune di (omissis) di dichiarare la decadenza della concessione edilizia del 22 ottobre 2001 per la mancata ultimazione dei lavori entro il triennio dal loro inizio avvenuto il 20 maggio 2002.
Nel silenzio dell’Amministrazione comunale proponeva ricorso al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo- sede dell’Aquila per l’accertamento dell’obbligo di provvedere, accolto con sentenza n. 1563 del 19 dicembre 2005, con cui è stato dichiarato l’obbligo del Comune di provvedere entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza, intervenuta il 27 dicembre 2005. Decorso tale termine senza alcun provvedimento comunale, la signora Ch., il 15 febbraio 2006, ha proposto istanza per la nomina di un Commissario ad acta, accolta con sentenza n. 373 del 24 maggio 2006.
Il Commissario ad acta nominato, ing. Va. Sp., a seguito di sopralluogo effettuato il 17 ottobre 2006 ha respinto la istanza per la dichiarazione di decadenza del permesso di costruire, in quanto i lavori di demolizione e ricostruzione erano stati terminati, mentre le rampe fisse carrabile non erano state realizzate ma erano state previste come mobili già nella comunicazione del direttore dei lavori del 23 settembre 2003 e negli allegati alla domanda di sanatoria presentata il 20 settembre 2004.
Avverso tale provvedimento del Commissario ad acta la signora Ch. ha proposto al Tribunale amministrativo regionale dell’Abruzzo- sede dell’Aquila il ricorso n. 686 del 2006, per i seguenti motivi:
-violazione di legge e delle regole del giusto procedimento, eccesso di potere per difetto di istruttoria, insufficienza, illogicità e irragionevolezza della motivazione, contestando in primo luogo che il sopralluogo del 17 ottobre 2006 fosse stato effettuato senza la presenza della signora Ch.; inoltre, il Commissario ad acta avrebbe erroneamente ritenuto che i lavori di cui alla rilasciata concessione fossero stati completati mediante l’ausilio di pedane mobili per consentire l’accesso carrabile, laddove il progetto faceva riferimento a rampe fisse;
-violazione di legge sotto altro profilo, travisamento dei fatti e dei presupposti, sostenendo che il progetto previsto nella concessione edilizia del 22 ottobre 2001 non sarebbe stato completato con riferimento alla realizzazione delle rampe fisse, mentre la concessione in sanatoria del 18 maggio 2005, n. 13103 non riguarderebbe tali rampe né le rampe mobili;
-violazione di legge e delle regole del procedimento, falsità di presupposti, sotto ulteriori profili, rinnovato travisamento degli atti e pretermissione di elementi decisivi, sviamento di potere, in quanto al sopralluogo avrebbero illegittimamente partecipato funzionari del Comune;
-sillogismo sofistico e fallace, argomentazione equivoca, contraddittorietà tra le varie proposizione del ragionamento, contestando le affermazioni del Commissario circa la conclusione dei lavori, in quanto appunto le rampe fisse non erano mai state realizzate, mentre le rampe mobili non erano previste nella sanatoria e comunque anche queste avrebbero ostacolato il passaggio pedonale
Il 6 ottobre 2006 per i lavori realizzati a seguito della concessione edilizia del 22 ottobre 2001 è stato rilasciato il certificato di agibilità, impugnato con i motivi aggiunti nel ricorso n. 686 del 2006, sostenendone la illegittimità, non essendo stata data comunicazione di tale procedimento alla Ch. e contestando, anche se genericamente, il presupposto della avvenuta conclusione dei lavori
I ricorsi sono stati riuniti e respinti con la sentenza n. 859 del 2008, sulla base della natura discrezionale del provvedimento di autotutela per il ricorso n. 191 del 2005 e, con riferimento al ricorso n. 686 del 2006, ritenendo la legittimità di quanto affermato dal Commissario circa la esclusione delle rampe fisse dal progetto realizzato, rispetto alle quali doveva ritenersi che la controinteressata avesse ormai rinunciato alla loro esecuzione essendo al limite state sostituite da rampe mobili, che non richiedevano un titolo edilizio; è stata respinta altresì la impugnazione del certificato di agibilità, escludendo la violazione delle norme sulla partecipazione della Ch. al procedimento, trattandosi di atto destinato esclusivamente al richiedente, e comunque non essendo state formulate specifiche censure; sono state poi dichiarate inammissibili le questioni sollevate avverso le modalità delle operazioni compiute dal Commissario, in quanto reclamabili in sede di ottemperanza.
