E’ seclusa la risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento

Consiglio di Stato, Sentenza|6 aprile 2021| n. 2789.

E’ seclusa la risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento.

Sentenza|6 aprile 2021| n. 2789

Data udienza 23 febbraio 2021

Integrale

Tag – parola chiave: Pubblico impiego – Guardia di finanza – Procedimento penale – Procedimento disciplinare – Rimozione del grado e congedo illimitato – Istanza di reintegrazione e riammissione in servizio – Rigetto – Tardivo avvio e conclusione procedimento disciplinare – Domanda di risarcimento danni – Rigetto – Sanzione mai impugnata

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2497 del 2013, proposto dal sig.
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Gi. Mi. e Fr. Mi. e con domicilio eletto presso lo studio degli stessi, in -OMISSIS-, via (…)
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze, Guardia di Finanza – Comando Generale -OMISSIS- e Guardia di Finanza – Comando Reg. -OMISSIS-, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, ex lege rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato e domiciliati presso gli Uffici di quest’ultima, in -OMISSIS-, via (…)
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale -OMISSIS-
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Economia e delle Finanze, della Guardia di Finanza – Comando Generale -OMISSIS- e della Guardia di Finanza – Comando Reg. -OMISSIS-;
Visti gli ulteriori documenti dell’appellante;
Viste le memorie, le repliche e le note d’udienza delle parti;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con l. 18 dicembre 2020, n. 176;
Visto l’art. 4 del d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito con l. 25 giugno 2020, n. 70;
Dato atto della presenza ai sensi di legge degli avvocati delle parti;
Relatore nell’udienza del giorno 23 febbraio 2021 il Cons. Pietro De Berardinis, in collegamento da remoto in videoconferenza;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

 

FATTO

Con l’appello in epigrafe il sig. -OMISSIS-, Maresciallo ord. in congedo della Guardia di Finanza, ha impugnato la sentenza del T.A.R. -OMISSIS-, chiedendone la riforma.
In fatto, l’appellante espone di essere stato arrestato nel -OMISSIS-, perché accusato del reato di -OMISSIS-, venendo condannato in primo grado nel -OMISSIS-alla pena di un anno di reclusione; la sentenza di secondo grado, però, emessa nel -OMISSIS-, lo ha assolto con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.
Di seguito fu instaurato nei suoi confronti un procedimento disciplinare, che portò alla rimozione del grado con decorrenza del 25 luglio 1985 ed al congedo illimitato.
Nel 1993 l’appellante presentò istanza di reintegrazione nel grado e riammissione in servizio, che fu respinta dal Comandante Generale della Guardia di Finanza, sulla base del parere negativo vincolante della Corte Militare d’Appello, con decreto -OMISSIS-
Impugnati dal -OMISSIS-tale decreto ed il presupposto parere, l’adito T.A.R. del -OMISSIS-, accolse il ricorso, annullando gli atti in questione in ragione dell’inadeguatezza logica e dell’incompletezza della valutazione dei presupposti di fatto e, in specie perché il parere negativo, e il decreto che vi si era conformato, si erano basati esclusivamente sui fatti che avevano portato alla vicenda penale, omettendo del tutto la valutazione sulla successiva condotta dell’interessato.
Dopo la sentenza del 2001 – e pendente l’appello contro la stessa proposto dalla P.A. senza istanza di sospensione – l’interessato intimò invano alla P.A. di darvi esecuzione, quindi promosse nel 2005 giudizio di ottemperanza, nelle more della cui definizione la Guardia di Finanza, con provvedimento del -OMISSIS-, ha disposto la sua reintegrazione nel grado a decorrere dal -OMISSIS-, ma gli ha negato la riammissione in servizio, ostandovi il combinato disposto degli artt. 62, ult. comma, della l. n. 599/1954, e 68, comma 5, del d.lgs. n. 199/1995.
Il giudizio di ottemperanza, perciò, dopo l’ora visto provvedimento ed a seguito di dichiarazione resa in camera di consiglio dal legale del ricorrente di cessazione dell’interesse della parte all’esecuzione della sentenza n. -OMISSIS- cit., è stato definito dal T.A.R. del -OMISSIS- con sentenza dichiarativa della sopravvenuta carenza di interesse -OMISSIS-).
