Consiglio di Stato, Sentenza|29 dicembre 2020| n. 8473.
La domanda attinente alla determinazione o al pagamento della indennità di esproprio, quale che sia il vizio dedotto contro il provvedimento che la dispone, è appannaggio della giurisdizione del giudice ordinario, anche se concernente la scelta dei criteri in base ai quali liquidare l’indennità, se proposta dall’amministrazione per recuperare l’indennità indebitamente versata ad un privato, se connessa a quella risarcitoria da perdita del terreno, e financo se esercitata in sede di reclamo sulle determinazioni del commissario ad acta.
Sentenza|29 dicembre 2020| n. 8473
Data udienza 17 dicembre 2020
Integrale
Tag – parola chiave:Espropriazione per pubblica utilità – Indennità di esproprio – Determinazione – Pagamento – Controversie – Giurisdizione ordinaria
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quarta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6786 del 2019, proposto dal signor Ca. Ce. Sc., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Za., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Al. Fa., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana Sezione Terza n. 629 del 30 aprile 2019, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
visto l’art. 105, comma 2, cod. proc. amm.;
relatore nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2020, svoltasi ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137 del 2020, il Cons. Alessandro Verrico;
viste le note di udienza presentate da entrambe le parti ai sensi dell’art. 25, d.l. n. 137 del 2020;
ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso dinanzi al T.a.r. Toscana (R.G. n. 305/2013), l’odierno appellante impugnava la deliberazione consiliare del Comune di (omissis) – n. 91 del 21 dicembre 2012 – recante, ex art. 42-bis t.u. espr., l’acquisizione al patrimonio comunale dell’area di sua proprietà estesa per mq 4050, individuata al foglio (omissis) particella (omissis) del catasto terreni, per realizzare l’ampliamento del locale cimitero e, in via di fatto, un parcheggio.
In particolare, il ricorrente proponeva domanda di annullamento, fondata su cinque autonomi motivi, oltre alla domanda di restituzione dell’area e di risarcimento del danno. In subordine chiedeva l’emanazione di un ulteriore provvedimento ex art. 42-bis t.u. espr.
2. Il T.a.r. Toscana, sez. III, con la sentenza n. 629 del 30 aprile 2019, ha dichiarato inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione e ha compensato le spese di giudizio tra le parti. Il Tribunale, in particolare:
i) ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice civile (Corte di appello) in relazione ai motivi primo, secondo, terzo e quinto, perché rivolti a conseguire una maggiore indennità di esproprio;
ii) ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario, in relazione al quarto motivo, perché rivolto a contestare gli effetti dello sconfinamento posto in essere dal Comune nella realizzazione dell’opera pubblica (area di circa 2.653 mq mai stata oggetto di preventiva dichiarazione di pubblica utilità ovvero decreto di occupazione o esproprio);
iii) ha compensato le spese di lite.
3. L’originario ricorrente ha proposto appello per ottenere la riforma della sentenza impugnata e, per l’effetto, il rinvio della causa al giudice di primo grado. In particolare, l’appellante ha sostenuto le seguenti censure (da pagina 8 a pagina 15 del ricorso):
a) “Erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la giurisdizione ordinaria con riferimento ai primi tre motivi di ricorso. Violazione e falsa applicazione dell’art. 133 comma 1, lett. g) c.p.a.”: ad avviso dell’appellante i dedotti vizi di illegittimità, prospettati nei primi tre motivi dell’originario ricorso, fonderebbero una richiesta di annullamento, rispetto alla quale sussisterebbe la giurisdizione amministrativa;
b) “Erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto sussistente la giurisdizione ordinaria con riferimento al profilo della coesistenza di vizi attinenti i primi tre motivi di ricorso e vizi di legittimità del procedimento”: ad avviso dell’appellante la sentenza impugnata sarebbe errata laddove continua ad applicare il medesimo concetto di “attrazione” nella giurisdizione ordinaria anche con riferimento a tutti i successivi motivi di impugnazione, sia nella parte in cui viene censurata la mancata acquisizione di una ulteriore area comunque occupata e trasformata, sia con riferimento alla violazione procedimentale determinata dalla mancata comunicazione di avvio del procedimento. Diversamente, il bene a cui aspira il ricorrente non sarebbe la corresponsione del giusto indennizzo, ma esclusivamente la eliminazione del provvedimento illegittimo.
3.1. Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis), il quale, opponendosi all’appello, ha evidenziato che:
a) l’annullamento dell’impugnato provvedimento non può non essere finalizzato all’accertamento dell’adeguatezza dell’indennità e che, proprio in ragione dell’attrazione della controversia alla giurisdizione ordinaria, risulta pendente innanzi la Corte d’appello di Firenze il giudizio per la rideterminazione dell’indennità ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001;
b) vi è assoluta carenza di interesse dell’appellante in merito alla mancata adozione di un provvedimento ablatorio rispetto ad aree mai occupate e ad ogni modo l’esame della questione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, peraltro adito dallo stesso appellante proponendo un’azione di restituzione innanzi al Tribunale di Pisa, con giudizio tuttora pendente;
c) l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, incidendo su posizioni di diritto soggettivo, ovvero sulla misura dell’indennità, è tutelabile innanzi al giudice ordinario, sebbene la relativa censura sia infondata nel merito, tra le parti essendovi stato un ampio scambio di corrispondenza prima dell’adozione del provvedimento che avrebbe in ogni caso reso inutile detta comunicazione.
