In materia di armi l’autorità di pubblica sicurezza dispone di un’ampia discrezionalità nell’apprezzare se la persona che domanda l’autorizzazione di polizia, o il rinnovo, dia, o non dia, affidamento di non abusare delle armi, non venendo richiesto, ai fini del diniego o della revoca, che vi sia stato un accertato abuso delle armi, ma essendo invece sufficiente un’erosione anche minima dell’affidabilità del soggetto.
L’operato dell’autorità di p.s. in materia di armi è espressione di un potere largamente discrezionale sindacabile nei soli limiti dell’irragionevolezza o arbitrarietà e senza la necessità che quei comportamenti siano stati giudicati illeciti in sede penale.
Ai fini della validità del diniego di rinnovo di porto d’armi è sufficiente che il Questore dia conto in maniera sufficiente e plausibile, sulla base di elementi di fatto, delle ragioni che lo abbiano indotto ad assumere decisioni sfavorevoli al richiedente
CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE VI
SENTENZA 16 gennaio 2017, n.107
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6343 del 2015, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato Paolo Fava C.F. FVAPLA50B15A952I, con domicilio eletto presso l’avv. Michele Costa in Roma, via Bassano del Grappa, n. 24;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del legale rappresentante “pro tempore”, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. -sezione autonoma di BOLZANO, n. 162/2015, pronunciata tra le parti, concernente diniego di rinnovo di porto d’armi per uso caccia e divieto di detenzione di armi;
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di mera forma del Ministero dell’interno;
Vista l’istanza di prelievo del 18.11.2015 e visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del 1° dicembre 2016 il cons. Marco Buricelli e uditi per le parti gli avvocati Calò, in dichiarata sostituzione di Fava, per l’appellante, e Galluzzo per il Ministero;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.La vicenda per la quale è causa è stata descritta nei termini che seguono dalla sentenza impugnata: “il Questore … di Bolzano ha rigettato l’istanza di rinnovo del porto d’armi per uso caccia presentata dal ricorrente e gli ha imposto il divieto di detenere armi e munizioni dopo aver preso atto che il (ricorrente stesso) era stato denunciato all’Autorità di pubblica sicurezza per i reati di furto aggravato e di alterazione di arma comune da sparo. In particolare, dalla lettura dei provvedimenti impugnati, risulta che, in data 4 dicembre 2009, il -OMISSIS- aveva chiesto l’intervento dei Carabinieri di Bolzano, in quanto un cliente era sospettato di aver perpetrato un furto. I Carabinieri erano riusciti a fermare il (ricorrente) alla cassa, accertando che, nelle tasche del giaccone, nascondeva merce non pagata. Il personale del -OMISSIS- riferiva che il (ricorrente) era sospettato di aver asportato merce senza pagare anche in occasioni precedenti. A seguito di una perquisizione presso la sua abitazione, i Carabinieri, oltre ad altra merce proveniente dal -OMISSIS- -OMISSIS- (per la quale, però, non vi era certezza circa la provenienza illecita), rinvenivano anche una pistola “Beretta”, calibro 22, sulla quale era stato applicato un silenziatore di foggia artigianale, della lunghezza di cm 22,5. L’arma, regolarmente denunciata, veniva sequestrata, in quanto ritenuta alterata, insieme a n. 111 munizioni calibro 22, non denunciate.
