La norma sopravvenuta costituisce diritto applicabile da parte dell’Amministrazione nel caso in cui la fase istruttoria del procedimento non sia ancora conclusa e comunque prima dell’adozione del provvedimento finale, perché lo ius superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici da recepire nell’atto amministrativo da emanare.

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[…]

L’appellante deduce che una questione di principio “assolutamente identica” a quella in esame si sarebbe posta nel momento in cui, con la direttiva 85/337/CEE, è stata introdotta la procedura di valutazione dell’impatto ambientale; che la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 18 giugno 1998, n. 81/96 -ispirata a contemperare la fondamentale esigenza di protezione dell’ambiente con quella di certezza delle norme e di corretto esercizio delle potestà pubbliche che limitano l’iniziativa economica privata- ha stabilito che il principio della valutazione obbligatoria dell’impatto ambientale non si applica qualora il procedimento di autorizzazione sia stato avviato prima del 3 luglio 1988 e sia ancora in corso a tale data; che questo insegnamento della Corte di Giustizia è stato recepito e corroborato dall’art. 3, punto 2, della direttiva 97/11/CE, che ha modificato la direttiva suddetta, stabilendo che, per le domande già proposte ai sensi di quest’ultima, si sarebbero dovute applicare le disposizioni della direttiva 85/337/CEE nella versione originaria.
Quindi, l’appellante osserva che nel nostro ordinamento i tempi per conseguire, prima, la VIA e, poi, l’autorizzazione unica sono molto lunghi, in media pari a due anni o superiori; che le norme sopravvenute nelle more non dovrebbero andare a discapito del privato richiedente -in base all’affermazione contenuta nella sentenza su citata per la quale è necessario “evitare che siano appesantite e ritardate, a causa delle specifiche prescrizioni [sopraggiunte nel corso del procedimento] procedure già complesse … e formalmente avviate prima di tale data”; che il T.a.r. Sardegna non avrebbe dato alcun rilievo a questi principi di equità e ragionevolezza nell’esercizio delle potestà pubbliche; che perciò la sentenza sarebbe ingiusta e illegittima per erronea applicazione del principio tempus regit actum, oltre che dell’art. 97 della Costituzione e dell’art. 11 delle preleggi, nonché per violazione del piano provinciale di gestione dei rifiuti approvato il 7 settembre 2004, che si sarebbe dovuto applicare, e per violazione del piano regionale di gestione dei rifiuti approvato il 20 dicembre 2008, che invece non avrebbe potuto essere applicato.
Aggiunge l’appellante che, comunque, l’orientamento seguito nella sentenza impugnata non sarebbe compatibile con l’ordinamento comunitario e, in particolare, con la direttiva 357/1985, come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia su menzionata. In via subordinata, chiede quindi che venga disposto rinvio pregiudiziale, ai sensi dell’art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea in vigore dal 1° dicembre 2009, “per chiarire se sia compatibile con i principi fondamentali dell’ordinamento comunitario e con le direttive 1985/337/CEE, 97/11/CE e 2003/25/CE -alla luce anche della puntuale disposizione contenuta nell’art. 3, n. 2, della direttiva 97/1/CE- che la procedura autorizzatoria e in particolare il provvedimento di verifica della compatibilità ambientale di un intervento siano subordinate non solo alle norme vigenti al momento della domanda ma anche a quelle sopraggiunte sino al rilascio dell’autorizzazione definitiva”, fatti salvi i casi di esigenze di tutela inderogabili, qui non ricorrenti.
3.1. Dunque, l’unica questione rilevante ai fini della decisione attiene al principio tempus regit actum ed alla sua applicazione al procedimento amministrativo, avendo l’appellante prestato acquiescenza al capo della sentenza che ha ritenuto applicabile il procedimento di V.I.A. all’impianto di pirolisi (considerato perciò impianto nuovo, e non mero ampliamento del preesistente) ed essendo le eccezioni di inammissibilità e di improcedibilità del gravame -sollevate dal Comune di (omissis) e dalla Regione, rispettivamente per la mancata impugnazione del Piano approvato nel 2008 e per la mancata impugnazione del Piano approvato, con delibera sopraggiunta in corso di causa, nel 2016- condizionate dall’accoglimento o meno dell’unico motivo, che concerne appunto l’applicabilità delle normative via via sopravvenute.
Gli enti appellati contrastano gli assunti della società appellante richiamando l’orientamento giurisprudenziale che ritiene che la normativa sopravvenuta non sia invocabile soltanto quando il procedimento amministrativo abbia già esaurito la fase più significativa dal punto di vista sostanziale, ossia la fase decisoria e deliberativa dell’atto impugnato.
La Regione autonoma della Sardegna, inoltre, a prescindere dalla questione di diritto, osserva che, nel caso della richiesta presentata dalla S.E. Tr., il procedimento di V.I.A. non si sarebbe potuto reputare iniziato alla data del 20 dicembre 2008 (quando venne approvato il Piano regionale di gestione dei rifiuti), poiché l’art. 23 del d.lgs. n. 152 del 2006 dispone che, qualora la documentazione presentata a corredo dell’istanza di V.I.A. risulti incompleta, il progetto si intende non presentato e l’art. 6 dell’allegato B alla delibera della Giunta regionale n. 5/11 del 15 febbraio 2005 dispone, a sua volta, che il procedimento si intende avviato a condizione che la domanda sia regolare e completa, laddove -nel caso di specie- essendo emerse carenze documentali in occasione della conferenza di servizi del 10 ottobre 2008, la S.E. Tr. provvide a riscontrare la relativa nota informativa del 5 novembre 2008 soltanto in data 23 dicembre 2008, quindi dopo l’approvazione del Piano regionale in data 20 dicembre 2008.
4. L’appello è infondato.
