L’articolo 24 del Codice della Navigazione va inteso nel senso che qualsiasi variazione al contenuto della concessione attuata mediante la realizzazione di interventi sul suolo demaniale deve essere oggetto di espressa autorizzazione e che il rilascio di tale autorizzazione ha una valenza autonoma e separata rispetto ai titoli edilizi, evidenziandosi che, in assenza di atto di assenso demaniale, le opere sono comunque abusive, a prescindere dalla rilevanza delle stesse sul piano strettamente edilizio
Consiglio di Stato
sezione VI
sentenza 24 novembre 2016, n. 4951
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4850 del 2010, proposto da:
La La. S.n. c. di Am. e Ta., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati Da. Vag. C.F. (omissis), Gi. Ce. C.F. (omissis), con domicilio eletto presso Da. Va. in Roma, viale (…);
contro
Comune di Pescara, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. De Fl. C.F. (omissis), domiciliato ex art. 25 cpa presso la Segreteria del Consiglio di Stato in Roma, p.za (…);
Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – SEZ. STACCATA DI PESCARA: SEZIONE I n. 01026/2009, resa tra le parti, concernente ordinanza di sgombero opere abusive su suolo demaniale marittimo in concessione.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Pescara e di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 20 ottobre 2016 il Cons. Francesco Mele e uditi per le parti gli avvocati Di Ne. per delega di Ce., e dello Stato D’A..;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con sentenza n. 1026/09 del 20-11-2009 il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo – Sezione Staccata di Pescara rigettava il ricorso proposto dalla società La La. s.a.s., inteso ad ottenere l’annullamento dell’ordinanza di sgombero n. 9 del 4 giugno 2007, adottata dal dirigente del settore gare ed appalti dell’assessorato alle risorse del mare, servizio espropriazioni e demanio marittimo per finalità turistico ricreative del Comune di Pescara, relativa ad innovazioni abusive dalla stessa realizzate.
La predetta sentenza esponeva in fatto quanto segue.
” La ditta la La. s.a.s. di Am. Br. & C. è stata oggetto di una ordinanza di sgombero n. 9/ 4.6.2007, da parte del Comune di Pescara, relativa ad opere abusive su suolo demaniale in concessione; le opere incriminate sono: a) una recinzione metallica su paletti in legno, di una zona in lastre di cls, adibita a deposito, b) n. 4 cabine e n. 4 wc, in luogo di n. 6 cabine spogliatoio e n. 2 wc, c) locale pizzeria a confine, con due finestre non previste e senza rispetto delle distanze. Esse sono state considerate variazioni al contenuto della concessione (art. 24 reg. esecuzione del cod. nav.) e innovazioni non autorizzate (art. 54 cod. nav.), suscettibili anche di sanzioni penali (art. 1161 cod. nav.); la ditta interessata le ritiene di minima consistenza urbanistico-edilizia, facilmente rimovibili, adottate per misure di sicurezza (recinzione) e di fruizione (lastre in cls solo poggiate sulla sabbia), per le quali non necessiterebbe alcuna autorizzazione. Per le 4 cabine e 4 wc, nonché il locale pizzeria, allineato allo stabilimento, senza distacco di mt. 2,50, previsto dalla successiva delibera consiliare n. 31/ 8.2.2006, vi sarebbe conformità con l’atto del 2.2.2006 n. 019/SUAP/06 e la concessione demaniale suppletiva del 17-1-2006 n. 1/2006; in sintesi tutto sarebbe stato fatto per la funzionalità e l’igienicità (areazione). Il Comune sostiene che si tratterebbe di innovazioni abusive che andavano rimosse obbligatoriamente (di qui la superfluità della sub-procedura di cui all’art. 10 bis della legge n. 241/1990), insistendo su aree demaniali con vincolo ambientale e paesistico (D.Lgs. n. 42/ 22.1.2004 ed art. 32, comma 3, DPR n. 380/2001). L’articolo 24 del reg. esec. cod. nav. si riferirebbe a qualsiasi variazione, senza possibilità di distinguo ed alcuna particolare motivazione. Sempre ad avviso del Comune, si farebbe confusione tra ambito demaniale e quello urbanistico-edilizio, ricordando come il Piano Demaniale Marittimo Regionale (PDMR) pone il divieto per le recinzioni (art. 5, comma 17), nonché il limite del 20% per le piazzolle e pavimentazione (art. 15, comma 9). Nel caso in esame, la pavimentazione sarebbe esuberante in eccesso e la recinzione raggiungerebbe i mt. 1,80, mentre le due finestre non sarebbero affatto previste, né il titolo di permesso per le cabine e wc sarebbe stato aggiornato; il distacco dal limite della concessione di mt. 2,50 è ritenuto necessario per garantire il corridoio di transito (art. 5, comma 1, Piano Demaniale Marittimo Comunale-PDMC) e sarebbe una norma particolareggiata (PDMC) del piano di settore (PDMR), che ha fatto da salvaguardia per il piano spiaggia (art. 57 LRA n. 18/1983)”.