Il Questore, nei provvedimenti impugnati, dà conto del fatto che il G.I.P. del Tribunale di Bolzano ha disposto l’archiviazione sia del procedimento penale relativo al delitto di furto (per mancanza di querela), sia di quello relativo al delitto di alterazione di arma (per insussistenza del fatto, in quanto gli elementi applicati all’arma non alteravano le potenzialità offensive dell’arma). Tuttavia, il Questore chiarisce che i fatti riportati “risultano sufficientemente delineati per consentire all’Autorità di Pubblica sicurezza di valutarli autonomamente e indipendentemente dall’esito in sede penale” e, prendendo anche posizione sulle osservazioni presentate dal ricorrente a seguito della comunicazione di avvio del procedimento, esplicita le ragioni per le quali ritiene che il (ricorrente) abbia dato prova di una concreta capacità di abusare delle armi e delle autorizzazioni in suo possesso e che non sia tale da fornire garanzie di affidabilità anche per il futuro. In particolare, il Questore sottolinea che l’episodio di furto “è stato accertato in flagrante” e che l’archiviazione del procedimento penale è dovuta solo “alla mancata presentazione della necessaria querela”. Quanto all’arma calibro 22 rinvenuta nella abitazione, il Questore rileva che nonostante il relativo procedimento penale sia stato archiviato, “resta il fatto che…un’arma calibro 22 come quella sopra descritta può senz’altro essere utilizzata per attività di bracconaggio e, invero, non si vede per quale legittima attività potrebbe essere stata così predisposta (i silenziatori sono peraltro parti di arma e rientrano tra i “materiali d’armamento” e pertanto quello “di foggia artigianale” di cui era il possesso (il richiedente il rinnovo) non poteva essere legalmente detenuto”. Infine, rileva che “le cartucce calibro 22 non risultavano denunciate presso la competente Stazione dei Carabinieri di Appiano e tale fatto (ancorché all’epoca non sanzionato) costituisce un illecito e di conseguenza un ulteriore abuso dell’autorizzazione”.
Inoltre, la normativa in materia di pubblica sicurezza non richiede che le valutazioni prognostiche sull’affidabilità del titolare di porto d’armi, qualora sfavorevoli, si fondino su fatti oggetto di un accertamento penale.
Dunque, la Questura ha espresso una valutazione negativa scaturente dal diretto ed autonomo riscontro della complessiva situazione del soggetto, con conseguente prognosi di inaffidabilità. Il Questore conclude affermando che il (ricorrente) ha “dato dimostrazione di effettiva capacità di abusare delle armi e delle relative autorizzazioni” e che, pertanto, non sussiste più nei suoi confronti, “la completa e perfetta sicurezza circa il buon uso delle medesime”…” .
Dopo avere richiamato gli articoli 10, 11, 39 e 43 del TULPS, approvato con r. d. n. 773 del 1931, il Questore ha ricusato il rinnovo del porto d’armi per uso caccia.
In particolare, l’art. 43 prevede tra l’altro che la licenza di portare armi può essere ricusata a chi non dia affidamento di non abusare delle armi; l’art. 39 stabilisce che il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate, alle persone ritenute capaci di abusarne; l’art. 10 dispone che le autorizzazioni di polizia possono essere revocate o sospese in qualsiasi momento, nel caso di abuso della persona autorizzata; l’art. 11 enuncia tra l’altro che le autorizzazioni di polizia devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione.
Pressoché identica la motivazione del decreto n. 117 del 2014, recante divieto di detenzione di armi.
Il ricorrente ha contestato dinanzi al giudice di primo grado la legittimità dei decreti con due motivi, che il TRGA di Bolzano ha esaminato in modo congiunto e ha respinto, con condanna al rimborso delle spese a favore dell’Amministrazione dell’interno.
La sentenza ha dapprima richiamato alcuni precedenti giurisprudenziali amministrativi in materia di rilascio, e diniego, di porto d’armi, evidenziando come l’autorità di pubblica sicurezza disponga di un’ampia discrezionalità nell’apprezzare se la persona che domanda l’autorizzazione di polizia, o il rinnovo, dia, o non dia, affidamento di non abusare delle armi, non venendo richiesto, ai fini del diniego o della revoca, che vi sia stato un accertato abuso delle armi, essendo sufficiente un’erosione anche minima dell’affidabilità del soggetto nell’esercizio di un potere ampiamente discrezionale sindacabile nei soli limiti dell’irragionevolezza o arbitrarietà e senza che i poteri discrezionali concessi all’autorità di p. s. dagli articoli 39 e 43 del TULPS abbiano come presupposto necessario che quei comportamenti siano stati giudicati illeciti in sede penale; e ha quindi considerato non irragionevoli e tutt’altro che illegittimi i decreti impugnati, avendo il Questore dato conto in maniera sufficiente e plausibile, sulla base degli elementi di fatto rammentati sopra ed esposti nelle premesse del decreto, delle ragioni che lo avevano indotto ad assumere le decisioni sfavorevoli al ricorrente.
