Consiglio di Stato, Sezione quinta, Sentenza 7 gennaio 2020, n. 75
La massima estrapolata:
E’ inammissibile il motivo di appello per difetto di giurisdizione del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, se proposto dalla parte che quel giudice aveva adito con la sua domanda.
Sentenza 7 gennaio 2020, n. 75
Data udienza 17 ottobre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 9529 del 2010, proposto da
Società Co. Pr. Vi. a r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Ma. La., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Ma. St. Ma. in Roma, via (…);
contro
Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Gi. Ma., con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Pa. Fi. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna, Sezione Prima, n. 01424/2010, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2019 il Cons. Federico Di Matteo e uditi per le parti gli avvocati Ma. La. e, su delega dell’avv. Ma., Pa. Fi.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Il Comune di (omissis), in attuazione dell’art. 19 (Iniziative locali per lo sviluppo e l’occupazione) l. reg. Sardegna 24 dicembre 1998, n. 37 (Norme concernenti interventi finalizzati all’occupazione e allo sviluppo del sistema produttivo regionale e di assestamento e rimodulazione del bilancio), emanava un bando per il finanziamento di progetti di investimento finalizzati allo sviluppo e all’occupazione cui partecipava la Co. Pr. Vi. a r.l. con un progetto per la realizzazione di un “Bar – Paninoteca – Birreria – Spaghetteria”.
1.1.Con delibera di Giunta comunale 18 agosto 2000, n. 106 tale progetto era approvato per un costo complessivo di lire 218.235.405, di cui 160.000.000 finanziatati dal Comune; con successiva determinazione dirigenziale n. 10 del 2000 veniva erogato il 60% del finanziamento, poi saldato interamente su presentazione del rendiconto dei lavori.
1.2. Successivamente la Co. Pr. Vi. cedeva la gestione dell’attività alla Cooperativa L’U. che il 24 ottobre 2001 presentava al Comune istanza di subingresso nella relativa licenza.
Sulla base di ciò il Comune di (omissis), per un verso, revocava l’autorizzazione commerciale rilasciata a favore della cedente e di conseguenza negava il subingresso; per altro verso, con determinazione dirigenziale 29 aprile 2002, prot. 2518, disponeva anche la revoca del finanziamento erogato per violazione dell’art. 4 del Regolamento comunale contenente la disciplina della procedura di concessione dei finanziamenti, che prevedeva il divieto di alienazione dei beni oggetto di contributo per il periodo di cinque anni decorrenti dall’erogazione del finanziamento stesso.
2. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna la Co. Pr. Vi. a r.l. impugnava il provvedimento di revoca del finanziamento sulla base di tre motivi.
Si costituiva in giudizio il Comune di (omissis) che concludeva per il rigetto del ricorso.
Con la sentenza in epigrafe l’adito tribunale respingeva il ricorso, compensando le spese di lite tra le parti.
2.1. Secondo il primo giudice infatti la ricorrente, avendo percepito il finanziamento pubblico e successivamente concesso a terzi l’attività ricavandone un compenso, aveva effettivamente violato il divieto (di cui all’art. 4 del regolamento comunale 10 febbraio 2000, n. 9) di procedere ad “ogni forma di alienazione” dei beni impiantati grazie al finanziamento ricevuto per il periodo di cinque anni dall’erogazione del finanziamento stesso. Tale previsione costituiva un vincolo di scopo connesso al finanziamento pubblico da intendersi come obbligo di utilizzare le somme erogate solo ed esclusivamente per il perseguimento dello scopo oggetto dell’iniziativa assentita, così che la mancata gestione in proprio dell’attività di impresa – per affidamento a terzi degli impianti realizzati con i finanziamenti pubblici – integrava la violazione di quel vincolo in palese contrasto con il principio ispiratore della normativa di riferimento che era quello di favorire iniziative locali per lo sviluppo e l’occupazione.
3. Propone appello la Co. Pr. Vi. a r.l.; resiste il Comune di (omissis), il quale ha depositato memoria in vista dell’udienza pubblica cui ha replicato l’appellante.
All’udienza del 17 ottobre 2019 la causa è stata trattenuta in decisione.