Infine, l’appello contro la sentenza n. -OMISSIS-cit. è stato dichiarato perento con decreto presidenziale n. -OMISSIS-.
Con ricorso R.G. n. -OMISSIS-, dunque, il -OMISSIS-adiva nuovamente il T.A.R. del -OMISSIS-, chiedendo che, previo accertamento dell’illegittimità degli atti emessi a suo carico dalla Guardia di Finanza (ed in specie: del provvedimento di rimozione dal grado, nonché di quello con il quale il Comandante in seconda della Guardia di Finanza, nel dare esecuzione alla sentenza del T.A.R. del -OMISSIS- – -OMISSIS-, n. -OMISSIS- cit., ha disposto la sua reintegrazione nel grado, ma gli ha denegato la riammissione in servizio), l’Amministrazione venisse condannata al pagamento della somma di Euro 324.036,00, oltre a rivalutazione ed interessi.
Tale somma veniva domandata a titolo di risarcimento dei danni che il ricorrente avrebbe subito per la mancata percezione delle competenze stipendiali ed accessorie che gli sarebbero spettate se fosse stato riassunto in servizio, ovvero, in subordine, a titolo di risarcimento dei danni subiti per perdita di chance e il Mar. -OMISSIS-depositava, a comprova delle proprie pretese patrimoniali, un’apposita relazione tecnica di parte.
L’adito Tribunale Amministrativo, con la sentenza n. -OMISSIS- oggetto di appello, ha dichiarato in parte tardiva e per il resto ha respinto, in quanto infondata, la controversia risarcitoria promossa dal ricorrente.
Con il ricorso in epigrafe l’appellante contesta l’iter argomentativo e le conclusioni cui è pervenuto il primo giudice, deducendo i seguenti motivi:
1) violazione di legge e del giudicato, poiché la sentenza impugnata avrebbe, in primo luogo, eluso e travisato la precedente decisione n. -OMISSIS-, assoggettandola ad una “interpretazione autentica”, che, però, sarebbe un fuor d’opera e sarebbe viziata da numerose contraddizioni;
2) violazione dell’art. 3 Cost., perché la P.A., nel ricostruire figurativamente la carriera del ricorrente, lo avrebbe ingiustamente discriminato rispetto agli ex dipendenti pubblici che si trovavano nella sua stessa situazione di carriera;
3) sviamento ed eccesso di potere, in quanto: a) l’illecito ascrivibile alla P.A. sarebbe permanente; b) la sentenza appellata avrebbe errato nel giudicare tardiva la richiesta dei danni per la perdita del grado; c) i danni derivanti dalla mancata riassunzione in servizio del ricorrente sarebbero comunque “danni ingiusti”; d) il T.A.R. avrebbe errato nell’interpretare la sentenza n. -OMISSIS-, emessa in sede di ottemperanza;
4) erroneità del capo della sentenza che ha respinto la domanda di risarcimento del danno da perdita di chance, poiché il primo giudice non avrebbe valutato che la reintegrazione nel grado, adottata nel 2005, sarebbe intervenuta troppo tardi, sia perché all’epoca il ricorrente sarebbe stato fuori dei limiti di tempo per riassumere il servizio, sia per la lesione arrecata medio tempore alla professionalità del medesimo, una volta entrato nel campo del lavoro privato.
L’appellante ha depositato un aggiornamento della perizia di parte, recante una nuova stima del danno risarcibile pari ad Euro 374.868,00. Di seguito ha depositato memoria, ricapitolando i fatti ed insistendo per l’accoglimento del gravame.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Economia e delle Finanze, nonché il Comando Generale di -OMISSIS- e il Comando Regionale -OMISSIS- della Guardia di Finanza, depositando, in vista dell’udienza di discussione della causa, una memoria in cui hanno fatto richiamo integrale alle difese già svolte in primo grado.
Le parti hanno depositato repliche, nonché brevi note d’udienza.