2. La sentenza è stata appellata con un unico, articolato motivo, basato sul vizio di violazione ed erronea interpretazione degli articoli 11, 39 e 43 del TULPS, e sulla illogica valutazione degli elementi di fatto. Con l’appello si sostiene che la prognosi di inaffidabilità è stata desunta in modo irragionevole da circostanze – nemmeno di rilevanza penale, posto che i procedimenti penali sono stati archiviati dal GIP di Bolzano – prive del carattere dell’attualità, dato che i fatti risalivano al 2009, mentre “il ritiro” è avvenuto nel 2014 e nel quinquennio 2009 -2014 non vi è stato alcun episodio di abuso delle armi o comunque tale da far dubitare della serietà e affidabilità dell’interessato. Dagli elementi raccolti emerge l’incongruità dell’apprezzamento della Questura circa la (in)affidabilità sulla persona dell’appellante, il quale è in possesso di autorizzazioni in materia di armi e caccia ininterrottamente dal 1965. Nella specie non vengono in rilievo comportamenti sintomatici di pericolosità o inaffidabilità. In sentenza questi aspetti, che avrebbero giustificato una valutazione prognostica positiva sull’affidabilità dell’appellante, sarebbero stati trascurati. Seguono richiami a sentenze di questo Consiglio di Stato, pronunciate su ricorsi in tema di diniego di rinnovo di licenza di porto d’armi o di fucile per uso caccia, in cui questo giudice di appello ha escluso provvedimenti fondati su automatismi e presunzioni. L’autonomia dei giudizi del giudice penale e di quello amministrativo non implica una discrezionalità assoluta di quest’ultimo ma consente unicamente di valutare in maniera diversa i fatti sui quali si fonda il giudizio di pericolosità. Nella specie, una mera notitia criminis non basta per fondare un giudizio prognostico di pericolosità. Il principio di cui all’art. 652 c.p.p. si applica anche nella ipotesi di archiviazione del procedimento penale. I richiami giurisprudenziali operati dal TRGA di Bolzano non si attagliano alla fattispecie in esame. Quantomeno va riformato il capo della sentenza relativo alle spese del giudizio, posto che sussistevano valide ragioni per compensarle.
L’Amministrazione ha svolto una difesa di mera forma.
All’udienza del 1° dicembre 2016 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
3.L’appello è in parte infondato e in parte inammissibile.
In via preliminare va rammentato che la sentenza ha respinto, con condanna alle spese, il ricorso promosso avverso i decreti del Questore di Bolzano n. 116 e n. 117 del 2014, rispettivamente di diniego di rinnovo di porto d’armi per uso caccia e (in via consequenziale, come emerge dalle premesse dello stesso decreto n. 117) di divieto di detenzione di armi, motivati, ambedue, in fatto, oltre che in diritto, attraverso i rimandi al TULPS, in maniera pressoché identica.
3.1. Per quanto riguarda la contestazione della legittimità del diniego di rinnovo del porto d’armi per uso caccia, sulla quale s’incentra l’atto di appello, anche mediante richiami giurisprudenziali che si riferiscono esclusivamente a controversie su dinieghi di licenze di porto d’armi (o di porto di fucile per uso caccia, come nel caso in esame), preliminarmente e in termini generali il Collegio ritiene utile rilevare, con la giurisprudenza amministrativa consolidata (v. ex multis, Cons. Stato, sez. III, n. 3341 del 2014 e n. 551 del 2013; cfr. anche Corte cost. n. 440 del 1993) che il rilascio o il rinnovo della licenza a portare le armi costituisce una deroga al generale divieto di portare armi, sancito dagli articoli 699 cod. pen. e 4, comma 1, della l. n. 110 del 1975.
