consiglio di stato bis

Consiglio di Stato

sezione VI

sentenza 29 gennaio 2016, n. 358

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Sesta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3191 del 2015, proposto dalla società M. Im. a r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore

contro

Comune di (omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore

per la riforma della sentenza del T.A.R. della Campania, Sezione III; n. 4484/2014

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 novembre 2015 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato Petretti per delega dell’avvocato Balletta e l’avvocato Lemmo per delega dell’avvocato Gentile;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Con ricorso proposto dinanzi al T.A.R. della Campania e recante il n. 4675/2013 l’appellante società M. Im. ha impugnato

– il provvedimento n. 54 del 7 maggio 2013 con cui il Comune di (omissis) ha disposto l’acquisizione di diritto al patrimonio comunale dell’unità abitativa sita al piano (omissis) – sottotetto, interno (omissis) – dell’immobile ubicato al (omissis) di quel comune (di proprietà dell’odierna appellante), stante l’inottemperanza alla precedente ordinanza di rimessione in pristino 4 marzo 2008, n. 40 (quest’ultimo provvedimento aveva constatato la difformità rispetto al permesso di costruire in data 18 dicembre 2003);

– del verbale del Corpo di Polizia Municipale di quel comune in data 18 giugno 2008, attestante l’inottemperanza all’ordine di demolizione;

– del verbale di dissequestro redatto dal medesimo Corpo di P.M. in data 10 maggio 2013.

Con la sentenza in epigrafe il T.A.R. della Campania ha respinto il ricorso ritenendolo infondato.

La sentenza in questione è stata impugnata in appello dalla società M. Im. s.r.l. la quale ne ha chiesto la riforma articolando otto motivi di doglianza.

Con il primo motivo la società appellante lamenta che i primi Giudici non abbiano adeguatamente considerato il fatto che, prima dell’adozione del provvedimento di acquisizione ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001, il Comune di (omissis) non abbia mai notificato all’appellante medesima l’ordine di demolizione n. 40 del 2008 (la cui inesecuzione aveva determinato l’adozione del provvedimento di acquisizione).

Ed ancora, il T.A.R. avrebbe omesso di valutare in modo adeguato anche la circostanza che lo stesso ordine di demolizione (provvedimento n. 40 del 2008) non risultasse ritualmente notificato alla sua dante causa, responsabile dell’abuso (si tratta della società ES. EF. Co. s.r.l.).

Con il secondo motivo l’appellante M. Im. s.r.l. lamenta che il T.A.R. non abbia adeguatamente considerato il fatto che l’atto di accertamento dell’inottemperanza dell’ordine di demolizione (atto in data 3 luglio 2008) non era stato ritualmente notificato al soggetto che, a quella data, rivestiva il ruolo di legale rappresentante della ES. EF. Co. (la quale era stata medio tempore posta in liquidazione).

In particolare, il richiamato accertamento di inottemperanza era stato notificato ai soli signori Fo. e Sp. (già legali rappresentanti della società posta in liquidazione), ma non anche al liquidatore signor Do. Ma., il quale aveva medio tempore assunto i poteri di legale rappresentanza della società.

Con il terzo e il quarto motivo l’appellante lamenta che i primi Giudici non abbiano adeguatamente considerato, ai fini del decidere:

– il fatto che alla ricorrente non fossero mai stati notificati l’originario ordine di demolizione (provvedimento n. 40 del 2008) e l’atto di accertamento dell’inottemperanza del 3 luglio 2008;

– il fatto che la stessa ricorrente era certamente estranea alla realizzazione dell’abuso (come peraltro riconosciuto dalla sentenza del Tribunale Penale di Nola, n. 1872/2012 che aveva ascritto il titolo di responsabilità ai soli legali rappresentanti della società ES. EF. Co. in liquidazione);

– il fatto che nei confronti dell’odierna appellante (la quale non aveva rivestito alcun ruolo nella realizzazione dell’abuso) non poteva essere legittimamente disposto il provvedimento di acquisizione, il quale rappresenta una sanzione autonoma per l’inesecuzione dell’ordine di demolizione che, quindi, non può essere legittimamente irrogato a carico di chi non abbia svolto alcun ruolo nella commissione dell’illecito (si tratta, al contrario, di una misura che non può che colpire lo stesso responsabile dell’abuso il quale abbia consapevolmente omesso di dare attuazione all’ordine di rimessione in pristino)

Con il quinto motivo l’appellante lamenta che i primi Giudici abbiano erroneamente respinto il motivo di ricorso con cui si era lamentata l’omessa comunicazione di avvio del procedimento finalizzato all’acquisizione dell’immobile al patrimonio del Comune. In tal modo decidendo il T.A.R. (il quale ha giustificato l’omessa comunicazione di avvio del procedimento in ragione del carattere doveroso delle attività amministrative connesse alla repressione degli abusi edilizi) avrebbe erroneamente omesso di considerare che, secondo un prevalente orientamento, tale omissione non potrebbe comunque essere giustificata nei confronti del proprietario incolpevole dell’abuso (al quale, al contrario, la comunicazione di avvio dovrebbe necessariamente essere trasmessa e sotto comminatoria di illegittimità del provvedimento finale).