All’udienza del 23 febbraio 2021 – tenutasi in collegamento da remoto in videoconferenza ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con la l. 18 dicembre 2020, n. 176 – la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

Viene in decisione la sentenza del T.A.R. -OMISSIS- – -OMISSIS-,-OMISSIS-, n. -OMISSIS- del -OMISSIS-, che ha dichiarato la pretesa risarcitoria azionata dal ricorrente in parte tardivamente proposta, quanto ai danni conseguenti alla perdita del grado, e in parte infondata, non configurandosi i danni derivanti dalla mancata riammissione in servizio come danni ingiusti.
In sintesi, il Mar. -OMISSIS-si era lamentato della tardività tanto dell’avvio quanto della conclusione del procedimento disciplinare che portò alla sua rimozione ed aveva chiesto il risarcimento del danno consistente negli emolumenti non percepiti e che gli sarebbero spettati, laddove fosse stato riassunto in servizio; in subordine, ha chiesto il risarcimento per la perdita di chance di carriera a causa della riassunzione negata, ed ha quantificato il pregiudizio economico patito in Euro 324.036,00, sulla base di una perizia di parte redatta da un pari grado e che ha preso ad oggetto le somme riscosse dallo stesso redattore della perizia.
Nella memoria finale il ricorrente aveva precisato l’oggetto della domanda risarcitoria, incentrandola sulla perdita di chance patita a seguito della rimozione dal grado – in tesi: illegittima – intervenuta quando egli stava svolgendo una regolare carriera nella Guardia di Finanza e quindi era in attesa della sua progressione, con lo stipendio e la copertura previdenziale stabiliti per legge. Gli atti successivi della P.A., che gli hanno precluso la riammissione in servizio (il provvedimento del 1996, annullato dalla sentenza n. -OMISSIS-, e quello del 2005, che avrebbe dato esecuzione tardiva e non integrale a tale sentenza), sarebbero stati anch’essi illegittimi e forieri di un danno ingiusto.
La sentenza appellata ha dichiarato tardive le pretese risarcitorie avanzate dal ricorrente in relazione all’illegittimità della sanzione disciplinare, visto che detta sanzione non è stata neppure impugnata e che solo con il ricorso promosso nel 2010 – cioè dopo ben venticinque anni – è stato chiesto al G.A. di accertare la tardività dell’avvio del procedimento disciplinare.
In merito alla mancata riammissione in servizio, il primo giudice ha evidenziato che non vi era per la P.A. alcun obbligo di provvedere alla stessa, sia perché la reintegrazione nel grado non comporta di diritto la riassunzione (art. 62, ult. comma, della l. n. 599/1954 e poi art. 68, comma 5, del d.lgs. n. 199/1995), sia perché la sentenza n. -OMISSIS-, nell’annullare il decreto del Comandante Generale della Guardia di Finanza del -OMISSIS- ed il parere negativo su cui questo si è fondato, non ha, però, statuito l’obbligo della P.A. di riammettere il ricorrente in servizio (e non avrebbe potuto farlo, alla luce proprio del combinato disposto dell’art. 62, ultimo comma, della l. n. 599/1954 con l’art. 68, comma 5, del d.lgs. n. 199/1995).
In aggiunta, il T.A.R. ha osservato che il giudizio di ottemperanza, promosso dal -OMISSIS-per ottenere l’esecuzione della menzionata sentenza n. -OMISSIS-, è stato definito con sentenza che ha dichiarato la sopravvenuta carenza di interesse sulla base di un’apposita dichiarazione del legale del ricorrente: quest’ultimo, pertanto, ha così ammesso che, dopo la reintegrazione nel grado, non residuava per lui più alcun interesse meritevole di tutela innanzi al Giudice Amministrativo.
Nell’appello la sentenza di prime cure viene censurata anzitutto perché avrebbe operato una scissione del provvedimento emesso nel 2005 dalla Guardia di Finanza in due tronconi: da un lato, la concessa reintegrazione nel grado, dall’altro la denegata riammissione in servizio.
L’appellante nega, poi, di non aver avanzato pretese risarcitorie sulla reintegrazione nel grado, visto che questa, come lo stesso primo giudice affermerebbe in modo contraddittorio, sarebbe intervenuta tardivamente: tale tardività non potrebbe essere negata, essendo la reintegrazione stata disposta a ben dodici anni dalla relativa istanza.