Pare il caso di aggiungere, sulla non necessarietà dell’accertamento della responsabilità penale per giustificare dinieghi o revoche di provvedimenti in materia di armi, anche per uso caccia (nel quale ultimo caso, si noti, viene in questione un interesse individuale di carattere puramente ricreativo), che la giurisprudenza amministrativa di appello ha affermato in più occasioni (v., ex plurimis, Cons. Stato, sez. III, n. 3341/2014 cit. ) che l’autorità di pubblica sicurezza dispone di un ampio potere di apprezzamento discrezionale, correlato anche alla delicatezza degli interessi pubblici coinvolti.
Più in dettaglio, considerata la finalità preventiva dei provvedimenti concernenti le armi, per giustificare l’adozione dei provvedimenti medesimi non è richiesto un comprovato abuso ma è sufficiente un plausibile e motivato convincimento dell’autorità di polizia circa la possibilità di abusare delle armi medesime. In altre parole, per revocare o ricusare una licenza in materia di armi, non occorre un oggettivo e accertato abuso, bastando una erosione anche minima del requisito della totale affidabilità del soggetto (cfr. Cons. Stato, III, n. 3341 del 2014 cit.).
Sempre in considerazione della finalità preventivo –cautelare dei provvedimenti suddetti, gli stessi non sono necessariamente collegati a un’accertata responsabilità di carattere penale ma costituiscono il risultato di un apprezzamento amministrativo di distinta natura e di diversa portata, e possono assumere a presupposto, quali indici rivelatori della capacità di abuso, fatti ed episodi anche indipendenti dall’attivazione di procedimenti penali riferiti a reati contestualmente ravvisabili, avuto riguardo al momento della emanazione del provvedimento lesivo. Detto altrimenti, nella prospettiva secondo cui, per giustificare dinieghi di rinnovo, revoche, divieti come – o analoghi a – quello in esame, non occorre un accertato abuso delle armi, essendo sufficiente che l’interessato non dia affidamento di non abusare delle stesse, per sorreggere un diniego come quello in esame (arg. ex articoli 10, 11 e 43 del TULPS) bastano singoli episodi, anche privi di rilievo penale, il che si ha anche quando il procedimento penale sia stato archiviato senza che sia venuta meno la materialità del fatto ascritto, purché l’apprezzamento della pubblica autorità non sia irrazionale e sia motivato in modo congruo.
Tutto ciò premesso, la questione principale da risolvere si sposta sull’apprezzamento in ordine alla sufficienza della motivazione e alla ragionevolezza della stessa, alla luce degli elementi di fatto e della documentazione depositata in giudizio, del giudizio di “non affidabilità” formulato, dall’autorità di pubblica sicurezza, nel diniego di rinnovo impugnato in primo grado, a carico del ricorrente originario e appellante odierno.
A questo proposito il Collegio è dell’avviso che il TRGA di Bolzano, dopo avere puntualmente ripercorso la vicenda che ha visto coinvolto il ricorrente, e dopo avere ricordato in maniera appropriata “gli approdi” raggiunti dalla giurisprudenza amministrativa in materia (v. da pag. 5 a pag. 8 sent.), abbia in modo corretto e condivisibile considerato non irragionevole e tutt’altro che illegittimo – in particolare – il decreto n. 116/2014 di diniego di rinnovo del porto d’armi per uso di caccia, avendo il Questore dato conto in maniera adeguata e plausibile, sulla base degli elementi di fatto rammentati sopra ed esposti nelle premesse del decreto, delle ragioni che lo avevano indotto ad assumere la decisione sfavorevole al ricorrente.
In modo corretto e condivisibile la sentenza ha rilevato in particolare che i fatti presi in considerazione dal Questore di Bolzano, ancorché considerati risalenti nel tempo dal ricorrente, sono tutti successivi al precedente rinnovo della licenza di porto d’armi, avvenuto il 7 marzo 2008, e, quindi, non potevano non essere valutati nell’ambito del procedimento amministrativo avviato dallo stesso ricorrente ai fini del rinnovo della licenza.