Avverso tale sentenza è stato proposto il presente atto di appello per i seguenti motivi:
-con riferimento al primo ricorso: errore per travisamento dei motivi, violazione delle regole del procedimento e dei principi generali relativi all’esercizio dei poteri di autotutela, con cui si deduce che l’annullamento d’ufficio fosse doveroso e comunque, potendo essere limitato solo alla parte del titolo edilizio relativo alle rampe carrabili, incompatibili con lo stato dei luoghi, sarebbe stato facilmente praticabile, non venendo ad incidere sull’intero titolo edilizio;
-con riferimento al secondo ricorso: errore per travisamento dei motivi di ricorso, con cui sono state contestate le affermazioni del giudice di primo grado circa la reclamabilità al giudice delle esecuzioni delle questioni relative alle modalità di svolgimento del sopralluogo; è stato poi dedotto che la rampe fisse non sono state mai realizzate; sono state contestate le affermazioni del giudice di primo grado circa la natura precaria delle rampe mobili che, secondo la ricostruzione dell’appellante, avrebbero richiesto comunque un titolo edilizio mai rilasciato non essendo neppure previste nella concessione in sanatoria del 18 maggio 2005 o comunque autorizzazione del genio civile e rispetto della normativa antisismica; inoltre vi sarebbe stata l’illegittima occupazione di particella di proprietà altrui; è stata, altresì, dedotta, sempre genericamente, la illegittimità del certificato di agibilità, che sarebbe stato rilasciato senza la previa conclusione dei lavori costituti dalle rampe carrabili e comunque senza la partecipazione della signora Ch..
Nel frattempo, peraltro, la signora Ch. aveva presentato una nuova istanza al Comune l’11 gennaio 2007 per la verifica della legittimità delle opere realizzate consistenti nella trasformazione di un accesso pedonale in carrabile. In mancanza di risposta del Comune è stato proposto ricorso per l’accertamento dell’obbligo di provvedere respinto dal Tribunale amministrativo e accolto dal Consiglio di Stato in appello con la sentenza n. 3384 del 7 luglio 2008, che ha dichiarato l’obbligo di provvedere del Comune di (omissis) entro il termine di trenta giorni dal deposito della decisione.
Non avendo il Comune adempiuto nel termine, la signora Ch. presentava istanza per la nomina di un Commissario, che è stato nominato con sentenza n. 813 del 13 febbraio 2009 e successivamente sostituito con la sentenza n. 1459 del 12 marzo 2010.
Il Commissario nominato con la sentenza n. 1459 del 2010, dottor Carlo Clementi- dirigente del provveditorato alle opere pubbliche per Lazio, Abruzzo e Sardegna, eseguiva un nuovo sopralluogo il 4 giugno 2010 e con provvedimento del 16 giugno 2010 ordinava alla signora Be. l’adattamento del passaggio costituito dall’androne di via (omissis) per il passaggio delle persone diversamente abili e al Comune l’apposizione di un palo indentificante la zona pedonale davanti all’accesso del (omissis); inviava successivi solleciti al Comune il 7 e il 13 luglio 2011 e il Comune infine provvedeva all’apposizione del cartello come risulta dalla documentazione fotografica depositata in giudizio dalla parte appellante.
Né il Comune di (omissis) né la controinteressata si sono costituiti nel presente giudizio.
Con ordinanza collegiale n. 8112 del 28 novembre 2019 sono stati disposti incombenti istruttori a carico del Comune di (omissis), in particolare è stato chiesto al Comune di depositare “documentati chiarimenti, anche a seguito di sopralluogo, circa le attività compiute sull’immobile per cui è causa, al fine di accertare, in particolare, se sia stata effettivamente completata la realizzazione dell’opera oggetto della concessione edilizia; nonché circa l’attuale stato dei luoghi con particolare riferimento al passaggio di accesso anche alla proprietà della appellante e alle eventuali attività di controllo svolte dai tecnici comunali o dal Commissario ad acta nominato dal Consiglio di Stato e se tali attività siano ancora in corso, nonché ogni altro opportuno chiarimento ovvero documento in ordine ai fatti per cui è causa”.