Con il quinto motivo l’appellante lamenta il mancato accoglimento del motivo di ricorso con cui si era lamentata la mancata, precisa individuazione dell’immobile che sarebbe stato sottoposto ad acquisizione coattiva ai sensi dell’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001.

Al riguardo i primi Giudici si sarebbero erroneamente limitati a rilevare che tale indicazione era effettivamente contenuta nel provvedimento finale in data 7 maggio 2013, senza considerare in modo adeguato che la medesima esatta indicazione non era stata effettuata né con l’iniziale ordinanza di demolizione del 4 marzo 2008, né con il successivo atto di constatazione dell’inottemperanza all’ordine in parola.

Con il sesto motivo di appello a M. Im. s.r.l. lamenta il mancato accoglimento del motivo di ricorso con il quale si era lamentato l’eccesso di potere per disparità di trattamento che aveva caratterizzato l’operato del Comune di (omissis) il quale

– pur avendo contestato nel marzo del 2008 la modificazione della destinazione d’uso dei due locali posti nel sottotetto del fabbricato di Corso Garibaldi, 8 (si tratta dell’immobile contraddistinto dall’interno 8 – di proprietà dell’appellante – e dell’interno 7 – rimasto di proprietà della ES. EF. Co. s.r.l., autrice dell’abuso -)

– ha ingiustificatamente limitato il provvedimento di acquisizione coattiva al solo interno 8 (i.e.: all’immobile di proprietà della ricorrente), omettendo di adottare un analogo provvedimento proprio a carico della società responsabile dell’abuso, che era rimasta proprietaria dell’immobile contraddistinto con l’interno 7.

Con il settimo motivo l’appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui i primi Giudici hanno sancito l’inammissibilità per difetto di legittimazione attiva in capo alla M. Im. s.r.l. atteso che, nell’atto di compravendita in data 11 settembre 2008, non era stato indicato il titolo edilizio in virtù del quale era stato edificato il sottotetto per cui è causa.

Al riguardo l’appellante osserva che il decisum di primo grado sia affetto in parte qua da un’errata valutazione delle risultanze di causa in quanto il permesso di costruire in base al quale era stato edificato l’intero fabbricato (si tratta del permesso n. 8 del 2002) menzionava effettivamente in modo espresso il sottotetto in questione, pur indicandone una destinazione diversa da quella (abitativa) che vi sarebbe stata in seguito impressa.

Con l’ottavo motivo l’appellante chiede la riforma della sentenza in epigrafe per la parte in cui sono stati respinti gli argomenti con cui si era osservato:

– che i provvedimenti impugnati in primo grado presuppongono intervenuta una modifica di destinazione d’uso del sottotetto per cui è causa in assenza tuttavia di puntuali riscontri fattuali;

– che, in ogni caso, non trova giustificazione l’ordine di demolizione (da cui ha tratto origine l’impugnato provvedimento di acquisizione coattiva). Ciò in quanto, ai sensi della pertinente legislazione regionale (legge della Regione Campania n. 19 del 2009, articolo 8 – come da ultimo modificato dalla legge regionale n. 2 del 2014, articolo 1 -) l’intervento per cui è causa sarebbe comunque allo stato sanabile.

Si è costituito in giudizio il Comune di (omissis) il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello.

Con ordinanza n. 2735/2015 questo Consiglio ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza impugnata riconoscendo rilievo preminente ai profili relativi al periculum in mora.

Alla pubblica udienza del 17 novembre 2015 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una società attiva nel settore immobiliare avverso la sentenza del T.A.R. della Campania con cui è stato respinto il ricorso dalla stessa proposto avverso il provvedimento con cui il Comune di (omissis):

– ha accertato l’inottemperanza a un precedente ordine di rimessione in pristino della trasformazione illegittima di un sottotetto in mansarda abitabile;

– ha disposto l’acquisizione coattiva dell’immobile (nonostante risultasse in atti che la trasformazione abusiva sia stata realizzata dalla dante causa dell’appellante)

2. Ragioni di ordine processuale impongono di esaminare prioritariamente il settimo motivo di appello con cui, come anticipato in narrativa, la società appellante ha chiesto la riforma della sentenza in epigrafe per avere i primi Giudici ritenuto che il ricorso introduttivo fosse inammissibile (per difetto di legittimazione attiva) prima ancora che infondato dal momento che nell’atto di acquisto del sottotetto per cui è causa dell’11 settembre 2008 non era fatta menzione alcuna del titolo edilizio in base al quale era stato realizzato il sottotetto abitabile.