Del resto, l’avvenuto rilascio, e i rinnovi, della licenza, per diverse decine d’anni, non potevano precludere una valutazione attuale degli interessi, pubblici e privati, ad assentire, o meno, il porto d’armi per uso caccia, alla stregua di fatti sopravvenuti all’ultimo rinnovo.
Più nello specifico, l’applicazione del silenziatore di foggia artigianale, il possesso delle 111 cartucce calibro 22 non denunciate e il rinvenimento del cannocchiale di precisione e di un supporto applicato sulla impugnatura tale da permettere l’aggancio di un calciolo in ferro per dare maggiore stabilità all’arma erano senz’altro tali – come rilevato dal Questore – da consentire l’utilizzabilità dell’arma per attività di bracconaggio (cfr. art. 21/U) della l. n. 157 del 1992; senza trascurare l’episodio del furto accertato in flagranza di reato nei termini descritti sopra al p. 1. , in relazione al quale il procedimento penale era stato archiviato per mancanza di querela.
In modo legittimo il Questore ha preso in considerazione i fatti esposti sopra, ritenendoli sufficientemente delineati e non cancellati – e quindi valutabili in via autonoma ai fini de quibus – per effetto delle archiviazioni in sede penale. Occorre aggiungere che il richiamo operato dall’appellante all’art. 652 c.p.p. è improprio atteso che la disposizione suddetta si riferisce alla sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento, mentre nella fattispecie vengono in questione due decreti di archiviazione.
Non pare superfluo aggiungere che, diversamente da quanto ritiene l’appellante, nella specie viene in discussione non una valutazione di pericolosità del soggetto che richiede il rinnovo quanto, invece, un apprezzamento di attendibilità, o sostenibilità, sulla base degli elementi di fatto disponibili, sulla capacità del soggetto di abusare delle armi, vale a dire sull’affidabilità, in capo al medesimo, circa il “non –abuso” delle armi.
3.2. Per ciò che riguarda, poi, la verifica di legittimità in ordine al decreto n. 117, relativo al divieto di detenzione di armi – adottato, peraltro non solo in termini cronologici, quale atto consequenziale rispetto al decreto n. 116 di diniego di rinnovo del porto d’armi per uso caccia e corredato di una motivazione pressoché identica al diniego medesimo (benché “correlata” all’art. 39 del TULPS sul divieto di detenzione di armi applicabile alle persone ritenute capaci di abusarne) – osserva il Collegio che, quantunque la contestazione si riferisca ad ambedue i decreti, mancano, nell’atto di appello, censure dirette in modo specifico contro (il capo di sentenza di rigetto riguardante) il divieto anzidetto; con il corollario che l’impugnazione avverso quest’ultimo si rivela inammissibile.
3.3. Da ultimo, l’impugnazione (v. pag. 16 del ricorso in appello) della statuizione sulla condanna alle spese (nella misura di 2.500 €, oltre a IVA, CPA e ad altri oneri accessori legge) è inammissibile poiché non contiene alcuna censura specifica, non potendo essere considerato tale il riferimento, alquanto generico, alla sussistenza di valide ragioni per la compensazione.
In ogni caso, la pronuncia del giudice di primo grado sulle spese, tenuto anche conto della difesa svolta dal Ministero dinanzi al TRGA, appare tutt’altro che abnorme.
Ciò non toglie che questo Collegio, nel presente grado di giudizio, ritenga che la particolarità della vicenda trattata, anche sotto il profilo umano, e la difesa di mera forma del Ministero appellato, costituiscano ragioni idonee per disporre in via eccezionale la compensazione delle spese del secondo grado tra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, in parte lo respinge e in parte lo dichiara inammissibile, come da motivazione.
Spese del grado del giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, comma 1, del d. lgs. 30 giugno 2003, n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità e di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte appellante
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