Nell’appello si deduce, inoltre, che l’illecito della P.A. sarebbe permanente, e si nega che la richiesta dei danni conseguenti alla sanzione disciplinare della perdita del grado sia tardiva. Il Tribunale non avrebbe compreso la dinamica delle azioni, atteso che l’azione di risarcimento – l’interesse alla quale sarebbe derivato dal provvedimento del 2005 – non sarebbe stata esperibile in pendenza del giudizio di appello contro la citata sentenza n. -OMISSIS-, ed essa è stata notificata il 7 giugno 2010, dunque entro il termine di prescrizione di cinque anni dal provvedimento de quo.
Quanto alla mancata riammissione in servizio, la sentenza avrebbe errato nel ritenere che vi ostasse il combinato disposto degli artt. 62, ult. comma, della l. n. 599/1954 e 68, comma 5, del d.lgs. n. 199/1995, poiché tali disposizioni non formerebbero per nulla un combinato disposto: solo la seconda, più recente, osterebbe alla suddetta riammissione, ma essa sarebbe posteriore alla data di presentazione dell’istanza da parte del Mar. -OMISSIS-(29 settembre 1993).
Ancora, l’appellante contesta il significato attribuito dalla sentenza appellata alla pronuncia emessa dallo stesso T.A.R. nel 2006 sul giudizio di ottemperanza, sostenendo di essersi riservato il diritto di agire in via risarcitoria nell’ipotesi di mancata riammissione e che, comunque, la natura del giudizio di esecuzione non consentiva un’immediata azione risarcitoria, occorrendo il passaggio in giudicato della sentenza n. -OMISSIS-, per la quale all’epoca pendeva il giudizio di appello.
Da ultimo, precisa che la configurazione del danno risarcibile in termini di perdita di chance discende dalla tardività della reintegrazione nel grado, che è intervenuta nel 2005, quando egli aveva 57 anni d’età e, dunque, sarebbe stato senza sua colpa fuori dei limiti di tempo per riassumere il servizio. Per altro verso, la domanda di risarcimento si ricollegherebbe alla circostanza che egli, una volta rimosso dal servizio presso il Corpo della Guardia di Finanza, avrebbe incontrato difficoltà a trovare impiego nel settore privato, poiché, ovviamente, l’allontanamento dal predetto Corpo non avrebbe costituito, per lui, una referenza positiva.
Così riportate le censure dell’appellante, osserva il Collegio che le stesse si mostrano non suscettibili, singolarmente prese e nel loro complesso, di positivo apprezzamento.
Anzitutto, la sentenza appellata merita di essere senz’altro condivisa nella parte in cui ha giudicato tardive le doglianze di illegittimità – e le connesse pretese risarcitorie – formulate dal Mar. -OMISSIS-nei confronti del provvedimento di rimozione dal grado emesso a suo carico con decorrenza dal 25 luglio 1985, aventi ad oggetto il tardivo avvio e la tardiva conclusione del procedimento disciplinare sfociato nella suddetta sanzione.
Vero è che il provvedimento in questione venne adottato in un contesto ordinamentale ben diverso da quello odierno sotto il profilo della tutela giurisdizionale esperibile, per quanto riguarda, in specie, la configurabilità di una tutela risarcitoria, in aggiunta a quello demolitoria o, addirittura, autonoma (e di ciò fa menzione la sentenza appellata). Tuttavia, è pacifico che la rimozione dal grado non ha mai formato oggetto di impugnativa giurisdizionale ad opera del Mar. -OMISSIS-: questi, perciò, non può – con la controversia risarcitoria pura promossa nel 2010, a distanza di venticinque anni dall’adozione del provvedimento di rimozione – eludere il mancato rispetto del termine decadenziale di impugnativa del medesimo e, ancor più in radice, la sua mancata impugnazione, pretendendo che l’adito G.A. ne vagli gli (asseriti) vizi di legittimità ai fini dell’accertamento della fondatezza delle connesse pretese risarcitorie.
