Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 27 febbraio 2018, n. 1169. La previsione dell’art. 36 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, che ritiene necessaria la presenza della c.d. “doppia conformità” non è superabile

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[…]

8. – Per come già riferito ampiamente sopra, tutte le osservazioni giurisprudenziali sopra richiamate si attagliano anche al presente contenzioso, confermando la correttezza della valutazione operata dal primo giudice, senza che, ad avviso del Collegio, sia necessaria alcun ulteriore approfondimento istruttorio emergendo, per tabulas, dalla documentazione versata in atti in entrambi i giudizi, la illegittima realizzazione delle opere per le quali era stata chiesta la sanatoria al momento della loro realizzazione, in quanto nell’area in questione erano all’epoca consentiti solo interventi di recupero conservativo e non nuove costruzioni (come ha sostenuto la parte appellante con il settimo motivo di appello che, per tale ragione, si presenta non fondato).
Parimenti infondate sono le restanti censure (ri)proposte in sede di appello.
Va respinta la contestazione (primo e secondo motivo di appello) in ordine alla adozione di due diversi preavvisi di diniego adottati dagli uffici comunali, in quanto, per le ragioni più sopra espresse, il procedimento di verifica sulla sanabilità postuma delle opere realizzate dalla società agricola oggi appellante si è suddiviso in distinti sub-procedimenti caratterizzati, in via prodromica da un primo sub-procedimento teso alla corretta individuazione dell’ammontare dell’oblazione da pagare (solo nel caso in cui fossero conformabili a legalità le opere edilizie, circostanza che poi non si è verificata) e, successivamente, da un secondo sub-procedimento resosi necessario una volta che sia stata constatata l’irrilevanza dell’art. 56 del regolamento edilizio, nel corso del procedimento.
Parimenti inconferente è la contestazione in sede di appello in ordine alla dichiarata improcedibilità del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, dichiarata dal Tribunale amministrativo regionale nella sentenza qui gravata, sul presupposto che la infondatezza del ricorso recante motivi aggiunti, in ragione della verificata legittimità del provvedimento con il quale è stata respinta, in via definitiva, la domanda di sanatoria, avrebbe provocato il (sopravvenuto) venir meno dell’interesse alla decisione sulla domanda di annullamento del provvedimento di (ri)calcolo dell’oblazione.
Tale decisione del giudice di primo grado appare logica e scevra da impostazioni errate dal momento che, per quanto si è già riferito, il provvedimento di (ri)calcolo dell’oblazione costituiva soltanto un atto prodromico rispetto al provvedimento conclusivo del procedimento di verifica della sanabilità degli abusi edilizi, di talché, accertata la corretta adozione della determinazione di diniego di sanatoria è venuto conseguente meno l’interesse a coltivare il giudizio nel quale si contestava il (ri)calcolo dell’ammontare dell’oblazione, atteso che questa non è più dovuta per effetto della sfavorevole conclusione del procedimento di sanatoria: doverosamente sia in sede amministrativa che in sede giurisdizionale si è constatata l’impossibilità giuridica che fosse presa in considerazione l’istanza di sanatoria.
9. – Deriva da quanto sopra la infondatezza dei motivi di appello, di talché il ricorso n. R.g. 7723/2015 va respinto, confermandosi integralmente la sentenza del T.A.R. per la Toscana, Sez. III, 10 marzo 2015, n. 389, e con conseguente reiezione del ricorso n. R.g. 572/2013, proposto in primo grado.
Ritiene il Collegio che, in ragione del principio della soccombenza, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., per come espressamente richiamato dall’art. 26, comma 1, c.p.a. (anche) le spese del grado di appello debbono porsi a carico della appellante, nella misura complessiva di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Sesta,
definitivamente pronunciando sull’appello n. R.g. 7723/2015, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza di primo grado (T.A.R. per la Toscana, Sez. III, 10 marzo 2015 n. 389).
Condanna la parte appellante a rifondere le spese del grado di appello in favore del Comune di Prato, che liquida nella misura complessiva di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 9 novembre 2017, con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente
Silvestro Maria Russo – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Dario Simeoli – Consigliere
Stefano Toschei – Consigliere, Estensore

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