3.2 Le parti hanno infine scambiano ulteriori memorie, con cui hanno sostanzialmente ribadito le proprie difese e conclusioni.
4. Alla camera di consiglio del 17 dicembre 2020, tenutasi in collegamento da remoto in videoconferenza ai sensi dell’art. 25 del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato e deve pertanto essere respinto.
5.1. Il Collegio, al riguardo, rileva l’infondatezza di entrambi i motivi di appello, osservando, in primo luogo, che:
a) costituisce ius receptum (fra le tante Cass. civ., sez. un., n. 9862 del 2017), che, per individuare l’oggetto della domanda ai fini del discrimine fra le giurisdizioni, è indispensabile esaminarne la causa petendi (ovvero il petitum in senso sostanziale rappresentato dal complesso degli argomenti in fatto e diritto posti a sostegno della domanda medesima);
b) è irrilevante, al tal fine, il petitum formalmente impugnatorio;
c) nel caso di specie, la causa petendi deve essere ricercata avuto riguardo al ricorso di primo grado (che delimita il perimetro del giudizio anche in appello ex art. 104 c.p.a.).
5.2. Nella specie risulta che il privato ha contestato il provvedimento emanato ex art. 42-bis t.u. espr. al solo scopo di conseguire una maggiore indennità di esproprio, proponendo criteri di liquidazione alternativi rispetto a quelli utilizzati dal Comune e lamentando anche la omessa considerazione, a tale scopo, di porzioni di fondo materialmente asservite all’opera pubblica come parcheggio.
Al riguardo, è costante la giurisprudenza nell’affermare che qualsiasi domanda attinente alla determinazione o al pagamento della indennità di esproprio, quale che sia il vizio dedotto contro il provvedimento che la dispone, è appannaggio della giurisdizione del giudice ordinario, anche se concernente la scelta dei criteri in base ai quali liquidare l’indennità, se proposta dall’amministrazione per recuperare l’indennità indebitamente versata ad un privato, se connessa a quella risarcitoria da perdita del terreno, e financo se esercitata in sede di reclamo sulle determinazioni del commissario ad acta (Cass. civ., sez. un., n. 22374 del 2020; n. 24856 del 2019; n. 19894 del 2019; n. 4880 del 2019; n. 2583 del 2018; n. 15635 del 2017; n. 7303 del 2017; Cons. Stato, sez. IV, n. 4125 del 2018; sez. IV, n. 2765 del 2018; sez. IV, n. 4636 del 2016).
5.3. Come peraltro evidenziato dal Comune appellato nella memoria difensiva depositata in vista della udienza, risulta in atti che il privato abbia già adito sia la Corte di appello per la rideterminazione dell’indennità ex art. 42-bis d.P.R. n. 327/2001, così come abbia proposto dinanzi al Tribunale ordinario azione di restituzione delle aree occupate in assenza del provvedimento ablatorio.
Del resto, con riferimento a quest’ultima domanda, non sufficientemente specificata nel ricorso di primo grado, si configurerebbe comunque la giurisdizione del giudice ordinario sia se considerata come domanda volta ad ottenere la rideterminazione dell’indennizzo in modo da includere anche tali porzioni di terreno nel computo complessivo, sia se si voglia ritenere che il privato abbia proposto, in relazione all’ulteriore appezzamento di terreno utilizzato come parcheggio, una domanda di risarcimento del danno da perdita del possesso e di restituzione. In quest’ultimo caso, infatti, verrebbe in esame una ipotesi di c.d. “sconfinamento” ovvero di comportamento di mero fatto perpetrato in carenza assoluta di potere (c.d. occupazione usurpativa), e tale da integrare un illecito permanente lesivo del diritto soggettivo del proprietario del fondo la cui tutela è rimessa alla giurisdizione del giudice ordinario (cfr. ex plurimis Cass. civ., sez. un., n. 22193 del 2020; n. 2721 del 2018; n. 27994 del 2013).
6. In conclusione, alla stregua delle sopra esposte considerazioni, l’appello deve essere respinto.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello (R.G. n. 6786/2019), come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al rimborso, in favore del Comune di (omissis), delle spese del giudizio, nella misura di euro 4.000,00 (quattromila/00), oltre accessori di legge (rimborso spese generali al 15%, I.V.A. e C.P.A.).
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.
Così deciso dal Consiglio di Stato, nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2020 svoltasi ai sensi dell’art. 25 d.l. n. 137 del 2020, con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Giuseppe Castiglia – Consigliere
Alessandro Verrico – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
Michele Conforti – Consigliere
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
Leave a Reply