consiglio di stato bis

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 16 marzo 2016, n. 1058

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6422 del 2015, proposto da:

Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Ma. Fr., con domicilio eletto presso Eu. Pi. in Roma, Via (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati ed altri;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO – VENEZIA, SEZIONE II, n. 88/2015, resa tra le parti, concernente autorizzazione paesaggistica relativa a progetto di coltivazione di cava e connessa procedura di v.i.a.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di (omissis), della Regione Veneto, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Sopr. Beni Archit. e Paesagg. Prov. di (omissis) e (omissis), della Soprint. Per i Beni Archeologici del Veneto, della Soprint. Per i Beni Ambientali ed Archeologici di (omissis) e della Società Es. Be. S.r.l.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 dicembre 2015 il Cons. Luigi Massimiliano Tarantino e uditi per le parti gli avvocati An. Li. Di. Gi. su delega dell’avvocato Ma. Ma. Fr., ed altri e l’Avvocato dello Stato Ca. Co.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il comune di (omissis) con ricorso al TAR per il Veneto invocava l’annullamento della DGRV n. 60 del 4 febbraio 2014, del connesso parere della Commissione regionale VIA n. 443 del 6 novembre 2011 e degli altri provvedimenti meglio indicati nella sentenza di prime cure, con cui era stato approvato ed autorizzato, ai sensi degli artt. 11 e 24 L.R. 10/1999, il progetto della società Es. Be. s.r.l., di coltivazione e ricomposizione ambientale della cava di calcare denominata “S.E.”.

2. Il TAR dichiarava inammissibile il ricorso non rilevando la presenza di una valida legittimazione processuale in capo al comune di (omissis), rilevando in capo a quest’ultimo l’assenza di un interesse ad agire in ragione della mancata di dimostrazione di un concreto pregiudizio verificabile in danno degli interessi dallo stesso rappresentati.

3. Avverso la sentenza di prime cure propone appello il comune di (omissis), sostenendone l’erroneità in quanto l’art. 100 c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo, prevedrebbe che il ricorrente possa agire, se titolare di un interesse al conseguimento di un vantaggio materiale o morale anche attraverso la rimessa in discussione del rapporto controverso, quindi sia che la pronuncia resa dal giudice amministrativo faccia conseguire al ricorrente un vantaggio diretto sia che ciò venga prodotto in via strumentale. Il criterio da utilizzare per rinvenire la presenza di un valido interesse ad agire sarebbe dato non soltanto da quello della vicinitas, ma anche da quello della previa partecipazione al procedimento amministrativo.

Entrambi ricorrerebbero nella fattispecie, in quanto l’amministrazione appellante non avrebbe soltanto partecipato al procedimento amministrativo all’esito del quale sarebbe stata adottata la DGRV n. 60 del 4 febbraio 2014, ma i provvedimenti impugnati consentirebbero il transito continuo sul territorio del comune di (omissis) dei camion diretti alla cava con una diretta incisione sul proprio territorio. Infine, la stessa originaria controinteressata avrebbe ammesso l’estensione dell’impatto ambientale anche al territorio del comune appellante. Da ultimo, dovrebbe valutarsi la mera prospettazione di ripercussioni sul territorio del comune appellante piuttosto che la dimostrazione della concreta pericolosità dell’impianto. Ottenuta la riforma della decisione assunta dal primo giudice, l’appellante invoca la declaratoria di fondatezza dei motivi non esaminati in primo grado, che vengono puntualmente riproposti.

4. Si costituisce in giudizio la Società Es. Be. – S.E. S.r.l., sostenendo, anche nelle successive difese, la correttezza della sentenza di prime cure e replicando alle censure assorbite dal giudice di primo grado.

5. Con memoria formale il Ministero dell’Ambiente si costituisce in giudizio invocando la reiezione dell’appello. La stessa posizione mantiene con ricchezza di argomentazioni nelle successive difese.

6. Analoga posizione sposa la Regione Veneto, che anche nelle successive difese insiste sulla correttezza della sentenza di primo grado e sulla infondatezza dei motivi non esaminati in prime cure.

7. Con memoria depositata il 12 novembre 2015 il Comune appellante ribadisce le proprie argomentazioni, mettendo in evidenza l’incidenza dell’intenso traffico di mezzi pesanti diretto all’area di cava con un uso diretto e continuo del territorio comunale.

