Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 11 maggio 2017, n. 2184

Per le procedure di gara bandite in epoca precedente al nuovo codice dei contratti pubblici l’indicazione dei costi interni per la sicurezza non costituisce causa di esclusione, quando la stessa non è richiesta dal bando di gara e non è in discussione sul piano sostanziale la congruità di tale voce di spesa

Consiglio di Stato

sezione V

sentenza 11 maggio 2017, n. 2184

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale

Sezione Quinta

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7630 del 2016, proposto da:

Im. Co. Ed. Bi. P.I. Um. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Mi. Pa. e En. Di Gi., con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo, in Roma, via (…);

contro

Comune di (omissis), in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ri. An., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ga. Pa., in Roma, viale (…);

nei confronti di

Fe. Ed. Me. di Fe. Gi. & C. s.a.s., non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO, SEZIONE I, n. 1130/2016, resa tra le parti, concernente una procedura di affidamento in appalto dei lavori di riqualificazione della palestra comunale presso la scuola primaria “An. Fr.” del Comune di (omissis)

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di (omissis);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, comma 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 27 aprile 2017 il consigliere Fabio Franconiero e uditi per le parti gli avvocati Mi. Pa. e Ri. An.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Lombardia l’Im. Co. Ed. Bi. P.I. Um. s.r.l. impugnava gli atti della procedura di cottimo fiduciario indetta dal Comune di (omissis) per l’affidamento in appalto dei lavori di riqualificazione della palestra comunale presso la scuola primaria “An. Fr.”, procedura all’esito della quale, dopo essere stata invitata a partecipare, si era collocata al secondo posto della graduatoria finale, immediatamente dietro la Fe. Ed. Me. s.a.s., dichiarata conseguentemente aggiudicataria in via definitiva (determinazione n. 204/066/2015 del 1° luglio 2015).

2. La ricorrente sosteneva che l’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa: per non avere indicato il nominativo del subappaltatore nelle categorie di lavori scorporabili; per non avere specificato i propri oneri per la sicurezza aziendale; e per avere fatto illegittimamente ricorso all’avvalimento.

3. Con la sentenza in epigrafe il tribunale adito:

– dichiarava improcedibile le domande di annullamento e di risarcimento in forma specifica mediante conseguimento dell’aggiudicazione in luogo della controinteressata, in conseguenza dell’ultimazione dei lavori nelle more del giudizio;

– respingeva la domanda di risarcimento per equivalente, perché:

a) la società non era stata diligente nell’esperire i mezzi di tutela a propria disposizione, come invece richiesto dall’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., avendo la stessa potuto evitare i danni lamentati attraverso una “proposizione più celere del ricorso” e della connessa istanza cautelare “(che poteva semmai essere integrata con la richiesta di una misura cautelare monocratica)”;

b) la medesima domanda era comunque risultata “sfornita di prova con riferimento al quantum”, poiché limitata alla generica richiesta di ristoro pari quanto meno al 10% dell’appalto, senza tuttavia l’offerta di “alcun principio di prova dal quale desumere l’effettivo ammontare dell’utile al quale avrebbe rinunciato”.

4. Per la riforma della sentenza di primo grado ha proposto appello l’Im. Co. Ed. Bi. P.I. Um.

Nel riproporre i motivi di legittimità già formulati davanti al Tribunale amministrativo, l’originaria ricorrente censura il rigetto della domanda risarcitoria da quest’ultimo pronunciata.

5. L’appellante lamenta in particolare la falsa applicazione dell’art. 30, comma 3, cod. proc. amm., deducendo di avere proposto il ricorso solo dopo avere acquisito un parere dell’ANCE di Como circa le illegittimità della procedura di gara ed avere poi formulato al Comune di (omissis) un’istanza di annullamento in autotutela degli atti di tale procedura sulla base di questo parere.

6. L’Im. Co. Ed. Bi. P.I. Um. reitera le richieste risarcitorie respinte in prime cure, consistenti nel mancato utile, quantificato in misura pari al 10% del valore dell’appalto, nel danno curriculare per la perdita di arricchimento professionale, da liquidarsi in via equitativa nella misura del 5% di tale valore, oltre agli interessi legali dalla stipula del contratto con la controinteressata fino all’effettivo pagamento.