2.1. Il motivo è meritevole di accoglimento, con la conseguenza che debba certamente essere confermata la sussistenza della legittimazione dell’odierna appellante alla proposizione del primo ricorso.

2.1.1. Si osserva in primo luogo al riguardo che i primi Giudici sembrano far discendere la carenza di legittimazione attiva in capo alla M. Im. s.r.l. in ragione della nullità dell’atto di acquisto dell’11 settembre 2008 (nullità – questa – che conseguirebbe alla violazione dell’articolo 46, comma 1 del d.P.R. 380 del 2001, secondo cui “gli atti tra vivi, sia in forma pubblica, sia in forma privata, aventi per oggetto trasferimento o costituzione (…) di diritti reali, relativi ad edifici, o loro parti (…) sono nulli e non possono essere stipulati ove da essi non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso di costruire o del permesso in sanatoria”).

Ma il punto è che i primi Giudici riportano la tesi della nullità ipotizzata dalla difesa comunale senza statuire puntualmente al riguardo e senza che sia dato comprendere (se non in modo deduttivo e indiretto) se tale tesi sia in concreto condivisa dal Collegio.

2.1.2. Si osserva in secondo luogo che, anche a voler ammettere che la tesi della nullità dell’atto di acquisto sia chiaramente evincibile dal testo della pronuncia (il che non è), resta comunque evidente che l’atto di compravendita non risulti affetto dai ventilati profili di nullità in quanto dalla sua lettura emerge con evidenza l’indicazione del titolo edificatorio dell’intero fabbricato (si tratta del permesso di costruire n. 8 del 2002).

E’ evidente al riguardo che altra cosa è il titolo edilizio in base al quale era stata (legittimamente) realizzata la mansarda per cui è causa, mentre cosa diversa è il regime relativo all’intervenuto cambio di destinazione d’uso della porzione immobiliare in tal modo (legittimamente) realizzata.

Si tratta tuttavia, di profili che non impingono la questione dell’atto di provenienza, né (contrariamente a quanto ritenuto sul punto dai primi Giudici) la stessa legittimazione attiva dell’odierna appellante.

2.2. Deve, quindi essere confermata la sussistenza della legittimazione della società appellante alla proposizione del primo ricorso.

3. Nel merito l’appello è fondato e i provvedimenti impugnati in primo grado devono essere annullati, emergendo la sussistenza dei vizi di istruttoria e di motivazione lamentati con il terzo e il quarto motivo di appello.

3.1. L’esame di tali motivi di ricorso assume rilievo del tutto preliminare e assorbente al fine della risoluzione della complessiva res controversa.

Al riguardo il Collegio ritiene di poter trarre utili indicazioni dalla sentenza dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 27 aprile 2015, n. 5.

Le statuizioni della sentenza in questione sono state espressamente limitate al solo giudizio amministrativo di primo grado (ivi, punto 5.3. della motivazione in diritto). Nondimeno quanto ivi affermato in ordine al c.d. ‘assorbimento logico necessariò può essere considerato come utile riferimento anche nella presente vicenda contenziosa.

Si osserva in particolare che, con riguardo al criterio della maggiore soddisfazione circa il bene della vita dedotto in giudizio e non ostando in concreto opposti criteri di priorità logica nell’ordo decidendi (cfr. Cons. Stato, VI, 6 marzo 1992, n. 159; 21 novembre 1992, n. 925), può trovare applicazione nel caso in esame la regola secondo cui, in assenza di un’espressa graduazione operata dalla parte (e in considerazione del particolare oggetto del giudizio impugnatorio, legato al controllo giurisdizionale, su domanda dell’interessato, sull’esercizio di una funzione pubblica), il giudice di appello individua l’ordine di trattazione dei motivi e delle domande di annullamento in primis sulla base della loro consistenza oggettiva avendo riguardo alla maggiore o minore radicalità del vizio.

E siccome i vizi denunziati con il terzo e il quarto motivo di appello sono di per sé idonei – laddove ritenuti fondati – a determinare la caducazione del provvedimento impugnato in primo grado, ne è possibile l’esame prioritario alla luce del richiamato canone del c.d. ‘assorbimento logico-necessariò

3.2. In particolare, il provvedimento di acquisizione coattiva in data 7 maggio 2013 è stato adottato nei confronti della società appellante non avendo il Comune svolto un’adeguata istruttoria in ordine al se la condotta realizzativa dell’abuso fosse riferibile alla società medesima, ovvero se la stessa fosse stata (in modo inammissibile) individuata quale destinataria dell’ordine di demolizione in ragione del solo rapporto reale con lares.

