Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 5 dicembre 2017, n. 5742. Anche dopo l’entrata in vigore dell’art. 3, L. n. 241 del 1990, i provvedimenti della commissione esaminatrice che valutano negativamente le prove scritte vanno considerati di per sé adeguatamente motivati quando si fondano su voti numerici, attribuiti in base ai criteri da essa predeterminati, senza necessità di ulteriori spiegazioni e chiarimenti, valendo comunque il voto a garantire la trasparenza della valutazione

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9.1.2. Come chiarito in precedenti arresti giurisprudenziali specifici in materia (Consiglio di Stato, sez. VI, 9 febbraio 2011, n. 871; sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2110; sez. IV, 19 febbraio 2007, n. 5468; da ultimo, Consiglio di Stato, sez. IV, n. 11/2017), alle cui motivazioni ci si riporta a mente degli artt. 74 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a., costituisce jus receptum il principio secondo il quale “le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e/o culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile. Ne consegue che il giudicante non può ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica dell’organo valutatore (e quindi sostituire il proprio giudizio a quello della Commissione), se non nei casi in cui il giudizio si appalesi viziato sotto il profilo della logicità, vizio la cui sostanza non può essere confusa con l’adeguatezza della motivazione, ben potendo questa essere adeguata e sufficiente e tuttavia al tempo stesso illogica; stante, invero, il diverso rilievo ed ambito concettuale, che assumono i due vizi, l’uno non può essere arbitrariamente dedotto dall’altro e, soprattutto, un giudizio critico negativo reso dalla Commissione esaminatrice mediante punteggio numerico non risulta affetto né da profili di insufficienza, né da profili di irrazionalità solo perché il giudice, senza rilevare alcuna concreta eclatante discrasia tra la votazione negativa attribuita e il contenuto degli elaborati, decida di sostituire (indebitamente) la propria competenza a quella specifica riconosciuta dall’ordinamento alla Commissione, invadendo gli ambiti di discrezionalità tecnica alla stessa riservati”.
9.1.3. Nelle decisioni sopra richiamate è stato, infatti, condivisibilmente osservato che:
I) il sindacato di legittimità del giudice amministrativo è limitato al riscontro del vizio di eccesso di potere per manifesta illogicità, con riferimento ad ipotesi di erroneità o irragionevolezza riscontrabili ab externo e ictu oculi dalla sola lettura degli atti;
II) il punteggio numerico vale come sintetica motivazione (cfr. riassuntivamente, per tutte, sez. V, 26 maggio 2015, n. 2629; Corte cost., 8 giugno 2011, n. 175; Corte cost., 1° agosto 2008, n. 328, relativa al concorso notarile, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, co. 2, lett. d), c.p.a.).
III) la contestazione dell’osservanza dei criteri generali fissati Commissione centrale si risolve, in mancanza della rappresentazione di elementi controfattuali certi ed obiettivamente apprezzabili, in una surrettizia riaffermazione della tesi della insufficienza del punteggio numerico (Consiglio di Stato, sez. IV n. 4035 del 2016, C.g.a. n. 317 del 2012; sez. IV 8628 del 2009; Corte cost., n. 175 del 2011, cui si rinvia sempre a mente degli artt. 74 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a.).
9.1.4. Il ricorrente, nella specie, ha cercato di supportare la critica ai giudizi espressi dalla Commissione giovandosi dei pareri espressi da due professori e un avvocato cassazionista, nonché ragguagliando le soluzioni offerte nei propri elaborati a quelle pubblicate, all’indomani dell’esame, sul sito della rivista “Al.”. Ciò, tuttavia, in assenza di qualsivoglia allegazione e dimostrazione di circostanze fattuali certe e obiettivamente riscontrabili da cui inferire l’effettiva sussistenza del vizio di eccesso di potere per manifesta illogicità, erroneità, irragionevolezza o abnormità di giudizio.
9.1.5. Un tale modo di procedere si risolve, pertanto, in un inammissibile sindacato di merito che, nell’ordine:
a) travalica il giudizio di legittimità;
b) impinge nella lata discrezionalità dell’amministrazione (che, come è noto, è sindacabile esclusivamente nelle ipotesi di manifesta irragionevolezza/abnormità);
c) collide con il principio di infungibilità dei giudizi emessi dalle commissioni valutative.
9.2. Col terzo motivo di ricorso il candidato ha contestato la violazione del principio di collegialità, la violazione degli artt. 17 bis, comma 2 e 23, comma 5, del R.D. n. 37/1934; del d.l. n. 112/2003; dell’art. 6 del DM 2.9.2003; l’eccesso di potere; il difetto di istruttoria; l’arbitrarietà e la manifesta illogicità, in ragione dell’insufficienza del tempo dedicato alla correzione di ciascun elaborato, quantificato in una media di circa quattro minuti e 10 secondi per ciascuno di essi.