7. Secondo l’appellante viziato sarebbe anche il capo della sentenza impugnata che ha disposto la compensazione delle spese atteso che queste, in base al principio della soccombenza virtuale, avrebbero dovuto essere poste a carico dell’amministrazione resistente.

8. Per resistere all’appello si è costituito il Comune di (omissis).

DIRITTO

1.L’appello è infondato.

La sentenza di primo grado resiste infatti alle censure dell’Impresa di costruzioni Bi. nel punto in cui ha respinto la domanda risarcitoria proposta da quest’ultima per assenza di prova in ordine ai pregiudizi sofferti per effetto dell’asserita illegittima aggiudicazione.

2. L’appellante si diffonde nel criticare il punto in cui il Tribunale amministrativo ha respinto la domanda risarcitoria a causa della non sollecita proposizione del ricorso, ma non svolge alcuna censura specifica sull’ulteriore argomentazione addotta dal giudice di primo grado a sostegno di tale rigetto, consistente nell’assenza di prova dei danni subiti.

3. Alla luce di tale notazione il presente appello dovrebbe addirittura essere dichiarato inammissibile per assenza di motivi specifici, nei termini richiesti dall’art. 101, comma 1, cod. proc. amm. e dalla giurisprudenza costante di questo Consiglio di Stato (sull’onere di specificità dei motivi si rinvia ai sensi degli artt. 120, comma 10, e 74 cod. proc. amm. ai seguenti precedenti: Cons. Stato, Ad. plen. 3 giugno 2011, n. 10; da ultimo: Cons. Stato, III, 10 agosto 2016, n. 3586, 16 giugno 2016, n. 2682; IV, 27 gennaio 2017, n. 334, 26 settembre 2016, n. 3936; V, 4 aprile 2017, n. 1543, 11 novembre 2016, n. 4688, 4 novembre 2016, n. 4629, 26 ottobre 2016, n. 4474, 31 agosto 2016, n. 3746, 26 luglio 2016, n. 3346, 31 marzo 2016, n. 1268; VI, 27 dicembre 2016, n. 5466, 31 agosto 2016, n. 3767, 30 giugno 2016, n. 2947, 28 giugno 2016, n. 2851, 23 giugno 2016, nn. 2782 e 2808, 19 gennaio 2016, n. 158).

4. L’appello è in ogni caso infondato perché nemmeno in questo grado di giudizio l’Impresa di costruzioni Bi. ha dato prova dei danni subiti.

Sul punto devono essere richiamati i principi ormai consolidati elaborati dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, in tema di determinazione del danno da mancata aggiudicazione di gara d’appalto (cfr. ex plurimis: Cons. Stato, IV, 23 maggio 2016, n. 2111; V, 21 luglio 2015, n. 3605, 31 dicembre 2014, nn. 6450 e 6453), secondo cui:

– ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, cod. proc. amm., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di avere sofferto;

– in particolare spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, cod. proc. amm.);

– quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto sussista la necessità di equilibrare l’asimmetria informativa tra amministrazione e privato la quale contraddistingue l’esercizio del pubblico potere ed il correlato rimedio dell’azione di impugnazione, mentre la medesima necessità non si riscontra in quella consequenziale di risarcimento dei danni, in relazione alla quale il criterio della c.d. vicinanza della prova determina il riespandersi del predetto principio dispositivo sancito in generale dall’art. 2697, primo comma, cod. civ. (e specificato per il risarcimento dei danni da mancata aggiudicazione dal sopra citato art. 124, comma 1, cod. proc. amm.);

– la valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cod. civ., in combinato con l’art. 2056 cod. civ., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità o di estrema difficoltà di una precisa prova sull’ammontare del danno;

– la parte danneggiata non può sottrarsi all’onere probatorio su di essa gravante e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio senza dedurre quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti;

– la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni, ma in conformità alla regola generale di cui all’art. 2729 cod. civ. queste devono essere dotate dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici;

– va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata, non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’idquod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile alla percentuale sopra indicata;

– anche per il cd. danno curriculare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito in termini di mancato arricchimento del proprio curriculum professionale e della perdita di ulteriori commesse sulla base di una qualificazione mancata a causa dell’altrui illegittima aggiudicazione.

