La massima
1. Le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non devono essere applicate meccanicamente e formalisticamente, dovendo essere invece essere interpretate in senso sostanziale, coordinando in modo ragionevole e sistematico principi di legalità, imparzialità e buon andamento ed i corollari di economicità e speditezza dell’azione amministrativa.
2. La mancata comunicazione di avvio del procedimento ed anche la mancata nomina del responsabile del procedimento non possono determinare sic et simpliciter l’annullamento del provvedimento, allorquando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza dei fatti posti a fondamento del provvedimento sfavorevole ai suoi interessi ed abbia avuto la possibilità di svolgere osservazioni e controdeduzioni; ciò senza contare che ai sensi dell’art. 21 octies non è annullabile per la mancata comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.
3. Il difetto di motivazione sussiste tutte le volte in cui non sia dato comprendere in base a quali dati specifici, fattuali e normativi, sia stata operata la scelta della pubblica amministrazione e non sia pertanto possibile ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dall’autorità per giungere alla decisione contestata, dovendo escludersi la ricorrenza del vizio qualora, anche a prescindere dal tenore letterale dell’atto finale, i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l’iter motivazionale a sostegno della determinazione assunta.
4. Nell’adottare un provvedimento la pubblica amministrazione non è tenuta a riportare nelle premesse e nella motivazione il testo integrale delle controdeduzioni del destinatario del provvedimento stesso, essendo al contrario sufficiente che le valuti nel loro complesso o per questioni omogenee, senza necessità di disattenderle in maniera analitica, salvo che non sia provato che l’amministrazione non abbia neppure esaminato le osservazioni e le controdeduzioni formulate, respingendole con una mera formula di stile.
5. Per diritto di affaccio deve ragionevolmente intendersi non tanto il diritto alle luci e vedute (di natura privatistica, come sostenuto dalla ricorrente), quanto piuttosto un complesso di facoltà, tra cui innanzitutto quella di accedere (e far accedere) liberamente e senza ostacoli ai predetti locali, strumentali al loro pieno e completo utilizzo (ivi compresa la possibilità che i locali siano ben visibili dalla strada pubblica e che sia altrettanto facilmente visibile l’attività economico – commerciale che in essi viene concretamente esercitata, quale mezzo di astratta attrattiva da parte della possibile clientela).
CONSIGLIO DI STATO
SEZIONE V
SENTENZA 21 giugno 2013, n.3402
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 10548 del 2009, proposto da:
RISTORANTI ITALIANI ANTONELLA S.R.L., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avv. Corrado Morrone, con domicilio eletto presso Corrado Morrone in Roma, viale XXI Aprile, n. 11;
contro
COMUNE DI ROMA, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso per legge dagli avv. Angelo Delfini e Rosalda Rocchi, con i quali è domiciliato in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
nei confronti di
DI CASTRO ADRIANA, quale amministratore unico e legale rappresentante della CARRY ON S.R.L., nonché quale socio accomandatario e legale rappresentante della IMMOBILIARE VENETO ANCAL DI DICASTRO ADRIANA E C. S.A.S., rappresentata e difesa dall’avv. Paolo Giovannelli, con domicilio eletto presso Paolo Giovannelli in Roma, via Giovanni Nicotera, n. 29;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, Sez. II TER, n. 9202 del 22 settembre 2009, resa tra le parti, concernente CONCESSIONE SPAZIO PUBBLICO ALL’ESTERNO DI LOCALE (RIS.DANNI);.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Roma, nonché di Carry On S.r.l. e di Immobiliare Veneto Ancal di Di Castro Adriana e C. S.a.s., che hanno spiegato anche appello incidentale;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 12 marzo 2013 il Cons. Carlo Saltelli e uditi per le parti gli avvocati Corrado Morrone, Sergio Siracusa, in dichiarata sostituzione degli avv.ti Angelo Delfini e Rosalda Rocchi, nonché, l’avv. Paolo Giovannelli;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
1. Con determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008, accogliendo l’istanza presentata il 22 marzo 2007, il Comune di Roma autorizzava la concessione demaniale permanente di mq. 68,61 in via Vittorio Veneto n. 173 – 175 (in particolare: area A, mq. 28,95; B, mq. 28,48; C, mq. 11,28) in favore della s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella per uso esclusivo di tavoli, sedie e tende autoportanti, strumentali all’attività di somministrazione, con scadenza 31 dicembre 2010 (con le altre prescrizioni puntualmente indicate e con l’espressa menzione che la concessione era rilasciata senza pregiudizio dei diritti dei terzi e che il concedente aveva la potestà per legge di revocarla in qualsiasi momento e in funzione delle esigenze di pubblico interesse, con preavviso di almeno 10 giorni,salvo i casi di urgenza).