Avverso la sentenza di primo grado la società “La La. s.n. c. di Am. e Ta.” (già “La La. s.a.s. di Am.Br. & C.”) ha proposto appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, deducendone l’erroneità e chiedendone l’annullamento e/o l’integrale riforma, con conseguente accoglimento del ricorso di primo grado ed annullamento degli atti impugnati.
Con unico ed articolato motivo di ricorso ha dedotto: Erroneità assoluta della decisione di primo grado per avere rigettato il ricorso, ritenendo non meritevole di accoglimento il seguente motivo: violazione e falsa applicazione dell’articolo 24 del Regolamento di Esecuzione del Codice della Navigazione-violazione e falsa applicazione degli artt. 54 e 1161 del Codice della Navigazione- eccesso di potere-carenza di istruttoria e di motivazione- difetto assoluto dei presupposti – travisamento – contraddittorietà – illogicità ed ingiustizia manifesta -violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 9, del Piano Demaniale Marittimo Regionale e dell’art. 15, commi 5 e 9, del Piano Marittimo Comunale, adottato con deliberazione consiliare n. 31 dell’8.2.2006.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed il Comune di Pescara, deducendo l’inammissibilità e l’infondatezza.
L’appellante ha depositato memoria illustrativa.
La causa è stata discussa e trattenuta per la decisione all’udienza del 20-10-2016.
DIRITTO
Con unico ed articolato motivo di appello la società La La. lamenta: Erroneità assoluta della decisione di primo grado per avere rigettato il ricorso, ritenendo non meritevole di accoglimento il seguente motivo: violazione e falsa applicazione dell’articolo 24 del Regolamento di Esecuzione del Codice della Navigazione-violazione e falsa applicazione degli artt. 54 e 1161 del Codice della Navigazione- eccesso di potere-carenza di istruttoria e di motivazione-difetto assoluto dei presupposti – travisamento – contraddittorietà – illogicità ed ingiustizia manifesta -violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 9, del Piano Demaniale Marittimo Regionale e dell’art. 15, commi 5 e 9, del Piano Marittimo Comunale, adottato con deliberazione consiliare n. 31 dell’8.2.2006.
Censura in primo luogo la pronuncia di preme cure nella premessa dalla quale essa muove, cioè nell’aver ritenuto che ogni intervento sul suolo demaniale marittimo, pur se concretamente inconsistente e/o assolutamente tenue necessiterebbe comunque del preventivo assenso dell’autorità demaniale, di cui all’art. 24 del Codice della Navigazione, costituendo altrimenti “innovazione non autorizzata” sanzionabile ex art. 54 dello stesso.
Tale impostazione sarebbe eccessivamente rigorosa e formalistica, oltre che ormai superata, anche alla luce della concentrazione, in capo ai Comuni, del potere di assenso tanto da un punto di vista demaniale marittimo (sia pur su delega regionale) che da un punto di vista urbanistico ed edilizio.
La doglianza non è meritevole di favorevole considerazione.
L’articolo 24 del Codice della Navigazione dispone che ” La concessione è fatta entro i limiti di spazio e di tempo e per le opere, gli usi e le facoltà risultanti dall’atto o dalla licenza di concessione. Qualsiasi variazione nell’estensione della zona concessa o nelle opere o nelle modalità di esercizio deve essere richiesta preventivamente e può essere consentita mediante atto o licenza suppletivi dopo l’espletamento dell’istruttoria. Qualora, peraltro, non venga apportata alterazione sostanziale al complesso della concessione e non vi sia modifica nell’estensione della zona demaniale, la variazione può essere autorizzata per iscritto dal capo del compartimento, previo nulla osta dell’autorità che ha approvato l’atto di concessione”.