4. Con il primo motivo di gravame l’appellante sostiene che il giudice di primo grado avrebbe dovuto dichiarare cessata la materia del contendere in seguito al deposito in giudizio, proprio all’udienza di discussione, della deliberazione di Giunta comunale 27 febbraio 2000, n. 34, di revoca dell’incarico al legale dell’ente in relazione ai ricorsi pendenti dinanzi al Tribunale regionale amministrativo per la Sardegna individuati dai numeri di Rg. 107/2002 e 872/2002.
In particolare, secondo l’appellante in detta deliberazione, con riferimento al giudizio introdotto in primo grado dalla Co. Pr. Vi., l’ente avrebbe espressamente dichiarato di aver “confermato il contributo ex L.R. 37/98”, evidenziando che in ragione di ciò il giudizio avrebbe dovuto concludersi necessariamente con una pronuncia di cessazione della materia del contendere, dovendo conseguentemente qualificarsi quella deliberazione come atto di “ritiro del provvedimento impugnato” ovvero quale “sopravvenuta conferma del finanziamento revocato”.
Il Comune ha per contro negato di aver adottato formalmente e ritualmente un provvedimento di annullamento in autotutela della revoca del finanziamento, evidenziando che la materia del contendere non era cessata, non avendo mai neppure inteso rinunciare ad una decisione sul ricorso stesso.
Il motivo è infondato.
Malgrado l’impreciso tenore letterale della Giunta comunale 27 febbraio 2007, n. 34, deve rilevarsi che, come chiarito dal Comune nelle proprie difese, non risulta intervenuto alcun espresso provvedimento di conferma del contributo, il che esclude in radice che si sia potuta verificare la cessazione della materia del contendere, prevista dall’art. 34, comma 5, Cod. proc. amm., che può essere pronunciata solo nel caso in cui il ricorrente abbia ottenuto in via amministrativa il bene della vita atteso (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 ottobre 2019, n. 6952; V 1 luglio 2019, n. 4491; VI, 18 marzo 2019, n. 1772; V, 7 maggio 2018, n. 2687), sì da rendere inutile la prosecuzione del processo stante l’oggettivo venir meno della lite (cfr. Cons. Stato, sez. III, 22 febbraio 2018, n. 1135; sez. IV, 22 gennaio 2018, n. 383; sez. IV, 7 maggio 2015, n. 2317).
È da aggiungere per completezza che non v’è neppure traccia di un provvedimento implicito di ritiro della revoca del finanziamento per l’assenza delle condizioni richieste in giurisprudenza (per l’individuazione delle quali si rinvia a Cons. Stato, sez. V, 23 agosto 2019, n. 5822); a prescindere da ogni altra considerazione, infatti, la delibera della Giunta comunale n. 34 del 2007 non presupponeva affatto la conferma del finanziamento alla Cooperativa appellante per essere diretta esclusivamente alla revoca degli incarichi affidati al precedente difensore, con contestuale attribuzione ad altro legale, motivata con la necessità di affidare tutti gli incarichi difensivi ad un unico studio legale.
5. Con un secondo motivo di gravame l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza per “Violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del Regolamento approvato con del C.C. 9/2000, Eccesso di potere per violazione di provvedimenti generali e contraddittorietà, Violazione del principio di buona fede e ragionevolezza; violazione dell’art. 19 l.r. 37/98″.
Precisato innanzitutto di aver presentato domanda di finanziamento diretta non all'”apertura” o alla “gestione” di un bar, paninoteca, spaghetteria, come erroneamente ritenuto dal giudice di primo grado, ma alla “costruzione” dello stesso (onde ad essa era completamente estraneo il profilo di chi ne dovesse attuare la gestione), l’appellante sostiene di non aver violato l’art. 4 del Regolamento comunale che vieta “ogni forma di alienazione” dei beni e attrezzature direttamente collegati all’attività finanziata, evidenziando di aver solamente stipulato un contratto di affitto di ramo di azienda e un contratto di locazione con la Cooperativa di produzione e lavoro L’U., con lo scopo di concederle l’attività di somministrazione di alimenti e bevande in coerenza con il contenuto del progetto presentato con la domanda di finanziamento, ove era espressamente previsto, in alternativa alla gestione diretta, la possibilità dell’affidamento in gestione a terzi dei beni; del resto, secondo l’appellante, la ratio dell’art. 4 del Regolamento è esclusivamente quella di vincolare i beni e le attrezzature acquistati con il finanziamento all’attività d’impresa esposta nel progetto, senza nulla imporre quanto alla gestione della stessa, che poteva avvenire anche da parte di soggetti diversi da coloro che avevano presentato domanda.