9.2.1. Anche questo mezzo non ha fondamento.
9.2.2. Il Collegio condivide il maggioritario orientamento (ex multis, Consiglio di Stato, VI, 11 dicembre 2013, n. 5497; id., VI, 1 febbraio 2013, n. 614; id., IV, 23 febbraio 2012, n. 970; id., VI, n. 1411/2015, cui si rinvia a mente degli artt. 74 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a.) secondo cui non è sindacabile in sede di legittimità la congruità del tempo dedicato dalla commissione giudicatrice alla valutazione delle prove d’esame di candidati. Ciò sulla base delle seguenti plurime considerazioni:
I) in primo luogo, manca una predeterminazione, sia pure di massima, ad opera di legge o di regolamenti, dei tempi da dedicare alla correzione degli scritti;
II) in secondo luogo, non è possibile, di norma, stabilire quali concorrenti abbiano fruito di maggiore o minore considerazione e se, quindi, il vizio dedotto infici in concreto il giudizio contestato;
III) in terzo luogo, perché le medie temporali risultano scarsamente significative laddove siano state effettuate in base a un computo meramente presuntivo, derivante dalla suddivisione della durata di ciascuna seduta per il numero dei concorrenti o degli elaborati esaminati.
9.3. Con il quarto e ultimo motivo di ricorso il dott. Ve. ha censurato la violazione di legge e l’eccesso di potere per disparità di trattamento; la violazione del principio di imparzialità e l’illogicità, asserendo di essersi confrontato con altri candidati, risultati vittoriosi, e di avere appurato l’identità delle soluzioni dagli stessi proposte rispetto a quelle proprie, non positivamente valutate.
9.3.1. Anche questo motivo non merita accoglimento.
9.3.2. In primo luogo, va ritenuta l’inammissibilità, per genericità, della censura dedotta ai sensi dell’art. 40, comma 1, lett. c) del c.p.a., giacché assolutamente carente dei motivi specifici a sostegno e, segnatamente, per l’omessa indicazione, prima facie, dei candidati in comparazione.
9.3.3. Nel merito, ad ogni modo, la censura non coglie nel segno.
9.3.4. Il Collegio condivide, sul punto, l’orientamento già chiaramente espresso da questo Consiglio di Stato (Sezione IV, n. 11/2017), cui ci si richiama ai sensi degli artt. 74 e 88, comma 2, lett. d) del c.p.a., da cui possono trarsi importanti corollari:
I) le competenze della commissione sono l’espressione di una scienza non sindacabile da pareri di terzi, a meno che non venga prospettata con precisione e giustificazione probatoria la sussistenza delle note figure dell’illogicità, dell’irrazionalità e del radicale travisamento dei fatti; di conseguenza, la pretesa disparità di trattamento nella correzione degli elaborati non consente quello che viene definito un sindacato “forte” del giudice amministrativo sulla medesima discrezionalità tecnica (Cons. Stato, v, n. 5085/16 cit.);
II) in assenza della dimostrazione di un vizio, ictu oculi rilevabile, di manifesta illogicità o abnorme irrazionalità, non è sindacabile l’asserita disparità di trattamento del candidato ricorrente rispetto: 1) ai candidati giudicati da altre Commissioni che hanno deciso autonomamente di apporre glosse o segni grafici; 2) ad altri candidati risultati idonei che avrebbero seguito la medesima soluzione del ricorrente;
III) rimane, comunque, inammissibile l’ipotesi del confronto diretto tra gli elaborati ad opera del giudice, essendo, il giudizio valutativo espresso dalla Commissione, oltre che connotato da ampia discrezionalità tecnica, anche sintetico e omnicomprensivo sui tre elaborati.
10. In conclusione, l’appello va accolto mentre sono respinte le censure riproposte dall’intimato. Pertanto, in riforma della sentenza appellata, è respinto il ricorso proposto dinanzi al T.a.r.
11. Le spese seguono la soccombenza, con condanna dell’appellato al pagamento in favore del Ministero delle spese del doppio grado di giudizio, secondo i parametri di cui al regolamento n. 55 del 2014.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso di primo grado.
Condanna il signor Fr. Ve. a rifondere in favore del Ministero della giustizia le spese di entrambi i gradi di giudizio che liquida in complessivi euro 3.000 (tremila), otre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 30 novembre 2017 con l’intervento dei magistrati:
Vito Poli – Presidente
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Daniela Di Carlo – Consigliere, Estensore
Nicola D’Angelo – Consigliere
Giovanni Sabbato – Consigliere

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