Si richiama inoltre, sul punto, l’insegnamento della giurisprudenza consolidata (cfr., ex multis, C.d.S., A.P., 23 marzo 2011, n. 3), che ha escluso la risarcibilità dei danni evitabili con l’impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione degli altri strumenti di tutela previsti dall’ordinamento: regola sancita ora dall’art. 30, comma 3, del d.lgs. n. 104/2010 (c.p.a.), ma che è ricognitiva di principi già evincibili da un’interpretazione evolutiva del capoverso dell’art. 1227 c.c. e che, pertanto, trova applicazione anche per le domande e per i fatti illeciti antecedenti all’entrata in vigore del Codice del Processo Amministrativo (cfr., da ultimo, C.d.S., Sez. IV, 7 settembre 2020, n. 5378).
Come sottolineato dalla Plenaria, “l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede l’omessa impugnazione non più come preclusione di rito ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile” (C.d.S., A.P. n. 3/2011, cit., par. 3.2).
La preclusione discendente dall’omessa attivazione degli strumenti di tutela avverso la rimozione dal grado supera – sotto il profilo risarcitorio qui in esame – l’argomento legato alla qualificazione come illecito permanente dell’illecito che l’appellante addebita alla P.A.: qualificazione che, ad ogni modo, si mostra intrinsecamente erronea, poiché l’illecito da provvedimento amministrativo illegittimo, che il -OMISSIS-ascrive alla Guardia di Finanza per i vizi che connoterebbero a suo avviso il procedimento disciplinare e il provvedimento di rimozione dal grado che l’ha concluso, sarebbe da configurare (se fosse ritenuto esistente) in termini di illecito istantaneo con effetti permanenti, ossia caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un dato lasso di tempo, lasciando sussistere i suoi effetti; si ha, invece, illecito permanente quando l’evento si protrae per la durata del danno e della condotta che lo produce, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa (cfr., ex multis, Cass. civ.,-OMISSIS-I, 11 febbraio 2020, n. 3314; si pensi all’occupazione sine titulo di un’area da parte della P.A.: cfr. C.d.S., Sez. IV, 6 novembre 2020, n. 6833).
In secondo luogo, nessun pregiudizio risarcibile l’odierno appellante può vantare in ragione del fatto che l’esecuzione, da parte della P.A., del dictum della sentenza n. -OMISSIS-, con il provvedimento del Comandante in seconda della Guardia di Finanza del -OMISSIS-, abbia comportato la sua reintegrazione nel grado, con decorrenza dal -OMISSIS-, ma non la riammissione in servizio. Sia alla data di deposito della sentenza (-OMISSIS-), sia a quella di adozione del provvedimento (-OMISSIS-), infatti, la riammissione in servizio era preclusa dall’art. 68, comma 5, del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199 (recante attuazione della delega di cui alla l. n. 216/1992 in materia di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di Finanza), ai sensi del quale “È escluso dalla riammissione in servizio il personale collocato in congedo d’autorità, ad eccezione di quanto indicato al precedente comma 2” (che è estraneo alla presente fattispecie, in quanto riguarda il personale collocato in congedo per infermità ).
Di tale fattore impediente mostra di avere consapevolezza lo stesso appellante, il quale riconosce la valenza ostativa alla riammissione propria dell’art. 68, comma 5, del d.lgs. n. 199/1995, mentre nega che l’avesse l’art. 62, ult. comma, della l. n. 599/1954 (norma, quest’ultima, che nella prospettazione dell’appellante non formerebbe alcun combinato disposto con l’art. 68, comma 5, cit.): ed in effetti, all’esito del provvedimento di reintegrazione nel grado, il difensore del Mar. -OMISSIS-ha dichiarato la cessazione dell’interesse di parte ricorrente all’esecuzione della sentenza n. -OMISSIS- cit., con conseguente declaratoria, ad opera dell’adito T.A.R. -OMISSIS-, dell’improcedibilità del relativo giudizio di ottemperanza (cfr. la già citata sentenza n. -OMISSIS-).
Resta a questo punto da verificare se sia ipotizzabile nei confronti della P.A. una condotta illecita (ed un conseguente danno ingiusto subito dall’odierno appellante) in ragione del diniego sull’istanza di reintegrazione nel grado e di riammissione in servizio di cui al decreto del Comandante della Guardia di Finanza del -OMISSIS-: decreto, emesso sulla base del parere negativo vincolante della Corte Militare d’Appello del 3 aprile 1996, che è stato annullato dal T.A.R. del -OMISSIS-, unitamente al predetto parere, con la più volte citata sentenza n. -OMISSIS- dell’-OMISSIS-.