L’esame della suddetta disposizione evidenzia che la concessione demaniale è funzionale alla realizzazione delle opere che risultino dall’atto stesso.
Essa, dunque, ha ad oggetto le opere in essa indicate, con la conseguenza che la realizzazione di opere diverse rende le stesse abusive sotto il profilo demaniale, se non autorizzate.
Dimostrazione di tanto è il tenore del secondo comma della disposizione, laddove si precisa che qualsiasi variazione nelle opere o nelle modalità di esercizio deve essere richiesta preventivamente e può essere concessa con atto o licenza suppletiva.
La norma non consente, dunque, di operare, ai fini della necessità dell’atto abilitativo demaniale, una distinzione di tipo qualitativo o quantitativo delle opere realizzate, considerandosi che la disposizione si riferisce a “qualsiasi” variazione e che conferma di tanto è rinvenibile nel terzo comma, il quale sottopone ad autorizzazione, sia pur con peculiare procedura, anche le ipotesi in cui la variazione non comporti alterazione sostanziale al complesso della concessione ovvero modifica nell’estensione della zona demaniale.
Da quanto sopra consegue che il riferimento alla tenuità dell’opera non impinge sulla necessità del previo atto abilitativo e che, di conseguenza, non può incidere, ai fini dell’esclusione del preventivo atto di assenso demaniale, la rilevanza urbanistico- edilizia del manufatto realizzato.
Vuole, in buona sostanza, affermarsi che l’assenso demaniale è necessario per qualsiasi variazione ai contenuti dell’originario atto di concessione, anche se gli interventi che tale variazione attuino abbiano scarsa ovvero nulla incidenza sul piano abilitativo urbanistico-edilizio.
La Sezione (cfr. Cons. Stato, VI, 15-10-2013, n. 5013) ha avuto modo di chiarire che il richiamato articolo 24 va inteso nel senso che qualsiasi variazione al contenuto della concessione attuata mediante la realizzazione di interventi sul suolo demaniale deve essere oggetto di espressa autorizzazione e che il rilascio di tale autorizzazione ha una valenza autonoma e separata rispetto ai titoli edilizi, evidenziandosi che, in assenza di atto di assenso demaniale, le opere sono comunque abusive, a prescindere dalla rilevanza delle stesse sul piano strettamente edilizio.
Né – a giudizio del Collegio – possono trarsi argomenti a favore della tesi dell’appellante dalla circostanza che l’articolo 54 del Codice (rubricato “Occupazioni e innovazioni abusive”) prevede l’ingiunzione di rimessione in pristino “… qualora vi siano eseguite innovazioni non autorizzate”.
Invero, l’utilizzo nell’articolo 24 e nell’articolo 54 del codice di termini diversi (“qualsiasi variazione” nel primo e “innovazioni non autorizzate” nel secondo) non può essere interpretato nel senso che l’ingiunzione di sgombero possa essere adottata solo per l’ipotesi di “innovazioni”, le quali costituirebbero un quid pluris rispetto alla semplice “variazione”.
Osserva in proposito la Sezione che il termine “innovazioni” esplicita un qualcosa di diverso e nuovo rispetto ai contenuti dell’assenso demaniale rilasciato al privato e, dunque, comprende in sé ogni variazione apportata rispetto a tale atto.
“Innovazione”, dunque, non esprime una valenza quantitativa particolare dell’opera realizzata, ma semplicemente il dato della realizzazione di un’opera non oggetto di autorizzazione demaniale, la quale rispetto ad essa costituisce elemento nuovo.
Di conseguenza, deve ritenersi che l’amministrazione possa legittimamente ordinare lo sgombero di qualsiasi opera non contemplata nel titolo autorizzatorio e, dunque, di qualsiasi “variazione” rispetto ad essa, la quale, in base all’articolo 24 del Regolamento, era soggetta ad autorizzazione, nella specie mai rilasciata.
Né può avere rilevanza la dedotta circostanza che vi sia stata concentrazione, in capo ai Comuni, del potere di assenso tanto da un punto di vista demaniale marittimo che da un punto di vista urbanistico.
Invero, l’abilitazione urbanistico-edilizia e quella demaniale sono rivolti alla tutela di interessi pubblici diversi, con la conseguenza che la concentrazione delle competenze in capo ad un unico soggetto non esclude affatto che vi sia necessità, ai fini della cura dei diversi interessi pubblici, della verifica abilitativa sotto entrambi i richiamati profili, nel senso di ritenere che laddove non è richiesto titolo abilitativo da un punto di vista urbanistico-edilizio è esclusa la necessità di assenso anche sotto il profilo demaniale.