Il Comune non ha depositato la documentazione richiesta, ma la parte appellante ha depositato in giudizio le sentenze del Tribunale amministrativo regionale per l’Abruzzo sede dell’Aquila n. 432 del 27 novembre 2018 e n. 576 del 27 novembre 2019, da cui risulta che la signora Ch. ha presentato ulteriori istanze al Comune, in data 10 aprile 2014, 2giugno 2015 e 12 dicembre 2015, chiedendo la verifica da parte degli uffici comunali anche circa l’abbattimento delle barriere architettoniche richiesto dal Commissario ad acta nominato dal Consiglio di Stato; ha proposto ricorso per l’accertamento dell’obbligo di provvedere del Comune su tali istanze, accolto dal Tribunale amministrativo, che ha nominato un nuovo Commissario ad acta (dottor Ri. Pe. della Prefettura dell’Aquila), che nella nota del 4 luglio 2019 ha escluso di procedere all’annullamento o alla revoca di precedenti atti quali la concessione edilizia del 22 ottobre 2001, dando atto della avvenuto adempimento del giudicato da parte del Comune con l’apposizione del cartello stradale indicante l’area pedonale, escludendo, quindi, la possibilità di un accesso carrabile al (omissis); con riferimento all’adattabilità per la eliminazione delle barriere architettoniche ordinava al Comune di disporre l’installazione di un corrimano; la questione dell’adattabilità è stata oggetto poi di successivo reclamo da parte della signora Ch. deciso con la sentenza n. 576 del 2019, che ha ordinato ulteriori adempimenti al Comune.
Da tali decisioni e dal provvedimento del Commissario del 4 luglio 2019 risulta, altresì, il rilascio di un nuovo permesso di costruire il 9 settembre 2015 relativo allo spostamento dell’accesso carrabile per i parcheggi di pertinenza dell’edificio. Inoltre, emerge, altresì, che il giudizio civile tra le parti si è concluso con la sentenza della Cassazione, sezione II civile, n. 25056 del 10 ottobre 2018, che ha respinto il ricorso della signora Ch. confermando la pronuncia della Corte d’appello dell’Aquila, che aveva affermato la proprietà della signora Be. sull’androne di passaggio del (omissis) e respinto le domande proposte dalla odierna appellante a tutela della propria servitù di passaggio su detto androne.
Nella memoria depositata il 4 febbraio 2020 la parte appellante ha dato atto che in base a tale documentazione depositata in giudizio “è stata in concreto consacrata ufficialmente la pedonalizzazione dell’androne su cui il Comune in un primo tempo aveva ritenuto erroneamente (?) che fosse consentito anche il transito carraio, in promiscuità con quello pedonale sempre e solo esistito”; il transito pedonale è l’unico allo stato consentito “come riconosciuto e ordinato proprio dal Comune già attraverso l’apposizione del cartello stradale…in adesione all’ordine del Commissario ad acta ” del 16 giugno 2010; ha dato altresì atto che l’accesso carrabile è stato spostato in altro luogo esterno rispetto al fabbricato di via (omissis) a seguito del permesso di costruire del 9 settembre 2015.
Peraltro, anche in base a tali circostanze di fatto, la parte appellante ha comunque insistito per l’accoglimento dell’appello.
All’udienza pubblica del 25 febbraio 2020 l’appello è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il presente atto di appello è stata impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale dell’Aquila n. 859 del 2008, che ha respinto i ricorsi proposti dalla signora Ch. avverso il provvedimento del Comune di (omissis) del 16 dicembre 2004 prot. n. 46052 – con il quale è stato negato l’annullamento di ufficio della concessione edilizia prot. n. 12669 del 22 ottobre 2001 intestata a Di Be. Do. e di Be. Fi. e successivamente volturata a Be. An. (ricorso n. 191 del 2005)- nonché avverso il provvedimento del Comune di (omissis), del 17 ottobre 2006, prot. n. 32867/06 a firma del Commissario ad acta ing. Va. Sp., nominato dal Tribunale amministrativo con la sentenza n. 373 del 2006, con il quale è stata respinta l’istanza della ricorrente intesa a far dichiarare la decadenza della concessione edilizia prot n. 12669 del 22 ottobre 2001 (ricorso n. 686 del 2006); la sentenza ha poi in parte dichiarato inammissibili in parte respinto i motivi aggiunti proposti nel ricorso n. 686 del 2006 avverso il certificato di agibilità rilasciato il 6 ottobre 2006 per i lavori realizzati a seguito della concessione edilizia del 22 ottobre 2001.
Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso R.G. n. 191 del 2005, sulla base della mancanza di un obbligo di provvedere all’esercizio del potere di autotutela; il ricorso n. 686 del 2006, in quanto la parte del permesso di costruire non realizzata era costituita dalle rampe carrabili a cui nel corso dei lavori la titolare del permesso di costruire aveva sostanzialmente rinunciato, mentre le rampe mobili sarebbero un’opera precaria e non stabile che non necessitava di permesso di costruire; ha dichiarato inammissibili le censure relative alle operazioni compiute dal Commissario, quali quelle con cui si è dedotta la illegittimità del sopralluogo effettuato in assenza della signora Ch. e alla presenza dei funzionari del Comune; ha poi affermato, rispetto al certificato di agibilità, che non sarebbero state dedotte specifiche censure e comunque la parte Ch. non era destinataria delle norme di partecipazione al procedimento.
Con l’atto di appello sono stati dedotti, per il primo ricorso, motivi relativi alla violazione dei principi generali relativi all’esercizio dei poteri di autotutela, sostenendo la doverosità dell’annullamento d’ufficio della concessione edilizia del 22 ottobre 2001; per il secondo ricorso è stata contestata la natura precaria delle rampe mobili comunque mai assentite; è stata altresì riproposta la censura relativa alla illegittimità del certificato di agibilità .
Ritiene preliminarmente il Collegio che, a cagione della documentazione lodevolmente depositata in giudizio dalla parte appellante, la causa sia sufficientemente istruita e non vi sia ragione per reiterare gli incombenti istruttori.
Ciò posto, con riferimento al capo di sentenza relativo alla reiezione del ricorso n. 191 del 2005, la sentenza di primo grado non possa che essere confermata.
Nella sostanza, con i vari motivi di appello, si deduce che l’annullamento in autotutela del titolo edilizio rilasciato il 22 ottobre 2001 fosse doveroso per il Comune in relazione ai profili di illegittimità denunciati fin dal 17 febbraio 2003 dall’appellante e oggetto della formale diffida del 6 ottobre 2004.
Tale posizione di fondo dell’appellante, per cui l’annullamento d’ufficio costituisce un dovere per l’Amministrazione, non può essere condivisa in relazione ai consolidati principi normativi e giurisprudenziali in materia di autotutela.
Deve, infatti, rilevarsi che anche prima della introduzione dell’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, che ha esplicitamente previsto “il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge”, i principi codificati da tale disciplina erano stati elaborati dalla giurisprudenza, che ha sempre ritenuto che l’autotutela costituisca l’esercizio di un potere discrezionale dell’Amministrazione che- con riferimento all’annullamento d’ufficio- può essere esercitato in presenza della illegittimità del provvedimento e di un interesse pubblico attuale all’annullamento, nonché entro un termine ragionevole dalla data di adozione del provvedimento illegittimo.
I presupposti dell’esercizio del potere di annullamento d’ufficio anche dei titoli edilizi sono costituiti dall’originaria illegittimità del provvedimento, dall’interesse pubblico concreto ed attuale alla sua rimozione (diverso dal mero ripristino della legalità violata), tenuto conto anche delle posizioni giuridiche soggettive consolidate in capo ai destinatari.
I procedimenti di autotutela hanno natura discrezionale. La discrezionalità attiene, normalmente, sia all’an del provvedere sia al contenuto del provvedere. In relazione all’an del provvedere non sussiste alcun obbligo per la P.A. in quanto se si imponesse il rischio sarebbe anche quello di eludere i termini di impugnare mediante la proposizione di una istanza all’amministrazione, con possibilità di impugnare l’eventuale esito negativo della procedura, nonostante l’avvenuta decorrenza dei termini per proporre ricorso nei confronti del provvedimento di primo grado. (Cons. giust. amm. Sicilia, 12 settembre 2019, n. 799).
Pertanto, costituisce, altresì, principio consolidato nella giurisprudenza, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, quello per cui la formalizzazione, ad opera di un privato, di istanza intesa alla sollecitazione dell’esercizio dei poteri di autotutela non è, di per sé, in grado di generare, in capo all’Amministrazione, un obbligo giuridico di provvedere, il cui inadempimento possa legittimare l’attivazione delle tutele avverso i rifiuti, le inerzie o i silenzi antigiuridici (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5018; Id., sez. V, 22 gennaio 2014, n. 322; Id., sez. IV, 24 settembre 2013, n. 4714; Id., sez. V, 30 dicembre 2011, n. 6995).