La responsabilità della P.A. non potrebbe ricondursi, nemmeno in astratto, al decreto di diniego ed al presupposto parere ex se considerati, nonostante la sentenza in esame ne abbia scolpito l’illegittimità “sotto il profilo dell’inadeguatezza logica e dell’incompletezza della valutazione dei presupposti di fatto”, poiché all’epoca della loro adozione (aprile-luglio 1996) era già in vigore l’art. 68, comma 5, del d.lgs. n. 199/1995, che, come si è visto, ostava alla riammissione in servizio del Mar. -OMISSIS-: in base all’art. 81 del d.lgs. n. 199 cit., infatti, il decreto legislativo è entrato in vigore il 1° settembre 1995, “salvo quanto eventualmente stabilito in ogni singolo articolo” di esso. Il contesto normativo mutato, quindi, non consentiva più la predetta riammissione.
È bene precisare che tale riflessione non comporta alcuna contraddizione rispetto alla pronuncia di accoglimento del gravame contenuta nella sentenza n. -OMISSIS-, cit.: infatti, l’istanza respinta con il provvedimento di diniego annullato dal T.A.R. aveva ad oggetto, prima ancora che la riammissione del ricorrente in servizio, la sua reintegrazione nel grado, e detta reintegrazione era ben possibile, alla stessa non ostando nessuna previsione normativa, tant’è vero che – come si è già visto – essa è stata disposta dalla Guardia di Finanza con provvedimento del -OMISSIS-, in pendenza del giudizio di ottemperanza alla sentenza n. -OMISSIS-.
Una responsabilità colpevole della P.A. potrebbe invece enuclearsi, in astratto, per il ritardo da essa serbato – in tesi – nel riscontrare l’istanza di reintegrazione nel grado e di riammissione in servizio presentata dal ricorrente in data 29 settembre 1993: una responsabilità cioè, non legata all’illegittimità provvedimentale, ma alla condotta inerte a lungo tenuta dalla stessa P.A., che solo nel luglio del 1996, ossia a distanza di quasi tre anni, ha provveduto a riscontrare negativamente l’istanza. Se, infatti, il riscontro fosse stato tempestivo, esso sarebbe potuto intervenire nel contesto normativo antecedente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 199/1995, quando – è questa la tesi dell’appellante – non vi erano disposizioni che ne impedissero la riammissione in servizio, una tale valenza impeditiva non potendo riconoscersi all’art. 62, ult. comma, della l. n. 599/1954: quest’ultimo, infatti, nello stabilire che “la reintegrazione nel grado del sottufficiale già in servizio permanente non importa di diritto la reiscrizione del sottufficiale stesso nei ruoli del servizio permanente”, ad avviso dell’appellante, come non attribuiva al sottufficiale il diritto alla reiscrizione nei ruoli del servizio, così non avrebbe imposto alla P.A. il dovere di non reiscriverlo.
In questo senso, dunque, l’appellante lamenta che la P.A. si sarebbe dovuta pronunciare sull’istanza da lui inoltrata il 29 settembre 1993 tempestivamente, nonché sulla base di un’esauriente motivazione, conseguente ad un’istruttoria approfondita, mentre al contrario non avrebbe proceduto come dovuto, neppure dopo la sentenza n. -OMISSIS-, che aveva stigmatizzato l’illegittimità degli atti adottati (il decreto di diniego e il presupposto parere), annullandoli con effetto ex tunc.