La sig. Adriana De Castro, proprietaria di locali anch’essi insistenti su via Vittorio Veneto, precisamente dal n. 163 al n. 167, nei quali esercitava attività di vendita di pelletteria a mezzo della ditta Carry – On, nonché del locale in via Vittorio Veneto, n. 171, concesso in locazione alla ditta Arsenio Abbigliamento, con nota in data 31 luglio 2008, esponeva che l’occupazione di suolo pubblico concessa alla s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella danneggiava l’esercizio dell’attività commerciale dei negozi di sua proprietà, negando in particolare di aver rilasciato la indispensabile liberatoria per l’occupazione dell’area prospiciente i civici dal n. 163 al n. 167 e n. 171, così come stabilito dall’art. 4 –quaterdella delibera del Consiglio Comunale di Roma n. 119 del 30 maggio 2005, recante il Regolamento in materia di occupazione suolo pubblico, e chiedendo quindi l’annullamento o la revoca della determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008 (stante la puntuale clausola di salvezza dei diritti dei terzi).
Rimasta senza esito la nota prot. CA/69882 del 25 settembre 2008, con cui era stata richiesta la presentazione delle liberatorie relative all’occupazione delle aree A e B, prospicienti i località di proprietà di terzi, l’amministrazione comunale (Municipio I – Roma Centro Storico) con nota prot. CA/79332 del 28 ottobre 2008 comunicava alla s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella che la determinazione n. 305 dell’11 febbraio 2008 doveva intendersi “…rettificata e valida solo per l’area direttamente all’esterno del locale nelle pertinenze dello stesso in aderenza con le mura (area C di cui alla relazione tecnica e al progetto presentato in data 12/06/2007 pari a mq. 11.28 – 5.64 x 2)”, invitandola altresì “…a produrre nel termine perentorio di 30 giorni…nuovi elaborati e relazioni tecniche, pena l’annullamento della citata determinazione n. 305…”.
2. Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II ter, con la sentenza n. 9202 del 22 settembre 2009, definitivamente pronunciando, nella resistenza del Comune di Roma: a) sul ricorso principale proposto dalla predetta s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella: a1) per l’annullamento della nota prot. CA/79332 del 28 ottobre 2008 e di ogni altro atto connesso, tra cui, per quanto occorresse, la nota prot. CA/69882 del 25 settembre 2008 e l’art. 4 quater del Regolamento comunale in materia di occupazione di suolo pubblico, di cui alla delibera consiliare n. 119 del 30 maggio 2005, nonché a2) per la condanna dell’intimata amministrazione comunale al risarcimento dei danni; b) sul ricorso incidentale proposto dalla controinteressata sig.ra Adriana Di Castro, quale amministratore unico e legale rappresentante della Carry On s.r.l., nonché quale socio accomandatario e legale rappresentante della Immobiliare Veneto Ancal di Di Castro Adriana e C. s.a.s.: b1) per l’annullamento della nota prot. CA/79332 del 28 ottobre 2008, nella parte in cui non aveva provveduto ad annullare del tutto la originaria determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008, e di ogni altro atto connesso, nonché b2) per la condanna del Comune di Roma e della s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella al risarcimento dei danni; dichiarava inammissibile il ricorso principale ed improcedibile il ricorso incidentale, oltre che inammissibile la richiesta risarcitoria contenuta in quest’ultimo.
In particolare, accogliendo l’eccezione spiegata dalla controinteressata, il predetto tribunale rilevava la nullità della procura alle liti in quanto rilasciata solo da uno dei due co-amministratori della società ricorrente, laddove, costituendo la proposizione di un ricorso giurisdizionale atto di straordinaria amministrazione, era necessario il conferimento congiunto del relativo mandato, secondo quanto previsto dagli artt. 14 e 16 dello statuto; all’inammissibilità del ricorso principale conseguiva l’improcedibilità di quello incidentale, mentre la domanda risarcitoria spiegata in quest’ultimo era da considerarsi inammissibile per carenza di prova.
3. La s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella ha chiesto la riforma di tale sentenza, denunciandone l’erroneità e l’ingiustizia alla stregua di due articolate serie di motivi.
Con la prima serie ha dedotto “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2384 c.c. e 16 dello Statuto Societario R.I.A. s.r.l., anche in relazione all’art. 182 c.p.c. – Inadeguatezza ed erroneità del parametro ermeneutico utilizzato – Illogicità e irrazionalità delle motivazioni – Ingiustizia manifesta – Erroneità ed illegittima interpretazione degli artt. 14 e 16 dello Statuto”, nonché “Sotto autonomo e concorrente profilo: Violazione delle disposizioni di legge e dei principi in materia di nullità della procura alle liti – Violazione e falsa applicazione degli artt. 2384 c.c. e 16 dello Statuto societario R.I.A. s.r.l., anche in relazione all’art. 182 c.p.c. – Inadeguatezza ed erroneità del parametro ermeneutico utilizzato – Illogicità e irrazionalità delle motivazioni – Ingiustizia manifesta”.
