Elemento che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione

Consiglio di Stato, Sezione quarta, Sentenza 4 febbraio 2020, n. 907.

La massima estrapolata:

L’elemento che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella trasformazione del territorio già compiuta, che può avvenire con due modalità operative, una conservativa e una sostitutiva della preesistente struttura fisica, mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.

Sentenza 4 febbraio 2020, n. 907

Data udienza 16 gennaio 2020

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4669 del 2017, proposto da Em. Sa. Bu. e Ga. Lu. Bu., rappresentati e difesi dall’avvocato Lu. Ma. De., con domicilio eletto presso lo studio Ma. Ma. Zo. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), rappresentato e difeso dall’avvocato Ga. Ca., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
De. Fr., non costituito in giudizio;
nei confronti
An. El. Ra., rappresentata e difesa dagli avvocati Fr. Li. e Do. Ru., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio Fr. Li. in Roma, viale (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria sezione staccata di Reggio Calabria n. 01352/2016, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis) e di An. El. Ra.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2020 il Cons. Roberto Proietti e uditi per le parti gli avvocati Ga. Lu. Ma. De. e Li. Fr. per sé e su delega dichiarata di Do. Ru.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Em. Sa. Bu. e Ga. Lu. Bu. hanno impugnato dinanzi al TAR per la Calabria il provvedimento del Comune di (omissis) prot. n. 12 del 03.07.2015, con il quale è stato concesso un permesso di costruire a An. El. Ra. per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione ed ampliamento di un’unità immobiliare.
2. Il giudice di primo grado, con sentenza n. 1352/2016, ha respinto il ricorso.
3. Gli interessati hanno impugnato dinanzi al Consiglio di Stato la decisione del giudice di primo grado, deducendo censure di travisamento della realtà di fatto e di diritto; erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto l’illegittimità del permesso di costruire, per asserita violazione della disciplina sulle distanze minime e sui limiti di cubatura consentiti. Nell’affermare l’erroneità della sentenza di primo grado, i ricorrenti hanno, inoltre, riproposto le censure avanzate dinanzi al TAR per la Calabria avverso il provvedimento impugnato: – eccesso di potere per travisamento dei fatti, assenza assoluta di istruttoria in relazione all’assetto delle proprietà, carenza di legittimazione della Sig.ra Ra. all’ottenimento del titolo abilitativo con particolare riferimento alla part. n. (omissis) del foglio di mappa n. (omissis) di proprietà Bu. e non di proprietà Ra.; – violazione di legge; eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, difetto (assoluto) ed incongruità della motivazione posta a base del permesso di costruire impugnato con riferimento al profilo del richiesto ampliamento (ampliamento della superfetazione presumibilmente abusiva posta a secondo piano f.t. dell’edificio esistente e sopraelevazione di un terzo piano abitabile f.t.); violazione del paramentro afferente alla cubatura realizzabile in situ a norma del P.R.G. vigente. – violazione di legge con riferimento alla palmare violazione del parametro relativo al distacco dai confini e tra le fabbriche da parte della ditta Ra., sia con riferimento alla sopraelevazione che con riguardo alla preesistenza atteso che nella circostanza non si può parlare di intervento di ristrutturazione ma di nuova costruzione nel complesso; eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità manifesta, difetto assoluto di istruttoria sul punto.
L’Amministrazione comunale intimata, costituitasi in giudizio, ha affermato l’infondatezza del ricorso e ne ha chiesto il rigetto.
Anche la controinteressata Ra. An. El. si è costituita in giudizio affermando l’infondatezza delle censure proposte dalla parte ricorrente.
All’udienza del 16 gennaio 2020 la causa è stata trattenuta per la decisione.