3.2.1. Al riguardo il Collegio ritiene di richiamare il consolidato (e qui condiviso) orientamento secondo cui in materia di abusi edilizi commessi da persona diversa dal proprietario la posizione di quest’ultimo possa ritenersi neutra rispetto alle sanzioni previste dal d.P.R. 380 del 2001 e, segnatamente, rispetto all’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’area di sedime sulla quale insiste il bene, quando risulti, in modo inequivocabile, l’estraneità del proprietario stesso rispetto al compimento dell’opera abusiva ovvero risulti che, essendone venuto a conoscenza, il proprietario si sia poi adoperato per impedirlo con gli strumenti offertigli dall’ordinamento (sul punto -ex multis -: Cons. Stato, VI, 4 maggio 2015, n. 2211; id., 30 marzo 2015, n. 1650).

Si è condivisibilmente osservato al riguardo che l’articolo 31, comma 2 del T.U. Edilizia indirizza l’ordine di demolizione non all’autore, ma al proprietario e al responsabile dell’abuso, in forma non alternativa, ma congiunta e simultanea, così rendendo palese che entrambi questi soggetti siano chiamati a ripristinare il corretto assetto edilizio violato dall’abuso.

Ne consegue che le ulteriori misure (in particolare, l’acquisizione gratuita che qui viene in rilievo) non possono che riferirsi ai medesimi soggetti obbligati, non tanto e non solo come conseguenza dell’edificazione senza titolo, quanto come conseguenza dell’inottemperanza all’ordine che ad essi è stato impartito (sul punto: Cons. Stato, VI, 4 settembre 2015, n. 4125).

3.2.2. Ma se ciò è vero, ne consegue che sarebbe gravato sull’amministrazione un onere istruttorio (in concreto non adempiuto) volto a stabilire, nel contraddittorio con il soggetto interessato, se quest’ultimo fosse qualificabile come “responsabile dell’abuso” e se, quindi, nei suoi confronti fosse possibile applicare le conseguenze sanzionatorie contemplate dall’articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001, non essendo al riguardo sufficiente il solo dato della proprietà dell’immobile.

In particolare, il Comune avrebbe avuto l’onere di svolgere una siffatta istruttoria in considerazione del fatto:

– che la realizzazione della condotta abusiva era certamente da attribuire a soggetti diversi dall’odierna appellante (e, in particolare, ai legali rappresentanti della dante causa, società ES. EF. Co., come accertato con sentenza del Tribunale Penale di Nola, n. 1872/2012);

– che all’odierna appellante (che aveva acquistato l’immobile in data 7 maggio 2013) non era stato notificato né l’originario ordine di demolizione e rimessione in pristino, né l’atto con cui era stata accertata l’inottemperanza della prima ordinanza;

– che, a ben vedere, sussistevano altresì fondati dubbi sul fatto che l’accertamento dell’inottemperanza fosse stato correttamente notificato al legale rappresentante della società sua dante causa (ed infatti, pur essendo intervenuta la messa in liquidazione di tale società – e la nomina di un nuovo legale rappresentante -, l’atto di accertamento dell’inottemperanza era stato notificato ai precedenti rappresentanti della società posta in liquidazione);

– che, in definitiva, il Comune appellato avrebbe potuto e dovuto accertare, sulla base del complesso delle risultanze in suo possesso (e di quelle acquisibili secundum legem) se la società appellante fosse effettivamente qualificabile quale “responsabile dell’abuso”, con tutte le afflittive conseguenze di cui al più volte richiamato articolo 31 del d.P.R. 380 del 2001.

3.3. Gli atti impugnati in primo grado risultano quindi affetti dai lamentati profili di difetto di istruttoria e di motivazione e devono per ciò stesso essere annullati.

4. In base ai rilievi sin qui svolti (che assumono carattere assorbente ai fini dl decidere) il ricorso in appello deve essere accolto e conseguentemente devono essere annullati i provvedimenti impugnati in primo grado, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l’amministrazione potrà eventualmente adottare dopo aver rivalutato funditus la complessiva vicenda di causa, garantendo un adeguato contraddittorio procedimentale con la società appellata.

Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese fra le parti, anche in considerazione della complessiva peculiarità della presente vicenda contenziosa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati in primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Filippo Patroni Griffi – Presidente

Claudio Contessa – Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele – Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg – Consigliere

Marco Buricelli – Consigliere

Depositata in Segreteria il 29 gennaio 2016.

 

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