Premesso che ogni questione in ordine alla nullità della procura conferita dal solo amministrazione Luigi Cola era da considerare superata in quanto assorbita dall’intervenuta esplicita ratifica dell’operato di quest’ultimo, la società appellante ha sottolineato che la nullità della procura avrebbe potuto essere pronunciato solo nelle ipotesi di cui agli artt. 82 e 125 c.p.c., che tuttavia non ricorrevano nel caso di specie; in ogni caso i primi giudici avevano del tutto male interpretato e travisato il contenuto degli artt. 14 e 16 dello Statuto societario, invocando precedenti giurisprudenziali non pertinenti alla fattispecie concreta esaminata, tanto più che la previsione statutaria non poneva alcun limite all’esercizio del potere dell’amministratore di promuovere giudizi e che pertanto doveva applicarsi il principio generale di cui all’art. 1716, comma 2, c.c., secondo cui il mandato (societario) a più rappresentanti si presume conferito disgiuntamente; nessun utile elemento in ordine alla distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione poteva ricavarsi poi dalle norme statutarie ed in ogni caso la qualificazione di un atto come di straordinario amministrazione avrebbe imposto un approfondimento specifico per valutarne gli specifici effetti sulla compagine societaria, analisi che era del tutto mancata e che non poteva essere sostituita dalla mera constatazione che nel caso di specie si trattava di un atto di promovimento di una lite (e ciò senza contare che in ogni caso si trattava di un atto urgente a tutela della società); peraltro, a considerare l’attività del co-amministratore, consistita nel conferimento della procura alla lite, come ultra vires, la conseguenza non avrebbe mai potuto essere la nullità, ma solo l’inefficacia del conferimento della procura, inefficacia comunque sanata con l’intervenuta ratifica.
3.2. Con la seconda serie la società appellante ha poi riproposto tutte le censure sollevate in primo grado e non esaminate a causa dell’erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso: “1. Mancata comunicazione di avvio del procedimento di rettifica della Determinazione dirigenziale n. 305/2008 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della legge n. 241 del 1990- Eccessi di potere per difetto di istruttoria e di motivazione”; “2. Mancata nomina del responsabile del procedimento di rettifica della Determinazione dirigenziale n. 305/2008 – Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 6, 7 e 8 della legge n. 241 del 1990 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione”; “3. Eccesso di potere per manifesta ed immotivata contraddittorietà con precedenti determinazioni amministrative, illogicità ed irragionevolezza. Eccesso di potere per palese difetto di istruttoria relativa al procedimento di rettifica della Determinazione dirigenziale n. 305/2008. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 21 nonies della legge n. 241 del 1990”; “4.Violazione dell’obbligo dell’Amministrazione di valutare le memorie e i documenti presentati dagli interessati. Difetto di motivazione del provvedimento di rettifica della Determinazione dirigenziale n. 305/2008 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione – Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 e dell’art. 10, comma 1 lett. b) della legge n. 241 del 1990. Violazione del principio di legalità – Violazione dei principi generali in materia di atti di ritiro di provvedimenti amministrativi, annullamento e revoca. Violazione dell’art. 21 nonies L. 241/90 e dell’art. 21 quinquies L. 241/90” e “5. Eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto e per travisamento – Violazione ed erronea applicazione dell’art. 4 quater, commi 2, 4 e 8, Del C.C. 119/2005 (regolamento comunale osp) – Violazione degli artt. 900 e ss., e 822 e ss. del cod. civ.: dell’art. 20, comma terzo, Codice della Strada – Violazione dell’art. 97 Cost. – Eccesso di potere per difetto di motivazione, contraddittorietà e illogicità”.
Ad avviso dell’appellante, invero, l’impugnato provvedimento di rettifica dell’originaria determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008 era affetto innanzitutto dalla gravissima violazione delle fondamentali garanzie partecipative, essendo mancata la comunicazione di avvio del relativo procedimento e l’indicazione del responsabile del procedimento; inoltre l’amministrazione comunale avevano immotivatamente ed ingiustificatamente disatteso le controdeduzioni che pure erano state svolte a fronte dell’esposto della controinteressata, omettendo di esternare le ragioni che giustificavano la predetta rettifica, tanto più che l’occupazione di suolo pubblico in questione era sempre concesso nel passato senza alcuna contestazione; ciò senza contare che non solo le pretese liberatorie della controinteressata non erano mai state richieste, per quanto esse non erano necessarie in ragione dell’effettiva larghezza del marciapiede di via Vittorio Veneto interessato all’occupazione e non risultava neppure chiarire le ragioni della sopravvenuta necessità di ottenere dette liberatorie.