Il vincolo di destinazione era stato pertanto rispettato; ciò tanto più che solo con la modifica apportata nel 2001 al Regolamento, all’art. 10, comma 4, lett. f), accanto al divieto di alienare, era stato fatto per la prima volta riferimento anche al divieto di vincolare o concedere in godimento i beni oggetto di finanziamento.
Anche tale motivo è infondato.
5.1. E’ innanzitutto contraria alle stesse ragioni dell’appellante la prospettata distinzione tra domanda di finanziamento diretta alla “costruzione” di un bar, paninoteca, spaghetteria (quella che sarebbe stata effettivamente presentata) e domanda diretta al finanziamento dell'”apertura” o della “gestione” di simile esercizio commerciale (quale erroneamente ritenuta proposta dal giudice di primo grado) poiché, considerato l’obiettivo incentivante di nuove attività imprenditoriali sul territorio comunale dei finanziamenti concessi, se la domanda di concessione del finanziamento fosse stata limitata ad una mera attività edilizia, la costruzione del fabbricato appunto, nel quale terzi avrebbero poi gestito l’attività, non vi è prova che potesse essere oggetto di favorevole apprezzamento ed ancora maggiori e più significative sarebbero state le ragioni di revoca del finanziamento.
5.2. Ciò chiarito, occorre rilevare che l’art. 4 del Regolamento comunale 10 febbraio 2000, n. 9 prevedeva che “…la ditta dovrà dichiarare sotto la propria responsabilità che…procederà all’acquisto di beni e attrezzature direttamente collegati al ciclo produttivo o all’attività di servizio da svolgere, con il vincolo di destinazione non inferiore a un quinquennio, periodo durante il quale ne è vietata ogni forma di alienazione”.
Sostiene l’appellante che la predetta disposizione regolamentare dovesse essere interpretata nel senso che, da un lato, era imposto solamente un vincolo funzionale ai beni e alle attrezzature acquistate con il finanziamento, per il quale le stesse non potevano essere destinate ad attività diversa da quella in progetto, e, dall’altro, che fosse impedita la sola alienazione di detti beni e non che gli stessi fossero oggetto di altri contratti di godimento, tra i quali, appunto, l’affitto a terzi: in definitiva l’appellante esclude che la disposizione vietasse l’affidamento in gestione a terzi dell’attività .
Tale tesi non merita favorevole considerazione: il vincolo contenuto nella disposizione regolamentare citata non era (solo) un vincolo oggettivo, ma (anche e soprattutto) un vincolo soggettivo, nel senso che esso era non solo espressamente riferito ai beni e alle attrezzature acquistate con il finanziamento, ma anche inequivocabilmente destinato a regolare la condotta dell’impresa beneficiaria del finanziamento.
La ratio di quella disposizione era ragionevolmente e funzionalmente intesa ad imporre all’impresa beneficiaria la continuazione dell’attività assentita per un quinquennio, rafforzando tale obbligo con il divieto di alienazione dei beni e delle attrezzature acquistati, così presumendosi un utilizzo proficuo del finanziamento pubblico per il raggiungimento del fine per il quale esso era stato erogato.
L’impresa beneficiaria quindi per il tempo indicato – nel caso di specie il quinquennio – era tenuta a svolgere in proprio quell’attività finanziata (e non altre) proprio perché in tal modo era ragionevolmente ritenere che fosse conseguibile l’utilità (generale) del finanziamento. Del resto così intesa la disposizione regolamentare risulta essere espressione del principio immanente in ogni procedura di concessione di finanziamenti pubblici per il quale vi deve essere necessaria coincidenza tra il soggetto che, per aver presentato domanda, beneficia dei finanziamenti pubblici e quello che, per aver ottenuto i finanziamenti, gestisce l’attività d’impresa, così trovando corretta composizione i contrapposti interessi, pubblico e privato, che si contrappongono nelle fattispecie di erogazione di finanziamenti pubblici.
