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Con l’appello in esame l’odierna amministrazione appellante impugnava la sentenza n. 290\2013 con cui il Tar Lecce aveva accolto l’originario gravame. Quest’ultimo era stato proposto dall’odierna parte appellata, in qualità di titolare di una struttura ricettiva balneare denominata “Gu. Be.”, al fine di ottenere l’annullamento dei provvedimenti di diniego al mantenimento per l’intero anno solare della struttura e di conseguente ordine di rimozione della stessa al termine della stagione balneare.
Nel ricostruire in fatto e nei documenti la vicenda, parte appellante censurava la sentenza appellata ritenendo legittima l’espressione di parere sfavorevole sull’istanza avanzata dal ricorrente con motivazione che fa riferimento alla necessità di salvaguardare e valorizzare il paesaggio tutelato, in conformità con le finalità cui è ispirato il PUTT/P e nella consapevolezza della prevalenza dell’interesse pubblico sull’interesse privato.
Le parti appellate si costituivano in giudizio chiedendo la declaratoria di inammissibilità ed il rigetto dell’appello.
Alla pubblica udienza del 18\1\2018 la causa passava in decisione.
DIRITTO
Preliminarmente, appare infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, formulata da parte appellata in relazione alla mancanza di censure e doglianze specifiche.
In linea generale, pur dinanzi al generale onere di specificità dei motivi di gravame, costituisce jus receptum il principio per cui è da ritenere ammissibile se dallo stesso sia possibile desumere quali siano le argomentazioni fatte valere da chi ha proposto l’impugnazione in contrapposizione a quelle evincibili dalla sentenza impugnata (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 14 maggio 2012 n. 2745).
Inoltre, va ribadito che il grado di specificità dei motivi di appello va parametrato e vagliato alla luce del grado di specificità della sentenza contestata, e pertanto una critica generica o una lagnanza generica sull’ingiustizia della sentenza non è adeguata e ammissibile se la sentenza confuta puntualmente i motivi di cui al ricorso di primo grado (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. V 936 del 2013 e Ad plen n. 10 del 2011).
Applicando tali parametri generali al caso di specie, se per un verso la sentenza impugnata, lungi dall’esaminare puntualmente i motivi dedotti, ha accolto in termini generali ed assorbenti la deduzione formulata in termini di difetto di motivazione, attraverso il preminente richiamo, per relationem, ad altri precedenti decisioni del medesimo Tar, per un altro verso l’appello ha svolto una critica diretta nei confronti delle argomentazioni svolte dal giudice di prime cure, tentando di evidenziare la sussistenza di una motivazione conforme ai principi di tutela della zona interessata.
Peraltro il ricorso appare infondato nel merito.
In linea generale, la giurisprudenza della sezione ha già più volte evidenziato come nella motivazione del diniego di autorizzazione paesaggistica, l’Amministrazione non possa limitarsi ad esprimere valutazioni apodittiche e stereotipate, ma debba specificare le ragioni del diniego, ovvero esplicitare i motivi del contrasto tra le opere da realizzarsi e le ragioni di tutela dell’area interessata dall’apposizione del vincolo.
Non è sufficiente, quindi, la motivazione del diniego all’istanza di autorizzazione fondata su una generica incompatibilità, non potendo l’Amministrazione limitare la sua valutazione al mero riferimento ad un pregiudizio ambientale, utilizzando espressioni vaghe e formule stereotipate (cfr. ad es. Consiglio di Stato sez. VI 05 dicembre 2016 n. 5108).
Analoga adeguatezza della motivazione, a maggior ragione, va verificata laddove lo stesso manufatto sia stato reputato pienamente compatibile con il vincolo, alla cui tutela è preposta l’amministrazione odierna appellante, esistente in loco.
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