Sotto altro concorrente profilo la società appellante, oltre a contestare la stessa sussistenza del potere di rettifica o di revoca dell’originaria determinazione, non essendo state indicate le eventuali ragioni di pubblico interesse che avrebbero potuto giustificarlo, ha dedotto l’inapplicabilità al caso di specie dell’invocato art. 4 quater del Regolamento comunale in materia di occupazione di suolo pubblico, rilevando che la controinteressata non aveva neppure il c.d. diritto di affaccio, solo in presenza del quale si sarebbe potuto ipotizzare la necessità delle liberatorie per ottenere la concessione di suolo pubblico; ciò senza contare che la controinteressata, non esercitando un’attività di somministrazione, non aveva neppure titolo per richiedere l’occupazione di suolo pubblico, difettava quindi dell’interesse a contestare quella di cui alla determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008 ed in ogni caso aveva perduto il diritto ad ottenere una concessione di occupazione di suolo pubblico per la propria attività commerciale per non uso ventennale.
3.3. La società appellante ha anche proposto in via subordinata istanza di risarcimento del danno ingiusto per equivalente, connesso all’esecuzione dei provvedimenti impugnati per effetto della sentenza impugnata (giacché gli stessi erano stati medio tempore sospesi dai primi giudici con ordinanza cautelare).
4. La sig. Adriana De Castro, quale amministratore unico e legale rappresentante della Carry On s.r.l. e quale socio accomandatario e legale rappresentante della Immobiliare Veneto Ancal di Di Castro Adriana e C. s.a.s., oltre a dedurre l’inammissibilità e l’infondatezza dell’avverso gravame, ha comunque cautelativamente riproposto tutte le eccezioni sollevate in primo grado rimaste assorbite dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso, spiegando a sua volta appello incidentale avverso la stessa sentenza impugnata quanto al capo che ha dichiarato inammissibile la richiesta di risarcimento dei danni e relativamente alla compensazione fra le parti delle spese di giudizio.
5. Si è costituito in giudizio anche il Comune di Roma che ha dedotto l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame principale, chiedendone il rigetto.
Con ordinanza n. 469 del 28 gennaio 2010 è stata respinta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
6. Nell’imminenza dell’udienza di trattazione tutte le parti hanno illustrato con apposite memorie le proprie tesi difensive.
All’udienza pubblica del 12 marzo 2013, dopo la rituale discussione, la causa è stata introitata per la decisione.
DIRITTO
7. Il primo motivo dell’appello principale merita favorevole considerazione, nei sensi di seguito indicati.
7.1. Come emerge dalla documentazione in atti, lo Statuto della s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella all’art. 14, disciplinando l’amministrazione e la rappresentanza della società, prevede che “La società può essere amministrata alternativamente: a) o da un Consiglio di Amministrazione composto da tre a cinque membri; b) da un Amministratore unico, che può essere eletto anche fra non soci; c) da due o più amministratori, con modalità di azione congiunta o disgiunta indicata indicate all’atto della nomina…; il successivo articolo 16, rubricato “Poteri dell’organo amministrativo”, aggiunge che “L’Organo amministrativo è investito dei più ampi poteri per la gestione ordinaria e straordinaria della società, senza eccezione di sorta, ed ha facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per l’attuazione ed il raggiungimento degli scopi sociali, esclusi quelli riservati ai soci dall’art. 2479 c.c. Il Presidente del Consiglio di Amministrazione, l’Amministratore unico o i co-Amministratori hanno la firma sociale e la rappresentanza legale della Società di fronte ai terzi ed in giudizio, con facoltà di promuovere azioni ed istanze giudiziarie ed amministrative per ogni grado di giurisdizione ed anche per i giudizi di Revocazione e Cassazione e di nominare all’uopo avvocati e procuratori alle liti…”.
Giusta delibera in data 3 dicembre 2004 sono stati nominati a tempo indeterminato co-amministratori della società, in sostituzione del precedente amministratore unico dimissionario (sig. Maria Teresa Viola), i sigg. Luigi Cola e Massimo Cola, con la precisazione che essi avrebbero agito disgiuntamente per gli atti di ordinaria amministrazione e congiuntamente per gli atti di straordinaria amministrazione.
Ricordato che, com’è peraltro pacifico tra le parti, né il predetto statuto e tanto meno la ricordata delibera di nomina degli amministratori contengono elementi utili e decisivi per distinguere gli atti di ordinaria amministrazione da quelli di straordinaria amministrazione, occorre sottolineare che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale peraltro non vi è motivo di discostarsi, “…la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione prevista dal codice civile in relazione ai beni degli incapaci (artt. 320, 374 e 394 c.c.) non coincide con quella applicabile in tema di determinazione dei poteri attribuiti agli amministratori delle società, i quali vanno individuati con riferimento agli atti che rientrano nell’ “oggetto sociale” – qualunque sia la loro rilevanza economica e natura giuridica-, pur se eccedano i limiti della cosiddetta ordinaria amministrazione, con la conseguenza che, salvo le limitazioni specificamente previste nello statuto sociale, devono ritenersi rientranti nella competenza dell’amministratore tutti gli atti che ineriscono alla gestione della società ed eccedenti i suoi poteri, invece, quelli di disposizione o di alienazione, suscettibili di modificare la struttura del’ente e, perciò, esorbitanti (e contrastanti con) l’oggetto sociale” (da ultimo Cass. Civ., sez. I, 3 marzo 2010, n. 5152).