4. Il Collegio osserva che con il primo motivo d’appello i ricorrenti, dopo aver ribadito la loro legittimazione a ricorrere, essendo i proprietari del terreno contiguo a quello oggetto del contestato permesso di costruire del Comune di (omissis) prot. n. 12/2015 (circostanza, peraltro, già chiarita dal TAR per la Calabria nella sentenza di primo grado e non messa in discussione in appello), contestano il fatto che dagli elaborati grafici presentati da An. El. Ra. in sede di richiesta di permesso di costruire emergerebbe il tentativo di attribuzione della proprietà di un lastrico solare che, invece, apparterrebbe ai Bu..
Da tale falsa rappresentazione dei luoghi deriverebbe l’erroneità della sentenza di primo grado e l’illegittimità del permesso di costruire.
5. Al riguardo, il Collegio, ritiene immune da vizi quanto affermato dal TAR per la Calabria in quanto il giudice di primo grado, sulla base degli esiti della CTU disposta in corso di causa, ha ritenuto che la qualificazione del lastrico solare fornita in sede di richiesta di permesso di costruire, lungi dal costituire un tentativo di attribuzione di un diritto di proprietà, non assume particolare rilievo, posto che le opere assentite con il permesso di costruire n. 12 del 3/7/2015 non attengono al lastrico solare di proprietà Bu., ma riguardano l’immobile di proprietà Ra., identificato in catasto al foglio (omissis) particella (omissis) sub (omissis).
Del resto, la superficie del lastrico solare di proprietà Bu. non risulta essere stata utilizzata per ottenere benefici urbanistici.
Di talché, l’infondatezza della censura.
6. Con il secondo motivo d’appello, è stato dedotto che il giudice di primo grado avrebbe errato nel ritenere che l’intervento effettuato dalla Ra. non configuri una nuova costruzione, bensì una ristrutturazione edilizia, sottolineando che le aree realizzate non possono essere configurate come destinate a lavanderia/stenditoio e ripostiglio.
Inoltre, il CTU e, di riflesso, il giudice di primo grado, avrebbe errato nell’applicare la normativa relativa al calcolo della volumetria consentita. In particolare, il TAR per la Calabria sarebbe incorso in un travisamento dei fatti nel momento in cui ha ritenuto che l’aumento del volume calpestabile dell’abitazione, realizzato con i lavori inerenti al contestato permesso di costruire, non andasse computato nel calcolo della volumetria, in applicazione della disposizione contenuta al punto 20 dell’art. 4 del Regolamento Edilizio comunale. Infatti, i ricorrenti ritengono che l’altezza del soffitto (pari a tre metri), la presenza di servizi igienici e l’accessibilità mediante una scala esterna dell’area realizzata, indurrebbero a qualificare gli spazi oggetto del contestato permesso di costruire quali porzioni di proprietà abitabili ed autonome e, pertanto, soggette al calcolo volumetrico.
Da ciò, deriverebbe l’erroneità della sentenza di primo grado, nella parte in cui non ha attestato l’illegittimità del permesso di costruire concesso, stante l’esubero del volume dell’immobile rispetto ai limiti individuati dalla normativa di settore.
I ricorrenti, inoltre, ritengono che nella denegata ipotesi in cui tali porzioni di immobile fossero ritenute come destinate a lavanderia/ripostiglio, il TAR per la Calabria non avrebbe dovuto applicare la disposizione contenuta al punto 20 dell’art. 4 del Regolamento Edilizio del Comune di (omissis) (come suggerito dal CTU nella propria relazione), bensì quella prevista al punto 24 dell’Allegato 7 accluso alle Norme Tecniche di Attuazione del PRG vigente nel Comune di (omissis), secondo cui “La volumetria derivante da realizzazione di sottotetti abitabili in nuove costruzioni, nelle trasformazioni conservative per demolizione e ricostruzione e per realizzazione di tetto con copertura a falde su edifici con copertura originaria a terrazzo, rientra nel computo della volumetria in applicazione degli indici di zona. Solo nel caso che la volumetria del sottotetto abitabile rientri nel 20% della volumetria complessiva, e non sia realizzata una unità abitativa a sé stante, ma un ampliamento dell’alloggio, o nei casi ove esigenze di natura sociale siano sottoposte alle decisioni della P.A. per una tolleranza massima fino al 30% del volume di origine, il volume relativo al sottotetto non rientra nel calcolo volumetrico derivante dall’applicazione degli indici di zona”.