Va rammentato, sul punto, che il T.A.R. ebbe a censurare gli atti in discorso perché questi, da un lato, non avevano assunto il contenuto della sentenza assolutoria del Giudice penale nella sua elementare e fondamentale valenza decisoria, cioè “con riferimento alla riscontrata insussistenza di elementi di fatto atti a configurare la concretezza dell’ipotesi penale a carico del -OMISSIS-“; dall’altro, avevano pretermesso il giudizio sulla successiva condotta del ricorrente, “risultando per l’effetto obliterata quella ponderazione comparativa della condotta anteriore e susseguente al fatto che ha determinato la determinazione espulsiva espressamente contemplata dalla legge”: ciò, sulla base della normativa vigente, che contemplava la possibilità della riammissione o della reintegrazione nel grado (artt. 42 della l. n. 833/1961 e 72 della l. n. 113/1954) per il militare che nei cinque anni dal suo allontanamento avesse serbato un’ottima condotta morale e civile. Di tal ché – conclude la sentenza n. -OMISSIS- cit. – il parere negativo (e il decreto di rigetto che ad esso si è conformato) “si rivela del tutto tributario dai fatti da cui è scaturito il procedimento penale e da cui è derivata la sanzione, ai quali invece non può essere annessa dirimente valenza decisoria in quanto già oggetto di precedente valutazione non ripetibile in quanto estranea al procedimento previsto dalla legge”.
Anche sotto il profilo ora riportato, nondimeno, le pretese risarcitorie dell’appellante si rivelano prive di fondamento, dovendo essere condivise le contrarie argomentazioni della sentenza appellata (che, perciò, va confermata pure nel capo ora in esame).
Preliminarmente occorre osservare che, sebbene l’appellante si lamenti in più punti del gravame del ritardo serbato dalla P.A. nel provvedere, tuttavia egli non costruisce la sua domanda risarcitoria in chiave di cd. danno da ritardo (salvo quanto si dirà infra in relazione al punto 4) dell’atto di appello). Al contrario, pur proponendo – come nota il primo giudice – un’azione risarcitoria pura, ossia non connessa ad una domanda di annullamento di provvedimenti illegittimi, egli si duole, comunque, sia dell’illegittimità degli atti del procedimento disciplinare avviato a suo carico, sia degli atti adottati successivamente dalla P.A. in risposta alla sua istanza di reintegrazione nel grado e di riammissione in servizio del 29 settembre 1993.
In ogni caso, il Collegio condivide la conclusione cui è pervenuto il primo giudice e cioè che nel caso di specie non sia configurabile alcun danno ingiusto derivante dalla mancata riammissione del Mar. -OMISSIS-in servizio, in termini di mancato ripristino e sviluppo della carriera e di mancata percezione dei conseguenti emolumenti ed accessori.
Sul punto, diversamente da quanto opinato dal T.A.R., non si possono ricavare elementi significativi dalla sentenza (n. -OMISSIS-) che ha dichiarato l’improcedibilità del giudizio di ottemperanza: infatti, si trattava dell’esecuzione di una sentenza di primo grado, all’epoca non ancora passata in giudicato (e l’art. 30, comma 4, c.p.a., pur successivo alla vicenda e quindi ad essa non direttamente applicabile, prevede che in caso di domanda di annullamento, l’azione di risarcimento sia proponibile nel termine di n. 120 giorni dal passaggio in giudicato della sentenza su tale domanda).
Va invece pienamente condiviso – ed è dirimente ai fini del decidere – l’altro punto del ragionamento svolto dal primo giudice, ossia la distinzione che la sentenza appellata fa tra reintegrazione nel grado, possibile ed ottenuta sia pure tardivamente (ma con anzianità decorrente in via retroattiva dal 1996) dall’interessato, e riammissione in servizio, che invece non è consentita.
Detta distinzione è stata sottolineata da un recente arresto della Sezione (n. 3471/2020 del 3 giugno 2020), reso in una fattispecie che presenta analogie con quella qui in esame, riguardando esso il caso di un appartenente alla Guardia di Finanza sottoposto a procedimento disciplinare conclusosi con la sanzione espulsiva: in sede penale costui è stato condannato in primo grado e poi assolto in appello (per insufficienza di prove), ma si è vista respingere l’istanza di riammissione in servizio.
La Sezione, nel mettere a confronto la disciplina speciale degli appartenenti alla Guardia di Finanza in tema di perdita del grado e reintegrazione nel grado (artt. 40 e 42 della l. n. 833/1961) con quella sulla riammissione in servizio (art. 7 della l. n. 64/1942), ha osservato come i rispettivi procedimenti non siano per nulla assimilabili.
Anzitutto, ai sensi dell’art. 42, ult. comma, della l. n. 833/1961, la reintegrazione nel grado del militare non importa di diritto la riammissione in servizio.