L’applicazione del principio tempus regit actum che la sentenza impugnata ha fatto al procedimento amministrativo di V.I.A., instaurato dall’appellante, è corretta.
La legge n. 241 del 1990 disciplina all’art. 2 il termine di conclusione del procedimento, ma non contiene una disciplina generale applicabile alle diverse fasi del procedimento, né previsioni specifiche riguardanti la sopravvenienza di norme, primarie e secondarie, in corso di procedimento.
L’indirizzo giurisprudenziale prevalente è quello applicato dal primo giudice, che, così come richiamato dalle parti appellate, è stato ribadito in arresti recenti di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, IV, 13 aprile 2016, n. 1450; id., 16 dicembre 2016, n. 5339), secondo cui la norma sopravvenuta costituisce diritto applicabile da parte dell’Amministrazione nel caso in cui la fase istruttoria del procedimento non sia ancora conclusa e comunque prima dell’adozione del provvedimento finale, perché lo ius superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici da recepire nell’atto amministrativo da emanare (cfr. Cons. Stato, V, 23 ottobre 2014, n. 5249; id., IV, 14 gennaio 2016, n. 83; id., V, 12 maggio 2015, n. 2356; id., IV, 12 marzo 2015, n. 1313 ed altre).
Il principio di diritto, che si intende qui ribadire, è affermato nei seguenti termini: “la corretta applicazione del principio tempus regit actum comporta che la Pubblica amministrazione deve considerare anche le modifiche normative intervenute durante il procedimento, non potendo considerare l’assetto normativo cristallizzato in via definitiva alla data dell’atto che vi ha dato avvio, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento adottato al termine di un procedimento avviato ad istanza di parte deve essere valutata con riferimento alla disciplina vigente al tempo in cui è stato adottato il provvedimento finale, e non al tempo della presentazione della domanda da parte del privato, dovendo ogni atto del procedimento amministrativo essere regolato dalla legge del tempo in cui è emanato in dipendenza della circostanza che lo jus superveniens reca sempre una diversa valutazione degli interessi pubblici.”
Il principio si completa con il presupposto di diritto, parimenti affermato da dottrina e giurisprudenza, secondo cui, fintantoché l’amministrazione non ha approvato il provvedimento definitivo, il privato richiedente non è titolare di una situazione sostanziale consolidata meritevole di tutela sotto il profilo del legittimo affidamento, ma di un’aspettativa (cfr. anche Corte Costituzionale, sentenza 1 aprile 2010, n. 124).
4.1. Peraltro, nel caso di specie, come pure evidenziato dalla difesa della Regione Sardegna, non si è avuta una situazione di inerzia del procedimento imputabile alla stessa Regione, tale che per condotta, dolosa o colposa, ascrivibile a quest’ultima la società richiedente sia incorsa nella più restrittiva disciplina sopravvenuta.
Ed invero, alla sollecita fissazione della prima conferenza istruttoria (in data 10 ottobre 2008) -dopo che il progetto in esame era stato presentato al pubblico soltanto in data 31 luglio 2008 e che si era avuto il periodo di sospensione feriale dal 1° al 31 agosto, come da delibere regionali richiamate in atti- ed alla richiesta di chiarimenti e di integrazioni rivolta alla società in data 5 novembre 2008, la S.E. Tr. aveva fornito riscontro solo in data 23 dicembre 2008 (dopo l’approvazione del nuovo Piano regionale di gestione dei rifiuti); comunque, l’intero procedimento, dopo la seconda conferenza istruttoria del 4 febbraio 2009, si è concluso entro il termine di legge con l’adozione della delibera impugnata.
Quindi, il Piano regionale rifiuti è sopraggiunto quando era legittimamente in corso la fase istruttoria del procedimento amministrativo di V.I.A..
4.2. Dato quanto fin qui detto, non è necessario indagare se, come sostenuto dalla Regione, l’istanza fosse talmente incompleta da imporre l’applicazione delle norme richiamate negli scritti difensivi che importano lo spostamento in avanti della data di inizio del procedimento al momento in cui la richiesta sia corredata dalla documentazione ritenuta indispensabile dall’amministrazione ovvero se, al contrario, si sia trattato del dialettico, normale, svolgimento della fase procedimentale istruttoria.
Piuttosto, è sufficiente aggiungere, a confutazione degli argomenti dell’appellante fondati sulla richiamata sentenza della Corte di Giustizia, che le norme sopravvenute qui in discussione non attengono all’introduzione di adempimenti procedurali, tali che il loro compimento potrebbe “appesantire o ritardare” la procedura in corso. Esse sono invece contenute in atti pianificatori generali, per definizione volti a perseguire l’interesse pubblico generale ed, in particolare, la tutela dei diritti fondamentali alla salute ed alla salubrità dell’ambiente e del territorio, che perciò sono di immediata applicazione, non potendo essere sacrificati per tutelare una posizione privata di mera aspettativa, in vigenza della precedente normativa sostanziale, oramai inadeguata a garantire la tutela dei detti beni primari.
Per la stessa ragione va disattesa la richiesta di rinvio pregiudiziale, peraltro formulata in riferimento ad una disposizione -quella contenuta nell’art. 3, n. 2, della direttiva 97/11/CE- che non è espressione di un principio generale, ma di una deroga, perciò appositamente prevista.
In conclusione, l’appello va respinto.
Considerata la peculiarità della vicenda processuale, connotata dalla sopravvenienza diversi atti di pianificazione generale, sussistono giusti motivi per compensare le spese del grado.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 marzo 2018 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Alessandro Maggio – Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca – Consigliere, Estensore

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