5. L’appellante non ha per contro dedotto e tanto meno provato quale sarebbe stato l’effettivo margine di utile non conseguito per effetto dell’asserito illegittimo affidamento, né tanto meno se vi sia stato un danno da perdita di immagine (o curriculare) e a quanto esso ammonti; né ha fornito parametri di quantificazione sufficienti di tali voci di pregiudizio.

Ciò è dunque sufficiente al rigetto della domanda risarcitoria.

6. Deve peraltro sottolinearsi che l’appello è infondato anche sotto l’ulteriore e più radicale profilo dell’infondatezza delle censure di legittimità nei confronti dell’aggiudicazione dell’appalto alla controinteressata Fe. Ed. Me., pure riproposte nel presente appello.

A questo riguardo è infatti sufficiente ricordare che:

a) l’indicazione del nominativo del subappaltatore delle categorie di lavori scorporabili non costituisce requisito di partecipazione alla procedura di gara per la concorrente sprovvista delle relative qualificazioni, ma elemento che rileva nella fase di esecuzione del contratto (Cons. Stato, Ad. plen., sentenza 2 novembre 2015, n. 9; a tale pronuncia di nomofilachia si è quindi conformata la giurisprudenza successiva di questo Consiglio di Stato: III, 13 gennaio 2016, n. 76; IV, 9 febbraio 2016, n. 520; V, 21 aprile 2016, n. 1597, 16 marzo 2016, n. 1049, 15 marzo 2016, n. 1027, 27 gennaio 2016, n. 264, 11 dicembre 2015, n. 5655; VI, 29 gennaio 2016, n. 367);

b) per le procedure di gara bandite in epoca precedente al nuovo codice dei contratti pubblici l’indicazione dei costi interni per la sicurezza non costituisce causa di esclusione, quando la stessa non è richiesta dal bando di gara e non è in discussione sul piano sostanziale la congruità di tale voce di spesa, come nel caso di specie (Cons. Stato, Ad. plen., 27 luglio 2016, n. 19; anche in questo caso con successiva giurisprudenza conforme: Cons. Stato, III, 13 febbraio 2017, n. 590, 18 gennaio 2017, nn. 179 e 194, 17 gennaio 2017, n. 157, 9 gennaio 2017, n. 30; V, 6 aprile 2017, n. 1608, 7 marzo 2017, n. 1073, 20 febbraio 2017, n. 749, 6 febbraio 2017, n. 500, 28 dicembre 2016, n. 5475, 23 dicembre 2016, n. 5444, 22 dicembre 2016, n. 5423,15 dicembre 2016, n. 5283, 17 novembre 2016, n. 4755, 7 novembre 2016, n. 4646, 11 ottobre 2016, n. 4182; VI, 31 marzo 2017, n. 1496);

c) l’avvalimento è un istituto di carattere generale ammesso per finalità pro-concorrenziali di matrice europea ed è dunque legittimo farvi ricorso pur se non espressamente previsto nel bando di gara, anche nella forma dell’avvalimento plurimo o frazionato (cfr. Corte di Giustizia Ue 10 ottobre 2013, in causa C-94/12); peraltro, sin dal giudizio di primo grado il Comune di (omissis) ha contestato che l’aggiudicataria si sia avvalsa di altra impresa per qualificarsi ai fini della procedura di gara in contestazione e l’odierna appellante non ha controdedotto in modo puntuale sul punto.

7. L’appello deve quindi essere respinto, ivi compresa la censura concernente le spese del primo grado di giudizio, in applicazione del criterio della soccombenza virtuale, stante la complessiva infondatezza del ricorso di primo grado.

Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale

(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e condanna l’appellante Im. Co. Ed. Bi. P.I. Um. s.r.l. a rifondere al Comune di (omissis) le spese di causa, liquidate in € 4.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 aprile 2017 con l’intervento dei magistrati:

Carlo Saltelli – Presidente

Paolo Giovanni Nicolò Lotti – Consigliere

Fabio Franconiero – Consigliere, Estensore

Stefano Fantini – Consigliere

Daniele Ravenna – Consigliere

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