8. In data 13 novembre 2015 si costituisce in giudizio il Comune di (omissis), sostenendo, da un lato, la correttezza dei provvedimenti impugnati in prime cure per l’equilibrato composizione dell’interesse imprenditoriale con quelli ambientali e paesaggistici sotteso agli stessi; dall’altro, l’assenza di legittimazione in capo all’amministrazione appellante. Infine, sostiene l’inammissibilità delle censure che impingerebbero nel merito delle scelte dell’amministrazione e l’infondatezza delle altre.

8. Con memoria depositata il 14 novembre 2015 il Ministero invoca la conferma della sentenza di primo grado o in subordine il rigetto del ricorso di prime cure.

9. Con memoria di replica del 24 novembre 2015 la Società Es. insiste nella carenza di legittimazione dell’amministrazione appellante. Nel merito evidenzia: a) l’infondatezza dei vizi aventi ad oggetto presunti deficit motivazionali; b) l’assenza di violazione dell’art. 24, l.r. Veneto, n. 1/2004, in ordine alla mancata acquisizione del parere preventivo della CTPAC di (omissis); c) l’infondatezza della denunciata violazione della disciplina urbanistica del Comune di (omissis); d) l’impossibilità di apprezzare positivamente il difetto di motivazione in ordine alla cd. opzione zero.

10. In pari data il Comune appellante deposita memoria nella quale insiste nelle proprie conclusioni.

11. Infine, con memoria di replica del 24 novembre 2015 il Comune di (omissis) ribadisce: I) il difetto di legittimazione dell’appellante; II) l’assenza di contraddittorietà tra i parere resi dalla Soprintendenza e dal Servizio forestale; III) l’assenza di misure di salvaguardia relative al Piano Regionale delle Attività di Cava; IV) la viabilità di accesso non graverebbe su di un mappale gravato di uso civico; V) non vi sarebbe alcuna violazione della disciplina urbanistica del Comune di (omissis); VI) l’avvenuta valutazione della cd. opzione zero.

12. L’appello è in parte fondato. Non può condividersi la conclusione raggiunta dal primo giudice in ordine al difetto di legittimazione dell’originario ricorrente. La giurisprudenza di questo Consiglio, infatti, ha riconosciuto legittimazione attiva in capo alle amministrazioni comunali in materia ambientale, quante volte la realizzazione di un’opera sul territorio di un comune limitrofo possa potenzialmente comportare un pregiudizio.

Pertanto, a legittimazione attiva a impugnare un provvedimento che consente la realizzazione di un impianto non si può subordinare alla produzione di una prova puntuale della concreta pericolosità, reputandosi sufficiente una prospettazione delle temute ripercussioni su un territorio comunale collocato nelle immediate vicinanze dell’opera da realizzare (cfr. Cons. St., Sez. V, 16 settembre 2011, n. 5193). In questo senso, si rammenta anche la sentenza di questo Consiglio n. 3254/2012, secondo la quale: “Ancorché un impianto di trattamento di rifiuti ricada in un Comune limitrofo, non può negarsi che esso possa arrecare disagi e danni non solo agli appartenenti del Comune di ubicazione, ma anche ai cittadini dei Comuni limitrofi; pertanto, deve essere riconosciuta la legittimazione e l’interesse ad agire anche al Comune limitrofo, quale Ente esponenziale della collettività stanziata sul proprio territorio e portatore in via continuativa degli interessi diffusi radicati sul proprio territorio, non potendo la legittimazione ad agire essere subordinata alla prova di una concreta pericolosità dell’impianto”. Nella fattispecie in esame la potenziale compromissione del bene ambiente è stata dimostrata dall’amministrazione appellante in relazione all’aumento del transito veicolare pesante sul proprio territorio, necessario per gestire l’imponente cava oggetto dei provvedimenti impugnati.

13. Riconosciuta la legittimazione ad agire dell’amministrazione comunale devono essere esaminati i motivi di ricorso di primo grado riproposti in questa sede, il cui scrutinio è stato omesso dal TAR.