7.2. Sulla scorta di tali elementi fattuali e del ricordato indirizzo giurisprudenziale, diversamente da quanto ritenuto dai primi giudici, deve escludersi la nullità della procura alle liti conferita per la proposizione del ricorso introduttivo del presente giudizio da un solo co-amministratore, invece che congiuntamente con l’altro co-amministratore, come eccepito dalla controinteressata.
Ad avviso della Sezione è infatti decisiva la circostanza che la proposizione del ricorso giurisdizionale (introduttivo del giudizio di primo grado), al di là di ogni ragionevole dubbio, ha avuto uno scopo “conservativo” degli interessi della compagine sociale, essendo specificamente finalizzata ad assicurare e garantire, nel modo più completo ed adeguato possibile (nello stesso modo del resto in cui era asseritamente avvenuto negli anni precedenti), il pieno e corretto perseguimento dell’oggetto sociale (gestione ed esercizio di ristoranti, bar, snack – bar, tavole calde ed altre attività simili), chiedendo l’annullamento degli atti amministrativi che potessero impedire o limitare l’attività direttamente strumentale al predetto oggetto sociale, quali nel caso di specie gli atti del Comune di Roma che limitavano l’occupazione di suolo pubblico concesso per il posizionamento, nell’area immediatamente prospicienti i propri locali siti in via Vittorio Veneto.
D’altra parte, indipendentemente da qualsiasi valutazione sull’ammissibilità della (intervenuta) ratifica dell’operato del co-amministratore che aveva conferito la procura, in alcun modo la sua iniziativa giudiziaria può configurarsi come atto di straordinaria amministrazione, non avendo le caratteristiche dell’atto di disposizione o alienazione della società o di parte del relativo oggetto sociale ovvero di atto, anche solo astrattamente, idoneo a modificare la struttura dell’ente.
8 La fondatezza, nei sensi sopra indicati dell’esaminato motivo di appello, cui consegue l’erronea declaratoria di inammissibilità del ricorso di primo grado, con assorbimento delle altre censure formulate dall’appellante sul punto, impone alla Sezione l’esame dei motivi di censura sollevati con il ricorso introduttivo del giudizio, con cui la s.r.l.. Ristoranti Italiani Antonella ha denunciato l’illegittimità, sotto più profili, della nota CA/79332 del 28 ottobre 2008 (con cui il Comune di Roma ha rettificato l’estensione della concessione di suolo pubblico di cui alla determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008) e di ogni altro atto connesso, tra cui, per quanto occorra, della nota prot. CA/69882 del 25 settembre 2008 e dell’art. 4 quater del Regolamento comunale in materia di occupazione di suolo pubblico, di cui alla delibera consiliare n. 119 del 30 maggio 2005.
Tali censure, che per la loro intima connessione possono essere esaminate congiuntamente, sono infondate.
8.1. Come rilevato nell’esposizione in fatto, sebbene con determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008 fosse stata autorizzata la concessione demaniale permanente di mq. 68,61 in via Vittorio Veneto n. 173 – 175 (in particolare: area A, mq. 28,95; B, mq. 28,48; C, mq. 11,28) in favore della s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella per uso esclusivo di tavoli, sedie e tende autoportanti, strumentali all’attività di somministrazione, con scadenza 31 dicembre 2010, a seguito dell’esposto in data 31 luglio 2008 della sig. Adriana De Castro (proprietaria di locali anch’essi insistenti su via Vittorio Veneto, precisamente dal n. 163 al n. 167, nei quali esercitava attività di vendita di pelletteria a mezzo della ditta Carry – On, nonché del locale in via Vittorio Veneto, n. 171, concesso in locazione alla ditta Arsenio Abbigliamento), che aveva contestato la legittimità della predetta concessione di occupazione di suolo pubblico, negando in particolare di aver rilasciato la indispensabile liberatoria per l’occupazione dell’area prospiciente i civici dal n. 163 al n. 167 e n. 171 (come previsto dall’art. 4 – quater della delibera del Consiglio Comunale di Roma n. 119 del 30 maggio 2005, recante il Regolamento in materia di occupazione suolo pubblico), il Comune di Roma con nota prot. CA/69882 del 25 settembre 2008 chiedeva alla predetta s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella la produzione delle liberatorie relativamente all’occupazione delle aree A e B, prospicienti i località di proprietà di terzi.