Inoltre, la riammissione è legata a requisiti tassativi (la possono richiedere i militari in congedo dal Corpo fino al compimento di 35 anni di età e purché non sia trascorso un anno dal congedo: cfr. art. 7 cit.), di tal ché – conclude la Sezione – non si può utilizzare, ai fini della riammissione, la diversa disciplina dettata per la reintegrazione dall’art. 42 della l. n. 833/1961 (nella vicenda esaminata dal precedente ora riportato il richiedente, avendo chiesto la riammissione oltre i termini di cui all’art. 7 cit., pretendeva che gli si applicasse la disciplina sulla reintegrazione, per essere “rimesso in termini” ai fini della riammissione stessa).
Da quanto ora detto emerge, quale principio di diritto estensibile alla fattispecie qui in esame, che del tutto correttamente il T.A.R. ha distinto la reintegrazione nel grado dalla riammissione in servizio, in conseguenza della “corretta ricostruzione della disciplina dei rapporti” tra i due istituti, tra loro ben distinti e non in rapporto di consequenzialità, non solo dopo l’entrata in vigore dell’art. 68, comma 5, del d.lgs. n. 199/1995, ma anche sulla base della normativa preesistente (e segnatamente, per il Corpo della Guardia di Finanza, degli artt. 42, ult. comma, della l. n. 833/1961, abrogato nel 2017 e quindi ratione temporis applicabile alla fattispecie, e 7 della l. n. 64/1942).
A tale stregua, il Collegio reputa dunque di condividere la conclusione a cui è pervenuta la sentenza appellata, per la quale, una volta disposta dalla Guardia di Finanza la reintegrazione del Mar. -OMISSIS-nel grado, non residuava spazio alcuno per la pretesa risarcitoria di questi connessa alla sua mancata riammissione in servizio.
Da tutto quanto finora esposto si desume, conclusivamente, l’infondatezza dei motivi nn. 1), 2) e 3) dell’appello.
Parimenti infondato è, da ultimo, il motivo n. 4), a mezzo del quale è stata formulata una domanda di risarcimento dei danni conseguenti alla tardività della reintegrazione nel grado, lamentandosi che il primo giudice “non ha considerato il carattere economico dell’azione di responsabilità, evitando di rispondere alla domanda todo modo”.
In particolare, a confutazione della doglianza secondo cui la tardività della reintegrazione non avrebbe consentito al ricorrente, ormai avanti negli anni, di ottenere la riammissione in servizio, vale tutto quanto si è finora detto circa la distinzione tra reintegrazione nel grado e riammissione in servizio e la non necessaria (ed anzi da escludere) consequenzialità della seconda rispetto alla prima: di tal ché, pur se la reintegrazione del Mar. -OMISSIS-nel grado fosse stata tempestiva, egli non avrebbe potuto comunque ottenere la riammissione in servizio, ostandovi le norme sopra richiamate. La doglianza è dunque, infondata.
Con riferimento, invece, ai pregiudizi che sarebbero derivati all’appellante per le difficoltà incontrate nell’inserirsi nel settore del lavoro privato, si osserva in contrario che egli non ha fornito alcuna prova di tali pregiudizi: prova che su di lui incombeva ai sensi dell’art. 2697 c.c. (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VI, 19 novembre 2018, n. 6506; Sez. V, 22 gennaio 2015, n. 282).
In conclusione, l’appello è nel suo complesso infondato e da respingere, essendo la sentenza di prime cure meritevole di integrale conferma.
Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di appello, considerata la complessità delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Seconda (II^), definitivamente pronunciando sul ricorso in appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese del giudizio di appello.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ed all’art. 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti e della dignità dell’interessato, manda alla Segreteria di procedere ad oscurare le generalità nonché qualsiasi altro dato idoneo ad identificare l’appellante.
Così deciso in -OMISSIS-, nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2021, tenutasi, ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137/2020, conv. con l. n. 176/2020, tramite collegamento da remoto in videoconferenza, con l’intervento dei magistrati:
Claudio Contessa – Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere
Antonella Manzione – Consigliere
Cecilia Altavista – Consigliere
Pietro De Berardinis – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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