Sulla base delle considerazioni sopra svolte deve, di conseguenza, essere ritenuta l’infondatezza dell’appello per tale parte.
Può a questo punto passarsi all’esame del gravame proposto, con riferimento alle realizzazioni contestate come abusive dal provvedimento impugnato in primo grado.
La prima di tali opere viene così indicata: “Nella zona sud è stata realizzata una recinzione in rete metallica, su intermezzo a paletti in legno, la quale delimita una superficie, di cui parte pavimentata con lastre in cls poggiate sulla sabbia, adibita a deposito”.
Parte appellante censura sul punto la sentenza di primo grado, evidenziando che si tratta di realizzazione che, tanto se considerata sotto il profilo della effettiva consistenza dell’intervento, quanto se vagliata dal punto di vista delle finalità perseguite (separare dagli spazi accessibili alla clientela una modesta area da adibire a rimessaggio, ricovero e deposito di attrezzature) non risulta avere le caratteristiche dell’intervento edilizio né può essere considerata sostanziale variazione al contenuto della concessione ai sensi dell’articolo 24 del Regolamento del Codice della Navigazione.
La doglianza è infondata.
Va in primo luogo rilevato che non risulta contestato che la suddetta recinzione non fosse prevista dai titoli demaniali rilasciati.
D’altra parte, l’ultima concessione demaniale suppletiva rilasciata (n. 1/2006 del 17-1-2006) prevede quanto segue.
“… autorizza, limitatamente alle competenze demaniali,…ad effettuare, con esclusione della staccionata in legno, lavori di risistemazione area esterna e di trasformazione di parte della cubatura disponibile in: – locale pizzeria di mq. 19,77- ripostiglio di mq. 1,21- box composto da n. 2 WC (1 per disabili) mq. 7,25 con antibagno mq. 4,66. – ubicazione di un portico in legno a ridosso del box WC della superficie di mq. 20,98 recuperata dove è stato realizzato il locale pizzeria…..L’area in concessione dopo i suddetti lavori sarà così distribuita: – Manufatto principale con bar, cucina e ripostiglio e wc mq. 52,97; -locale pizzeria (6,70 per 2,95) mq. 19,77; – ripostiglio mq. 1,21; – n. 6 cabine spogliatoio e n. 2 wc parte nord mq. 15, 75; wc disabili mq. 4,40; -n. 2 piattaforme coperte da tettoia in legno mq. 159,03; – piattaforma scoperta in mattonelle di cemento con n. 5 hawaiani per zona d’ombra mq. 244,82; – punto distribuzione bevande in legno mq. 21,70; – wc e wc disabili parte sud mq. 7,25; – antibagno wc e wc disabili mq. 4,66; – area ingresso camminamenti e docce in lastre mq. 105, 30…”.
Vi è, dunque, una espressa esclusione della realizzazione di una staccionata in legno e non è assolutamente contemplata la realizzazione della recinzione in rete metallica.
Ciò posto, sulla base delle considerazioni più sopra svolte, la recinzione è stata correttamente qualificata come abusiva e ne è stata ingiunta la rimozione ai sensi dell’articolo 54 del Codice della Navigazione, trattandosi di manufatto non previsto nella suddetta concessione suppletiva e consistente, dunque, in una innovazione non autorizzata (nei sensi in precedenza chiariti), non risultando rilevante, ai fini demaniali, la consistenza della stessa sotto il profilo urbanistico-edilizio.
Può a questo punto passarsi all’esame del secondo abuso contestato, il quale, nell’ordine di sgombero, viene così descritto: “Nella parte nord, anziché delle n. 6 cabine spogliatoio e n. 2 wc, secondo quanto previsto dai titoli concessori, risultano presenti n. 4 cabine e 4 wc”.
Parte appellante deduce che il giudice di primo grado avrebbe commesso, nel valutarlo, un errore grossolano, in quanto non risponderebbe al vero l’assunto della oggettiva difformità rispetto al progetto.