Applicando tale disciplina l’intervento realizzato eccederebbe i limiti consentiti del 20% della volumetria complessiva, che andrebbe calcolato non sulla superficie di sedime, bensì in relazione alla superficie abitabile ante intervento edilizio.
7. Il Collegio ritiene che anche il secondo motivo di ricorso sia infondato in quanto l’intervento in questione deve essere qualificato come intervento di ristrutturazione e non come nuova costruzione.
Quest’ultima, infatti, presuppone una trasformazione del territorio, mentre la ristrutturazione è caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto; mentre, la ristrutturazione edilizia si caratterizza per la diversità dell’organismo edilizio prodotto dall’intervento di trasformazione rispetto al precedente.
L’elemento che contraddistingue la ristrutturazione dalla nuova edificazione deve rinvenirsi nella trasformazione del territorio già compiuta, che può avvenire con due modalità operative, una conservativa e una sostitutiva della preesistente struttura fisica, mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, sentenze nn. 1763/2015 e 443/2017).
Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), del DPR n. 380/01, rientrano all’interno della categoria della ristrutturazione anche gli interventi di demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria rispetto all’edificio preesistente, senza necessità di identità di sagoma, a seguito dell’introduzione della legge n. 98/2013. E’ in ipotesi di ricostruzione con volumetria diversa che si esce dall’ambito della ristrutturazione e si rientra nell’ambito della nuova edificazione di cui alla lettera e) del suddetto articolo 3, comma 1, del DPR n. 380/01.
Nel caso di specie, l’intervento è stato realizzato su un immobile preesistente e non vi è stato un aumento della superficie di sedime, ma esclusivamente l’edificazione di opere murarie per adibire aree (già ricomprese nella volumetria immobiliare preesistente) a locali di lavanderia e ripostiglio.
Pertanto, tale intervento va compreso all’interno della categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia, non assumendo al riguardo alcun particolare rilievo decisivo le altre circostanze evidenziate dai ricorrenti, ai fini del calcolo volumetrico.
Per quanto concerne il punto 20 dell’articolo 4 del Regolamento Edilizio comunale, va rilevato che ivi è previsto che: “Per volume edificabile viene inteso, ai fini di applicazione degli indici di fabbricabilità, un volume derivante dal prodotto delle superfici lorde perimetrate da pareti relative ai singoli piani, moltiplicato per le altezze del piano. Sono esclusi dal calcolo della volumetria: 1. i garages; 2. i piani interrati o seminterrati non interessati ad utilizzazione di tipo produttivo o residenziale; 3. le lavanderie o gli stenditoi realizzati sulle terrazze, nei sottotetti, nei cortili ed, in genere, negli spazi all’aperto disponibili, per una superficie non superiore al 20 % della superficie coperta (di sedime dell’edificio); 4. i ripostigli qualora la loro superficie sia non superiore a 4,50 m2 per ogni singola u.i.”.
Poiché il contestato ampliamento edilizio è finalizzato alla realizzazione di ambienti da adibire a lavatoio/stenditoio e a ripostiglio, tale disposizione risulta essere stata correttamente applicata al caso in esame.
Infatti, la norma contenuta al punto 24 dell’Allegato 7 accluso alle Norme Tecniche di Attuazione del PRG (richiamato dai ricorrenti) si applica alle ipotesi in cui l’ampliamento della superficie dell’abitazione sia finalizzato all’ottenimento di una maggiore volumetria abitabile con le medesime caratteristiche dell’abitazione preesistente, tanto da rappresentare l’ampliamento una nuova area della casa priva di componenti di distacco o differenziazione.