A seguire la tesi dell’appellante sarebbe astrattamente possibile per un’impresa rendersi mera collettrice di finanziamenti pubblici presentando plurime domande di finanziamento e, al contempo, travasare in altre, chiamate all’effettiva gestione dei beni acquistati con i finanziamenti, gli effetti favorevoli dalla pubblica erogazione, vale a dire l’avvio di un’attività d’impresa, così tradendo in radice la stessa ratio dell’intervento pubblico..
5.3. Alla luce delle predette considerazioni non è certamente decisivo il riferimento che la Cooperativa dichiara di aver effettuato nella domanda di concessione del finanziamento alla possibilità di rimettere a terzi la gestione dell’attività, tanto più che, come argomentato dal Comune, tale previsione non era esposta con chiarezza per essere riportata nell’ambito di un paragrafo della relazione tecnica dedicato ai “costi del personale”, con l’indicazione che detti costi (del CCNL delle cooperative) potessero essere sopportati “mediante gestione diretta o tramite la concessione in gestione dell’attività “: espressione ambigua che non manifestava in modo certo ed inequivoco l’intento di affidare a terzi la gestione dell’impianto, intento che sarebbe stato in ogni modo incompatibile con la ratio della norma regolamentare sopra richiamata nonché con la stessa logica dei finanziamenti pubblici.
6. Con altro motivo di appello la Cooperativa si duole della sentenza predicandone l’erroneità per “Eccesso di potere per sviamento e manifesta ingiustizia”.
Il motivo si articola in due censure: per un verso l’appellante si duole che non sia stato tenuta in debita considerazione la circostanza che la struttura realizzata con il finanziamento ricevuto aveva sempre operato occupando le tre unità lavorative previste dal progetto, così che l’atto di revoca, lungi dal perseguire l’interesse pubblico specifico di riferimento (sviluppo e occupazione), si risolveva nella inutile e ingiustificata frustrazione di tale scopo; per altro verso si denuncia l’incompetenza del Segretario generale del Comune ad adottare il provvedimento di revoca del finanziamento che sarebbe invece spettato, per la sua natura di vero e proprio provvedimento di autotutela, alla Giunta comunale che aveva concesso il finanziamento; d’altronde, conclude l’appellante, a voler ritenere la competenza del segretario generale, si dovrebbe escludere la stessa giurisdizione del giudice amministrativo per essere la controversia relativa ad un rapporto, quello tra amministrazione e concedente, che solo il giudice ordinario può conoscere.
Il motivo è infondato.
Quanto al primo profilo di doglianza è sufficiente richiamare le considerazioni svolte in precedenza, con l’unica precisazione che la revoca di un finanziamento pubblico costituisce attività vincolata in caso di rilevato inadempimento agli impegni assunti.
Relativamente alla competenza è da evidenziare che il provvedimento impugnato, risolvendosi in un accertamento del mancato rispetto degli impegni presi, non configura un mero contrarius actus rispetto al provvedimento concessorio del finanziamento stesso, trattandosi piuttosto di un atto di gestione, il che vale ad escludere la competenza della Giunta comunale, che aveva approvato le domanda di finanziamento, e a radicare quella del Segretario generale, espressamente deputato a gestire la fase esecutiva per effetto del decreto sindacale n. 13/2000.
Quanto al profilo di giurisdizione surrettiziamente introdotto dall’appellante, indipendentemente dalla sua infondatezza, deve ricordarsi l’orientamento giurisprudenziale per il quale è inammissibile il motivo di appello per difetto di giurisdizione del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, se proposto dalla parte che quel giudice aveva adito con la sua domanda (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 agosto 2018, n. 4934; III, 1 dicembre 2016, n. 5047).
7. In conclusione l’appello va respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna la Co. Pr. Vi. a r.l. al pagamento delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in Euro 3.000,00, oltre accessori di legge, a favore del Comune di (omissis).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Carlo Saltelli – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere, Estensore
Alberto Urso – Consigliere
Anna Bottiglieri – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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