Evidenzia che la realizzazione di n. 4 cabine e di n. 4 wc è stata puntualmente contemplata nell’elaborato grafico relativo al progetto per i lavori di trasformazione di parte della cubatura disponibile in locale pizzeria (variante in corso d’opera al permesso di costruire n. 081/SUAP/05), assentito dall’autorità comunale, previo rilascio di concessione demaniale suppletiva n. 1/2006 del 17-1-2006, con nuovo permesso di costruire n. 019/SUAP /06 del 2-2-2006.
Aggiunge ancora che anche in tale ipotesi si è di fronte ad una realizzazione assolutamente sprovvista dei caratteri dell’intervento edilizio e/o dell’innovazione, trattandosi al più di un mero mutamento della destinazione d’uso senza alcuna rilevanza dal punto di vista urbanistico-edilizio e insuscettibile di essere considerata variazione al contenuto della concessione ex art. 24 del Regolamento di Esecuzione del Codice della Navigazione.
Anche tale censura non è condivisa dalla Sezione per le ragioni che di seguito si espongono.
Il permesso di costruire n. 019/SUAP/06, in variante al Permesso di Costruire n. 081/SUAO/2005 (v. produzione di primo grado del Comune di Pescara), presenta in allegato una planimetria generale in scala 1:200, nella quale vengono effettivamente rappresentate n. 4 cabine spogliatoio e n. 4 wc e non n. 6 cabine spogliatoio e n. 2 wc, come invece nella planimetria allegata al precedente permesso di costruire n. 081/SUAO/2005.
Si osserva, peraltro, che il suddetto titolo abilitativo specifica i lavori per i quali il permesso di costruire viene richiesto, indicandoli in: 1) demolizione di un manufatto per complessivi mq. 32, 95 e composto da due cabine, spogliatoio con WC e bagno per handicappati; 2) realizzazione, al di sotto del portico/tettoia esistente ed addossata al manufatto principale, di un locale “pizzeria e ripostiglio”; 3) realizzazione di un altro piccolo manufatto, con destinazione WC e bagno per disabili con relativo disimpegno, da ubicarsi al lato sud della concessione (ubicazione del manufatto demolito); 4) realizzazione di un portico/tettoia addossato ai servizi descritti al punto c), della superficie pari al portico/tettoia eliminato per la realizzazione del locale pizzeria.
Non vi è, dunque, espressa menzione della realizzazione di n. 2 wc in luogo delle due cabine precedentemente autorizzate.
In ogni caso, va rilevato che il suddetto permesso di costruire attiene alla realizzabilità dell’intervento sotto il profilo urbanistico-edilizio e non anche sotto il profilo demaniale.
Ne consegue che, pur volendo ritenere che la configurazione del blocco in termini di n. 4 wc e n. 4 cabine risulti autorizzata, va rilevato che tale assenso non riguarda l’abilitazione demaniale, per la quale vale ed opera la citata concessione suppletiva n. 1/2006 del 17 gennaio 2006.
Quest’ultima, prevede espressamente “n. 6 cabine spogliatoio e n. 2 wc parte nord mq. 15,75”.
Orbene, non risulta che la variazione realizzata sia stata preventivamente assentita sotto il profilo demaniale, risultando a tali fini operativa ed efficace, ai fini abilitativi, la richiamata concessione suppletiva n. 1/2016, la quale non prevede affatto la realizzazione di n. 4 cabine e di n. 4 wc.
Di conseguenza, trattandosi di una variazione al contenuto della concessione demaniale, essa andava previamente autorizzata ai sensi dell’articolo 24 del Regolamento per l’esecuzione del codice della navigazione e, mancando tale autorizzazione, se ne deve ritenere l’abusività ai fini demaniali.
Tale circostanza giustifica, dunque, di per sé e, pertanto, a prescindere dall’esistenza di una autorizzazione urbanistico-edilizia, la disposta ingiunzione di sgombero e di ripristino dello stato dei luoghi.
Invero, il provvedimento impugnato è stato adottato non perché si sia in presenza di un abuso edilizio, ma in relazione alla circostanza che l’opera realizzata non è conforme al titolo demaniale rilasciato.
Né – a giudizio del Collegio – colgono nel segno i rilievi di parte appellante relativi alla mancanza di rilevanza dell’opera dal punto di vista urbanistico-edilizio e l’impossibilità di considerarla una variazione ex articolo 24 del richiamato Regolamento di esecuzione.
Come si è affermato in precedenza, il titolo edilizio ed il titolo demaniale perseguono e curano interessi pubblici diversi.
