Consiglio di Stato, sezione terza, Sentenza 11 luglio 2018, n. 4236.
La massima estrapolata:
E’ legittimo il rigetto della domanda di emersione da lavoro irregolare presentata a favore di extracomunitario allorquando la dichiarazione di emersione non risulti corredata da documentazione idonea a dimostrare la effettiva sussistenza del rapporto di lavoro da regolarizzare e non risultano versati i contributi previdenziali I.N.P.S..
Sentenza 11 luglio 2018, n. 4236
Data udienza 7 giugno 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Terza
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 8415 del 2016, proposto dal Sig. Sa. An., rappresentato e difeso dall’Avvocato Fr. Op., con domicilio eletto presso lo studio dell’Avvocato Lu. Ra. in Roma, via (…);
contro
il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., l’U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria – Sportello Unico per L’Immigrazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici sono domiciliati in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA – SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA, n. 514 del 2016.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell’Interno e dell’U.T.G. – Prefettura di Reggio Calabria – Sportello Unico per L’Immigrazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 7 giugno 2018 il Consigliere Paola Alba Aurora Puliatti e uditi per le parti l’Avvocato Fr. Op. e l’Avvocato dello Stato Pa. Ze.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. – Con ricorso al TAR per la Calabria, Sezione di Reggio Calabria, n. r.g. 5 del 2016, il Sig. Sa. An. impugnava il provvedimento con cui la Prefettura di Reggio Calabria ha disposto l’archiviazione della domanda di emersione dal lavoro irregolare proposta in data 12 ottobre 2012 dalla signora Ca. Bo. nel suo interesse.
Il diniego era motivato con la circostanza che la signora Bo., pur risultando formalmente datrice di lavoro dell’interessato, in realtà non avrebbe inoltrato alcuna istanza per la regolarizzazione del predetto lavoratore.
In data 3 giugno 2013, infatti, presso la Legione Carabinieri di Polistena era stata sporta denuncia orale da parte del signor Ro. Do., genero convivente della signora Bo., nella quale veniva esposto che da parte della congiunta – donna molto anziana ed assistita dai più stretti congiunti con i quali convive- non era stata inoltrata alcuna domanda di emersione dal lavoro irregolare.
Il ricorrente denunciava la violazione delle regole di partecipazione dell’interessato al procedimento e la violazione dell’art. 3, comma 3, del D.P.R. n. 394 del 1999, deducendo che ogni provvedimento prefettizio che riguarda gli stranieri deve essere tradotto in lingua ad essi comprensibile.
Affermava di aver prestato attività lavorativa alle dipendenze della signora Bo. sin dall’anno 2012 e che il disconoscimento del rapporto di lavoro doveva essere interpretato quale volontà del datore di lavoro di non voler procedere alla regolarizzazione.
2. – A seguito di istruttoria, il TAR con la sentenza in epigrafe rigettava il ricorso, con condanna del ricorrente alle spese di giudizio.
3. – Con l’appello in esame, l’interessato denuncia l’erroneità e ingiustizia della sentenza e ne chiede la riforma.
4. – Resistono in giudizio le Amministrazioni intimate.
5. – All’udienza pubblica del 7 giugno 2018, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.- L’appello è infondato.
2.- Sotto il profilo della regolarità del procedimento, la sentenza impugnata ha ritenuto correttamente che:
– non spetta all’interessato alcuna comunicazione di avvio del procedimento, trattandosi di procedimento avviato su istanza di parte;
– non può rilevare la violazione dell’art. 10 bis l. n. 241 del 1990, non essendo dimostrato quale utile apporto al procedimento avrebbe potuto fornire l’interessato;
– non vi è obbligo di traduzione del provvedimento nella lingua di origine dello straniero in quanto il provvedimento di archiviazione di un procedimento avviato su istanza non dello straniero bensì del datore di lavoro non rientra nelle previsioni dell’art. 3, comma 3, D.P.R. n. 394 del 1999.
3. – Sotto il profilo della motivazione posta a base del diniego di regolarizzazione, è condivisibile quanto afferma il primo giudice, ovvero che la volontà del datore di lavoro di intrattenere rapporti con lo straniero rileva non solo al momento dell’avvio del procedimento ma anche al momento della sua definizione, in sede di sottoscrizione del contratto di lavoro in presenza dei funzionari dell’Ufficio Immigrazione, e che la mancata effettuazione dei versamenti per contributi previdenziali risulta altamente sintomatica della fittizietà del rapporto ed ostativa alla regolarizzazione del rapporto.
L’istruttoria compiuta in primo grado ha evidenziato, infatti, che:
– il rapporto di lavoro tra la signora Bo. ed il signor An. risulta cessato nella stessa data dell’assunzione; e cioè il giorno 9 maggio 2012;
– per tale rapporto di lavoro non sono stati effettuati versamenti per contributi previdenziali;
– a seguito dell’avvenuta archiviazione del procedimento penale contro ignoti avviato a seguito della denuncia del signor Ro. Do., il difensore del signor An. ha chiesto che la Prefettura procedesse al riesame della posizione del suo assistito al fine di ottenere il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione.
3.1. – Le contestazioni del ricorrente circa la non attendibilità della denuncia sporta ai Carabinieri di Polistena dal sig. Ro., genero convivente della datrice signora Bo., non sono sufficienti a dimostrare l’effettività di un rapporto di lavoro che solo successivamente la signora non abbia inteso regolarizzare, così come prospettato in ricorso.