Il principio trova non solo conferma testuale nella lettera dell’art. 21 nonies della L. n. 241 del 1990 (che prefigura la consistenza ampiamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio), ma si giustifica, sulla scia di una consolidata interpretazione giurisprudenziale, alla luce delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e della correlata regola di inoppugnabilità dei provvedimenti amministrativi non tempestivamente contestati, regola che sarebbe compromessa dalla automatica rimessione in termini dovuta alla presentazione di domande di autotutela. Del resto, l’interesse pubblico, rilevante, concreto ed attuale, la cui valorizzazione fornisce giustificazione e legittimazione alle iniziative procedimentali di secondo grado in funzione eliminatoria, non essendo sufficiente la mera esigenza di ripristino della legalità violata, non è nel dominio della parte privata, la quale, se può sollecitare, nel proprio interesse e con effetto di mera denuncia, l’Amministrazione alla revisione del suo operato ed alla rimodulazione delle decisioni assunte, non ha alcuna una pretesa giuridicamente titolata a che l’Amministrazione provveda in tal senso. Né il sindacato giurisdizionale può – senza impingere in valutazioni di merito rimesse all’Amministrazione – spingersi ad apprezzare, in sede contenziosa, le ragioni di pubblico interesse in tesi idonee ad imporre l’attivazione del procedimento di secondo grado. Pertanto, la istanza di parte privata di autotutela è rappresentativa di un interesse di mero fatto, che non assurge alla necessaria consistenza dell’interesse giuridico di pretesa. Deve dunque deve ribadirsi il principio che, a fronte del rifiuto di provvedere in autotutela, il privato, che abbia omesso, come nella specie, di formalizzare tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo ed asseritamente illegittimo, vanti un interesse di mero fatto, non suscettibile, come tale, di tutela giurisdizionale rispetto all’esercizio del potere di autotutela (Cons. Stato Sez. V, 24 settembre 2019, n. 6420).
Ne deriva che, nel caso di specie, non sussisteva alcun obbligo di provvedere dell’Amministrazione all’esercizio del potere di autotutela, come correttamente affermato dal giudice di primo grado.
Inoltre, almeno nell’atto di appello, la richiesta di annullamento d’ufficio è stata limitata alla parte del titolo edilizio relativa alle rampe fisse carrabili, che, alla data del 16 dicembre 2004, di reiezione della richiesta di autotutela non erano comunque state realizzate, come risulta dalla stessa richiesta di pronuncia di decadenza del titolo edilizio in parte qua, con la conseguenza che a tale data, nei limiti del sindacato giurisdizionale su tale valutazione dell’interesse pubblico da parte dell’Amministrazione, neppure sussisteva un interesse pubblico attuale all’annullamento di tale titolo edilizio nella parte relativa alle suddette rampe.
Peraltro, non solo la parte odierna appellante non aveva tempestivamente impugnato il titolo edilizio, ma alla data della istanza del 6 ottobre 2004, nonché alla data della prima risposta del Comune il 17 aprile 2003, era ampiamente trascorso il termine di 18 mesi, che si deve ritenere un termine ragionevole anche per il periodo precedente all’entrata in vigore della legge 7 agosto 2005 n. 124.
Infatti, la giurisprudenza ha affermato che tale termine, pur non essendo immediatamente applicabile alle fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore, costituisce un utile riferimento interpretativo al fine di individuare il termine “ragionevole” in cui è legittimo l’esercizio del potere di autotutela (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 2 novembre 2019, n. 7476; sez. V, 29 maggio 2019, n. 3583; sez. IV, 18 luglio 2018, n. 4374; Sez. VI, 13 luglio 2017, n. 3462; Id., Sez. VI, 18 luglio 2017, n. 3524; Id., Sez. VI, 20 luglio 2017, n. 3586; Id., Sez. III, 28 luglio 2017, n. 3780).
Quanto alla circostanza dedotta dalla parte appellante che non vi sarebbe alcun limite di tempo in caso di documentazione falsa per il rilascio del titolo edilizio, si deve rilevare, da una parte, che non è stata raggiunta la piena prova di tali affermazioni difensive, dall’altra, che la disciplina della legge n. 124 del 2015, anche se entrata in vigore successiva ai fatti in questione, ma espressione di un principio generale dell’autotutela, in quanto riferita al parametro della ragionevolezza del termine, richiede che si tratti di “condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato”.
Il superamento del rigido termine di diciotto mesi, entro il quale il provvedimento amministrativo illegittimo può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, è consentito, nel caso in cui la falsa attestazione nella documentazione inerente i presupposti per il rilascio del provvedimento ampliativo abbia costituito il frutto di una condotta di falsificazione penalmente rilevante, nel qual caso sarà necessario l’accertamento definitivo in sede penale (Cons. Stato Sez. VI, 14 ottobre 2019, n. 6975).