Pertanto, l’eventuale scarsa rilevanza urbanistica dell’opera non vale ad escluderne la rilevanza anche sotto il profilo demaniale.
D’altra parte, l’originaria distribuzione delle cabine e dei wc era espressamente contemplata nel contenuto della concessione suppletiva n. 1/2016, onde risulta nella specie applicabile la previsione dell’articolo 24 del Regolamento, atteso che la disposizione sottopone al regime abilitativo (sub specie di “atto o licenza suppletivi”) “qualsiasi variazione nell’estensione della zona concessa o nelle opere o nelle modalità di esercizio”, fattispecie nella quale rientra certamente la realizzazione di n. 2 wc in luogo di n. 2 cabine spogliatoio precedentemente oggetto di concessione suppletiva, trattandosi comunque di una variazione dell’opera originariamente assentita in sede demaniale e comunque delle modalità di utilizzo del manufatto.
L’appello, dunque, anche per questa parte non può essere accolto.
Può a questo punto passarsi all’esame della terza contestazione contenuta nel provvedimento impugnato (“Si precisa altresì che il locale pizzeria è stato realizzato sul confine di concessione demaniale, non rispettando la distanza di mt. 2,50 dal confine dei nuovi manufatti prevista dal Permesso di Costruire n. 019/SUAP/2006; sulla parete a confine dello stesso locale pizzeria, inoltre, sono state realizzate due finestre non previste. Al momento del sopralluogo non erano ancora stati realizzati nella parte sud, il box composto da n. 2 wc, antibagno e relativo portico come previsto da concessione suppletiva n. 01/2006”).
Parte appellante censura sul punto la sentenza di primo grado, evidenziando che il locale pizzeria con annesso ripostiglio è stato ricavato “trasferendo”, in corrispondenza dell’esistente portico (appoggiato al corpo centrale dello stabilimento balneare) ubicato al confine nord della concessione e sulla stessa linea dallo stesso occupata, parte della superficie assentita per la realizzazione di cabine spogliatoio sul lato sud della concessione con l’originario permesso di costruire del 2005.
Aggiunge che tale portico, al pari del corpo centrale già da molto tempo realizzato (e, in quanto tale assoggettato alle disposizioni di salvezza dei manufatti già esistenti, contemplate dall’art. 5, comma 9, del Piano Demaniale Marittimo Regionale e dal combinato disposto dei commi 5 e 9 dell’art. 15 delle N.T.A. del Piano Demaniale Comunale), risulta ubicato sul confine della concessione, senza rispettare il distacco di mt. 2,50 ed il locale pizzeria ripostiglio è stato semplicemente allineato ad esso.
Evidenzia ancora che il rispetto della condizione del distacco minimo di mt. 2,50 dal confine avrebbe reso il progetto concretamente irrealizzabile, atteso che il portico era allocato sulla linea di confine. Invero, a tale condizione si fa riferimento esclusivamente nella relazione istruttoria redatta dal Responsabile del Procedimento il 26-5-2005, mentre il permesso di costruire, pur menzionando la citata condizione, ha approvato il progetto così come descritto nella relazione tecnica e nell’elaborato grafico allegati all’istanza, nei quali il locale pizzeria risulta situato sulla linea di confine.
Assume, pertanto, che il permesso di costruire n. 019/SUAP/06 non è stato disatteso, considerandosi che, ove l’autorità comunale avesse inteso imporre il rispetto del distacco minimo, lo stesso non avrebbe potuto essere rilasciato.
La prescrizione, inoltre, ove imposta, sarebbe irragionevole, atteso che le cabine dell’attiguo concessionario sono a loro volta ubicate sulla linea di confine, impedendo in ogni caso il corridoio di passaggio dal marciapiede all’arenile demaniale.
Aggiunge che la non intervenuta realizzazione, nella parte sud, del box composto da n. 2 wc, antibagno e relativo portico, previsti dalla concessione suppletiva del 2016, non può certamente giustificare l’ordinanza di sgombero, mentre la realizzazione delle due piccole finestre rispondono ad esigenze sanitarie e di sicurezza, per garantire l’areazione del locale pizzeria/ripostiglio.
Rileva, infine, che al momento della conclusione dell’iter burocratico-amministrativo relativo ai lavori di ammodernamento delle strutture, la prescrizione del distacco minimo di mt. 2,50 dal confine non esisteva ancora, in quanto introdotta solo con le NTA del Piano Demaniale del Comune di Pescara di cui alla delibera di C.C. n. 31 dell’8-2-2006.