La giurisprudenza di questa Sezione ritiene che è legittimo il rigetto della domanda di emersione da lavoro irregolare presentata a favore di extracomunitario allorquando la dichiarazione di emersione non risulti corredata da documentazione idonea a dimostrare la effettiva sussistenza del rapporto di lavoro da regolarizzare e non risultano versati i contributi previdenziali I.N.P.S. (cfr. Cons. Stato, III, n. 2332/2015 e n. 3644/2015; vedi anche, III, n. 3448/2014 e n. 3451/2014).
Nell’art. 5 del d.lgs. 109/2012, il legislatore, nel porre a carico del datore di lavoro che presenta dichiarazione di emersione l’obbligo del versamento di ogni somma dovuta all’immigrato dipendente a titolo retributivo, contributivo e fiscale (in conformità alla normativa comunitaria di settore), al fine di evitare l’abuso generalizzato dello strumento della regolarizzazione, non ha considerato l’eventuale inosservanza di tale obbligo nella categoria delle inadempienze “imputabili esclusivamente al datore di lavoro” (come nel caso del reddito insufficiente, della mancata stipula del contratto di soggiorno o della mancanza di altri requisiti soggettivi del richiedente), ma ha ritenuto di attribuire al versamento degli importi in questione valenza probatoria della stessa sussistenza del rapporto di lavoro da regolarizzare; di conseguenza l’omesso versamento acquista valenza di elemento presuntivo per dimostrare la non effettiva sussistenza, da almeno tre mesi, del rapporto di lavoro dipendente da regolarizzare (cfr. Cons. Stato, III, n. 2332/2015 e n. 3644/2015; vedi anche, nello stesso senso, le sentenze n. 3448/2014 e n. 3451/2014).
D’altro canto, ferma detta valenza di elemento presuntivo, è stato affermato che l’art. 5, comma 11-bis, del d.lgs. 109/2012 deve essere interpretato nel senso di consentire al lavoratore di dimostrare la sussistenza del rapporto di lavoro in caso di omesso versamento della contribuzione da parte del datore di lavoro (e ciò in ragione della doverosa interpretazione della norma in senso conforme alla Direttiva 2009/52/CE, che, al Considerando n. 17, sottolinea l’esigenza che “il lavoratore dovrebbe anche avere l’opportunità di dimostrare l’esistenza e la durata di un rapporto di lavoro”), precisandosi, nel contempo, che, riguardo alla effettiva sussistenza del rapporto di lavoro, non è ipotizzabile un onere di “attività accertativa da parte dell’Amministrazione”, ma solo l’apporto (materiale o comunque informativo) del lavoratore, che, quale parte del rapporto di lavoro “illegale” (v. le definizioni recate all’art. 2 della citata Direttiva 2009/52/CE), è sicuramente in possesso di conoscenze relative ai concreti elementi del rapporto di lavoro illegalmente intercorso (luogo di lavoro, tipologia di lavorazioni svolte, organizzazione del lavoro, orari di lavoro, ecc.), che può concorrere in maniera decisiva a portare alla luce (cfr. Cons. Stato, III, n. 4207/2015).
Nel caso in esame, è pacifico che non vi è stata stipula del contratto di soggiorno e che non sia stato documentato il versamento degli oneri retributivi, contributi e fiscali di cui all’art. 5, comma 5, del d.lgs. 109/2012. Né il ricorrente offre altri elementi o principi di prova da cui poter desumere l’effettività della prestazione lavorativa.
4. – Quanto al reclamato diritto al rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione ai sensi del D.L. 76/2013, correttamente il TAR ha respinto il motivo di ricorso tenuto conto della situazione di fatto e sulla base di una condivisa ricostruzione della portata applicativa dei commi 11-ter e 11-quater, rispetto al comma 11-bis ed al comma 5, dell’art. 5, cit., (cfr. Cons. Stato, III, n. 2686/2016).
E’ vero che soltanto il comma 11- bis (e non anche l’11- ter) condiziona espressamente il rilascio del permesso di soggiorno all’accertamento dell’avvenuto pagamento delle somme di cui al comma 5; tuttavia ciò non può essere inteso nel senso che ana accertamento non sia necessario anche ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione ai sensi del comma 11- ter.
Ove una tale verifica mancasse, verrebbe tradita la ratio del d.lgs. 109/2012, che è quella di sanare la posizione di quei soli extracomunitari che, oltre ad essere presenti ad una certa data sul territorio nazionale, hanno svolto – pur irregolarmente – attività lavorativa, alle dipendenze di datori di lavoro italiani o stranieri, per un periodo di almeno sei mesi: tale obiettivo verrebbe vanificato se si ritenesse sufficiente, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione, la prova della sola presenza in Italia alla data del 31 dicembre 2011.
Discende, dunque, dalle emergenze fattuali di cui si è detto che, nella fattispecie, la mancanza di un effettivo rapporto di lavoro (e non la mera interruzione dello stesso, non dimostrata) impedisce il rilascio di un permesso di soggiorno per attesa occupazione.
5. – Considerata la natura della controversia e la mancanza di difese sostanziali dell’Amministrazione, può disporsi l’integrale compensazione tra le parti delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese dei due gradi di giudizio compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2018 con l’intervento dei magistrati:
Marco Lipari – Presidente
Umberto Realfonzo – Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti – Consigliere, Estensore
Stefania Santoleri – Consigliere
Giorgio Calderoni – Consigliere
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