13.1. Il primo motivo denuncia che l’area interessata dal progetto di coltivazione della cava sarebbe interessata da un vincolo di notevole interesse pubblico, giusto DM. 23 settembre 1975. L’impossibilità di realizzare l’opera, peraltro, resterebbe invariata anche all’indomani della variante al progetto presentato dalla società proponente, in quanto la contrarietà al progetto nascerebbe dalla natura del progetto e non dalla sua estensione. Né il successivo parere delle competenti autorità ministeriali, anche in relazione alle osservazioni presentate dall’amministrazione appellante sul primo progetto, spiegherebbe il mutamento di opinione sul punto, lasciando trasparire un deficit motivazionale ed istruttorio.

La doglianza descritta non può essere positivamente apprezzata, dal momento che sia il parere n. 443/2013 della Commissione regionale V.I.A., che il parere ministeriale del 12 luglio 2013, hanno preso in considerazione la variante progettuale, considerando quest’ultima come rispettosa delle caratteristiche morfologiche del sito in ragione della variazione dell’impatto percettivo dell’opera e del complessivo adeguamento ai rilievi critici espressi in precedenza dalle stesse amministrazioni.

13.2. Il secondo motivo pone in luce che l’area interessata da progetto di coltivazione di cava sarebbe gravata dal vincolo delle zone boscate. Da ciò deriva che secondo quanto disposto dall’art. 13, l.r. Veneto, n. 52/1978, la loro riduzione sarebbe ammissibile, solo se fosse praticabile una delle misure di tutela ex lege previste. In ragione di ciò la proponente avrebbe optato per la misura compensativa di cui all’art. 15, l.r. Veneto, n. 52/1978, ossia per la realizzazione di un’area con destinazione a bosco di almeno altrettanta superficie. Ipotesi quest’ultima che imporrebbe la verifica delle prescrizioni di cui alla DGRV n. 4808/1997. A fronte di un primo parere negativo espresso dal Servizio forestale regionale, ne sarebbe, però, seguito un secondo sulla variante progettuale presentata dalla società proponente di opposto tenore che rivelerebbe un’intrinseca contraddittorietà, nonché illogicità e difetto di motivazione. Anche questo motivo non può essere favorevolmente apprezzato, ed infatti, il nuovo parere veniva reso sulla variante progettuale e dava atto, tra l’altro, di come la nuova proposta di rimboschimento compensativo eccedesse di 8044 mq, il minimo previsto dalla legge, utilizzando, altresì, motivi congrui e dettando ulteriori prescrizioni riprese nel parere della Commissione regionale V.I.A. n. 443/2013. Pertanto, nessuno dei cennati profili di illegittimità risultano sussistenti, poiché la nuova valutazione operata dall’amministrazione mantiene un adeguato livello di tutela dell’interesse pubblico affidatole.

13.3. Un terzo motivo denuncia la contraddittorietà dell’operato regionale in relazione al PRAC n. 2015/2013, la violazione dell’art. 24, comma 1, l.r. Veneto, n. 1/2004.

La doglianza è fondata. In particolare, quanto al profilo inerente alla mancata acquisizione del parere della CTPAC, occorre precisare che la l.r. Veneto n. 44/1982, disciplina la ricerca e l’attività di cava nel territorio regionale, al fine di conseguire un corretto uso delle risorse, nel quadro di una rigorosa salvaguardia dell’ambiente nelle sue componenti fisiche, pedologiche, paesaggistiche, monumentali e della massima conservazione della superficie agraria utilizzabile a fini produttivi. L’art. 4 della suddetta normativa individua tra gli strumenti di pianificazione il: a) Piano regionale dell’attività di cava (Prac); b) Piano provinciale dell’attività di cava (Ppac); c) Programma provinciale di escavazione (Ppe); d) Progetto di coltivazione. L’art. 44, della l.r. Veneto n. 44/1982, detta criteri transitori per l’assunzione delle determinazioni sulle domande di autorizzazione o concessione fino all’entrata in vigore del Prac e del Ppac. All’indomani della suddetta normativa ed in assenza dell’adozione del Prac, si sono succedute la l.r. Veneto n. 10/1999 e la l.r. Veneto n. 1/2004.