La Sezione non condivide la censura proposta, dovendosi nella specie confermare la determinazione reiettiva del giudice di primo grado.
E tanto sulla base delle considerazioni che di seguito si svolgono.
Rileva in primo luogo il Collegio che il mancato rispetto, nella realizzazione del locale pizzeria, della distanza di mt. 2,50 dal confine è ricondotto, nel provvedimento impugnato, alla prescrizione prevista nel permesso di costruire n. 019/SUAP/2006.
Occorre, dunque, fare riferimento ai contenuti di tale titolo abilitativo.
Esso, dopo aver dato atto che, tra i lavori per i quali viene richiesto il titolo abilitativo, vi è la “realizzazione, al di sotto del portico/tettoia esistente ed addossato al manufatto principale, di un locale pizzeria e ripostiglio”, opera riferimento alla relazione di istruttoria redatta dal Responsabile del Procedimento in data 26-5-2005 “nella quale si evidenzia che l’intervento richiesto è assentibile alla luce della vigente normativa urbanistico -edilizia a condizione che:….sia rispettato tutto quanto previsto dal Piano Regionale Demaniale Marittimo, cioè, i nuovi manufatti siano ubicati a distanza non inferiore a mt. 2,50 dal confine della Concessione Demaniale”.
Nella parte dispositiva del provvedimento si legge, poi: “rilascia…il presente permesso di costruire in conformità del progetto favorevolmente esaminato dal Responsabile del Procedimento ed allegato, n. un elaborato, al presente provvedimento quale parte integrante e sostanziale alle condizioni di cui ai pareri espressi dal Responsabile del Procedimento, dalla Commissione Edilizia e da tutti gli enti interessati al procedimento”.
Non è, dunque, vero che la condizione del rispetto del distacco minimo sia contenuta solo nel parere del Responsabile del procedimento, mentre il citato permesso di costruire avrebbe approvato il progetto così come descritto nella relazione tecnica e nell’elaborato grafico allegati all’istanza.
Invero, come sopra riportato, il permesso viene rilasciato espressamente “alle condizioni di cui ai pareri espressi dal responsabile del procedimento”.
Di conseguenza, la prescrizione relativa all’obbligo che i nuovi manufatti siano ubicati a distanza non inferiore a mt. 2,50 dal confine della concessione demaniale è disposizione che attiene direttamente all’approvazione del progetto, onde il locale pizzeria andava realizzato osservando la predetta distanza, risultando autorizzato nel rispetto della predetta condizione.
Ciò posto, risulta condivisibile l’affermazione del Tribunale Amministrativo secondo cui ” a tali prescrizioni ha fatto acquiescenza la parte e le stesse sono vincolanti, non potendosi riaprire il discorso in sede di ordinanza di sgombero”.
Il privato, invero, avrebbe dovuto impugnare il suddetto permesso di costruire ed avanzare in tale sede le doglianze che ha proposto solo nel presente giudizio, che ha invece ad oggetto l’ordine di sgombero e di rimessione in pristino.
Non rilevano, dunque, nella presente sede le considerazioni relative alla irrealizzabilità del progetto con la prefata condizione, la circostanza che il permesso di costruire, così come condizionato, non avrebbe potuto essere rilasciato, quelle relative al fatto che in ogni caso la posizione delle cabine del confinante concessionario avrebbe in ogni caso impedito il corridoio di passaggio dal marciapiede comunale all’arenile demaniale, nonché quelle riguardanti la non operatività, all’epoca di conclusione dell’iter burocratico, degli strumenti urbanistici di settore che tale distacco richiedevano.
Invero, trattasi di rilievi che avrebbero dovuto essere mossi contro il permesso di costruire, attraverso la sua impugnazione e la richiesta di annullamento dell’apposizione della prefata condizione.
Avendo il Comune qualificato l’abuso in termini di difformità dalla condizione contenuta nel permesso di costruire rilasciato, la contestazione operata con il provvedimento di sgombero impugnato risulta legittima in quanto assume la violazione di una prescrizione, contenuta nell’atto abilitativo, che non è stata tempestivamente impugnata dal privato nella sede competente e che, pertanto, risulta ormai consolidatasi, senza che le relative doglianze possano oggi essere proposte in occasione della impugnazione della ordinanza di sgombero.