Poiché tale richiesta rimaneva senza riscontro, con la successiva nota prot. CA/79332 del 28 ottobre 2008 l’amministrazione comunicava alla s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella che la determinazione n. 305 dell’11 febbraio 2008 doveva intendersi “…rettificata e valida solo per l’area direttamente all’esterno del locale nelle pertinenze dello stesso in aderenza con le mura (area C di cui alla relazione tecnica e al progetto presentato in data 12/06/2007 pari a mq. 11.28 – 5.64 x 2)”, invitandola altresì “…a produrre nel termine perentorio di 30 giorni…nuovi elaborati e relazioni tecniche, pena l’annullamento della citata determinazione n. 305…”.
8.2. Così ricostruiti, peraltro sulla scorta della documentazione versata in atti, i fatti oggetto di causa, la Sezione è dell’avviso che non sussistano né la dedotta violazione delle garanzie procedimentali, né il dedotto difetto di motivazione e di istruttoria degli atti impugnati.
8.2.1. La giurisprudenza ha univocamente sottolineato che le norme in materia di partecipazione al procedimento amministrativo non devono essere applicate meccanicamente e formalisticamente, dovendo essere invece essere interpretate in senso sostanziale, coordinando in modo ragionevole e sistematico principi di legalità, imparzialità e buon andamento ed i corollari di economicità e speditezza dell’azione amministrativa, così che la mancata comunicazione di avvio del procedimento ed anche la mancata nomina del responsabile del procedimento non possono determinare sic et simpliciter l’annullamento del provvedimento, allorquando l’interessato sia venuto comunque a conoscenza dei fatti posti a fondamento del provvedimento sfavorevole ai suoi interessi ed abbia avuto la possibilità di svolgere osservazioni e controdeduzioni (tra le più recenti, C.d.S., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 753; sez. IV, 8 gennaio 2013, n. 32; 17 settembre 2012, n. 4925; sez. III, 20 giugno 2012, n. 3595); ciò senza contare che ai sensi dell’art. 21 octies non è annullabile per la mancata comunicazione di avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato (C.d.S., sez. IV, 19 febbraio 2013).
Nel caso di specie, è pacifico che l’amministrazione con nota prot. CA/69882 del 25 settembre 2008, con riferimento all’occupazione di suolo pubblico concessa con la determinazione n. 305 dell’11 febbraio 2008 ed all’esposto presentato dalla sig. Adriana Di Castro, ha informato puntualmente la s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella della circostanza che, proprio per effetto del ricordato esposto, erano stati eseguiti accertamenti dalla Polizia Municipale, all’esito dei quali era risultato che due aree autorizzate ricadevano su pertinenze di terzi (l’una, interamente, in corrispondenza dei civici 171, 169, 167, 165 e l’altra, in parte, in corrispondenza dei civici 177 – 179), invitandola a produrre le relative liberatorie pena l’annullamento della citata determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008.
Non può dubitarsi che con tale nota, ancorché non formalmente qualificata come comunicazione di avvio del procedimento, la predetta società è stata messa in condizione di conoscere non solo l’intenzione dell’amministrazione di riesaminare il proprio precedente atto di concessione (intenzione resa palese e manifesta dalla espressa richiesta di produrre le liberatorie ritenute necessarie, pena l’annullamento della ricordata concessione), ma soprattutto di poter apprezzare le ragioni poste a base dell’intenzione dell’amministrazione e di poter conseguentemente proporre osservazioni e controdeduzione, eventualmente chiarendo le ragioni che rendevano non necessarie ovvero inutili e superflue le liberatorie.
Né la mancanza dell’indicazione del responsabile del procedimento ha precluso l’esercizio di tale diritto di partecipazione, non essendo stata fornita in tal senso alcuna prova e tanto meno alcun indizio.
Deve pertanto escludersi che i provvedimenti impugnati siano inficiati dalla violazione delle garanzie partecipative procedimentali.
8.2.2. Quanto al dedotto difetto di motivazione e di istruttoria da cui sarebbero inficiati gli atti impugnati, occorre rilevare che, com’è noto, il difetto di motivazione sussiste tutte le volte in cui non sia dato comprendere in base a quali dati specifici, fattuali e normativi, sia stata operata la scelta della pubblica amministrazione e non sia pertanto possibile ricostruire l’iter logico – giuridico seguito dall’autorità per giungere alla decisione contestata, dovendo escludersi la ricorrenza del vizio qualora, anche a prescindere dal tenore letterale dell’atto finale, i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni e l’iter motivazionale a sostegno della determinazione assunta (C.d.S., sez. V, 31 marzo 2012, n. 1907; sez. V, 20 maggio 2010, n. 3190).
E’ stato anche chiarito che nell’adottare un provvedimento la pubblica amministrazione non è tenuta a riportare nelle premesse e nella motivazione il testo integrale delle controdeduzioni del destinatario del provvedimento stesso, essendo al contrario sufficiente che le valuti nel loro complesso o per questioni omogenee (C.d.S., sez. VI, 3 luglio 2012, n. 3893), senza necessità di disattenderle in maniera analitica (C.d.S., sez. III, 23 maggio 2011, n. 3106), salvo che non sia provato che l’amministrazione non abbia neppure esaminato le osservazioni e le controdeduzioni formulate, respingendole con una mera formula di stile (C.d.S., sez. 1v, 31 marzo 2010, n. 1834; 22 ottobre 2004, n. 6959).