La prima delle citate normative disciplina le procedure di valutazione d’impatto ambientale per le cave con più di 350.000 m³/anno di materiale estratto, prevedendo all’art. 11 che: “…il soggetto proponente può chiedere l’autorizzazione o approvazione definitiva del progetto contestualmente al giudizio di compatibilità ambientale…” ed all’art. 24, che: “In attuazione dei princìpi di semplificazione amministrativa, il giudizio di compatibilità ambientale è integrato nel provvedimento di concessione o di autorizzazione di attività di coltivazione di cave e torbiere in presenza delle seguenti condizioni: a) il proponente, si sia avvalso della facoltà di cui al comma 1 dell’articolo 11; b) la commissione VIA abbia reso il parere sull’impatto ambientale di cui all’articolo 18.

Nell’ipotesi prevista al comma 1, la commissione VIA, integrata dai responsabili degli uffici regionali o provinciali competenti, provvede all’istruttoria ai fini del rilascio dei provvedimenti richiesti. L’autorizzazione e la concessione sostituiscono ogni altro parere, nullaosta, autorizzazione di competenza regionale”.

Dal canto suo la l.r. Veneto n. 1/2004, prevede all’art. 24, che: “In deroga a quanto stabilito dalla legge regionale 7 settembre 1982, n. 44 “Norme per la disciplina di cava” e fino all’approvazione del Piano regionale per le attività di cava (PRAC), il parere espresso dall’amministrazione provinciale attraverso la Commissione tecnica provinciale per le attività di cava (CTPAC) nell’ambito dei procedimenti per il rilascio delle autorizzazioni o delle concessioni per le nuove attività di cava e per l’ampliamento delle esistenti è obbligatorio e vincolante”.

Non deve ritenersi che il parere della CTPAC sia necessario solo nel caso in cui il progetto di coltivazione, non essendo sottoposto alla procedura di VIA, si svolga secondo il modulo autorizzatorio ordinario di cui alla L.R. 44/1982, in quanto una simile conclusione, però non è ragionevole e non si coniuga con i principi di tutela ambientale.

Una prima riflessione porta a mettere l’accento sul fatto che l’appesantimento procedurale introdotto dalla l.r. Veneto n. 1/2004, sarebbe irragionevole, se fosse previsto solo per le autorizzazioni aventi ad oggetto progetti di cava di dimensioni inferiori a quelle per le quali è richiesta la V.I.A. Inoltre, la normativa del 2004 utilizza una formula ampia nel riferirsi al ”…rilascio delle autorizzazioni o delle concessioni per le nuove attività di cava e per l’ampliamento delle esistenti…”, lasciando intendere che il parere della CTPAC sia sempre obbligatorio e vincolante. In questo senso la normativa del 2004 va ad integrare la pregressa disciplina del 1999. Del resto, una simile interpretazione è preferibile anche perché assicura un maggior standard di tutela ambientale in una materia nella quale il legislatore regionale era ben consapevole del gravissimo ritardo accumulato nell’adozione del PRAC. Pertanto, l’illegittimità che ne consegue si sarebbe potuta superare soltanto se la CTPAC avesse partecipato al procedimento di V.I.A.

Fondato risulta, altresì, l’ulteriore profilo di illegittimità, che evidenzia l’irragionevolezza della decisione della Regione Veneto, se rapportata al tenore delle determinazioni contenute nel PRAC adottato, benché ancora non efficace. Il citato strumento di pianificazione, infatti, prevede quantitativi massimi autorizzabili di calcare di costruzione in misura inferiore rispetto al provvedimento di autorizzazione impugnato che fa generico riferimento, senza specificare, ad una “cava di calcare”. Se la diposizione contenuta nel PRAC non può essere utilizzata quale parametro di valutazione diretta della legittimità della decisione oggetto dell’impugnato provvedimento, la stessa, però, deve essere utilizzata quale misura della ragionevolezza della decisione dell’amministrazione regionale, che risulta viziata da eccesso di potere nella misura in cui si presenta come irragionevole e contraddittoria. Quest’ultima, infatti, non da in alcun modo conto della ragione per la quale autorizzi una cava di siffatta dimensioni, pur avendo già operato valutazioni sia pure non ancora efficaci di segno opposto nell’atto di pianificazione delle attività di cava.

La fondatezza del motivo ora esaminato rende manifestamente irrilevante la questione di legittimità costituzionale della l.r. Veneto, n. 44/1982, riproposta in sede d’appello.