Va comunque evidenziato – in aggiunta alle considerazioni, di carattere assorbente, sopra svolte e con riferimento all’affermazione che il locale pizzeria sarebbe stato previsto e realizzato semplicemente trasferendo in corrispondenza dell’esistente portico parte della superficie assentita per la realizzazione di cabine spogliatoio sul lato sud della concessione con l’originario permesso di costruire del 2005 – che tale locale pizzeria costituisce comunque opera nuova e diversa rispetto al portico preesistente e, come tale, non può beneficiare automaticamente della situazione di fatto relativa al predetto portico (in particolare, la circostanza che lo stesso fosse ubicato sul confine della concessione), con conseguente applicazione delle invocate disposizioni di salvezza relative ai manufatti preesistenti.
Quanto alla contestazione relativa all’apertura delle due finestre non autorizzate, rileva il Collegio che una pronuncia sulla loro rilevanza è assorbita dal rilievo del mancato rispetto del distacco minimo dal confine della concessione nella realizzazione del locale pizzeria, onde il ripristino dello stato dei luoghi relativo quest’ultimo a cagione del mancato rispetto della suddetta distanza di mt. 2,50 determina consequenzialmente la mancanza di interesse alla pronuncia su tale abuso, dovendo il suddetto locale essere rimosso ed eventualmente realizzato in diversa posizione.
Va, peraltro, evidenziato che l’opera costituisce comunque una variazione al contenuto della concessione, considerandosi che il contenuto della stessa, con riferimento al “locale pizzeria…mq.2,97” va necessariamente integrato con le specifiche modalità e caratteristiche costruttive richieste dal privato ed assentite in sede di rilascio del permesso di costruire (il quale non prevedeva le suddette aperture).
Quanto, infine, alla contestata mancata realizzazione del box composto da 2 wc, antibagno e relativo portico come previsto in concessione, la Sezione rileva che la doglianza proposta dall’appellante è infondata.
Invero, il provvedimento impugnato, con riferimento a tali opere, si limita a specificare che “al momento del sopralluogo non erano ancora stati realizzati nella parte sud, il box composto da n. 2 wc, antibagno e relativo portico come previsto da concessione suppletiva n. 1/2006”.
Tale specificazione, caratterizzata dall’affermazione che le suddette opere non erano state “ancora” realizzate e senza che fosse indicata l’esecuzione in loco di un manufatto diverso rispetto a quello indicato nel titolo demaniale ovvero che fosse stata data all’area una destinazione diversa, evidenzia che il rilievo non si pone in termini di accertamento di un abuso consistente in una variazione della concessione ovvero nella realizzazione di una innovazione.
Esso vale piuttosto a sottolineare che le opere assentite con la suddetta concessione suppletiva n. 1/2006 non erano state ancora completate.
Non può dirsi allora, in una corretta interpretazione del provvedimento, che il richiamato rilievo costituisca affermazione di un abuso che è posto a fondamento della determinazione di sgombero e di ripristino dello stato dei luoghi e che, dunque, anche ad esso tale determinazione si riferisca.
Ciò anche perché lo sgombero ed il ripristino possono giustificarsi in relazione a qualcosa di realizzato, ma non anche a manufatti che non sono materialmente esistenti e che si afferma espressamente che “ancora” non sono stati realizzati.
Sulla base delle considerazioni tutte sopra svolte, l’appello deve essere rigettato, con conseguente conferma della sentenza di primo grado.
Il Collegio, peraltro, non può esimersi dal rilevare, in relazione allo stato di fatto dello stabilimento balneare ed alle caratteristiche e consistenza delle opere abusivamente realizzate sotto il profilo demaniale, che il Comune potrà valutare la possibilità di praticare un procedimento di sanatoria ovvero di regolarizzazione, evidentemente, ove possibile, nel rispetto dei contenuti della concessione e della normativa di settore applicabile.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le spese del giudizio possono essere compensate tra le parti costituite, costituendone giustificazione la peculiarità delle questioni giuridiche trattate, con particolare riferimento alla applicabilità delle invocate disposizioni del codice della navigazione e del regolamento di esecuzione in relazione alla tipologia degli interventi contestati.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Sesta)
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2016 con l’intervento dei magistrati:
Luciano Barra Caracciolo – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Bernhard Lageder – Consigliere
Marco Buricelli – Consigliere
Francesco Mele – Consigliere, Estensore
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