Nel caso in esame dalla semplice lettura della impugnata nota prot. CA/79932 del 28 ottobre 2008 e della richiamata nota prot. CA/69882 del 25 settembre 2008 emergono in modo chiaro ed inequivoco i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato l’operato dell’amministrazione, essendo appena il caso di aggiungere che l’amministrazione non si è limitata a prendere atto acriticamente di quanto esposto dalla controinteressata, sig. Adriano Di Castro, in ordine all’occupazione di suolo pubblico assentita alla società ricorrente anche nell’rea immediatamente prospiciente i propri locali, ma ha sul punto fatto svolgere dagli organi di polizia municipale un apposito sopralluogo che ha confermato il contenuto dell’esposto (e l’illegittimità in parte della concessione di cui alla determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008).
D’altra parte la ricorrente non ha fornito alcuna prova a sostegno dell’asserita mancata valutazione da parte dell’amministrazione delle osservazioni svolte in relazione al contenuto dell’esposto della controinteressata ed alla richiesta di presentazione delle necessarie liberatorie, non essendo decisivo, come già rilevato, il solo fatto che di esse non via sia menzione nel provvedimento impugnato.
8.3. Neppure è fondata la doglianza con la quale la ricorrente ha lamentato la erronea interpretazione ed applicazione dell’art. 4 quater del Regolamento comunale per l’occupazione di suolo pubblico, sostenendo che la controinteressata non sarebbe stata titolare di alcun diritto di affaccio sull’area prospiciente i locali di sua proprietà e che conseguentemente non sarebbe stata necessaria la produzione delle liberatorie inopinatamente richieste ai fini della legittimità della concessione originariamente assentita con la determinazione n. 305 dell’11 febbraio 2008.
Il ricordato art. 4 quater del Regolamento comunale per l’occupazione di suolo pubblico, nel testo approvato dalla delibera consiliare n. 119 del 30 maggio 2005, nel disciplinare i “Limiti derivanti dall’attuazione del punto 4.2.2. del P.G.T.U.” al rilascio delle concessioni di occupazione di suolo pubblico al comma 4, lett. h), stabilisce che sulla viabilità locale le nuove concessioni non possono essere rilasciate “…h) in posizione antistante l’ingresso di parchi, giardini, stazioni ferroviarie e metropolitane, edifici pubblici e di interesse pubblico, sale cinematografiche, attività di media e grande distribuzione, accessi ad abitazioni, locali in genere e finestre ubicate a mezzanino, salvo che in quest’ultimo caso venga presentata apposita dichiarazione liberatoria con firma autenticata rilasciata da terzi aventi diritto di affaccio sull’area oggetto di richiesta di occupazione di suolo pubblico”.
Orbene, posto che non è stata minimamente contestata la qualità della controinteressata di proprietaria di locali insistenti sulla stessa via Vittorio Veneto ai civici da n. 163 a n. 171, non può ugualmente dubitarsi che i predetti locali, in quanto tali, rientrino nella previsione generale della ricordata norma regolamentare (“locali in genere”), ad essi inerendo automaticamente il diritto di affaccio, ivi previsto, sull’area immediatamente prospiciente.
Al riguardo è da rilevare che per diritto di affaccio deve ragionevolmente intendersi non tanto il diritto alle luci e vedute (di natura privatistica, come sostenuto dalla ricorrente), quanto piuttosto un complesso di facoltà, tra cui innanzitutto quella di accedere (e far accedere) liberamente e senza ostacoli ai predetti locali, strumentali al loro pieno e completo utilizzo (ivi compresa la possibilità che i locali siano ben visibili dalla strada pubblica e che sia altrettanto facilmente visibile l’attività economico – commerciale che in essi viene concretamente esercitata, quale mezzo di astratta attrattiva da parte della possibile clientela).
In tale ottica, in cui il c.d. diritto di affaccio è pertanto lo strumento teso ad evitare ingiustificati limiti al pieno godimento della proprietà (in senso lato, ivi compreso lo sfruttamento economico – commerciale) dei locali che si aprono sulla via pubblica, non può dubitarsi della ragionevolezza e della legittimità della previsione normativa che ammette che l’area prospiciente i locali possa essere utilizzata, a titolo individuale ed esclusivo da un soggetto diverso dal proprietario dei locali stesso, non solo mediante concessione dell’amministrazione, ma soprattutto con il consenso del proprietario dei locali (titolare del c.d. diritto di affaccio), consenso da manifestarsi espressamente con apposita liberatoria, che si configura non già come atto di rinuncia all’utilizzo commerciale dell’area antistante il locale, bensì come espressa dichiarazione che l’utilizzo di quell’area da parte di terzi non incide sul pieno godimento e sulla piena utilizzabilità, anche commerciale, dei propri locali (come sopra delineata).