Pertanto, secondo il Collegio, il giudice di primo grado ha correttamente rilevato che atle disposizione non si applica nei casi, come quello de quo, in cui l’intervento edilizio riguardi porzioni separate dell’abitazione (come il sottotetto) ovvero locali destinati a specifici destinate allo svolgimento di attività domestiche, per loro natura da eseguirsi in luoghi separati rispetto alle altre attività della casa (come la lavanderia o gli stenditoi o i ripostigli); perché, a tali ipotesi si applica la specifica disposizione contenuta al punto 20 dell’art. 4 del richiamato Regolamento edilizio comunale
Quanto affermato dal giudice di primo grado risulta corretto anche perché : – gli ampliamenti contestati non posso essere qualificati come locali abitabili dotati di autonomia funzionale, in quanto mancano servizi essenziali (come ad esempio la cucina); – la via di accesso, costituita da una scala esterna, non costituisce un accesso privato, posto che alla terrazza del fabbricato Ra. (dove è stata realizzata la sopraelevazione) vi si può accedere solamente dalla corte esterna previo attraversamento della sottostante unità immobiliare sempre di proprietà Ra.; – l’altezza dei locali superiore a m 2,70 non implica necessariamente una destinazione abitativa, potendo riguardare anche i locali di servizio.
8. Con il terzo motivo di ricorso, è stata affermata l’erroneità della sentenza del TAR per la Calabria, nella parte in cui il giudice di primo grado avrebbe omesso di rilevare la violazione delle disposizioni in materia di minime distanze dei fabbricati di nuova costruzione e delle vedute dal confine di proprietà e dagli immobili presenti nelle proprietà contigue.
I ricorrenti, in particolare, affermano che la sopraelevazione realizzata al terzo piano della proprietà Ra. (da considerare, secondo loro, come intervento di nuova costruzione) sarebbe stata realizzata senza l’inderogabilmente prescritto arretramento di m 5,00 dal confine, in violazione alla norma di cui al punto 13 dell’allegato 7 del PRG, secondo cui: “La distanza tra un fabbricato ed il confine del lotto su cui lo stesso sorge non deve essere inferiore a ml 5,00 o comunque alla metà della distanza minima tra edifici prescritta dalle norme di zona urbanistica. Gli edifici possono sorgere al confine del terreno ad essi asservito nelle zone territoriali omogenee in cui ciò è previsto dalle norme. Nei fronti sui confini del lotto è vietato aprire porte, finestre o aperture di qualsiasi genere anche se a titolo temporaneo”.
Inoltre, i ricorrenti affermano che lungo il confine della sopraelevazione è prevista nel progetto Ra., oggetto di permesso di costruire, l’apertura di una nuova porta finestra sul manufatto in sopraelevazione posta a meno di un metro dal confine con la proprietà Bu..
Essi sostengono, infine, che al piano inferiore dell’edificio è stata aggiunta una nuova apertura, con relativa modificazione e trasformazione di gran parte delle vedute preesistenti, circostanza che avrebbe determinato, a detta dei ricorrenti, una palese violazione delle distanze ex art. 9, comma 1, DM n. 1444/68, secondo cui “Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue: 1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale; 2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; 3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12”.
9. Anche sotto questi profili il Collegio ritiene corretto quanto deciso dal giudice di primo grado, posto che (come già sopra evidenziato) l’intervento posto in essere dalla Sig.ra Ra. deve qualificarsi come ristrutturazione e non come nuova costruzione (cfr. punto 6 della sentenza impugnata).
Quindi, a tale intervento non si applicano le disposizioni contenute punto 13 dell’allegato 7 del PRG, riferibili agli interventi di nuova costruzione.