Quanto agli ulteriori profili di illegittimità della concessione, oltre che riproposti genericamente tra i motivi di appello, sono comunque infondati essendo stata accertata nel giudizio civile la proprietà della signora Be. sull’androne di via (omissis).
L’appello avverso il capo di sentenza di reiezione del ricorso 191 del 2005 deve quindi essere respinto con conferma della sentenza appellata.
Con i motivi di appello avverso i capi della sentenza che hanno respinto il ricorso n. 686 del 2006 ed i relativi motivi aggiunti, la parte appellante ha contestato le affermazioni del giudice di primo grado circa la reclamabilità al giudice delle esecuzioni delle questioni relative alle modalità di svolgimento del sopralluogo; ha contestato le affermazioni del giudice di primo grado circa la natura precaria delle rampe mobili deducendo che non sarebbero mai state assentite e che anche queste avrebbero richiesto una verifica comunale e del genio civile; ha dedotto, peraltro genericamente come già in primo grado, la illegittimità del certificato di agibilità, in quanto i lavori non sarebbero stati completati con le rampe fisse previste nel progetto e non sarebbe stata data comunicazione del procedimento per il rilascio all’appellante.
Ritiene il Collegio – anche sulla base della documentazione depositata in giudizio dalla parte appellante e di quanto dichiarato dalla difesa appellante nella memoria depositata il 4 febbraio 2020- che l’interesse fatto valere dall’appellante con tale impugnazione, costituito dall’interesse alla eliminazione (tramite la pronuncia di decadenza del permesso di costruire nella parte relativa) delle rampe carrabili, nonché successivamente delle rampe mobili che avrebbero sostituito quelle fisse secondo la ricostruzione fornita dal Commissario ad acta con il provvedimento impugnato in primo grado, sia venuto del tutto meno in relazione alle circostanze di fatto sopravvenute, che hanno soddisfatto indirettamente l’interesse al giudizio.
Infatti – anche a prescindere dall’esame della questione se il passaggio carrabile fosse già escluso a seguito della dichiarazione del direttore dei lavori del 23 settembre 2003 e dal permesso in sanatoria del 18 maggio 2005 -a seguito delle ulteriori decisioni giurisdizionali (sentenza del Consiglio di Stato n. 3384 del 2008 e sentenza del Tribunale amministrativo dell’Abruzzo n. 432 del 2018) e dei provvedimenti dei Commissari ad acta con queste nominati, è stata ormai affermata la natura pedonale del passaggio in questione (cfr. provvedimento del Commissario dott. Clementi del 16 giugno 2010 e, da ultimo, provvedimento del Commissario dott. Pezzoli del 4 febbraio 2019), riconosciuta anche dal Comune con la apposizione del cartello, indicante il passaggio esclusivamente pedonale, davanti all’accesso di via (omissis), che esclude anche la possibilità di passaggio con le rampe mobili, ancora contestata con il presente giudizio di appello.
Inoltre, per il passaggio carrabile è intervenuto, altresì, un ulteriore permesso di costruire il 9 settembre 2015, che ha previsto altrove il passaggio carrabile, circostanza di cui dà espressamente atto anche la difesa appellante nella memoria depositata il 4 febbraio 2020.
Sulla base di tali circostanze sopravvenute non sussiste, quindi, più alcun interesse concreto ed attuale alla decisione dell’appello in parte qua, non avendo la parte appellante alcun interesse alla questione relativa al passaggio veicolare (tramite rampe fisse o mobili) sull’area dell’androne di via (omissis), ormai definitivamente risolta nel senso indicato dalla stessa appellante ovvero con l’esclusivo passaggio pedonale.
Ciò deve essere affermato anche con riferimento alle deduzioni, pur generiche, relative al certificato di agibilità, di cui si contesta la legittimità con riferimento alla mancata realizzazione del transito veicolare nell’androne, ormai definitivamente escluso in relazione ai fatti e provvedimenti sopravvenuti.
In conclusione l’appello deve essere in parte respinto (con riferimento al capo della sentenza di primo grado relativa al ricorso n. 191 del 2005), in parte dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse (con riferimento al capo di sentenza relativa al ricorso n. 686 del 2006 e ai relativi motivi aggiunti).
Non si procede alla liquidazione delle spese del presente giudizio per la mancata costituzione delle parti diverse dall’appellante.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge in parte lo dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse come da motivazione.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Taormina – Presidente
Francesco Frigida – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere, Estensore
Francesco Guarracino – Consigliere

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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