Anche sotto tale profilo il provvedimento impugnato con cui l’amministrazione comunale ha limitato l’originaria estensione della concessione di suolo pubblico di cui alla determinazione dirigenziale n. 305 dell’11 febbraio 2008 è del tutto corretta e legittima, essendo pacifico che la controinteressata, sig. Adriana De Castro, non ha rilasciato alla società ricorrente le liberatorie necessarie per ottenere la concessione di suolo pubblico anche dell’area prospiciente i suoi locali.
Tali conclusioni escludono la fondatezza delle peraltro inconferenti argomentazioni con cui la ricorrente ha rappresentato che la stessa ampiezza del marciapiede su cui insiste la contestata concessione di suolo pubblico avrebbe reso inutili e superflue le liberatorie e quelle secondo cui il c.d. diritto di affaccio si sarebbe estinto per non uso ventennale.
Sotto altro concorrente profilo, ancora aggiungere che eventuali illegittimità che fossero state commesse in precedenza dall’amministrazione comunale nella concessione di suolo pubblico in favore della s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella non possono costituire per la stessa fonte di legittimo affidamento e non sono pertanto idonee a supportare la dedotta censura di asserita contraddittorietà del provvedimento impugnato; ciò senza contare che non è stata fornita alcuna prova della asserita “continuità” da oltre un ventennio dell’occupazione di suolo pubblico di cui si discute.
8.4. Infine la Sezione osserva che le osservazioni svolte escludono l’illegittimità dell’impugnato provvedimento di rettifica dell’originaria concessione di occupazione di suolo pubblico anche qualora fosse da intendere, come pure sostenuto dal ricorrente, quale atto latu sensu di autotutela o revoca parziale dell’originaria concessione.
Non può dubitarsi anche in tal senso né della adeguatezza della istruttoria, né della idoneità della motivazione, dovendo peraltro aggiungersi che esso trova fondamento nella espressa clausola di salvezza dei diritti dei terzi, apposta alla concessone di occupazione di suolo pubblica, il che esclude in radice la necessità di una puntuale e approfondita motivazione sull’attualità e sulla rilevanza dell’interesse pubblico.
9. In definitiva il ricorso di primo grado deve essere respinto in quanto infondato e ciò determina il rigetto dell’appello, dovendo confermarsi con diversa motivazione (di rigetto nel merito del ricorso di primo grado, in luogo della sua declaratoria di inammissibilità) la sentenza impugnata.
10. Conseguentemente anche l’appello incidentale della sig. Adriana Di Castro, nella qualità segnata in epigrafe, deve essere dichiarato improcedibile, salvo che per quanto attiene l’autonoma impugnazione del capo della sentenza che ha dichiarato inammissibile per carenza di prova la domanda risarcitoria proposta col ricorso incidentale e di quello concernente la compensazione delle spese del giudizio, in relazione alla quale deve essere invece respinto.
Quanto alla domanda risarcitoria è sufficiente osservare che, come correttamente rilevato dai primi giudici, non è stata fornita alcuna prova in ordine ai suoi presupposti, in particolare essendo mancata qualsiasi indizio non solo in ordine all’eventuale colpa dell’amministrazione, ma anche e soprattutto dei pretesi danni che sarebbero derivati dall’erronea estensione dell’occupazione di suolo pubblico assentita alla s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella anche per l’area prospiciente i locali di sua proprietà: al riguardo è appena il caso di rilevare che non è ammissibile sottrarsi all’onere della prova, così come è del tutto inconferente ed erronea la richiesta di una condanna in via generica da liquidarsi poi in separato giuridico anche in via equitativa.
Quanto alla compensazione delle spese di giudizio, non può che ricordarsi che la relativa statuizione costituisce per giurisprudenza consolidata manifestazione dell’ampio potere discrezionale di cui è titolare in materia il giudice, potere che non è sindacabile salvo le ipotesi, non ricorrenti nel caso di specie, in cui via sia una condanna alle spese assolutamente erronea, arbitraria o abnorme ovvero risulti condannata alle spese di giudizio la parte vincitrice.
11. Le spese del presente grado di giudizio possono essere interamente compensate tra le parti, in ragione della sostanziale reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello principale proposto dalla s.r.l. Ristoranti Italiani Antonella e su quello incidentale spiegato dalla sig. Adriana De Castro, nella qualità indicata in epigrafe, avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sez. II ter, n. 9202 del 22 settembre 2009, così provvede:
– respinge l’appello, confermando con diversa motivazione la sentenza impugnata;
– dichiara in parte improcedibile ed in parte respinge l’appello incidentale;
– dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Il
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
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