13.4. Il quarto motivo di ricorso pone in evidenza come l’esecuzione del progetto di cava involgerebbe anche il mappale n. 49 appartenente al demanio comunale, in quanto tale inalienabile e, per di più, sottoposto ad uso civico con conseguente applicazione del relativo regime giuridico, il ché avrebbe impedito fosse ricompreso nella realizzando cava. La descritta doglianza non può essere, però, accolta, perché il bene in questione ha natura pertinenziale, ed è in quanto tale sottoposta alla disciplina di cui all’art. 23, r.d. n. 1443/1927. Né i lavori previsti determinerebbero un mutamento della destinazione d’uso del fondo demaniale o la costituzione di diritti a favore di terzi. Né può lamentarsi il mancato rilascio dell’autorizzazione dirigenziale ex art. 5-bis e 8, l.r. Veneto, n. 31/1994, dal momento che la necessità di un’eventuale autorizzazione sarebbe superata dalla omnicomprensività del provvedimento di V.I.A. ex art. 26, d.lgs. 152/2006.

13.5. Il quinto motivo di ricorso fa valere la presunta contrarietà dei provvedimenti impugnati con gli artt. 14 e 17 N.T.A. del Comune di (omissis).

In ordine alla denunciata violazione del citato art. 14, non vi è assoluta incompatibilità tra la destinazione agricola di un’area e l’attività estrattiva (Cons. St., Sez. VI, 14 febbraio 2002, n. 872). Infatti, questo Consiglio ha avuto modo di chiarire che: “A norma dell’art. 8 L. reg. Veneto 7 settembre 1982 n. 44 è demandata ai Comuni interessati, ai fini della formazione del piano provinciale dell’attività di cava, l’individuazione delle aree con particolare vocazione agricola che vadano assoggettate a vincolo di interdizione da qualsiasi attività estrattiva; tuttavia, la mera destinazione agricola della zona non costituisce di per sé impedimento all’esplicazione dell’attività, in quanto, nelle zone non espressamente interdette, è vietato soltanto lo svolgimento dell’attività medesima in violazione del parametro prefissato” (Cons. St., Sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945).

Quanto, invece, alla paventata violazione dell’art. 17 N.T.A. del Comune di (omissis), deve rilevarsi che la norma regolamentare comunale non può intervenire nella materia de qua devoluta alla competenza regionale, in costanza di una norma, l’art. 13, l.r. Veneto n. 44/1982, secondo la quale: “Costituiscono aree di potenziale escavazione le parti del territorio comunale definite zona E ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 dallo strumento urbanistico generale approvato e non escluse dall’attività di cava ai sensi della presente legge”. Va, infatti, in questa sede ribadito che, secondo quanto già chiarito dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria, n. 8/1991, gli strumenti urbanistici non possono disciplinate anche la materia estrattiva.

13.6. Un ultimo motivo stigmatizza alcune presunte illogicità ed incongruità motivazionali in ordine a supposte carenze istruttorie dello studio di impatto ambientale, delle controdeduzioni alle osservazioni mosse durante il procedimento amministrativo, specie in relazione all’inquinamento diretto ed indiretto prodotto dalla cava alla qualificazione del sito ed alla mancata valutazione della cd. opzione zero. Nessuno dei citati profili di illegittimità risulta, però, sussistente, dal momento che le valutazioni compiute dall’amministrazione risultano attendibili e si situano all’interno di quella forbice di opinabilità rimessa pienamente all’amministrazione in ordine all’impatto ambientale del nuovo sito in ragione delle sue caratteristiche e della sua collocazione.

14. L’appello deve, quindi, essere accolto nei termini sopra indicati e, pertanto, in riforma della sentenza impugnata deve essere accolto in parte il ricorso di primo grado, sicché vanno annullati i provvedimenti con lo stesso impugnati nei limiti sopra indicati. Nella particolare complessità delle questioni giuridiche trattate si ravvisano eccezionali motivi per compensare le spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza accoglie in parte il ricorso di primo grado ed annulla i provvedimenti impugnati nei sensi di cui in motivazione.

Compensa le spese del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2015 con l’intervento dei magistrati:

Alessandro Pajno – Presidente

Antonio Amicuzzi – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere

Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere, Estensore

Sabato Guadagno – Consigliere

Depositata in Segreteria il 16 marzo 2016.

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