Sotto altro profilo, per quanto concerne le aperture delle finestre, si rileva che il giudice di primo grado (sulla base dei rilievi svolti dal CTU) ha correttamente evidenziato che due delle aperture in questione non sono di nuova realizzazione ma risultavano entrambe già preesistenti nel fabbricato in oggetto e, verosimilmente, coeve alla sua edificazione. Infatti, le opere di ristrutturazione ammesse con il titolo edilizio impugnato prevedevano esclusivamente la trasformazione di una delle aperture da porta-finestra a finestra; e tale intervento, da realizzare mediante la parziale muratura del varco esistente, non ha evidentemente alterato le distanze preesistenti, né comportato un aggravio di servitù nei confronti del fondo Bu..
Pertanto, non può ravvisarsi alcuna illegittimità nell’apertura delle suddette finestre, posto che le prescrizioni introdotte dal D.M. 2/4/1968 n. 1444 non riguardano gli edifici già esistenti, ma sono da applicare agli interventi edilizi di successiva realizzazione e che la sola modifica della disposizione delle luci e delle apertura su un lato dell’edificio che già presentava vedute non determina “nuova costruzione” e, di conseguenza, non può essere sottoposta alla disciplina delle distanze.
In relazione all’apertura di nuova costruzione (in quanto non presente in origine) realizzata nel vano cucina, il Collegio ritiene di condividere le affermazioni del giudice di primo grado secondo cui le caratteristiche e le dimensioni della finestra (posta a mt. 1,10 dal piano di calpestio della cucina ed avente un altezza di mt. 0,50) non inducono a qualificarla come ‘vedutà, bensì come mera ‘lucè .
Al riguardo, va considerato che, ai sensi dell’art. 900 c.c., le vedute o i prospetti “permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente”; quindi, ciò che differenzia la veduta dalla luce è la possibilità non soltanto di guardare, ma anche di affacciarsi verso il fondo del vicino. Quindi, l’apertura sul fondo del vicino integra una ‘vedutà quando consente di affacciarsi e di guardare secondo una valutazione rapportata a criteri di comodità, di sicurezza e di normalità, da accertarsi con riferimento al fondo dal quale la veduta è esercitata, e non già con riferimento al fondo oggetto della veduta stessa.
Nel caso di specie, il TAR per la Calabria ha correttamente ritenuto che la caratterizzazione dimensionale dell’apertura de qua, nonché la collocazione della stessa rispetto al piano di calpestio del locale al quale si riferisce, inducono ad escludere che si tratti di una “veduta”, con la conseguenza che siffatta apertura non è assoggettabile all’obbligo di distanza ex art. 9 D.M. n. 1444/68.
Del resto, la ratio della disposizione richiamata e della disciplina relativa alle distanze minime delle aperture nei rapporti di vicinato, induce a ritenere che l’obbligo di osservare, nelle costruzioni, determinate distanze sussista solo in relazione alle vedute e non anche con riferimento alle luci.
Ai sensi dell’articolo 9 del citato D.M n. 1444/68, quindi, l’espressione “pareti finestrate”, riguardante la distanza minima nelle sopraelevazioni di dieci metri verso gli edifici antistanti, va riferita alle pareti munite di finestre qualificabili come “vedute”, senza comprendere quelle sulle quali si aprono finestre cosiddette lucifere (cfr., sul punto, cfr. Cass. Civ., Sez. II, 4 febbraio 1999 n. 982 e TAR Lazio, Sez. II-bis, 11 ottobre 2011 n. 7896).
10. Alla luce delle considerazioni che precedono il Collegio ritiene che l’appello sia infondato e debba essere respinto
11. Le spese seguono la soccombenza, nella misura liquidata nel dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:
respinge l’appello;
condanna la parte appellante alla rifusione delle spese di lite in favore del Comune di (omissis) e di An. El. Ra., che liquida nella misura di Euro 2.000,00 (duemila/00) per ciascuno, oltre accessori di legge;
ordina che la presente sentenza sia eseguita dalla competente autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2020 con l’intervento dei magistrati:
Roberto Giovagnoli – Presidente
Luca Lamberti – Consigliere
Nicola D’Angelo – Consigliere
Silvia Martino – Consigliere
Roberto Proietti – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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